Elemento chimico, numero atomico 29, peso atomico 63,55, simbolo Cu; metallo molto duttile e malleabile, ottimo conduttore del calore e dell’elettricità.
Il r. naturale è una miscela dei due isotopi stabili 6329Cu (69,1%) e 6529Cu (30,9%) e si trova in natura allo stato nativo in quantità relativamente abbondanti, in cristalli ad abito cubico o cubottaedrico, di solito molto deformati, associati a costituire aggregati dendritici, oppure in granelli e in masse compatte o cavernose. Tuttavia, per la sua facile ossidabilità, quasi mai si trova in giacimenti secondari e solo di rado in giacimenti primari di una certa importanza. In Italia si hanno piccole quantità di r. nelle miniere della Toscana (Montecatini) e della Liguria.
Abbondanti sono i giacimenti in cui il r. è presente allo stato di combinazione. I minerali di r. di questa specie si dividono in due gruppi principali: solforati e ossigenati. Il primo gruppo comprende la calcosina (Cu2S), la calcopirite (CuFeS2), che è il minerale più importante, la covellite (CuS), la bornite (Cu5FeS4), l’enargite (Cu3AsS4), la tetraedrite Cu12(SbS3)4S, la tennantite Cu12(AsS3)4S. Al secondo gruppo appartengono l’azzurrite Cu3(CO3)2(OH)2 e la malachite Cu2CO3(OH)2, che sono così rare da essere considerate come pietre ornamentali di pregio, la cuprite (Cu2O) e altri minerali che hanno interesse soltanto scientifico.
Tracce di r. si trovano nel terreno, nelle piante e negli animali, specialmente nel tessuto osseo. La colorazione rosso-violetta che le ceneri di ossa assumono dopo calcinazione a elevata temperatura è infatti da attribuire alla formazione di Cu2O colloidale, che si origina per decomposizione termica dell’ossido rameico.
Di un caratteristico colore rosso se illuminato da luce bianca, ridotto in lamine molto sottili il metallo assume per trasparenza una colorazione verde-blu. Cristallizza nel sistema monometrico. È molto duttile e malleabile sia a freddo sia a caldo, tanto che può essere ridotto in lamine sottilissime; ottimo conduttore del calore e dell’elettricità, la sua conducibilità è però notevolmente diminuita se in esso sono presenti impurezze, che hanno altresì l’effetto di aumentarne la durezza.
Prima di raggiungere la temperatura di fusione (1083 °C) diventa fragile e può essere ridotto in polvere; non può essere gettato in stampi, perché allo stato fuso scioglie gas, che dopo solidificazione formano soffiature nel metallo. Portato al calore rosso-bianco brucia con fiamma verde brillante, trasformandosi in ossido. Il r. all’aria secca non si altera, mentre all’aria umida si ricopre di una patina verde di carbonato basico di r. (verderame), che lo protegge dall’ulteriore ossidazione.
Il r. appartiene, insieme allo zinco e all’oro, al sottogruppo IB del sistema periodico degli elementi, e si comporta nei suoi composti da monovalente o da bivalente dando origine a due serie di sali che sono rispettivamente chiamati rameosi e rameici. Il r. è attaccato dal vapor d’acqua solo a quelle temperature in cui il vapore è dissociato; il metallo diventa allora cristallino e fragile. L’acqua allo stato liquido, specialmente se priva d’aria, non attacca il r., tanto che essa viene spesso distillata in recipienti di tale metallo. Il cloro umido attacca il r. anche a temperatura ordinaria; anche gli altri alogeni, lo zolfo e il selenio, reagiscono più o meno facilmente con il rame. L’azoto anche a elevata temperatura non agisce sul r., mentre ne viene assorbito quando si fa passare ammoniaca sul metallo riscaldato al rosso. Gli ossidi d’azoto l’attaccano invece anche a temperature relativamente basse formando ossido rameoso o rameico, a seconda che sia fatto reagire con protossido e ossido d’azoto, oppure con ipoazotide. L’ammoniaca attacca il r. in presenza di aria formando l’ossiammoniuro di r., liquido blu noto sotto il nome di liquido di Schweitzer, capace di disciogliere la cellulosa. Per questa sua proprietà il liquido di Schweitzer è usato per produrre un tipo di raion (al cuprammonio). L’acqua di calce non attacca il r., mentre gli idrossidi alcalini accelerano molto la sua ossidazione.
Il r., data la sua posizione nelle serie dei potenziali elettrochimici, non può, di massima, spostare l’idrogeno dagli acidi e pertanto, in assenza di aria, non è attaccato dagli acidi cloridrico, solforico e acetico a freddo. Reagisce invece lentamente con l’acido nitrico diluito, a causa dell’azione ossidante del gruppo nitrico, svolgendo ossido d’azoto e formando nitrato di r.; con l’acido solforico, a caldo, il r. reagisce secondo le reazioni principali:
e quindi svolgendo anidride solforosa ma non idrogeno. I cloruri attaccano il r. più rapidamente degli altri sali quali i solfati, i nitrati ecc.; i bronzi e gli ottoni resistono all’attacco salino meglio del r. se il loro contenuto di r. è superiore al 70%, mentre per contenuti inferiori sono attaccati più velocemente del r. stesso. Il r. viene disciolto anche dalle soluzioni concentrate di cianuri alcalini, con formazione di un complesso.
Il r. è largamente usato, sia allo stato puro (come, per es., nei conduttori elettrici e come catalizzatore), sia in lega con altri metalli (da ricordare in particolare bronzi e ottoni), sia sotto forma di sale.
Il r. è molto tossico per gli organismi inferiori e per i microrganismi. Per gli animali superiori e per l’uomo dosi fino a un decimo di grammo non sono dannose, mentre lo sono quantità di 2-3 g, che possono anche riuscire letali.
Il r. si estrae in genere da minerali costituiti da miscugli complessi di solfuri di ferro e r. associati a composti di ferro, zinco, arsenico, antimonio, bismuto, selenio, tellurio, argento, oro e platino. La metallurgia termica del r. comprende le fasi di arricchimento, arrostimento, fusione di concentrazione, conversione, affinazione.
Con l’arricchimento, che comprende macinazione, setacciatura preventiva e concentrazione per gravità e flottazione, che permette di usare minerali poveri, si recupera circa il 90% del r. del minerale e si ottengono concentrati con più del 30% di rame.
L’arrostimento è un trattamento ossidante di materiale grezzo ad alta temperatura che elimina lo zolfo in eccesso rispetto a quello ottimo per la composizione voluta della metallina. Nel caso di zolfo insufficiente, esso si aggiunge sotto forma di pirite; questa è ossidata a ossido di ferro (Fe2O3), il più stabile alle temperature di arrostimento, mentre la calcopirite (CuFeS2) si trasforma in ossido di ferro e rame. Il solfato di r. e quello di ferro formati durante l’ossidazione si decompongono a temperature più alte. L’ossidazione, a partire dalla superficie dei granuli, inizia veloce per l’alto tenore di zolfo e ossigeno presenti e prosegue più lenta per la diminuzione dello zolfo. L’ossido di r. non resta tale in presenza di zolfo combinato (per es., come FeS), poiché il r. ha minore affinità per l’ossigeno che per lo zolfo e tende a unirvisi in qualunque forma esso si trovi nella carica. Se il contenuto di zolfo è sufficiente, di solito superiore al 25%, l’arrostimento è autotermico. Per l’arrostimento si usano in genere forni a letto fluido, più rapidi e con miglior recupero di anidride solforosa dai gas di arrostimento.
La fusione di concentrazione produce una miscela di solfuri ferroso e rameoso, con r. in misura maggiore che nel prodotto d’arrostimento, adatta a essere trasformata in r. metallico impuro mediante trattamento ossidante (conversione). La separazione di un prodotto ricco di r. (40-60%) per fusione di minerale torrefatto è possibile perché il r. tende a legarsi allo zolfo mentre il ferro all’ossigeno. Nel prodotto di arrostimento il r. si trova come solfuro o ossido e il ferro come ossido (Fe2O3 e Fe3O4). Tale prodotto (o il concentrato, se già di composizione adatta) è fuso in presenza di fondenti (silice aggiunta alla massa in quantità dosata, ossido di ferro, calcare), in genere in forni a riverbero, e dà luogo a due fasi fuse, metallina e scoria fusa, che avendo densità diverse si separano in due strati. Nella metallina si ha r., zolfo e parte del ferro, nella scoria si ha ossido di ferro e silice (come silicato di ferro, 2FeO•SiO2) e calce (CaO). Spesso le fasi di arrostimento e fusione a metallina avvengono in un solo apparecchio; così il calore di fusione è in parte fornito dall’arrostimento (per il resto si introduce il combustibile gassoso o liquido o si usa per l’arrostimento aria ricca di ossigeno, al 25-30%, od ossigeno).
Nella conversione si trasforma la metallina in r. al 98,5-99,5% (r. nero o blister) mediante ossidazione dello zolfo legato al ferro e poi dello zolfo unito al r., secondo la reazione
I convertitori in cui si hanno le reazioni che portano al blister sono forni di due tipi. Il primo è simile per profilo e rivestimento interno (silice) al convertitore Bessemer per la conversione della ghisa in acciaio, ma l’aria di ossidazione della carica è immessa lateralmente e non dal fondo, per rendere l’operazione più lenta e controllabile. Il secondo tipo, privo di alcuni inconvenienti dei convertitori Bessemer per r. (rapido consumo del rivestimento siliceo, ineguaglianza d’immersione delle tubiere ecc.) e usato specie per grandi produzioni, è cilindrico rivestito con refrattario basico e con tubiere disposte lungo una generatrice del cilindro (perciò sempre ugualmente immerse nel bagno per una data posizione dell’apparecchio).
L’affinazione si attua per via termica o elettrolitica; la prima, che garantisce purezza sufficiente per molti scopi, si effettua in forni a riverbero rivestiti all’interno di refrattari in genere acidi (a volte la suola è costituita da mattoni di magnesite). Dopo la fusione della carica (a volte si carica blister fuso), si immette aria nel forno che provoca l’ossidazione di impurità presenti (e anche quella del r. a ossido rameoso, che salifica alcuni prodotti di ossidazione delle impurità e forma con essi una scoria sovrastante il bagno metallico). Alla fine dell’operazione, eliminati gli elementi estranei, si elimina l’ossigeno di cui il r. è saturo (0,60-0,90%) mediante perchage (➔), cioè immergendo nel bagno pezzi di tronchi di legno verde e provocando lo sviluppo di prodotti riducenti provenienti dalla pirolisi del legno, o soffiando nel bagno di r. gas di reforming (➔) di gas naturale o di altri idrocarburi gassosi. L’affinazione elettrolitica garantisce maggiore purezza. Dal blister in forma di anodi si ha il deposito catodico di r. in bagno di acido solforico e solfato di rame.
L’elettrolisi si attua con il sistema multiplo, con gli anodi di una cella connessi insieme con i catodi della successiva, o con la disposizione in serie, inviando corrente ai due elettrodi terminali delle celle cosicché gli intermedi funzionano da anodi su una faccia (inviando r. in soluzione con alcune impurità) e da catodi sull’altra (su cui quindi si deposita r. puro). Una elevata densità di corrente applicata (ca. 350-400 A/m2), che garantisce elevata produttività dell’impianto, è permessa dal metodo della corrente reversibile che invia periodicamente brevi impulsi di corrente continua a polarità invertite degli elettrodi ed evita i problemi che il forte aumento di densità di corrente provocherebbe su regolarità e compattezza del deposito catodico, nonché su qualità e titolo del r. affinato. Nel sistema multiplo si usano elettroliti con il 3-4% di acido solforico libero a temperatura oscillante tra 40 e 60 °C. La circolazione dell’elettrolito è assicurata per es. immettendolo dal fondo e prelevandolo dalla parte superiore delle celle; ciò mantiene costante la composizione, verificata analiticamente e nel caso corretta nel tenore di acido o r., e garantisce la deposizione dei fanghi anodici (0,4-1,5% della massa di anodo originario), ricchi di argento, r., piombo, antimonio, arsenico, tellurio e con piccole quantità di oro. Con il procedere dell’elettrolisi, le impurità anodiche si accumulano nell’elettrolito e, se solubili in esso, possono depositarsi catodicamente (soprattutto arsenico e nichel) inquinando il rame. Ciò si evita sostituendo periodicamente soluzione fresca a parte dell’elettrolito, le cui impurità (oltre ad arsenico e nichel, antimonio, bismuto e ferro) si eliminano per sola cristallizzazione, cristallizzazione ed elettrodeposizione, sola deposizione; l’elettrolito purificato è poi rinviato in ciclo.
La metallurgia per via umida del r. ne consente il recupero evitando l’inquinamento atmosferico. Oltre alla lisciviazione con acido solforico si usa quella alcalina, con soluzioni di ammoniaca e carbonato ammonico; esse estraggono il r. formando un sale complesso che riscaldato a 80-100 °C si decompone, liberando ammoniaca e anidride carbonica (che si recuperano) e ossido di r. a elevato grado di purezza. La lisciviazione si usa anche per trattare minerali in situ senza l’estrazione (che costringe a lavorare grandi quantità di ganga). Il r. si recupera dalle soluzioni per cementazione con ferro metallico, in forma di rottame o spugna, il cui prodotto (cemento di r.) contiene raramente più del 90% di metallo.
Poco più del 25% della produzione mondiale è concentrata in Cile (Chiquicamata, El Teniente, El Salvador, Andina) e Perù (Toquepala). Una quota simile è attribuita agli USA (Arizona, Utah, Montana, New Mexico, Nevada, Michigan) e al Canada (Sudbury). Il 10% circa proviene da territori ex sovietici (Urali nella Federazione Russa, Balchaš e Džezkazgan in Kazakistan). La produzione africana (Copperbelt in Zambia, Katanga nella Repubblica Democratica del Congo, Transvaal e regione del Capo nella Repubblica Sudafricana), in calo a partire dagli anni 1960 è ormai inferiore al 10%. In leggera ascesa sono invece i produttori asiatici ormai prossimi al 10%. Altri produttori importanti, intorno al 4%, sono la Polonia e l’Australia. Gli USA sono sia i principali importatori di minerali di r. del mondo (da Cile, Canada, Messico, Perù, Repubblica Democratica del Congo, Zambia) sia i principali esportatori di prodotti lavorati. L’impiego del r. è fondamentale nell’approvvigionamento di numerosi settori industriali, tra cui quelli a più alta intensità tecnologica.
Il r., in certi Invertebrati, sostituisce il ferro nella costituzione dell’emocianina; nei Vertebrati è necessario perché il ferro alimentare sia utilizzato nella costruzione dell’emoglobina. Il r. rappresenta il gruppo attivo delle ortofenolossidasi, catalizza l’ossidazione dei gruppi solfidrilici (-SH→-S-S-) essenziale nell’ossido-riduzione ed è presente nelle uova e nelle penne (turacina) degli uccelli.
Il siero di sangue umano contiene circa 0,8-1,4 mg/l di r., in gran parte come ceruloplasmina. Il r. ha un ruolo significativo nell’osteogenesi, nell’eritropoiesi e nel metabolismo del ferro. Nella specie umana il r. entra nella composizione di numerosi enzimi, tra i quali la ceruloplasmina, la monoamminossidasi, la tirosinasi e la citocromoossidasi.
Il r. è uno dei primi metalli scoperti e usati dall’uomo preistorico, per la facilità di rinvenimento allo stato nativo e del processo di estrazione e lavorazione, sia con la semplice battitura sia con la fusione. L’introduzione dell’uso di oggetti di r. segna il trapasso dal periodo neolitico a quello eneolitico. La sua malleabilità spinse a legarlo con lo stagno: fu così prodotto il bronzo, che segnò l’inizio di un nuovo periodo preistorico e fu utilizzato nelle varie civiltà (in Egitto, fra i Sumeri, nell’Egeo, in Asia Minore, India, Europa centro-occidentale). L’isola di Cipro fu uno dei maggiori centri di produzione ed esportazione del r.; regioni ricche di giacimenti ramiferi furono l’Eubea, la Macedonia, la Penisola Iberica; fiorente fu l’industria del r. anche in Pannonia, Irlanda, Sardegna, nell’isola d’Elba. Il r. puro, impiegato ancora da Etruschi e Romani per oggetti sacrali, in età classica appare completamente sostituito dal bronzo.
Nel Medioevo il r. fu molto apprezzato per la sua duttilità e per il colore. Poiché si prestava bene alla doratura, fu spesso usato in sostituzione dell’argento e dell’oro; sono così giunti a noi reliquiari, incensieri, altari portatili e altri oggetti liturgici di r. sfuggiti alla sorte che colpì oggetti consimili eseguiti in più nobili metalli. Si fecero anche statue a tutto tondo di r. battuto su un’anima di legno (ne restano solo poche: imponente la statua di Bonifacio VIII del Museo civico medievale di Bologna). Oltralpe il r. ebbe una particolare applicazione nelle grandi lastre tombali incise, usate in Francia, Olanda, Inghilterra.
Dal Rinascimento in poi esso fu sempre più scarsamente adoperato per la statuaria (si ricordi però la colossale statua di s. Carlo Borromeo ad Arona, su modello di G. B. Crespi del 1614), mentre continuò a essere impiegato per piccoli oggetti, spesso dorati (scaldamani e bruciaprofumi, candelabri, fanali di navi ecc.). Verso la metà del 18° sec. fu inventato il procedimento di fondere un lingotto di r. fra due spessi strati d’argento in modo da conseguire una stratificazione sottilissima, ottenendo così il cosiddetto Sheffield Plate. Nel 19° sec. la voga del Medioevo fece risorgere in Francia, transitoriamente, l’arte del r. sbalzato. A tutt’oggi si continua a utilizzare il r., per lo più in sostituzione dell’argento, negli arredi sacri, per vasi, brocche, recipienti di uso ornamentale.