Tessuto animale o vegetale caratterizzato da forma allungata, di natura per lo più filamentosa, dotato di particolari qualità (resistenza, flessibilità, elasticità). Il termine è stato esteso ad analoghi elementi di minerali (sono chiamati fibre minerali aggregati cristallini che si presentano in minerali fibrosi quali l’amianto, l’actinolite, la crocidolite ecc.), e di vari altri materiali; nei metalli, f. è la successione di microcristalli deformati e orientati in una certa direzione, nella quale è più elevata la resistenza a trazione; la formazione di f. è dovuta a lavorazioni plastiche.
(dall’ingl. dietary fibre). Materiale non digeribile, prevalentemente di natura glucidica, presente negli alimenti di origine vegetale. È così chiamata per differenziarla da fibra grezza, termine usato per indicare solo ciò che rimane di un alimento vegetale dopo estrazione con acidi e alcali (essenzialmente cellulosa e lignina). La f. alimentare è costituita dalla somma di una quantità di sostanze molto diverse che resistono all’azione dei succhi digestivi del tratto gastrointestinale dell’uomo, come le emicellulose, la cellulosa, la lignina, le pectine, le gomme, le mucillagini e i galattomannani. Le sue proprietà variano in funzione della proporzione dei diversi componenti.
Nome generico di varie strutture microscopiche o submicroscopiche che presentano forma allungata, più o meno filamentosa. Costituite da fibrille riunite in fasci, alcune sono cellule o complessi cellulari (per es., fibre muscolari), altre sono prolungamento di cellule (per es., fibre nervose), altre ancora sono prodotto dell’attività cellulare ma risiedono fuori delle cellule (per es., f. del tessuto connettivo). Si chiama fibrillogenesi il processo di formazione delle fibrille connettivali, muscolari o nervose.
Nome dato da W.L. Andriezen alle cellule di nevroglia della sostanza bianca, per i loro prolungamenti sottili, che si dipartono dal piccolo corpo cellulare; sono anche chiamate astrociti a raggi lunghi.
Contrazioni di fibrille o f. muscolari rapidissime e prive di effetto motorio.
Insieme dei sepimenti che, in continuità col perinervio, avvolgono le singole f. nervose dei nervi cerebrospinali.
Le f. scoperte da R. Remak nel 1837 nel simpatico dei Vertebrati, Uccelli esclusi. Sono neuriti di cellule del cordone simpatico e dei gangli periferici, di struttura fibrillare, con frequenti anastomosi (disposizione a plesso).
Cellula di tessuto meccanico, allungata, fusiforme, con pareti cellulosiche o lignificate molto ispessite e quindi a lume ridotto, con scarsi porocanali, di solito obliqui. A differenziazione avvenuta, le f. muoiono. Le f. normalmente sono in gruppi detti cordoni fibrosi, che percorrono in direzione longitudinale l’organo nel quale si trovano; di rado sono isolate, come nelle foglie dell’olivo. Le f. si rinvengono nella corteccia primaria della radice e del fusto (in cordoni o in forma di anello, nella sezione trasversale, come nei fusti di molte Poacee), accompagnano i fasci vascolari di tutti gli organi (in forma di guaina unilaterale o bilaterale o circolare), impartendo loro un’adeguata rigidità, e infine sono frequenti nel legno secondario e nella corteccia secondaria; in varie specie si formano anche nel periciclo e in certe parti di alcuni frutti. Le f. corticali di parecchie specie forniscono materia tessile, come la iuta (fibre lignificate), il lino, la canapa, la ramia (fibre cellulosiche).
La cellula con caratteri morfologici e funzionali intermedi tra quelli delle fibre e le tracheidi è detta fibrotracheide. Si trova con altri elementi istologici nel legno omoxilo delle Gimnosperme.
Per il fascio fibrovascolare ➔ fascio.
Guida di luce per radiazioni nel visibile e nell’infrarosso vicino, costituita da sottili f. flessibili di vetro, plastica, quarzo fuso o altri materiali trasparenti, di diametro dell’ordine del decimo di millimetro (➔ fibra òttica).
Prodotti filamentosi che si prestano a essere filati e poi tessuti. In origine come tali si intendevano solo prodotti naturali. Oggi i prodotti in uso si distinguono, in base alla loro origine, in fibre naturali e fibre chimiche (o tecnofibre).
Le f. naturali possono essere vegetali (cotone, canapa, sparto ecc.), animali (lana, seta ecc.) o minerali (per es., f. di amianto e f. di vetro). Le f. chimiche possono essere distinte in f. artificiali (o semisintetiche) e f. sintetiche.
Le fibre vegetali possono provenire da frutti (cocco, cotone), da fusti (canapa, ginestra, iuta, lino), da radici (crine), da foglie (agave, sparto); risultano sempre costituite da cellulosa, in alcuni casi quasi pura, come nel cotone, più spesso accompagnata da sostanze estranee, dette incrostazioni (emicellulose, lignina, grassi, resine, sali minerali ecc.), che vanno eliminate con trattamenti diversi.
Le fibre animali sono elaborate da ghiandole poste sotto l’epidermide di alcuni animali (lana di pecora, pelo di cammello ecc.) o sono il prodotto della secrezione di alcuni insetti (seta marina o bisso); sono in ogni caso costituite da proteine.
Le fibre artificiali sono ottenute partendo da prodotti naturali (cellulosa, proteine ecc.) solubilizzati e ridotti in fili sottili trafilando le soluzioni e raccogliendo poi il liquido in un bagno di coagulo che, eliminando o trasformando il solvente, fa rapprendere la sostanza di partenza sotto forma di fili più o meno lunghi aventi le caratteristiche desiderate.
Le fibre sintetiche si ricavano da sostanze a struttura molto semplice (monomeri) ottenute da materie prime quali petrolio, gas naturale, carbon fossile; dai monomeri, con processi di polimerizzazione o di policondensazione, si hanno macromolecole da cui, infine, per trafilatura, si ricavano le fibre. Possono essere suddivise nelle seguenti classi principali: fibre poliacriliche (fibre acriliche e fibre modacriliche), fibre poliammidiche, fibre poliestere, fibre idrocarburiche, fibre poliuretaniche, fibre poliviniliche.
Le diverse f. tessili si possono, almeno in molti casi, riconoscere all’esame microscopico diretto o mediante trattamento con alcuni reattivi che ne determinano specifiche variazioni cromatiche. Una delle caratteristiche delle f. è il titolo, la massa cioè di una certa lunghezza di filato, espressa in decitex (g per 10.000 m di filo) o in denari (g per 9000 m di filo). Altre caratteristiche fondamentali delle varie f. sono: il carico di rottura e l’allungamento all’istante della rottura, che di solito si misurano nella f. allo stato sia secco sia umido per le relazioni che i due dati hanno con il comportamento della f. stessa durante il suo impiego; la f. deve possedere una resistenza meccanica sufficiente a consentire le operazioni di filatura e di tessitura. Altre determinazioni tendono a stabilire le caratteristiche termiche, elettriche, di combustibilità, di igroscopicità, di resistenza alla torsione, al piegamento o all’abrasione. A differenza delle f. naturali, e talvolta di quelle artificiali, le f. sintetiche non subiscono attacchi da parte di microrganismi e di insetti. L’esposizione prolungata ai raggi solari danneggia, più o meno, tutte le f.; le più resistenti sono le f. poliacriliche e alcune tra le poliviniliche, mentre poco resistenti, sebbene migliorabili per mezzo di pigmentazione, sono quelle poliolefiniche. Le f. cellulosiche sono più resistenti agli alcali e meno agli acidi, mentre le f. sintetiche hanno in genere elevata resistenza sia agli acidi sia agli alcali.
L’inizio dell’industria delle f. artificiali si può far risalire al 1884, quando in Francia fu fondata una società per preparare f., secondo il processo ideato da H. de Chardonnet, consistente nel filare e coagulare sotto forma di fili soluzioni dense di nitrocellulosa. Questi fili furono detti seta artificiale perché, nonostante la loro natura chimica diversa da quella della seta, ne avevano la lucentezza. Le f. a base di cellulosa (i diversi tipi di raion, f. all’acetato di cellulosa ecc.), prodotte industrialmente fin dall’inizio del 20° sec., acquistarono grande importanza dopo il 1920. Intanto i progressi conseguiti nello studio dei polimeri condussero, nel 1930, la Du Pont de Nemours alla realizzazione della prima f. sintetica poliammidica (il nailon) che avrebbe avuto larga diffusione dopo il 1938. Dopo la Seconda guerra mondiale si diffuse la prima f. poliestere, il terilene (terital in Italia); dopo il 1950 fu lanciato sul mercato l’orlon, f. poliacrilica, seguita da molte altre analoghe. Nel 1954 G. Natta scoprì la polimerizzazione stereospecifica e realizzò i polimeri isotattici; dal 1960 si diffusero le f. idrocarburiche (in particolare le f. polipropileniche, messe in commercio con il nome di meraklon). Successivamente si sono affermate anche le f. poliuretaniche, comunemente dette f. elastomeriche.
Impiego e tipologie A partire dagli anni 1960 l’utilizzazione delle f. sintetiche ebbe un notevole incremento a scapito delle f. a base di cellulosa, grazie soprattutto alla graduale diminuzione di prezzo delle f. sintetiche, tenuto anche conto delle loro superiori caratteristiche e della loro versatilità. Vari sono gli impieghi delle f. sintetiche: maglieria, biancheria intima, calze, tessuti misti (specie con lana), paracadute, cordonetto per pneumatici, corde per alpinismo, reti da pesca, tappeti. Inoltre, le f. sintetiche hanno caratteristiche modificabili in funzione degli usi cui sono destinate, per cui esiste un’enorme differenziazione nella tipologia delle varie famiglie di fibre. Con il nailon si possono produrre sia armature per pneumatici sia collant per donna; con il poliestere si va dalle microbave (da 3 a 5 volte più sottili dei fili di seta) alle f. cave per capi di maglieria imbottiti; con l’acrilico si producono sia f. per maglieria sia f. per rinforzo del cemento; con il propilene si può passare dalle f. sottili per maglieria a doppio strato alle f. per pavimentazioni.
I polimeri arammidici (il termine indica la contemporanea presenza nella molecola dell’anello aromatico e della funzione ammidica) presentano, in particolare, eccezionali proprietà di resistenza alla trazione, decisamente superiori a quelle delle altre f. organiche, oltre che al vetro e all’acciaio; queste f. costituiscono inoltre una delle più valide alternative all’uso dell’amianto oggi proibito dalle norme governative di numerosi paesi perché dannoso alla salute. Un’altra f. sintetica di elevate prestazioni è il polibenzimidazolo, che presenta grande resistenza agli agenti chimici e ai solventi, è incombustibile; è utilizzata laddove si richiede il massimo grado di sicurezza (uniformi speciali, abiti protettivi, dispositivi rompifiamma).
Lavorazione I sistemi di lavorazione e i trattamenti messi a punto per le f. a base di cellulosa non sono sempre applicabili alle f. sintetiche. Al riguardo, la trasformazione del polimero in f. o in fiocco comporta sempre le fasi di filatura e di finitura. Per la filatura il metodo in soluzione è applicabile in misura limitata perché per la maggior parte dei polimeri, specie se di elevato peso molecolare, non sono disponibili solventi nei quali essi possano sciogliersi in percentuale sufficientemente elevata così da formare soluzioni filabili. Molti polimeri (per es., poliammidi, poliesteri, polipropilene) sono però relativamente facili da fondere e il prodotto fuso è abbastanza stabile alla temperatura alla quale assume viscosità sufficiente per essere estruso sotto forma di filo attraverso filiere di diametro anche piccolo; il filamento che esce dalla filiera solidifica per raffreddamento. Per alcune fibre sintetiche (per es., il polipropilene) il filo si ottiene anche a partire da fogli sottilissimi che vengono ritagliati in strisce, pure sottili, che possono poi essere sottoposte a trattamenti di fibrillazione.
Tra le fasi di finitura la prima e più importante è lo stiro, che provoca un allineamento delle molecole nella direzione della f.: ciò porta sia a un aumento delle proprietà meccaniche sia a una riduzione della sezione, cioè a fili più sottili. Dopo lo stiro la f. subisce una ricottura, o termofissaggio, che serve a fissare e stabilizzare le caratteristiche realizzate, a fare in modo cioè che l’orientamento acquistato non tenda a scomparire.
Le fibre bicomponenti (o coniugate) Prodotte allo scopo di sopperire alle carenze dei singoli componenti, si possono ottenere in diversi modi: mandando alla filiera contemporaneamente due polimeri diversi attraverso due condotti differenti, in maniera che arrivino separatamente e formino ciascuno una parte del filamento, oppure adottando filiere con due condotti di arrivo l’uno dentro l’altro, in maniera che il filamento risulti costituito all’interno da uno dei due polimeri e all’esterno dall’altro.