vanadio Elemento chimico, di simbolo V, peso atomico 50,94, numero atomico 23, appartenente al gruppo VA del sistema periodico, di cui sono noti in natura due isotopi stabili, 5023V (0,25%) e 5123V (99,75%). Fu identificato per la prima volta da M. del Rio (1801) esaminando un minerale di piombo del Messico, ma tale scoperta fu poi messa in discussione; il metallo fu riconosciuto definitivamente nel 1830 da N.G. Sefström in una ghisa ottenuta da un minerale svedese; successivamente ne sono state studiate nei particolari le proprietà, soprattutto in vista delle peculiari caratteristiche che l’elemento è capace d’impartire alle leghe ferrose.
Il v. è un metallo di colore grigio o bianco lucente, abbastanza duttile allo stato puro, che cristallizza nella forma cubica a corpo centrato; ha un punto di fusione di circa 1915 °C, un punto di ebollizione di 3000 °C e una densità di 6,11 g/cm3; presenta conduttività termica relativamente bassa (31 kJ/(K∙m∙s) a 100 °C) e resistività elettrica superiore a quella del rame (0,248 μΩ∙m a 20 °C). Dotato di durezza e resistenza meccanica basse, e di elevata duttilità, è chimicamente assai stabile; i suoi cristalli non sono reattivi né in acqua né in aria, non sono attaccati né dall’acido cloridrico né da quello solforico a freddo; a caldo il v. viene disciolto da acido solforico, fluoridrico e nitrico. Il v. precipita oro, argento e platino dai loro sali, riduce i sali mercurici a mercurosi e quelli ferrici a ferrosi.
Il v., come anche il cobalto, il selenio ecc., è uno degli elementi necessari per l’organismo che, in quantità di pochi milligrammi o microgrammi al giorno, garantiscono l’efficienza di varie funzioni biologiche. In particolare, il v. è il cofattore degli enzimi nitrato reduttasi e di alcune deidrogenasi flaviniche. In quantità maggiori, il v. è tossico per l’uomo e rappresenta un rischio sia ambientale (inquinamento atmosferico) sia professionale (lavorazioni con v.). La sua tossicità si manifesta con effetti subacuti e cronici soprattutto a carico del sistema respiratorio (bronchiti, polmoniti, infiammazioni croniche, enfisema, asma), del sistema nervoso centrale e del tratto gastrointestinale.
I principali minerali vanadiferi sono i solfuri e i vanadati. Tra i primi ha importanza particolare la patronite, e tra i secondi la roscoelite, nonché alcuni vanadati di piombo, rame e zinco, reperibili nello Zimbabwe e nell’Africa sud-occidentale. La vanadinite, di colore vario, rosso in vari toni, giallo-bruno, grigio, con lucentezza subresinosa o subadamantina, è cloruro e vanadato di piombo, Pb5(VO4)3Cl, esagonale.
È inoltre possibile estrarre il v. come sottoprodotto di altre operazioni metallurgiche, giacché esso è spesso associato a minerali di ferro e di titanio, alla bauxite e a rocce fosfatiche. Infine alcuni minerali uraniferi, e in particolare la carnotite, costituiscono attualmente un’importante fonte di vanadio. Altre sorgenti di v. di interesse pratico sono rappresentate da alcune magnetiti titanifere (Transvaal), che contengono circa 1,75% di V2O5, da residui petroliferi (Canada) o da ceneri di oli combustibili.
Dai minerali il v. viene di solito estratto preparando prima un ossido di v. in forma concentrata. Il minerale viene macinato, miscelato con un sale di sodio (carbonato, cloruro) e arrostito a circa 850 °C; il v. presente viene trasformato in metavanadato sodico (NaVO3) che si estrae trattando il prodotto con acqua. Dalla soluzione acquosa, abbassando il pH a 2-3, precipita un esavanadato di sodio che viene separato e fuso a 700 °C dando una massa contenente circa l’85% di V2O5. Si può anche sciogliere il precipitato di esavanadato in soluzione alcalina (carbonato sodico); molte delle impurezze (ferro, alluminio, silicio ecc.) non si sciolgono e dalla soluzione filtrata si riprecipita il v. sotto forma di metavanadato d’ammonio, che per calcinazione dà V2O5 a elevato grado di purezza.
Il metallo puro (al 99,9%) può essere preparato dal pentossido o meglio dal triossido (V2O3) per riduzione con calcio metallico; un’ulteriore purificazione può eventualmente realizzarsi per decomposizione termica degli ioduri (processo Van Arkel-de Boer) oppure elettroliticamente. Il v. viene prodotto allo stato puro solo in piccole quantità; maggiore importanza pratica hanno le ferroleghe, che contengono v. in tenori variabili dal 30 all’80% circa; queste si preparano sottoponendo i composti contenenti ossido di v. ottenuti dai minerali, come più sopra detto, a riduzione al forno elettrico con carbone o con silicio, o per via alluminotermica, in presenza di ferro, così da ottenere una ferrolega che contiene in media il 37-38% di vanadio.
Il v. può presentare nei suoi composti numeri di ossidazione da −1 a +5. Gli stati più stabili sono quelli a valenza maggiore (4 e 5), nei quali l’elemento mostra comportamento sia metallico sia non metallico, dando origine ai vanadati e ai composti di vanadile. Negli stati a valenza più bassa, il v. esibisce carattere più spiccatamente metallico. Vanadile è la denominazione dei cationi costituiti da v. e ossigeno, e in particolare di quelli aventi formula VO2+ (vanadile IV, in cui il v. è tetravalente) e VO3+ (vanadile V, con v. pentavalente), presenti in numerosi sali e complessi stabili. Ossitricloruro di v. (o cloruro di vanadile V) Ha formula VOCl3; liquido giallo bollente a 126,7 °C; ottimo solvente di sostanze organiche. Si prepara per azione a caldo del cloro su una miscela di pentossido di v. e carbone. Si usa nella preparazione di catalizzatori per la polimerizzazione stereospecifica (Ziegler-Natta) di etilene e propilene. Pentossido di v. Composto del v. pentavalente, di formula V2O5; polvere cristallina, aghiforme, di colore giallo-rosso e, se impura, bruno o nero; ha densità 3,36 g/cm3 e fonde a circa 690 °C; solubile in acidi e basi, poco solubile in acqua. Si prepara per precipitazione con acidi forti, evitando l’eccesso, dalle soluzioni dei vanadati. Si ottiene molto puro per riscaldamento del metavanadato ammonico. Tetracloruro di v. Sale del v. tetravalente, di formula VCl4. È un liquido rosso, solubile in alcol ed etere, ottenibile per azione del cloro secco sul v. a 300 °C. Si decompone lentamente in tricloruro di v. (VCl3) e cloro. Insieme al tricloruro, si usa nella preparazione di catalizzatori per polimerizzazioni stereospecifiche.