Elemento chimico, numero atomico 19 e peso atomico 39,098; il suo simbolo è K (dal nome lat. scient. Kalium, che deriva dall’arabo qalī «potassa»). Ne sono noti due isotopi naturali stabili, 3919K (93,2%), 4119K (6,8%), e uno radioattivo, il 4019K (0,01% ca.), detto p. 40, con tempo di dimezzamento di 1,3∙109 anni di decadimento per cattura elettronica.
Fu scoperto nei sali da A.S. Marggraf nel 1758 e isolato come metallo da H. Davy nel 1807.
1. Proprietà del p. metallico
Si presenta come una massa abbastanza tenera (si taglia con il coltello), di lucentezza argentea, che all’aria si appanna con formazione di idrati e carbonati; fonde a 63,6 °C, bolle a circa 760 °C, dando vapori verdi, che con il crescere della temperatura divengono violetti; ha densità 0,864 g/cm3 a 0 °C e 0,819 g/cm3 a 100 °C. È solubile in ammoniaca liquida e in molti metalli, con i quali forma leghe. Fa parte del gruppo dei metalli alcalini; è monovalente e il suo ione ha mobilità maggiore di quella dello ione sodio; forma sali facilmente solubili in acqua, a eccezione del perclorato e di qualche sale complesso.
È dotato di una spiccata reattività, maggiore di quella del sodio; all’aria umida si ossida rapidamente, e se il metallo è finemente suddiviso l’esotermicità della reazione può portare all’autoaccensione e alla combustione del metallo. Con l’acqua reagisce violentemente formando idrossido di p. e sviluppando idrogeno che può facilmente accendersi; con gli acidi in soluzioni diluite e ancor più con quelle concentrate la reazione può assumere andamento più violento, tanto da portare a esplosioni e detonazioni. Reagisce rapidamente con l’idrogeno, a temperature dell’ordine di 300-400 °C, formando l’idruro di p., KH; con gli alogeni la reazione è rapida già a temperatura ambiente, mentre con gli idracidi è tale solo con il metallo fuso. Reagisce con molte sostanze organiche (sostituisce l’idrogeno, si combina con gli alogeni, agisce da condensante, forma composti organometallici), ma non con gli idrocarburi alifatici o aromatici, tanto che il metallo di solito si conserva in recipienti contenenti petrolio, benzene ecc., per proteggerlo dall’ossidazione.
Il p. metallico (a un grado di purezza superiore al 99%) si prepara per elettrolisi di sali fusi o per riduzione ad alta temperatura (di carbonato, di idrossido o di fluoruro di p. per opera di silicio, di carburo di calcio ecc.) o per reazione di cloruro di p. fuso con vapori di sodio. Il p. è usato nella preparazione del perossido, sotto forma di lega con il sodio come mezzo per il trasporto di calore in reattori nucleari ecc.; forma leghe con altri metalli e aggiunto alle leghe alluminio-magnesio ne aumenta la resistenza alla corrosione; con l’oro o con l’antimonio forma leghe dotate di proprietà fotoelettriche, con il piombo e con il sodio forma una lega dotata di una certa resistenza meccanica e che reagisce con l’acqua in modo non violento. È un energico riducente: riduce dai loro sali i metalli pesanti, spesso fino allo stato elementare.
Data la sua reattività, il p. non si trova in natura allo stato libero, mentre è abbondante allo stato combinato: nelle acque del mare, nei giacimenti dei sali potassici, in molti silicati. Il p. è uno dei nove elementi più abbondanti nella crosta terrestre. È presente, inoltre, nelle meteoriti. Nella classificazione geochimica degli elementi, appartiene ai litofili e tende ad arricchirsi nella fase silicatica.
Le acque del mare contengono circa l’1% di K+ (riferito al complesso salino dei mari e degli oceani) sotto forma di cloruro; l’estrazione del p. dal mare non è ancora competitiva con i processi tradizionali. In molte rocce i silicati e i silicoalluminati (feldspati, feldspatoidi) contenenti p. sono numerosi; tuttavia raramente in natura si trovano allo stato puro e quindi la concentrazione del p. in questi minerali è notevolmente minore; inoltre la sua estrazione è difficile per la bassa solubilità di questi minerali: industrialmente essa è stata tentata, per es. più volte dalla leucite, ma sempre con scarsi risultati. Di maggior interesse industriale sono i giacimenti di sali potassici di Stassfurt (Germania), del Saskatchewan (Canada), della Polonia, Gran Bretagna, Spagna ecc., derivati da antichi, grandi bacini marini salati che evaporando hanno lasciato depositare i sali presenti: questi durante le successive epoche geologiche sono stati poi ricoperti da strati rocciosi diversi. Questi giacimenti contengono sali di p. solubili in acqua (cloruro e solfato) sotto forma di miscele (silvinite, NaCl+KCl), di sali doppi o tripli (carnallite, KCl•MgCl2•6H2O; cainite, KCl•MgSO4•3H2O; langbeinite, K2SO4•2 MgSO4 ecc.).
Poiché questi minerali potassici sono spesso accompagnati da prodotti estranei (argilla, sabbia ecc.), all’atto dell’estrazione si cerca di far subire loro un arricchimento allontanando parte dei composti estranei per separazione elettrostatica, mediante liquidi pesanti, per flottazione ecc. La separazione del composto potassico dai sali misti si basa sulla diversa solubilità o precipitazione in acqua, o meglio in soluzioni saline, dei diversi componenti alle varie temperature. Nel caso della solvinite, si tratta il minerale, arricchito e frantumato, con una sufficiente quantità di acqua madre di una operazione precedente, riscaldata a circa 90-100 °C, la quale essendo quasi satura di NaCl ma non di KCl, scioglie pochissimo NaCl e molto KCl. Dal trattamento si ottiene così un residuo formato da cloruro di sodio quasi puro e una soluzione calda satura di cloruro di sodio e quasi satura di cloruro di p.; questa per raffreddamento lascia cristallizzare cloruro di p. accompagnato solo da pochissimo cloruro di sodio, data la modesta variazione di solubilità di questo sale con la temperatura. La soluzione che resta è utilizzata, dopo essere stata riscaldata, per trattare altro minerale. In molti casi si opera la separazione del KCl dal NaCl per flottazione (➔), aggiungendo al materiale macinato un’ammina alifatica che rende idrofoba la superficie del sale di potassio. I minerali del tipo carnallite vengono trattati a caldo con soluzione di ricircolo, non satura di KCl, capace di sciogliere praticamente solo MgCl2 lasciando indisciolta la gran parte del cloruro di p., che si separa abbastanza puro. La soluzione si può raffreddare (o concentrare e raffreddare); si ottiene la separazione di una carnallite artificiale, che viene a sua volta decomposta trattandola con soluzione contenente cloruro di p., in maniera analoga a quanto detto, ma a temperatura ambiente; si ottiene un nuovo residuo di cloruro di p. e una soluzione che ritorna in ciclo.
In Sicilia sono disponibili depositi di sali potassici di buona consistenza; il principale minerale potassico presente è la cainite. Il minerale è prima arricchito per flottazione, poi è trattato con una soluzione di ricircolo ricca di solfato di magnesio che lo trasforma in schoenite (K2SO4•MgSO4•6H2O), che precipita; questa è separata dalla sospensione e lavata con acqua calda; mentre il solfato di magnesio passa per gran parte in soluzione (e questa ritorna in ciclo per trattare nuova cainite), rimane un residuo formato sostanzialmente da solfato di p. che, essiccato, costituisce il prodotto finito. Dall’acqua madre della precipitazione della schoenite si recupera il p. presente precipitando, per aggiunta di gesso, sotto forma di sale doppio (singenite), dal quale si può asportare il solfato potassico presente per liscivazione con acqua calda. In California e nello Utah, si hanno laghi salati nelle cui acque è presente il 3-5% di KCl, insieme a numerosi altri sali. Queste soluzioni vengono lavorate in modo da ricavare diversi componenti (cloruro di p., borace, solfato sodico, carbonato sodico ecc.). Anche dalle acque del Mar Morto, che contiene negli strati superiori circa 240 g/l di sali e in profondità anche 300-325 g/l, si può recuperare il cloruro di p. presente (1,5 g/l ca.). Fonti minori di sali potassici sono rappresentate da diversi sottoprodotti agricoli (ceneri di vegetali, melassi di barbabietola, tartaro delle botti ecc.), che hanno interesse secondario anche se talora vengono usati per ricavarne i sali di p. presenti.
Nell’organismo il p. si può trovare legato alle proteine oppure allo stato di sale (specie come cloruro). Grazie a meccanismi di trasporto specifici (➔ pompa), il p. passa rapidamente, in forma ionica, dal plasma e dall’ambiente extracellulare nelle cellule; esso è quindi uno ione a carattere prevalentemente intracellulare (a differenza del sodio, soprattutto extracellulare). Il p. partecipa alla regolazione degli scambi idrici tra cellule e liquidi interstiziali e tra questi e plasma; inoltre la costanza del rapporto ionico (Na++K+)/Ca++ è una delle condizioni essenziali per un normale svolgimento di alcune attività vitali, tra cui la contrazione delle fibre muscolari.
La concentrazione dello ione p. nel sangue (potassiemia) normalmente nell’uomo è compresa fra 3,5 e 5,5 milliequivalenti/litro. Il suo aumento (iperpotassiemia) e la diminuzione (ipopotassiemia) assumono talora notevole significato clinico. La concentrazione dello ione p. nelle urine (potassiuria) è variabile con l’alimentazione, alcune patologie e l’assunzione di alcuni diuretici.
L’isotopo radioattivo naturale del p. subisce un duplice decadimento: per l’89% gli atomi di 40K si trasformano in 40Ca per decadimento β–; per il restante 11% gli atomi di 40K si trasformano in 40Ar per cattura elettronica. Dalla misura di quest’ultimo decadimento, ottenibile con speciali apparecchiature, è quindi possibile risalire al contenuto totale di p. corporeo; con successivi calcoli, essendo il p. uno ione intracellulare, di cui è noto il contenuto nei vari compartimenti o sistemi dell’organismo, si può giungere a valutare lo stato di nutrizione dell’organismo. Il processo di decadimento del 40K in 40Ar è anche utilizzato nelle scienze della Terra come misura del tempo geologico sulla base del rapporto 40K /40Ar.