Scienza che studia la composizione chimica della Terra e le leggi che regolano la distribuzione spaziale e temporale degli elementi nelle sue diverse parti. È parte della cosmochimica, della quale costituisce un capitolo particolare.
- Il termine g. fu introdotto per la prima volta, e nel suo pieno significato, da C.F. Schönbein nel 1838; grossi contributi allo sviluppo di questa disciplina sono stati dati inoltre da F.W. Clarke, H.S. Washington, I.H.L. Vogt, W.C. Brögger, V.I. Verdadski, A.E. Fersman e, infine, da V.M. Goldschmidt. I numerosi studi di chimica e fisica che hanno portato alla scoperta della spettroscopia di emissione ottica, della diffusione dei raggi X da parte dei cristalli, nonché della radioattività naturale hanno notevolmente influito sullo sviluppo della geochimica. Gli obiettivi fondamentali di questa scienza sono la determinazione delle abbondanze degli elementi (e dei nuclidi) nelle varie unità di cui è costituita la Terra, la formulazione delle leggi che regolano la migrazione e il frazionamento degli elementi e degli isotopi negli ambienti naturali, lo studio dei mutamenti chimico-energetici connessi con i processi geologici. Attraverso la misurazione di grandezze che sono dipendenti dal tempo, la g. perviene infine alla valutazione quantitativa del tempo geologico.
- La g. si avvale dei procedimenti classici e delle moderne tecniche strumentali per la determinazione analitica degli elementi e degli isotopi a diversi livelli di concentrazione; alcuni moderni metodi analitici, quali l’attivazione con neutroni termici o veloci, permettono la determinazione di elementi al livello di parti per miliardo. Il compito della g. non si esaurisce, peraltro, nella raccolta dei dati analitici: grande impulso viene dato alla determinazione delle grandezze termodinamiche caratteristiche delle trasformazioni di fase e delle reazioni chimiche che hanno attinenza con i sistemi naturali nonché allo studio di sistemi pluricomponenti, anche in presenza di fasi gassose, particolarmente in condizioni estreme di temperatura e di pressione. Orientamento caratteristico delle ricerche geochimiche in questi ultimi anni è l’interpretazione dei dati geochimici nel quadro dell’ambiente tettonico e, più in generale, della tettonica globale. Il modello della tettonica a zolle individua diversi ‘ambienti tettonici’ nell’ambito dei quali si può avere la formazione di serie di rocce ignee, sedimentarie, metamorfiche. Tali sono, per es., le dorsali oceaniche, le zolle continentali, i margini continentali, i sistemi arco-fossa. La g. nella sua più moderna concezione è indirizzata alla caratterizzazione di ciascuno di questi ambienti e allo studio dei processi chimici a essi collegati. In questo ambito urge l’esigenza di raggiungere la definizione di un modello di riferimento, già denominato GERM (geochemical earth reference model), che possa incorporare in un contesto globale e di lungo termine tutti i più recenti modelli geochimici: petrologici (di frazionamento, di fusione, di assimilazione), di interazione acqua-rocce, atmosferici, oceanici e idrologici, isotopici ecc. I tentativi condotti nel passato per integrare diversi bacini (per es., crosta, oceano e mantello) hanno avuto infatti obiettivi parziali, come lo studio dell’evoluzione isotopica e degli elementi in traccia del mantello o la comprensione della crescita della crosta, spesso delimitati nell’intervallo di tempo geologico preso in considerazione, anche se con il conseguimento di risultati eccellenti.
Lo studio del comportamento delle onde sismiche ha condotto ad adottare per la Terra una struttura a gusci, dove, nelle grandi linee, può essere riconosciuta l’esistenza di un nucleo, di un mantello e di una crosta. Vi sono numerose indicazioni che il nucleo, in analogia a certi tipi di meteoriti, sia costituito da ferro e nichel: a esso viene anche attribuito il nome di siderosfera. Il mantello e la crosta, entrambi di natura silicatica, presentano però concentrazioni differenti di elementi; nel mantello oltre al silicio prevalgono magnesio e ferro, mentre nella crosta l’elemento più abbondante dopo il silicio è l’alluminio. Le altre sfere geochimiche sono rappresentate dalla idrosfera, che costituisce il complesso discontinuo delle acque presenti sulla superficie terrestre; dall’atmosfera, che è l’involucro gassoso che circonda la Terra, e dalla biosfera, che per alcuni autori rappresenta l’insieme stesso degli esseri viventi e come tale occupa parte dell’idrosfera, dell’atmosfera e della crosta terrestre poiché in queste sfere geochimiche avvengono i principali processi vitali.
Ognuna di queste sfere geochimiche ha una propria individualità che si riflette non solo nella composizione chimica ma anche nelle modalità che regolano, in ciascuna di esse, il comportamento degli elementi. Questi ultimi, a loro volta, manifestano una spiccata tendenza a concentrarsi nell’una o nell’altra delle diverse ‘sfere’, in base a quella che potremmo considerare una ‘affinità geochimica’.
Lo studio della ripartizione degli elementi nelle sfere geochimiche direttamente accessibili, e anche nei diversi minerali delle meteoriti, ha permesso di stabilire una classificazione geochimica degli elementi che esprime per ciascuno di essi la tendenza ad arricchirsi, cioè a concentrarsi nelle diverse sfere geochimiche. Si dicono siderofili quegli elementi che hanno tendenza a concentrarsi nel ferro-nichel e che pertanto sono presumibilmente concentrati nel nucleo terrestre; essi sono, oltre al ferro e al nichel, tutti gli altri elementi del gruppo VIII A del sistema periodico, e inoltre carbonio, fosforo, oro, renio, molibdeno. Sono denominati calcofili gli elementi che, oltre allo zolfo come principale, comprendono metalli e semimetalli dei sottogruppi b del sistema periodico, come rame, zinco, argento, cadmio, piombo, selenio e altri. Gli elementi litofili sono tipicamente concentrati nei silicati; essi sono, oltre all’ossigeno e al silicio, alluminio, magnesio, sodio, potassio, calcio, in genere quelli appartenenti ai sottogruppi a del sistema periodico. Si riconosce, pertanto, facilmente come anche il carattere geochimico degli elementi segua una legge di periodicità. Alcuni elementi, detti talassofili, sono poi tipicamente concentrati nell’idrosfera: idrogeno, ossigeno, sodio, magnesio, cloro, zolfo (come solfato), carbonio (come carbonato e bicarbonato), cromo, boro (come borato) sono infatti i principali componenti delle sostanze che si trovano disciolte nelle acque oceaniche. Si considerano atmofili gli elementi particolarmente concentrati nell’atmosfera: azoto, ossigeno, gas rari; si dicono infine biofili gli elementi costitutivi e quelli particolarmente concentrati nella materia vivente (carbonio, idrogeno, azoto, fosforo, sodio, potassio, calcio ecc.). Alcuni elementi possono presentare carattere di ubiquità, essendo concentrati in più di una delle sfere geochimiche. Il carbonio, per es., è un elemento siderofilo in quanto, nelle meteoriti metalliche, si trova combinato col ferro e col nichel sotto forma di carburo cohenite (Fe, Ni, Co)3 C, ma è altresì presente nella crosta, nell’atmosfera e nell’idrosfera dove, a causa delle condizioni ossidanti, è combinato con l’ossigeno in forma di anidride carbonica e di carbonati; notoriamente, poi, il carbonio è un elemento biofilo perché è un costituente fondamentale della materia vivente. Analoghe considerazioni possono essere fatte a proposito del fosforo.
Negli ultimi anni ampio sviluppo ha avuto la caratterizzazione, attraverso dati geochimici, degli ambienti a diverso significato tettonico, nei quali possono aver origine serie di rocce sedimentarie, ignee o metamorfiche. In particolare si è assistito, in questo campo della ricerca, alla rapida diffusione di modelli che utilizzano congiuntamente numerosi indicatori geochimici e isotopici. Si può citare, a tal proposito, l’interpretazione della petrogenesi delle rocce ignee in funzione della composizione isotopica dello stronzio, del neodimio e del piombo in esse contenuti, dati che sono elaborati insieme a quelli relativi alla concentrazione degli elementi maggiori e degli elementi in traccia e alle caratteristiche petrografiche delle rocce. In questo modo è stato possibile, per es., riconoscere, nel tentativo di ricostruire i fenomeni che hanno dato luogo alla formazione della crosta continentale nel corso del tempo geologico, diversi reservoir (bacini) geochimici nel mantello che permettono di spiegare, attraverso importanti eterogeneità dello stesso, le variazioni isotopiche osservate tra basalti oceanici provenienti da zone del mantello arricchite (OIB, oceanic island basalts) e basalti delle dorsali medioceaniche provenienti da zone del mantello impoverite. Tra questi reservoir, si ricordano EMI (enriched mantle I), EMII (enriched mantle II), HIMU (high μ ad alto rapporto μ=238U/204Pb) e DMM (depleted mid-oceanic ridge basalt mantle). Nell’ambito di tali ricerche si ottengono anche indicazioni sulla tipologia dei fenomeni tettonofisici in grado di condizionare la formazione di crosta continentale e reservoir nel mantello (fusione parziale delle placche in subduzione e conseguente interazione fuso-mantello, processi di delaminazione ecc.).
Considerazioni sulla produzione di crosta continentale in ambiente di arco magmatico, ma anche sulle condizioni di riciclo nel mantello sia della crosta continentale sia di quella oceanica, sono invece dedotte dalla distribuzione degli elementi incompatibili, niobio e uranio.
Benché apparentemente semplice, il problema della conoscenza della composizione media della crosta terrestre presenta non poche difficoltà poiché non sono noti con certezza i rapporti in cui i diversi tipi di rocce, in particolare i graniti e i basalti, che sono le rocce più diffuse, sono rappresentati nella crosta stessa. Nella crosta terrestre gli elementi più abbondanti (99% in peso) sono in ordine decrescente O, Si, Al, Fe, Ca, Mg, K, Ti. Questi si possono considerare come elementi principali o maggiori. Rimane circa l’1% a disposizione di tutti gli altri elementi. Di questi, quelli la cui concentrazione è compresa fra 1% e 0,1% vengono chiamati elementi minori; quelli che si trovano in percentuali inferiori allo 0,1%, elementi in tracce. Questi ultimi elementi sono sovente dispersi nei minerali delle rocce, ma si trovano talvolta concentrati in adunamenti particolari, spesso di notevole interesse economico, dovuti a un concorso di fattori favorevoli. Si spiega così come elementi in sé assai poco abbondanti, quali il boro, il berillio, il piombo, lo stagno, il mercurio siano invece relativamente molto disponibili.
Il carattere ciclico dei fenomeni geologici è un concetto da tempo acquisito e così pure la migrazione ciclica della materia attraverso le sfere geochimiche esterne (v. fig.). Il grande ciclo geochimico (o ciclo maggiore) abbraccia i fenomeni di cristallizzazione magmatica, che danno luogo alla consolidazione delle rocce eruttive o ignee, i successivi fenomeni di alterazione, trasporto, sedimentazione, a cui si deve la formazione dei sedimenti e la loro successiva evoluzione diagenetica in rocce sedimentarie. Fenomeni di ricristallizzazione più o meno profonda determinano quel complesso di trasformazioni che va sotto il nome di metamorfismo, fino a giungere alla rigenerazione del magma nei processi di anatessi (fusione di rocce in profondità che forma nuovo magma) e palingenesi (completa rifusione delle rocce presenti nella litosfera terrestre). Il grande ciclo geochimico ne comprende altri minori; fra questi, il ciclo esogeno (o ciclo minore in senso stretto), che si svolge sotto il controllo degli agenti atmosferici, riveste particolare importanza in quanto responsabile della formazione dei sedimenti e delle rocce sedimentarie.
Il concetto di migrazione ciclica può essere esteso anche ai singoli elementi chimici, per i quali esso si può anche esprimere in termini quantitativi, ove si considerino, per es., le quantità dell’elemento presenti nelle varie sfere geochimiche, i tempi di mescolamento e i tempi di resistenza. Lo studio dei cicli degli elementi costituisce quella che possiamo chiamare g. dinamica, in contrasto con la g. statica la quale si limita a considerare i rapporti di distribuzione degli elementi e dei loro composti.
Tratta delle acque continentali e delle acque oceaniche, della loro composizione e del ciclo in esse dei diversi elementi. Le acque oceaniche costituiscono il 98% del totale delle acque, con una salinità media del 35‰. Caratteristica fondamentale delle acque oceaniche è la costanza di composizione del loro complesso salino (legge di Marcet). Notoriamente i principali componenti delle sostanze disciolte nelle acque oceaniche sono, nell’ordine, Cl–, SO4– –, CO3– –, Br–, BO3–3 fra gli anioni, Na+, Mg++, Ca++, K+, Sr++ fra i cationi. Si ritiene che tutti gli altri elementi siano presenti, al livello di tracce, e una settantina di essi sono stati a tutt’oggi riconosciuti. A differenza dei costituenti principali, molti degli elementi in tracce presentano una variabilità di concentrazione in dipendenza dalla loro utilizzazione da parte di organismi e da condizioni di saturazione. Fra le sostanze gassose disciolte nelle acque oceaniche l’ossigeno, l’anidride carbonica e l’azoto partecipano a complesse reazioni chimiche e chimico-biologiche e rilevanti sono le azioni di scambio all’interfaccia con l’atmosfera.
Le sostanze disciolte nelle acque oceaniche provengono in parte dall’alterazione superficiale delle rocce continentali, in parte dalle azioni di scambio con l’atmosfera, in parte dal vulcanismo sottomarino attivo nel tempo geologico. Le acque oceaniche si possono considerare come un serbatoio dinamico nel quale i diversi elementi vengono continuamente apportati ma ne vengono altresì continuamente rimossi da processi di precipitazione, di adsorbimento o da attività biologica. I diversi elementi risultano inoltre caratterizzati da valori anche molto diversi di tempi di residenza. Alcuni di questi elementi sono stati usati con varia fortuna come indicatori della salinità dei mari in cui si sono deposti i sedimenti nel passato geologico. Esempi sono dati dal boro, dal cromo, dal rame, dal gallio, dal nichel e dal vanadio, che risultano significativamente più abbondanti nei sedimenti marini rispetto a quelli di acqua dolce.
Molte questioni riguardanti anche l’origine e l’evoluzione degli oceani rimangono ancora aperte; la loro storia geologica è direttamente connessa con l’evoluzione dell’atmosfera terrestre nel tempo geologico. Vi sono indizi che la primitiva atmosfera, più riducente di quella attuale, si sia originata per lento degassamento dell’interno della Terra. Se questa ipotesi è valida, ciò comporta che anche gli oceani si siano andati sviluppando con continuità durante il tempo geologico. Parecchi aspetti relativi alla loro composizione chimica appaiono oggi chiariti ma molti aspetti quantitativi della loro evoluzione attendono ancora una risposta soddisfacente.
Nelle acque fluviali e lacustri, considerando la grossa media, i cationi e gli anioni si susseguono in ordine decrescente di abbondanza: Ca++, Mg++, Na+; CO3– –, SO4– –, Cl–. A differenza delle acque oceaniche la composizione del complesso salino delle acque continentali può però essere anche molto variabile in corrispondenza a situazioni locali: una variabilità estrema si osserva nelle acque di laghi e bacini chiusi e di sorgenti minerali e termali. I moderni progressi della g. dell’idrosfera consistono nello sviluppo di modelli matematici riguardanti i sistemi acquatici naturali e le applicazioni dei metodi della chimica-fisica a vari e complessi equilibri che interessano le acque naturali.
La g. applicata alla paleoceanografia ha aperto interessanti prospettive per la comprensione dei cambiamenti climatici dei passati periodi geologici grazie alla strategia, cosiddetta multiproxy, fondata sullo studio delle temperature e della composizione isotopica del carbonio degli alchenoni e su altri indicatori paleoceanografici (per es., la composizione isotopica dell’ossigeno dei Foraminiferi). Gli alchenoni sono composti organici (chetoni) a catena lunga, sintetizzati da alcune alghe unicellulari marine (Haptophyta), che si trovano nei sedimenti marini e il cui indice di saturazione del doppio o del triplo legame del carbonio in posizione 37 varia in funzione della temperatura; è quindi possibile risalire, attraverso curve di calibrazione ottenute in laboratorio e con riferimento ai valori di saturazione per le temperature attuali, alle temperature superficiali degli oceani ancestrali.