Nome comune delle piante del genere Olea della famiglia Oleacee, ordine Lamiali, e in particolare di Olea europaea, nella sottospecie domestica, albero comunissimo nelle nostre regioni, di grande importanza per l’olio che si estrae dai suoi frutti.
L’o. (nella specie Olea europaea) si presenta in due sottospecie: o. coltivato (Olea europaea sativa; v. fig.) e o. selvatico (Olea europaea oleaster). L’o. coltivato (o o. domestico) è un albero alto di norma da 4 a 10 m, con rami lisci, foglie sempreverdi, lanceolate, di un verde caratteristico di sopra, biancastre di sotto, perché coperte di fitti peli peltati, fiori piccoli, bianchi, in piccole pannocchie; il frutto è una tipica drupa con mesocarpo carnoso, contenente grande quantità di olio, endocarpo (nocciolo) grande e duro, contenente un solo seme. L’o. selvatico (o oleastro) è più piccolo, a chioma molto raccolta, rami spinescenti, foglie strette, corte, piccole, frutto piccolo, con mesocarpo poco sviluppato; cresce nei luoghi rupestri, isolato o in forma boschiva, nella regione mediterranea; è usato, di rado, solo per innesto.
Dell’o. domestico (che fornisce anche un bel legno giallastro con venature nere, duro, compatto, lucidabile, molto adatto per mobili, perché sopporta umidità, insetti, muffe) si conoscono molte varietà, distinte per i caratteri del frutto. Nell’Italia peninsulare è estesamente coltivato e in ogni regione si conoscono parecchie varietà, distinte con nomi speciali. Altre regioni olivicole si trovano intorno al bacino mediterraneo (Spagna, Portogallo, Africa settentrionale, Grecia, Asia Minore, Palestina ecc.); in California e in Australia l’o. fu introdotto più tardi. In Italia le regioni più ricche di olivi sono Puglia, Calabria, Sicilia; seguono Toscana, Lazio, Abruzzo, Molise ecc. (v. tabb. 1a, 1b, 1c, 1d).
L’o. è uno degli alberi più longevi (alcuni esemplari dell’Africa settentrionale e della Palestina si ritiene risalgano all’epoca romana). L’o. presenta polimorfismo genetico, con numerose varietà autosterili, accanto ad altre autofertili.
La propagazione per semi a partire dalle olive domestiche genera piantine che manifestano un notevole inselvatichimento; gli olivini da seme, ottenuti nel semenzaio, si trasferiscono dopo un anno nel piantinaio, dove restano ancora un anno prima di essere innestati; quindi si trasferiscono nel vivaio e dopo 2-3 anni si mettono a dimora. La propagazione per parti di pianta, e cioè per ovoli, polloni e talee, è più comune: il getto migliore sorto da un ovolo si cura come gli olivini per 3-4 anni e poi si mette a dimora. Le talee, di dimensioni varie, vengono allevate per 3-4 anni e, se molto robuste, si piantano direttamente a dimora. L’innesto si fa a gemma o a marza (a spacco o a corona).
L’o. è di lento accrescimento, impiegando da 30 a 40 anni per raggiungere la completa produttività, e ama terreni con prevalenza di potassa e di calce, posti in collina, non umidi. Molto importante è la potatura, che all’inizio ha lo scopo di dare alla chioma la forma aperta nel mezzo per permettere maggiore aerazione e soleggiatura, le quali favoriscono la fruttificazione; il frutto matura lentamente fra l’autunno e l’inverno.
L’o. risponde in modo generoso a una razionale concimazione. I freddi e i geli danneggiano le parti più giovani e, se sono forti, anche i rami e il fusto, determinando screpolature e cancri e talora il disseccamento dell’intera pianta; le nebbie sono sempre nocive, particolarmente durante la fioritura; lo stesso vale per le piogge prolungate; la grandine e la siccità recano spesso danni gravi. Lo zero specifico dell’o. è intorno a −7 °C.
Le malattie più importanti sono il marciume delle radici, detto ‘pinguedine dell’o.’, dovuto a eccesso di umidità; la carie o lupa che rovina le parti legnose; la rogna o tubercolosi che si presenta sotto forma di tubercoli sui rami giovani ed è provocata da un batterio (Pseudomonas savastanoi); la melata, cui succede la fumaggine; altre malattie dovute a parassiti sono l’occhio di pavone, la brusca (causata dal fungo ascomicete Stictis panizzei). Numerosi sono i parassiti animali: il punteruolo, l’ilesino, il pidocchio dell’o., varie cocciniglie, la tignola, la mosca olearia.
Il frutto dell’o., dalla cui frantumazione si estrae l’olio. Indolcite con speciale processo e variamente conservate le o. sono usate anche nell’alimentazione, soprattutto come antipasto. La loro preparazione varia a seconda che si vogliano trattare quelle verdi o quelle nere: le prime subiscono l’indolcimento con procedimenti diversi secondo il tipo di prodotto che si vuole ottenere e gli usi locali; le nere possono essere preparate in bagno di sale, con procedimento analogo a quello usato per le o. verdi, oppure seccate in forno, con procedimenti diversi secondo le usanze.
La raccolta delle olive avviene nel periodo fra novembre e febbraio; a seconda delle varie regioni si pratica la raccattatura, o raccolta a terra delle olive cadute, la bacchiatura, raccolta delle olive fatte cadere a mezzo di bastoni, la brucatura, nella quale le olive giunte a maturazione sono raccolte sull’albero, la pettinatura, che prevede sempre la raccolta dall’albero mediante attrezzi speciali a pettine. La produzione delle olive va soggetta a grandi oscillazioni a seconda delle annate, vale a dire a un’annata di carica, cioè di produzione abbondante, segue un’annata di scarica; tale alternanza varia secondo le regioni. L’olivicoltura è una delle più importanti colture agrarie in Italia. La superficie olivicola italiana ha subito una sensibile riduzione dai primi anni 1970 in poi, ma l’Italia conserva il secondo posto, dopo la Spagna, per produzione di olive e di olio.
Il valore religioso attribuito all’o. dagli antichi popoli dell’area mediterranea non dipende soltanto dalla venerazione, molto diffusa, degli alberi in generale, ma anche dall’importanza alimentare della pianta. Gli esempi più noti provengono dall’ebraismo antico (l’o. rappresenta i giusti in Salmi 52, 10, Osea 14, 7), dall’antica Grecia (gli o. sacri di Atena; la corona di rami d’o. come premio ai Giochi olimpici) e dai Romani (rami d’o. nelle cerimonie lustrali). Ancora oggi in Italia, la domenica delle Palme, rami d’o., oltre a quelli di palma, sono benedetti ritualmente. L’o. è inoltre simbolo di pace, già noto ai primi cristiani.