Termine coniato da J.W. Goethe (ted. Morphologie) nel 1785 per indicare l’anatomia comparata; significa, in generale, studio, descrizione delle forme.
Studio della forma e della struttura degli esseri viventi.
La m. esterna descrive la forma esterna generale e i rapporti di posizione delle varie parti od organi visibili dall’esterno; la m. interna, o anatomia, indaga la struttura interna, sia ad occhio nudo (anatomia macroscopica) sia con il microscopio (anatomia microscopica). L’istologia e la citologia studiano i tessuti e le cellule animali e vegetali. Quando la m. si occupa del succedersi ed evolversi della forma durante lo sviluppo embrionale, si chiama embriologia; la teratologia si occupa delle anomalie dello sviluppo che danno origine alle mostruosità; l’anatomia e l’istologia patologiche studiano, rispettivamente al livello macroscopico e microscopico, le alterazioni della forma che conseguono a processi patologici.
Si distinguono diversi orientamenti nello studio della morfologia.
La m. descrittiva è la semplice descrizione della struttura di un organismo.
La m. comparata, paragonando organismi diversi, ha fornito informazioni sia sulla varietà delle strutture che, nei vari organismi, possono esplicare le stesse o analoghe funzioni organiche sia sul maggiore o minor grado di affinità che esiste fra gli organismi.
La m. sperimentale, detta anche m. causale, è la scienza che studia i fattori e le cause dei processi che assicurano l’insorgenza e il differenziamento della forma (morfogenesi) sia nello sviluppo embrionale e larvale (metamorfosi) sia nell’adulto.
La m. vegetale prende in considerazione ogni aspetto della forma e della struttura della pianta e delle sue parti, con riferimento ai rapporti tra le parti stesse e tra esse e l’intero organismo. È suddivisa in m. esterna, che studia macroscopicamente la forma esteriore della pianta e, quindi, l’origine, la posizione e disposizione dei suoi membri morfologici (radice, fusto, foglia); e m. interna, o anatomia vegetale, che ne studia la struttura interna, estendendo l’indagine ai particolari della specializzazione e della distribuzione dei tessuti e dei tipi cellulari. Specialmente a livello cellulare e subcellulare, non è possibile scindere nettamente gli aspetti morfologici da quelli fisiologici.
Compito della m. vegetale è, altresì, quello di riconoscere le omologie e le analogie degli organi della pianta, e le loro metamorfosi e adattamenti, precisandone il valore morfologico. Particolarmente significative sono, in questo senso, le modificazioni a carico della foglia e del fusto in relazione alla comparsa degli organi sporiferi e sessuali (sporangi, gametangi, strutture fiorali). Nella m. vegetale rientrano i fenomeni morfogenetici, cioè lo studio dei primi stadi di sviluppo dei singoli organi. Con la microscopia elettronica è stata scoperta una quantità di strutture di dimensioni comprese tra il μm e poche decine di Å (di grandezza, perciò, variabile da 1 a circa 400 volte), e sono stati rivelati ulteriori interessanti particolari anatomo-istologici immediatamente al di là della risoluzione del microscopio ottico, e scoperti numerosi organelli e ultrastrutture fino al livello delle grosse molecole. La biologia molecolare mira a dare una interpretazione unitaria dei fenomeni vitali e a spiegare la m. come il risultato ultimo dello svolgersi di quei fenomeni. In realtà il processo classico di analisi, consistente nel prendere in considerazione la forma degli organismi e nel descriverla, non ha perso la sua importanza, anche perché scopo finale della biologia è di comprendere i meccanismi attraverso i quali, partendo dalle interazioni fra molecole, si realizza la determinazione della forma.
Nel concetto di m., che si occupa dello studio spaziale delle parti dell’organismo, deve essere incluso quello di organizzazione. Poiché la fisiologia prende in considerazione il lavoro della forma e le modificazioni che essa subisce nel tempo, è evidente che forma e funzione non vanno trattati come termini antitetici, ma che rappresentano due aspetti di una unità, la quale può essere considerata staticamente come forma e dinamicamente come funzione. Ciò implica che la m. può considerarsi come una sezione nel tempo della organizzazione biologica; e la fisiologia come l’integrale dei vari assetti morfologici del vivente nel tempo.
La m. esterna si sviluppò lentamente dal Rinascimento fino al 19° sec., in confronto, per es., alla sistematica, essendo i botanici interessati più che altro al lavoro minuzioso, ma necessario, della descrizione dei diversi organi nei vari gruppi sistematici. Nel 19° sec., a opera di R. Brown, A.-P. De Candolle, A. Braun, W. Hofmeister, A.W. Eichler, L. Čelakovský, J. Velenovsky ecc., la m. ebbe un maggiore impulso (teoria della metamorfosi degli organi, applicazioni della teoria dell’evoluzione, omologia degli organi riproduttivi delle Cormofite ecc.). La m. è in continuo sviluppo, in particolare per quanto riguarda l’organogenesi.
M. terrestre Disciplina che ha per oggetto lo studio del rilievo terrestre, della sua evoluzione, della sua struttura, delle sue forme, e in particolare delle cause che le generano e le modificano (➔ geomorfologia).
La geomorfologia si trova in una posizione intermedia tra la geologia e la geografia, anche se gli enormi progressi scientifici compiuti in questo campo hanno fatto sì che essa abbia acquistato una propria individualità che la colloca, sia nell’ambito della ricerca di base sia in quella applicata, in una posizione ben definita nel panorama delle scienze della Terra. La superficie terrestre, rappresentando l’interfaccia tra i processi che avvengono all’interno della litosfera (endogeni) e quelli esterni dell’atmosfera e dell’idrosfera (esogeni), costituisce un’area estremamente attiva, dove l’interazione tra tali processi determina la configurazione del paesaggio terrestre che evolve nello spazio e nel tempo in relazione all’intensità e all’azione prevalente degli uni o degli altri. Inoltre, il crescente ruolo dell’uomo come modellatore della superficie del pianeta e generatore di processi geomorfici ha portato la m. terrestre a studiare anche le azioni umane e le loro conseguenze sull’ambiente terrestre, riprendendo inevitabilmente le antiche relazioni con la geografia.
La morfometria è la misura delle forme e il loro studio quantitativo. Essa consente, attraverso misure eseguite sulle carte o mediante procedimenti automatici, di ricavare delle grandezze che vengono utilizzate per esprimere gli aspetti delle forme del paesaggio terrestre. In sedimentologia, indica la misura e la descrizione quantitativa della forma esterna degli elementi clastici. È particolarmente utilizzata con i ciottoli e dà utili indicazioni sugli agenti di trasporto che causano il modellamento dei ciottoli stessi. I parametri morfometrici più utilizzati sono la forma, la sfericità e l’arrotondamento. Sempre in sedimentologia, è detta morfoscopia la descrizione qualitativa dei caratteri morfologici degli elementi clastici. Nel caso delle sabbie, l’osservazione al microscopio a luce riflessa o a quello elettronico consente di distinguere tre principali tipi di superfici: smerigliate, lucenti e opache.
La distribuzione dei climi della Terra secondo zone latitudinali determina una distribuzione dei paesaggi morfologici in zone, all’interno delle quali le forme proprie rappresentano il prodotto in equilibrio con l’azione prevalente di un agente dominante (ghiaccio, vento, ruscellamento, acque fluviali) e quelle di agenti secondari che caratterizzano il clima regionale. I diversi processi geomorfologici possono essere distinti, con riferimento al clima terrestre in: processi zonali, caratteristici di una determinata zona climatica; processi azonali, che non dipendono dal clima e si sviluppano in ogni luogo della superficie terrestre; processi extrazonali, che pur essendo tipici di una data zona climatica, possono verificarsi sporadicamente in un’altra zona che non è la propria; processi polizonali, presenti in quasi tutte le zone climatiche.
Dato che nel corso delle ere geologiche e anche in epoca storica vi sono state variazioni climatiche significative, dalla geomorfologia climatica deriva il concetto di paesaggio poligenico, in quanto è logico che al mutamento climatico segua quello dell’agente dominante, che creerà forme nuove in sovrapposizione a quelle precedenti. Perciò, quando all’analisi sistematica delle forme della Terra si aggiunge l’analisi storica, si può arrivare al riconoscimento della coesistenza di forme in equilibrio con il clima attuale e di forme estranee, in quanto relitti di un ambiente morfoclimatico distinto e precedente. L’entità stessa della durata dei periodi climatici conduce così a individuare lassi di tempo in cui si è sviluppata un’intensa morfogenesi (resistasia), da periodi in cui vi è stata una maggiore stabilità morfologica (biostasia) che si sovrappongono lasciando tracce ben individuabili nel paesaggio terrestre. La geomorfologia climatica ha svolto un ruolo particolarmente importante anche per quanto riguarda il rilevamento e la cartografia morfologica.
La geomorfologia strutturale studia i rapporti tra struttura geologica e l’evoluzione e l’aspetto del paesaggio terrestre. Non vi sono dubbi che talune forme sono generate direttamente dalle deformazioni della crosta terrestre; queste si rifletterebbero nella sua epidermide (la superficie della Terra) e quindi la struttura risulterebbe avere un ruolo attivo nella morfogenesi. A seconda della scala si può passare da uno studio della m. dovuta alle deformazioni tettoniche più semplici allo studio sintetico della m. degli elementi strutturali più complessi come le catene montuose, le estese aree di frattura, gli archi vulcanici ecc. In sostanza viene così evidenziato lo stretto rapporto di interdipendenza fra m. e tettonica, con un forte controllo della seconda sulla prima. Sulla Terra, per i sostenitori di questa teoria, vi sarebbero soprattutto delle morfostrutture, relegando al rango di accessori le morfosculture dovute esclusivamente agli agenti esogeni.
Gli studi di geomorfologia strutturale sono risultati particolarmente utili in quelle regioni, come l’Italia, che hanno subito orogenesi recenti, e proprio dalla ricerca dei rapporti fra la morfogenesi recente e attuale e la tettonica particolarmente attiva dal Miocene a oggi (neotettonica) è derivato il filone della morfotettonica, la quale contribuisce alla previsione dei movimenti tettonici futuri e quindi a una valutazione sul rischio sismico di un’area. Il manifestarsi e la ricorrenza dei cosiddetti eventi estremi (disastri, catastrofi) che avvengono in una scala temporale umana, ha portato la geomorfologia ad allargare la sua sfera di interessi (geomorfologia applicata), trovando molteplici applicazioni nella vita pratica di tutti i giorni (opere di sistemazione delle coste e dei fiumi, consolidamento dei versanti, difesa dalle valanghe, pianificazione territoriale).
Studio della flessione, della composizione e derivazione delle parole, della determinazione delle categorie grammaticali e degli elementi formativi, desinenze, affissi e alternanze qualitative. La grammatica tradizionale, fino a tutto il 18° sec., limitava la m. all’individuazione di una forma base (per es., il casus rectus nella declinazione), e quindi delle trasformazioni che questa forma fondamentale, non ulteriormente analizzata, subisce nella flessione o nella derivazione (per es., in lat., lupus «lupo», nom. sing., è il casus rectus, o forma base: tutti gli altri casi, sono deviazioni o trasformazioni, cioè casus obliqui).
La linguistica comparata, dal 19° sec., ha inteso invece la m. come ricerca, in ogni parola, degli elementi formativi, affissi e desinenze, aggiunti alla parte radicale, e come studio della loro natura e funzione (così lupus è analizzato nella radice lup-, nel suffisso tematico u, comune a tutti i nomi della seconda declinazione, e nella desinenza -s, caratteristica del nominativo singolare). Alcune scuole linguistiche moderne comprendono nella m. lo studio dei rapporti sintattici e del valore semantico delle parole. La morfofonologia è il settore della linguistica strutturale che studia insieme le strutture fonologiche e i componenti morfologici delle parole di una lingua, soprattutto nelle loro reciproche influenze, e in particolare l’utilizzazione dei fonemi a scopi morfologici. La morfosintassi è lo studio sistematico delle regole che presiedono alla formazione di un enunciato linguistico (parole, sintagmi, frasi) mediante la combinazione di morfemi.