Nome comune di diverse varietà di Cannabis sativa, specie appartenente alla famiglia delle Cannabacee, annua, con radici fittonanti e fusti eretti, alti da pochi cm fino a più di 5 m, foglie palminervie opposte o alterne, stipolate e lungamente picciolate, composte da 5-11 foglioline lanceolate. È dioica: negli individui maschili i fiori sono disposti in pannocchie terminali o ascellari; nei femminili in glomeruli raccolti in una infiorescenza compatta. Le piante maschili presentano fusti più slanciati, internodi più lunghi, fibra più fine, e maturano e disseccano alquanto prima: il rapporto fra le quantità dei due sessi è circa 1 con leggera prevalenza di individui femminili.
Con il nome di c. sono indicate anche le fibre tessili di altre piante molto diverse: la c. del Bengala, o c. sun, o c. san, data dalle fibre corticali dei fusti giunchiformi, alti 2-3 m, di alcune Crotalarie originarie dell’India; la c. di Bombay o del Deccan o di ibisco, ricavata dalla corteccia di Hibiscus cannabinus e di altre specie dei paesi tropicali; la c. di Giava o c. rosella, ottenuta dai fusti di Hibiscus subdariffa, coltivato a Giava, nell’India e in altre regioni tropicali. Tutte queste fibre hanno molte delle applicazioni della c., pur essendo meno pregevoli.
La c. è originaria dell’Asia centrale, da cui si diffuse, fin dalla più remota antichità, in Cina e poi in Europa; era nota ai Romani. Oggi è coltivata in Francia, in Russia, nei paesi dell’Europa orientale (Ungheria, Polonia, Romania, Bulgaria) e dell’Asia meri;dionale (India e Pakistan) e orientale (Cina, massimo produttore mondiale) per la produzione della fibra e per quella dei semi, utilizzati per ricavarne l’olio di canapa. In Italia la coltivazione della c. è scomparsa, nonostante fosse molto sviluppata in Emilia e in Campania, specialmente nelle province di Napoli (Frattamaggiore) e Caserta (Aversa), dove si produceva la migliore c. del mondo.
La semina della c. si fa in marzo, a righe molto fitte per ottenere fusti alti e non ramificati e quindi fibra più lunga e più fine. Le coltivazioni da seme destinato alla riproduzione si possono fare in appositi campi (canapacciaie), altrimenti negli ordinari campi da fibra si lasciano, dopo la raccolta, alcune piante femminili che rimangono fino alla maturazione del seme. La raccolta della fibra si fa tra la fine di luglio e i primi di agosto, tagliando le piante al piede oppure estirpandole; dopo essiccamento al sole, che avviene sul posto, le piante si liberano dalle foglie e dalle infiorescenze.
La c. giunge allo stabilimento (canapificio) sotto forma di balle, di mannelli o rotoli di filacce ottenute dalla pianta nelle lavorazioni compiute dalle aziende coltivatrici. La prima operazione è l’assortimento, che serve a classificare le fibre secondo la loro qualità: colore, morbidezza, lunghezza. Segue l’ammorbidatura, che mediante un riscaldamento per frizione tende a sciogliere le sostanze agglutinanti e a favorire la separazione delle fibre elementari. Le fibre, lunghe da 1,50 fino a 3,50 m, vengono tagliate in pezzi di circa 70 cm (quelli ottenuti nella parte centrale, migliori di quelli ricavati alle estremità, vengono tenuti separati). Si procede poi alla pettinatura, fatta per mannelli di circa 300 g, operata con macchine automatiche (pettinatrici), che formano un nastro continuo di fiocchi. Seguono l’accoppiamento, con il quale un certo numero di nastri viene riunito in un unico nastro, e lo stiro per portare il nastro alla grossezza voluta. Un’ulteriore stiratura con un principio di torcitura viene data al nastro sul banco a fusi e, dopo un passaggio in acqua calda, il semitorto passa al filatoio. Il titolo del filato è 1 quando 30.000 yard pesano 100 libbre, ovvero 27.420 m pesano 45,36 kg; il filato di titolo 2 pesa, a pari lunghezza, la me;tà, quello di titolo 10 un decimo, e così via.
La produzione mondiale delle fibre di c. occupa una posizione marginale nella produzione mondiale di fibre naturali (lo 0,3% del volume totale nel 2003) e nel 2006 non sono stati registrati aumenti. I principali paesi produttori sono la Cina e la Corea del Sud, che contribuiscono alla produzione mondiale per più della metà. In costante incremento il rendimento unitario.
Dai cosiddetti semi di c. (in realtà il frutto della c.) si ottiene, per pressione o a mezzo di solvente, l’olio di c. (o di canapuccia), composto principalmente di acidi grassi insaturi (oleico, linoleico ecc.); è usato soprattutto come essiccativo.
Nome comune di Cannabis sativa var. indica, che è ritenuta talora specie a sé (Cannabis indica); differisce dalla varietà tipica per la maggiore ricchezza di resina secreta dai peli ghiandolari che rivestono le brattee e le bratteole delle piante femminili e per la maggiore attività farmacologica. Le sommità fiorite delle piante femminili si usano in medicina per le loro proprietà sedative e analgesiche. La resina raccolta e riunita in masse costituisce il cherris o churrus; sommità e resina preparate in svariati modi costituiscono invece l’hashish. Foglie e inflorescenze, resina e olio di c. indiana sono sostanze stupefacenti (marijuana) i cui principi attivi, soprattutto il tetraidrocannabinolo, determinano una ebbrezza caratterizzata da senso di benessere, illusioni e allucinazioni di contenuto piacevole, alla quale subentra il sonno.