Nome comune delle piante del genere Linum e in particolare di Linum usitatissimum (fig.), coltivato per la pregiata fibra tessile che se ne ricava e per i semi.
Il l. è un’erba annua della famiglia Linacee dal fusto eretto alto fino a 1 m e foglie a margine liscio, i fiori sono azzurri riuniti in cime racemiformi, la capsula è globosa, rostrata, larga 7 mm e divisa da 5 falsi setti in 10 loggette, con semi lunghi 4-6 mm, rosati, lucidi. Non è noto allo stato spontaneo; è coltivato in tutto il mondo, in Europa e in Egitto da almeno 5000 anni, in numerose forme. Nel fusto della pianta sono presenti lunghi filamenti (30-100 cm), formati da fasci di fibre che osservate al microscopio appaiono affusolate, con un sottile canale centrale; di tratto in tratto presentano dei nodi di rottura e punti d’inserzione, cioè delle striature trasversali, talvolta disposte a X. La lunghezza di queste fibre varia da 20 a 50 mm, il diametro in media è di 15 μm, la sezione è poligonale e in essa il lume centrale si presenta piccolo e arrotondato. La fibra di l., molto apprezzata per la lucentezza serica e per la morbidezza, è più sensibile del cotone al calore e agli agenti chimici.
Si coltivano varietà ‘da fibra’ e ‘da seme’: alle prime appartiene la varietà vulgare (l. da fibra o da tiglio), distinto per la capsula indeiscente e semi rosso-scuri; la varietà humile (l. da seme o da linosa) ha capsula deiscente e semi rosso-chiari, è più basso e più ramoso. Specie molto affine è Linum angustifolium o L. bienne (l. selvatico), del Mediterraneo, coltivato in Europa all’epoca dei palafitticoli, forse progenitore di Linum usitatissimum. Il seme del l. è ovoide-allungato, appiattito; l’albume, scarso, e i cotiledoni contengono aleurone, olio grasso, tannino ecc., ma sono privi di amido; il tegumento dei semi immersi in acqua diventa mucillaginoso perché l’epidermide è costituita da cellule le cui pareti esterne e laterali sono formate in prevalenza di sostanze pectiche, che a contatto con acqua si gonfiano moltissimo.
Lo stesso nome è dato anche a piante appartenenti a famiglie diverse. Stipa pennata (l. delle fate), erba perenne delle Poacee, che cresce su rupi e in luoghi arenosi in Europa e territori vicini; è distinta per le reste delle glumette che sono lunghe fino a 3 dm, piumose, flessibili, bianche; le reste si raccolgono per lavori in fiori secchi e colorati. Phormium tenax (l. della Nuova Zelanda), detto anche formio, grande erba rizomatosa delle Gigliacee, con un ciuffo di foglie lineari, lunghe più di 1 m e larghe 5-8 cm, coriacee, erette; i fiori sono piccoli, rossicci, riuniti in pannocchia all’apice di uno scapo alto sino a 2 m. Originario della Nuova Zelanda, è coltivato per ornamento anche in Italia, nelle regioni calde.
La coltura del l. per la fibra o per l’olio dei semi è antichissima. Il l. fu adoperato in Etruria e nella Roma repubblicana come materia scrittoria per testi di carattere sacro o di particolare importanza.
La coltura per fibra è sviluppata soprattutto nei paesi temperati d’Europa, nei quali la mancanza di una stagione estiva decisamente arido-calda favorisce lo sviluppo vegetativo della pianta anche nei mesi estivi e la produzione di fibre lunghe, sottili e morbide (l. di Fiandra, di Irlanda). La coltura per seme è praticata nei paesi caldi e secchi; in Italia il l. è coltivato per ambedue le destinazioni. L’epoca del raccolto varia: è anticipata per il prodotto da fibra in confronto a quello da seme. Il l. può ritornare sullo stesso appezzamento solo dopo un intervallo di qualche anno; esige accurati lavori di preparazione e una buona concimazione. La raccolta, che si fa generalmente estirpando le piante, è seguita da parziale essiccamento sul campo, dalla sgranatura che serve ad asportare le capsule, e quindi dalla macerazione e dalle successive operazioni che sono analoghe a quelle in uso per la canapa.
Particolarmente nocivi alla pianta sono gli attacchi di un insetto coleottero della famiglia Cerambicidi (Aphthona euphorbiae): le larve si cibano delle radici e, soprattutto nella prima età, vi scavano gallerie; gli adulti attaccano le foglie cotiledonari e i fusticini delle piante più giovani e possono operare distruzioni su larga scala, compromettendo l’intera coltura. Dei parassiti vegetali va ricordata Cuscuta epilinum (➔ Cuscuta), talora molto dannosa.
Secondo i dati della FAO per il 2007, la superficie mondiale destinata alla coltivazione della fibra di l. è pari a 451.000 ha (1 milione nel 1990); quella dei semi di l. è pari a 2,2 milioni di ha (4 milioni nel 1990, 2,6 milioni nel 2001); tali dati segnano un costante ridimensionamento di questa coltura. La produzione di semi di l. è passata da 2,9 t del 1990 a 1,9 t nel 2007. La maggiore produzione avviene in Cina (480.000 t) seguita a grande distanza dalla Francia (41.000) e dalla Federazione Russa (47.000 t). La produzione mondiale di fibre di l. è pari a 974.000 t., delle quali 725.000 prodotte in Cina.
La concorrenza delle fibre sintetiche e artificiali ha pesantemente condizionato l’estensione dei terreni messi a coltura. L’offerta sui mercati mondiali proviene in massima parte da paesi che lavorano la fibra grezza e le stoffe di l. e che perciò compaiono tra gli importatori e gli esportatori (Belgio, Lussemburgo e Francia). Tra i paesi solo importatori sono ai primi posti Giappone e Italia.
La lavorazione della fibra di l. è simile a quella della canapa e si avvale delle stesse macchine (stigliatrice, pettinatrice, banco a fusi ecc.), però mancano le fasi di ammorbidimento e solforazione. Peraltro, a causa delle diverse caratteristiche delle fibre, il l. ha bisogno di una maggiore raffinatura, per cui i pettini sono più sottili, i passaggi allo stiratoio sono più numerosi, la sorveglianza più accurata. Per la rifinitura dei tessuti, oltre alle macchine usate per la canapa, si usano: il bittel per dare un aspetto lucido e marezzato, il mangano per dare maggiore morbidezza, l’alzatrice per riportare all’altezza voluta i tessuti che durante il trattamento abbiano subito degli abbassamenti.
La fibra di l. ha resistenza all’uso e conducibilità termica maggiori di quelle del cotone mentre ha una minore elasticità. Il colore della fibra dipende dalla provenienza e dai sistemi di macerazione utilizzati nella sua preparazione: può variare da biancastro a giallognolo, rossiccio, verdastro, grigio-scuro. Il l. migliore è di colore bianco-grigio lucente, quasi sericeo, molto tenace e morbido al tatto; il l. bianco è invece un po’ meno resistente mentre quello rossiccio è poco flessibile e si spezza facilmente.
Il l. trova impiego nei prodotti in cui le sue caratteristiche di pregio e di resistenza all’uso ne giustificano l’alto costo. Secondo la lavorazione, i tessuti di l. si dividono in armatura a tela su telai comuni (canapetta, pannilini), armatura a tela a 2 fili (olona, panama), tessuti operati (satin, tovagliati), tessuti damascati (tovagliati).
La farina di l. è una polvere grossolana, di colore giallo bruno, untuosa al tatto che si ottiene per macinazione dei semi di l.; contiene circa il 30% di olio e tende a irrancidire con facilità. Si usa in medicina per preparare cataplasmi.
L’olio di l. è ottenuto per lo più per spremitura dei semi di l., che contengono dal 30 al 40% di olio; i semi sono macinati e la farina, riscaldata, è poi sottoposta a spremitura o a spremiture successive; i panelli residui si usano nella preparazione di mangimi per bestiame. È poco utilizzata l’estrazione con solventi per non impoverire eccessivamente i panelli residui. L’olio, decolorato con terre adsorbenti o con acidi, si presenta di colore giallo, da paglierino a scuro; congela fra 20 e 27 °C. È costituito da piccole quantità di gliceridi dell’acido miristico e palmitico e da rilevanti quantità di gliceridi di acidi non saturi, quali il linoleico, l’isolinolenico, il linolenico, che conferiscono all’olio speciali proprietà siccative. Si usa principalmente nell’industria delle vernici, degli inchiostri da stampa, del linoleum, nella preparazione di oli ossidati e soffiati, nell’industria alimentare ed entra nella preparazione di alcuni linimenti. In farmacia è stato usato in passato come lassativo e nel trattamento di scottature; sciogliendo zolfo nell’olio di l. si ottiene un liquido viscoso, bruno con fluorescenza verde (balsamo di zolfo), dotato di proprietà antisettiche. Può essere sofisticato con altri oli di minor pregio o di più facile approvvigionamento (olio di canapa, di colza, di vinaccioli, e anche di pesce).
L’olio di lino cotto è costituito da olio di l. sottoposto a una parziale ossidazione in modo da aumentarne il potere siccativo. L’operazione di cottura si esegue in condizioni variabili in funzione delle caratteristiche del prodotto che si vuole ottenere; di solito si fa mantenendo per diverse ore (2-8) il materiale in recipienti riscaldati a temperature fra i 150 e i 300 °C, insufflando aria o introducendo sali o ossidi (di piombo, di manganese, di zinco, di cobalto ecc.). Con questi trattamenti l’olio acquista l’aspetto di un liquido più o meno denso e un colore dal giallo al bruno. L’olio di l. cotto si usa nella preparazione di vernici, inchiostri, linossina ecc. Si sofistica con frazioni pesanti di oli minerali, con oli di resine o con altri oli vegetali, cotti o no.
La linossina è una massa plastica, alquanto attaccaticcia, di colore rosso bruno, insolubile in solventi organici, inattaccabile dagli acidi, attaccabile dalle soluzioni calde; si ottiene per ossidazione dell’olio di l., insufflando aria nell’olio riscaldato a circa 100 °C e addizionato di sostanze siccative. È usata nella fabbricazione del linoleum.