Scienza che studia il pianeta Terra con riferimento alla sua composizione, alla sua struttura e configurazione, alla sua superficie e ai processi che vi operano, cercando di giungere alla conoscenza dell’evoluzione che esso ha avuto sin dai primordi della sua formazione (circa 4,7 miliardi di anni fa). Costituisce un punto di convergenza di numerose discipline (le scienze della Terra) che hanno appunto come scopo lo studio della Terra nei suoi molteplici aspetti; ha forti legami con la fisica (geofisica), la chimica (geochimica), la planetologia, nonché con tutte le discipline che afferiscono alle scienze naturali, come la geografia fisica e la biologia.
La crosta e la superficie terrestre, che costituiscono le zone più accessibili all’uomo e ai suoi strumenti, sono anche le zone in cui la g. ha indagato più approfonditamente, tentando di ricostruire, nel tempo, la paleogeografia (distribuzione relativa delle terre emerse e degli oceani, condizioni climatiche e ambientali) che si andava via via modificando per l’interazione tra processi endogeni (magmatismo, vulcanismo) ed esogeni (erosione, trasporto, sedimentazione).
Ciò che della storia geologica rimane scritto nelle rocce è soltanto una modestissima parte; inoltre, il fattore tempo limita i dati disponibili man mano che ci si spinge indietro fino alle origini del pianeta. Questo fa sì che lo studio della Terra con i metodi propri della g. inizi solo da quando le forme di vita (fossili) sono riuscite a lasciare tracce ben evidenti, tanto da poter essere studiate e interpretate, mentre la storia pregeologica della Terra può essere affrontata con metodi e strumenti che più specificatamente costituiscono l’interesse di studio di altre discipline come la cosmogonia, l’astronomia, la planetologia.
I campi di studio della g. prendono in considerazione sia gli aspetti puri della ricerca sia quelli applicativi. Tra i primi, è possibile riconoscere almeno quattro grandi categorie nelle quali confluiscono tutte le discipline che rientrano nelle scienze della Terra. Queste categorie riguardano: a) lo studio della composizione della Terra (mineralogia, petrologia, geochimica); b) lo studio della sua struttura (geofisica, geodesia, vulcanologia, g. strutturale); c) lo studio dei processi che operano sulla superficie terrestre (geomorfologia, sedimentologia); d) lo studio della storia della Terra (paleontologia, stratigrafia, g. storica).
- Nozioni geologiche, anche se errate o imperfette, fortemente influenzate dai miti della religiosità popolare, si ritrovano già nelle grandi civiltà asiatiche e mediterranee anteriori alla civiltà classica, dai Cinesi ai Fenici e dagli Egiziani agli Etruschi, assai progredite nella coltivazione di rocce utili e di giacimenti minerari, nella ricerca e cattura delle acque, nelle opere di bonifica. Le scuole filosofiche greche del 6° e 5° sec. a.C. proposero per prime concezioni scientifiche intese a spiegare l’origine e il continuo trasformarsi della Terra con l’azione di forze naturali incessantemente operanti e riconobbero la vera natura dei fossili. Alcuni attribuirono tali modificazioni all’azione erosiva e sedimentatrice delle acque (Talete, Senofane), altri al fuoco (Eraclito, Empedocle, Zenone di Elea), Aristotele all’azione combinata dell’acqua e dei movimenti del terreno (terremoti, eruzioni vulcaniche). Passati agli stoici e agli epicurei, questi concetti di cosmogonia e di geodinamica, ulteriormente elaborati, si diffusero nel mondo latino per opera anzitutto di Lucrezio, mentre, sotto l’impulso della curiosità scientifica e delle aumentate necessità pratiche, si accrebbe notevolmente il patrimonio di osservazioni e di dati di g. pura e applicata, e si costituì un ampio complesso di nozioni, codificate nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio e nel De architectura di Vitruvio.
Il Medioevo poco aggiunse ai canoni della g. tramandati dall’età classica e, influenzato dalle idee di Aristotele, contribuì scarsamente al progresso delle conoscenze sull’evoluzione del pianeta: l’arabo Avicenna (10° sec.) accennò solo vagamente alla formazione delle valli e delle montagne, Ristoro d’Arezzo (13° sec.) formulò per primo l’ipotesi dell’esistenza di una massa fusa nel centro della Terra, sede di forze capaci di determinare il sollevamento e l’abbassamento dei monti.
Il RinascimentoAll’inizio dell’evo moderno, Leonardo da Vinci, confutando per primo la lettera della cosmogonia mosaica e del diluvio biblico, riaffermò essere i fossili avanzi di antichi organismi, per la maggior parte marini, e i terreni che li contengono fondi di mari sollevati; intuì la causa della salsedine marina e avanzò la teoria del moto ondoso. Le stesse idee sui fossili espressero in Italia G. Fracastoro, che intuì l’alterno sollevarsi e abbassarsi dei continenti per effetto di regressioni e ingressioni marine, G. Cardano, che distinse i monti in rilievi di sollevamento, d’accumulo eolico e d’erosione, e F. Colonna, che, studiando i fossili di Andria, vi segnalò forme terrestri, marine e d’acqua dolce; in Francia, B. Palissy riconobbe fra i fossili la presenza di specie estinte.
Progressi si compirono nel 16° sec. anche nell’interpretazione e nello studio dei giacimenti di minerali utili, principalmente per opera di Agricola e di Vannoccio Biringuccio, mentre Giordano Bruno introduceva idee razionali sull’origine, la morfologia e i mutamenti della superficie terrestre, sull’interpretazione dei fenomeni eruttivi e sull’impossibilità di un diluvio esteso a tutta la Terra. Ma in generale le sterili disquisizioni puramente teoriche continuarono a essere preferite alla diretta osservazione dei fatti e si giunse talvolta a voler adattare i risultati dell’esperienza a determinate opinioni filosofiche o religiose derivanti da errate o troppo letterali interpretazioni dei testi biblici o delle opere di Aristotele. Larga diffusione ebbe, per es., l’opinione, simile a quella di Aristotele e di Teofrasto, che i fossili, comprendenti per molti anche i cristalli, fossero pietre figurate prodottesi per uno scherzo di natura sotto l’influenza di una vis plastica d’origine astrale o per il concrezionarsi di materia pinguis, opinione condivisa anche da valenti naturalisti, quali G. Falloppia, M. Mercati, che illustrò i fossili raccolti da Sisto V, e lo stesso Agricola.
- Nel 17° sec. altri illustri naturalisti cominciarono a prospettare nuovi punti di vista: N. Stenone, medico danese chiamato in Italia dai granduchi di Toscana, in seguito a osservazioni e ricerche compiute sull’Appennino, dimostrò che gli strati della crosta terrestre contengono le impronte di una successione cronologica di eventi e stabilì i principi fondamentali della stratigrafia; G. Leibniz, riferendosi alla teoria cartesiana della Terra come astro spento, ne interpretò più razionalmente il graduale raffreddamento e considerò le forze endogene come risultanti dall’azione del calore delle masse interne e dell’acqua penetrante dall’esterno attraverso le spaccature del terreno; D. Guglielmini stabilì i principi fondamentali dell’idraulica, e R. Hooke in Inghilterra intuì l’importanza dei fossili ai fini della datazione delle rocce, seguendo ragionamenti analoghi a quelli esposti due secoli prima da Leonardo da Vinci. A. Vallisnieri, precursore della teoria geologica dell’attualismo, tentò di spiegare con le forze vulcaniche il sollevamento e la dislocazione dei sedimenti marini da lui riconosciuti in base ai fossili in molte parti d’Europa; L.F. Marsili, sviluppando i concetti di Stenone, tracciò i primi profili stratigrafici e abbozzi di carte geologiche e compilò la prima monografia regionale di morfologia e g. descrittiva.
L’opera di questi studiosi, affiancata da quella di altri naturalisti meno noti, riuscì finalmente a far prevalere, verso la metà del 18° sec., l’opinione che i fossili, i quali rappresentano uno dei pilastri per la ricostruzione dei passati avvenimenti geologici, fossero da considerarsi avanzi di organismi e non lusus naturae. Senonché molti autori, pur accogliendo il principio dell’origine organica dei fossili, rimasero convinti assertori della teoria del diluvio universale, per cui i fossili avrebbero rappresentato i resti di esseri viventi dispersi dal diluvio su terre già emerse prima che esso le ricoprisse con le sue acque.
A partire dalla seconda metà del 18° sec. la g., intesa nel suo moderno significato, venne faticosamente costituendosi come scienza a sé. G. Arduino, considerato come il fondatore della stratigrafia, distinse quattro ordini di terreni (quaternario, terziario, secondario e primario), corrispondenti a quattro successivi periodi di tempo, distinzione conservata tuttora; scoprì il metamorfismo di contatto e i rapporti fra filoni metalliferi e rocce ignee. Mentre dallo studio dei fossili si deduceva l’antica esistenza di climi più caldi dell’attuale nelle medie latitudini, L. Spallanzani gettava le basi della vulcanologia e della g. sperimentale.
Ricerche sulla successione degli strati furono inoltre eseguite in Inghilterra da J. Hutton e soprattutto da W. Smith che propose una prima tabella cronologica compilata con criterio paleontologico-stratigrafico; in Francia anzitutto da J.-É. Guettard, in Germania da J.G. Lehmann, A.F. Cronstedt e A.G. Werner. Quest’ultimo, fondatore della famosa scuola delle miniere di Freiberg, creò un sistema di classificazioni dei minerali basato sui caratteri chimici, pose ordine nell’arbitraria nomenclatura geologica e litologica, e distinse il complesso delle nozioni fino allora raccolte sotto denominazioni vaghe o di significato troppo ampio (storia o teoria della Terra, storia naturale ecc.) in due discipline: orittognosia, scienza dei minerali, dei loro giacimenti e dei fossili; geognosia, scienza delle rocce e della struttura dei terreni. La geognosia, tra la fine del 18° sec. e l’inizio del 19°, finì poi per affermarsi con il nome di g., termine che era stato adoperato per la prima volta da U. Aldrovandi.
Nella concezione della storia della Terra e della vita C. Lyell fece trionfare il principio delle cause attuali e dell’evoluzione organica su quello dei cataclismi, sostenuto da G. Cuvier e da E. de Beaumont, contribuendo in modo definitivo a risolvere anche il contrasto fra coloro che, seguaci di Werner, esageravano l’importanza della sedimentazione marina e fluviale nell’evoluzione della crosta terrestre (nettunisti) e coloro che, seguaci di J. Hutton, esageravano l’influenza dei fenomeni vulcanici (plutonisti), ancorché questi ultimi riconoscessero abbastanza esattamente l’importanza della sedimentazione detritica chimica e organogena.
Notevole progresso fu raggiunto nell’interpretazione dei fenomeni orogenetici con la teoria delle spinte tangenziali, dovute al progressivo raffreddamento del globo, contrapposta da E. de Beaumont a quella delle spinte verticali, dovute a intrusione di masse eruttive, di C.L. von Buch. Lo studio dei fossili e quello delle rocce, dopo l’impulso avuto l’uno dall’adozione della nomenclatura linneana e dai fondamenti dell’anatomia comparata per opera di Cuvier, l’altro dall’uso del microscopio polarizzatore introdotto da H.C. Sorby (1850), si separarono dalla g. costituendo due discipline a sé: paleontologia e petrografia.
Una vera e propria rivoluzione in campo geologico ha rappresentato lo sviluppo della teoria della tettonica a zolle, che ha unificato tutta una serie di dati di natura geologica, geofisica, petrologica, paleontologica e paleoclimatica. Essa ha avuto la sua base fondamentale nel lavoro di A. Wegener (1880-1930) e nella sua teoria della deriva dei continenti, anche se già altri autori, e in particolar modo F.B. Taylor nel 1910, avevano pubblicato studi sulla deriva dei continenti, basati sulla distribuzione delle catene montuose terziarie in Europa e in Asia.
Le ricerche oceanografiche, iniziate verso la fine del 19° sec. grazie alla spedizione della nave oceanografica inglese Challenger ma che ebbero il massimo sviluppo subito dopo il secondo conflitto mondiale, hanno permesso la scoperta dei tratti essenziali delle profondità oceaniche come le dorsali medio-oceaniche e le grosse fratture, l’elevato flusso di calore e le anomalie magnetiche, la composizione delle rocce che costituiscono i fondi oceanici e quelle dei sedimenti che le ricoprono. H.H. Hess, nel 1960, ipotizzò per primo il concetto di espansione dei fondi oceanici; con il proseguire delle ricerche, questa ipotesi venne avvalorata dagli studi di F.J. Vine e D.M. Matthews (1963), basati sulle anomalie magnetiche riscontrate in tali bacini, e di J.T. Wilson (1965), sulle faglie trasformi, che condussero, alla fine del decennio, grazie anche ai contributi di D.P. McKenzie e R.L. Parker (1967), W.J. Morgan (1968), B.L. Isacks, J. Oliver e L.R. Sykes (1968) e X. Le Pichon (1968), alla formulazione della teoria della tettonica a zolle.
Attualmente quasi tutti i geologi concordano con questa teoria, pur non mancando i sostenitori di altre ipotesi (per es. V.V. Belousov vede i processi orogenici non legati a spinte orizzontali ma a movimenti verticali; W. van Bemmelen, con la sua teoria dell’undazione, si trova in una posizione intermedia).
Le ricerche e le perforazioni oceaniche, effettuate a partire dagli anni 1970, hanno contribuito notevolmente a comprendere quei processi geologici mediante i quali i bacini sedimentari evolvono fino a essere coinvolti nel processo orogenico con formazione delle catene montuose. Diversi programmi nazionali e internazionali, come l’ILP (International Lithosphere Program), l’EGT (European Geo Traverse), il CROP (Crosta Profonda) e l’ODP (Ocean Drilling Program), sono stati finanziati da numerose nazioni, con lo scopo di giungere a una migliore conoscenza dei processi geologici sia mediante perforazioni della crosta terrestre sia mediante l’utilizzo di tecniche geofisiche, come la prospezione sismica a rifrazione e a riflessione.
Le prospettive delle scienze geologiche denotano significative possibilità di sviluppo relativamente sia alla ricerca di base sia agli aspetti applicativi (fig. 1). Per quanto riguarda i criteri fondamentali su cui si basa lo studio dei fenomeni che interessano la g. classica, ovvero l’evoluzione complessiva del pianeta Terra, si è definitivamente affermato il concetto di sistema integrato, cioè di un pianeta formato da un insieme di componenti o ‘sottosistemi’, strettamente interagenti attraverso una complessa serie di processi fisici, chimici e biologici. L’aspetto attuale della Terra sarebbe il risultato di un equilibrio dinamico, rinnovato ogni momento attraverso interazioni e continui scambi tra crosta terrestre e oceani, tra atmosfera, terre emerse e oceani, tra superficie e interno del pianeta.
Relativamente alle questioni metodologiche, dal momento che l’osservazione diretta sul terreno rappresenta un aspetto determinante dell’indagine geologica, non viene più ritenuto accettabile il principio dell’uniformismo (attualismo), almeno nella rigida formulazione di C. Lyell. Non vengono più accolte né l’uniformità della velocità dei processi, né l’uniformità delle condizioni (dinamismo statico). Si accoglie invece il cosiddetto uniformismo metodologico (S.J. Gould, 1965), che accetta l’uniformità (non dimostrabile) delle leggi della natura nel tempo e nello spazio e l’uniformità dei processi geologici, ma senza escludere che, in passato, possano essere stati attivi processi diversi da quelli attuali. L’affermazione «il presente è la chiave del passato», con cui A. Geikie sintetizzò le idee di Lyell, rimane valida per l’uniformismo metodologico, ma deve essere integrata anche dall’ammissione che «il passato è la chiave del presente».
Nuovi concetti e tecniche di analisi sempre più sofisticate hanno allargato i limiti della ricostruzione della storia della Terra: il periodo di tempo noto genericamente come precambriano o archeozoico, che si estende tra i 570 milioni e i 4 miliardi di anni fa (periodo equivalente ai 3/4 dell’età del pianeta), è stato studiato con metodi specifici e in esso sono stati riconosciuti numerosi eventi, inquadrati cronologicamente anche attraverso datazioni radiometriche. Per quanto riguarda il periodo detto ‘pregeologico’, del quale manca finora ogni traccia, si sono cominciate a costruire ipotesi sull’evoluzione della Terra nella sua fase più primitiva, attingendo i dati dalle conoscenze geologiche acquisite con lo studio della Luna. L’evoluzione geologica della Luna, infatti, si è quasi del tutto arrestata a 3 miliardi di anni fa e sulla sua superficie si sono conservate le tracce di eventi lontani, dalla cui ricostruzione è stato possibile ipotizzare quanto accaduto sul nostro pianeta, anche se il persistere di un’intensa attività crostale ha in seguito cancellato le testimonianze più antiche.
La descrizione della Terra come sistema integrato non sembra esaustiva e si cercano nuove chiavi di interpretazione nella teoria della complessità. Nella lunga storia geologica del pianeta sembra riconoscibile un’autoorganizzazione che ha mantenuto funzionali i vari sottosistemi tra loro interagenti, sviluppando imponenti meccanismi di retroazione in grado di compensare eventuali perturbazioni del sistema. Il modello della criticità autoorganizzata (self-organized criticality), quanto meno in prima approssimazione, viene considerato il più idoneo anche per interpretare una serie di fenomeni geologici e geofisici multiscala, come, per es., la dinamica della sismicità nei sistemi di faglie sismogenetiche. Il notevole progresso dei modelli non lineari applicati alla dinamica dei terremoti è stato determinato, oltre che dall’aumentata potenza di calcolo degli elaboratori elettronici, dallo sviluppo e dall’applicazione in questo campo di tecniche di calcolo utilizzate in altre discipline: fast multiple methods, molto utilizzati nella soluzione dei problemi gravitazionali a n-corpi e nella meccanica dei fluidi; sviluppi di Karhunen-Löve, ideati per lo studio dei sistemi elettronici, per le previsioni meteorologiche e per le analisi oceanografiche; metodi per l’assimilazione dei dati messi a punto per modelli previsionali a retroazione relativi a simulazioni in ambito oceanografico e climatologico. Si conferma in questo senso il carattere interdisciplinare delle scienze geologiche.
Tra le discipline che si sono andate via via individuando nell’ambito della g., particolare importanza rivestono la g. marina, che studia la morfologia e la batimetria del fondo marino attraverso sistemi di rilevamento acustico, la composizione e la distribuzione dei sedimenti presenti su di essi, le onde e le correnti con i loro effetti sui litorali, la struttura e il substrato dei fondi oceanici con riferimento al modello della tettonica a zolle; la geomatematica, ramo della matematica applicata che si occupa della soluzione di problemi collegati al campo della g., la fotogeologia e, soprattutto, la geologia ambientale. Quest’ultima branca della g. studia i cambiamenti ambientali estesi a tutto il globo e ha come scopo fondamentale la pianificazione del territorio, valutando per ogni situazione l’impatto che le opere possono avere sull’ambiente e cercando i luoghi più idonei per i diversi tipi di insediamento, in relazione ai rischi geologici come terremoti, frane, alluvioni ecc. La g. ambientale, in particolare, pone l’attenzione sul fatto che le cause dei cambiamenti ambientali vengono ricercate nel recente passato della Terra. Le loro tracce sono sopratutto registrate con grande dettaglio e continuità nello spesso strato di ghiaccio dell’Antartide, la cui storia viene ricostruita attraverso sondaggi in profondità. Negli ultimi decenni del 20° sec. è cresciuta la consapevolezza della necessità di un approccio integrato per affrontare i problemi ambientali nazionali e internazionali, e hanno acquisito sempre più importanza studi e ricerche per porre rimedio a situazioni, anche potenziali, di inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria derivate da attività umane. Tipici problemi che vengono affrontati sono l’inquinamento delle risorse di acque potabili legato ad attività industriali, urbane e agricole, la valutazione delle disponibilità di risorse naturali, l’impatto a breve o a lungo termine delle discariche, le alterazioni climatiche (globali) dovute all’inquinamento dell’aria e la pianificazione dell’uso del territorio che rispetti i processi geologici in atto (alluvioni, erosione, deposito di sedimenti). La necessità di integrare conoscenze e metodologie di campi così diversi ha portato allo sviluppo autonomo della g. ambientale che studia le relazioni tra l’uomo e il suo habitat geologico, in termini di processi innescati dall’uso della Terra da parte dell’uomo. Sono processi naturali il cui lento svolgersi è ricostruibile solo attraverso la conoscenza dell’evoluzione del paesaggio terrestre in tempi geologici. Alle indagini geologiche tradizionali, opportunamente finalizzate, si affiancano, così, settori di ricerca specifici, come climatologia, geostatistica, geoinformatica, g. del sottosuolo (per i fluidi) e, sul piano didattico, materie di insegnamento come elementi di economia e legislazione applicate all’ambiente. La g. strutturale si occupa dello studio delle strutture e delle deformazioni, a piccola e grande scala, che interessano la crosta terrestre; essa individua inoltre i caratteri e le associazioni strutturali presenti in determinate aree geografiche, inquadrandole nel contesto tettonico regionale.
La g. storica cerca di ricostruire la serie di eventi che costituiscono l’insieme della complessa storia della Terra, inquadrandoli in una cronologia che tiene conto del tempo necessario per la formazione di una determinata successione sedimentaria. Si è passati così dalla prima fase in cui l’età delle rocce o di altri aspetti geologici era espressa in termini relativi (più giovane o più vecchio rispetto a un dato preso come riferimento) a una seconda fase in cui lo sviluppo dei metodi di datazione assoluta ha permesso di valutare quantitativamente l’età delle rocce, anche se entro determinati margini di variabilità rispetto a un valore calcolato. Questa seconda fase ha portato allo sviluppo di una scala del tempo geologico (fig. 2) e all’istituzione delle unità geocronologiche (era, periodo, epoca ed età) e delle corrispettive unità cronostratigrafiche (gruppo, sistema, serie e piano (➔ cronologia; stratigrafia).
In campo applicativo, la g. economica si interessa dello studio dei corpi geologici ai fini dell’estrazione di risorse minerarie; fra queste ricordiamo gli scisti e le sabbie bituminose; i minerali metalliferi e non metalliferi, quelli di zolfo, salgemma e sali potassici; i minerali radioattivi; i materiali naturali come le argille, il gesso, le pozzolane, le sabbie ecc., usati nell’industria; i combustibili fossili come il petrolio, il gas, il carbone; e infine le sorgenti minerali e termominerali, nonché quelle di vapore acqueo e dei campi geotermici. Particolare importanza rivestono inoltre le risorse minerarie oceaniche, contenute nelle acque marine (boro, bromo, calcio, magnesio, sodio, potassio); sulla piattaforma e sulla scarpata continentale (giacimenti metalliferi di stagno, cromo, titanio, nonché fosforiti, carboni, zolfo, idrocarburi); nei fondali oceanici (noduli polimetallici, incrostazioni) e sulle dorsali oceaniche (melme mineralizzate, solfuri polimetallici).
La g. applicata si articola in diverse branche e campi di applicazione; tra queste le più importanti sono rappresentate dall’idrogeologia, dalla geotecnica (➔), dalla g. delle vie di comunicazione (che si interessa dei problemi connessi alla costruzione di percorsi stradali particolarmente importanti), dalla g. delle gallerie (che studia, attraverso l’indagine geologica, la migliore soluzione per il tracciato di una galleria in funzione dei costi e del tempo necessario alla costruzione) e dalla g. delle dighe e degli invasi artificiali (che analizza le aree da utilizzare per creare riserve d’acqua e i problemi connessi alla stabilità della struttura).
G. extraterrestre
Riguarda lo studio geologico dei pianeti e dei satelliti del Sistema Solare, le cui superfici hanno subito e continuano a subire cambiamenti più o meno intensi legati a fenomeni endogeni (vulcanismo e deformazioni tettoniche legate al calore) ed esogeni (movimenti di acque e di ghiacci, vento, frane e crateri meteorici). Ha realizzato grandi progressi, soprattutto attraverso l’esame di immagini ravvicinate (raccolte da veicoli spaziali pilotati o automatici), ma anche con l’analisi diretta di campioni di rocce, di suolo e di atmosfera (Luna, Venere, Marte). L’analisi delle immagini viene condotta con le tecniche tipiche dell’aerofotogeologia e del telerilevamento; gli affioramenti di terreni diversi sono distinti in base a forme, colore, albedo ecc., mentre per risalire ai rapporti geometrici tra i vari corpi rocciosi si ricorre ai principi della stratigrafia (sovrapposizione, intersezione ecc.), che consentono di stabilire una cronologia relativa.
Sotto quest’ultimo aspetto, di grande importanza è risultato lo studio della craterizzazione, applicato a tutti i corpi con superficie solida; esso si basa sulla determinazione del numero di crateri da impatto per unità di superficie, che è tanto più elevato quanto più un affioramento roccioso è rimasto esposto al ‘bombardamento’ meteoritico, cioè quanto più è antico. Nel caso della Luna, la curva che esprime l’andamento della craterizzazione (massima nel primo miliardo di anni e in seguito in progressiva diminuzione) è stata tarata con numerose datazioni radiometriche su campioni raccolti dalle missioni Apollo. Sulla Terra e su Venere, avvolte da spesse atmosfere e con superfici in continua trasformazione, gli effetti della craterizzazione sono ormai ridotti a poche tracce.
Il processo geologico più diffuso nel Sistema Solare è il vulcanismo (➔) che, nel suo significato essenziale di trasferimento di materiale dall’interno dei corpi planetari, più caldi, verso le superfici esterne, più fredde, è stato riconosciuto, in tracce o in atto, su quasi tutti i corpi solidi, dove però ha assunto aspetti peculiari, dal vulcano Olimpus Mons su Marte, alto più di 20 km, alle spettacolari manifestazioni effusive di un vulcanismo ricco in solfuri della piccola Io, la luna più interna di Giove. Le manifestazioni più esotiche del vulcanismo sono state scoperte, però, su molti satelliti dei pianeti esterni, caratterizzati da croste di ghiaccio che ricoprono oceani liquidi; si è dovuto ampliare il concetto tradizionale di vulcanismo per comprendervi processi effusivi che coinvolgono materiali come acqua, metano, ammoniaca e azoto, allo stato liquido o solido per le bassissime temperature a cui si verificano tali processi, complessivamente indicati con il termine criovulcanismo (vulcanismo del ghiaccio). In tali corpi, il calore di origine radiogenica, liberato dai nuclei rocciosi, è sufficiente a far fondere, a temperature bassissime (meno di 200 K), il ghiaccio d’acqua contaminato da ammoniaca, per cui il fuso tende poi a risalire attraverso lo spesso involucro ghiacciato, reso più denso dal materiale roccioso in esso disperso (frammenti meteoritici). La viscosità di tale fuso varia per il possibile riformarsi di cristalli di ghiaccio durante la risalita, e il miscuglio che si espande in superficie dà origine, di conseguenza, a forme diverse. Sulle lune galileiane di Giove, i fusi traboccano in superficie da profonde fessure, lungo i cui bordi si congelano formando argini rilevati, che presto si allontanano per il risalire di nuovo materiale fluido: un meccanismo che ricorda da vicino quello di formazione di nuova crosta lungo una dorsale oceanica sulla Terra.
La grande massa di dati ormai disponibile e la possibilità di porre a confronto strutture e storie degli involucri solidi, liquidi e gassosi che formano corpi tanto diversi aprono prospettive inaspettate alla g., che ha riconosciuto nella Terra il risultato dell’evoluzione nel tempo di un sistema altamente integrato. Forse si comincia a intravedere quello che si potrebbe definire un ciclo del Sistema solare, la cui lunghissima evoluzione comprenderebbe le storie di tutti i pianeti, ognuna condizionata dalla massa iniziale del singolo corpo e dalla sua distanza dal Sole quale fonte di energia.