(lat. Iuppiter, Iupiter, Iovis)
La divinità suprema della religione romana dalla latinità primitiva alla fine del paganesimo, corrispondente allo Zeus greco, dal quale tuttavia si differenzia per alcuni caratteri.
Il nome Iuppiter risale direttamente, con tutti i paralleli italici, all’onomastica indoeuropea, nella quale ha il senso proprio di «cielo»: sarebbe quindi il numen del cielo, privo di una personalità definita, la cui sperimentabilità si disperdeva in una successione ininterrotta di singole manifestazioni: per es. lo Iuppiter Lapis, associato alla pietra usata dai feziali (➔ feziale), sarebbe stato originariamente non più che la pietra ritenuta materializzazione di un fulmine; Iuppiter Feretrius sarebbe stato la quercia che era oggetto di culto sul Campidoglio (la quercia è strettamente associata alle manifestazioni del cielo temporalesco) ecc.
Il processo di personalizzazione di G. si sarebbe svolto molto lentamente, giungendo a maturazione soltanto con la fondazione del culto capitolino (509 a.C.), nel quale il dio figura a capo della triade comprendente Giunone e Minerva. La tradizione letteraria ha conservato una serie di testimonianze nelle quali il G. precapitolino è sistematicamente associato a Marte e Quirino in una triade divina posta al vertice del pantheon romano. La triade, alla quale è generalmente riconosciuta un’alta antichità, è stata comunque ritenuta dai più come il risultato di un ‘sinecismo religioso’: Quirino, originariamente divinità sabina o, se non sabina, divinità locale della comunità installata sul Quirinale, sarebbe stato associato a Marte e G. venerati sul Palatino; ma contro la teoria della triade precapitolina come formazione d’età storica sta il fatto incontestabile della presenza nella religione degli Umbri, quale è testimoniata dalle Tabulae Iguvinae, di una triade di divinità superiori costituita da un G. e da un Marte umbri e da una terza divinità, Vofionus, la cui etimologia più probabile (da *loudhiō-no-/leudhiō-no- su base *leudh «gente»: cfr. ted. Leute) ne fa l’esatto parallelo di Quirino (da *Co-uir-ino-) quale divinità del ‘popolo’ nella sua globalità. L’esistenza delle due triadi, romana e umbra, escludendosi come impensabile la trasmissione, fa retrocedere la loro costituzione a un’età anteriore all’insediamento delle rispettive comunità nelle loro sedi storiche.
Nella figura complessa di G. l’imponenza della sua connessione con la sfera celeste è attestata da una vasta serie di attributi (Iuppiter Caelestis, Serenus, Lucetius, Pluvialis, Tempestas, Fulgur, Fulgurator, Fulmen, Fulminator, Tonans, Tonitrator ecc.); in quanto divinità celeste, il suo culto era celebrato sulle vette dei monti e dei colli: a Roma sull’Esquilino (Iuppiter Fagutalis), sul Celio (Iuppiter Caelius), sul Viminale (Iuppiter Viminius), sul Campidoglio, e, fuori dell’Urbe, sulla vetta del Mons Albanus, dove era celebrata annualmente l’antichissima festa di tutte le comunità latine (feriae latinae) in onore di Iuppiter Latiaris. Antichissimo e strettissimo era il legame di G. con le idi, feriae Iovis; in ;questo giorno il flamen dialis gli sacrificava in Campidoglio un agnello bianco portato in processione solenne lungo la Via Sacra.
Al G. signore dei fenomeni meteorici sono stati ricondotti generalmente alcuni fatti che lo pongono in connessione con la sfera della vita agraria, e in questo nesso, cui farebbero pensare anche epiteti quali Almus, Pecunia, Frugifer, Farreus, è rappresentato anche da concreti fatti festivi: in autunno e a primavera gli agricoltori offrivano un festino (daps) a Iuppiter Dapalis. Apparentemente, nella sfera agraria ricondurrebbero a G. le grandi feste connesse con il vino a lui dedicate: Vinalia rustica (19 agosto), Meditrinalia (11 ottobre) e Vinalia priora (23 aprile), generalmente poste in blocco dagli autori moderni sotto il segno dell’influenza che il ‘dio del cielo’ esercita sulla vita della campagna; a questa interpretazione è opposto l’argomento fondamentale dell’incongruenza tra una divinità promotrice della vita delle piante in virtù del suo potere atmosferico e la sua limitazione cultuale a un solo aspetto, quello relativo alla vite. Sia che questo rapporto tra G. e il vino vada indagato in una sfera di rapporti del dio con il mondo infero, sia che nel vino si debba vedere un corrispondente, in quanto bevanda inebriante, del soma vedico e dell’idromele degli antichi Germani (legati ambedue a divinità non ‘agrarie’, rispettivamente Indra e Odino), le cerimonie che rendono presente il rapporto stesso riportano sempre nell’ambito dell’offerta come ‘dono’ a una grande divinità, al di fuori della sfera speciale degli interessi agrari.
Complessivamente, i dati utili alla ricostruzione della figura precapitolina di G. portano ad abbandonare gli schemi di un naturismo meccanico: il dio in realtà si presenta essenzialmente, e questo dalle origini fino all’età imperiale, come divinità ‘sovrana’, custode e garante dell’ordine del mondo e della società: fin dai primi tempi a lui erano sacre le nundinae, i giorni di mercato (la flaminica dialis gli sacrificava un montone) nei quali si svolgevano trattative e si stabilivano patti nei rapporti tra la città e gli abitanti della campagna che andavano al di là della sfera puramente commerciale. Come garante dei patti dei trattati era chiamato a testimone (Iuppiter Feretrius) dai feziali nei rapporti relativi alla pace e alla guerra con città e popoli stranieri, e dal suo flamine nella celebrazione del matrimonio per confarreatio; il suo stesso rapporto con la guerra si attua in una sfera che sta al di sopra della guerra tecnicamente intesa (➔ Marte) e con modalità sensibilmente differenti da quelle con cui si esercita la connessione tra questa e divinità propriamente ‘guerriere’ (➔ Statore), e che ci riportano alla sfera di un operare magico e miracoloso che è proprio delle grandi divinità sovrane dei popoli indoeuropei. Forse in questo aspetto di ‘sovrano assoluto’ vanno ricercati i suoi non dubbi rapporti anche con la sfera oscura del cosmo. Con la fondazione del tempio capitolino la sovranità dello Iuppiter arcaico, ormai dissociato da Marte e Quirino, riceve la sua sanzione definitiva negli attributi di Optimus e Maximus; al suo culto sono associate Giunone e Minerva per ragioni che restano tuttora assolutamente oscure.
L’iconografia antropomorfica del dio si fa risalire al periodo della costruzione del suo nuovo tempio. Senza naturalmente pensare che solo con la rappresentazione plastica di G. sia cominciata la sua concezione antropomorfica, è però presumibile che a partire da questo momento abbia preso inizio nella coscienza religiosa dei Romani un processo di graduale identificazione con Zeus, senza che si possa comunque parlare di una grecizzazione di G., fatto semmai molto tardivo e limitato sempre al piano della letteratura.
In presenza di Iuppiter Optimus Maximus si svolgevano le cerimonie salienti della vita della comunità romana, dall’assunzione della toga virile da parte dei giovani all’inaugurazione dei singoli consolati, alla deliberazione circa la guerra e la pace, al trionfo; in suo onore si tenevano i ludi romani, derivanti dai ludi magni dei quali si attribuiva la fondazione a Tarquinio Prisco. In età imperiale le divinità supreme maschili in genere e quelle di natura celeste in particolare, che erano alla testa del pantheon delle città e delle nazioni incluse nel dominio romano, furono per la maggior parte identificate con Iuppiter Optimus Maximus con attributi di conio latino che ne conservavano l’originalità etnica (per es. Heliopolitanus, Damascenus, Dolichenus ecc.) o con l’antico nome che seguiva immediatamente (Iuppiter Hammon, Sabazius, Serapis).
Il maggiore dei nove pianeti principali del sistema solare e il quinto in ordine di distanza dal Sole. È noto fin dall’antichità, essendo (insieme a Mercurio, Venere, Marte e Saturno) uno dei cinque pianeti visibili a occhio nudo.
La sua orbita ellittica ha il semiasse maggiore di 778 milioni di km (5,20 U.A.) e una eccentricità ε=0,0484. Nel corso dell’anno, la sua distanza dalla Terra varia tra 584 e 962 milioni di km e, di conseguenza, variano anche la sua magnitudine apparente (da −2,5 a −1,4) e il suo diametro angolare (da 50″ a 31″). Il periodo del suo moto di rivoluzione intorno al Sole è 11,86 anni. Ha un diametro di 142.984 km (11,2 volte quello della Terra), una massa di 1,90∙1027 kg (318 volte quella della Terra) e una densità di 1,3 g/cm3 (circa 1/4 di quella della Terra). Le dimensioni di G. sono quasi le massime possibili per un pianeta. I modelli teorici indicano, infatti, che un corpo di massa un po’ maggiore di quella di G. si contrarrebbe di più, per effetto del proprio campo gravitazionale, finendo così col diventare più piccolo. Se poi la massa fosse ancora più grande (70 o 80 volte quella di G.), il riscaldamento, prodotto dalla contrazione gravitazionale, porterebbe il nucleo a temperature di qualche milione di gradi, sufficienti per innescare la fusione nucleare dell’idrogeno: il corpo, allora, diverrebbe una stella. L’enorme massa di G. fa sì che l’accelerazione di gravità sulla sua superficie sia ∼25 m/s2 (2,5 volte quella sulla Terra) e che la velocità di fuga sia ∼60 km/s (5,5 volte quella terrestre). Una velocità di fuga così elevata (la maggiore fra quelle di tutti i corpi del sistema solare, eccettuato il Sole) ha avuto una decisiva importanza nell’evoluzione del pianeta, in quanto ha impedito che quantità significative dei gas più leggeri (idrogeno, elio) sfuggissero alla sua attrazione gravitazionale. G., pertanto, dovrebbe avere oggi la stessa composizione chimica che aveva all’epoca della sua formazione (circa 4,6 miliardi di anni fa).
Molte delle attuali conoscenze sul pianeta si basano sui dati raccolti dalle sonde: Pioneer 10 e 11 (che lo hanno incontrato rispettivamente nel dicembre del 1973 e nel dicembre del 1974); Voyager 1 e 2 (che lo hanno incontrato nel marzo e nel luglio del 1979); Galileo (che ha orbitato attorno al pianeta dal 1995 al 2003); Ulysses (lanciata nel 1990, ha incontrato G. nel febbraio 1992); Cassini (lanciata nel 1997, ha incontrato G. nel dicembre 2000);Juno (lanciata nel 2011, ha incontrato G. nel luglio 2016); Juice, lanciata nell'aprile 2023 dal lanciatore Ariane 5 nel quadro del programma di esplorazione planetaria Cosmic Vision 2015-2025 dell'Agenzia spaziale europea, il cui obiettivo sono le tre lune ghiacciate di Giove (Ganimede, Europa e Callisto).
G. irraggia nello spazio, sotto forma di radiazione infrarossa, circa il doppio dell’energia che riceve dal Sole. Le osservazioni hanno infatti mostrato che l’emissione termica del pianeta è ∼4∙1017 W, mentre l’energia solare che esso assorbe ogni secondo è soltanto ∼2∙1017 W. Dunque G. è più caldo di quanto ci si aspetterebbe se esso fosse riscaldato unicamente dal Sole (la sua temperatura superficiale media è ∼127 K, invece che ∼107 K). Poiché nel suo interno certamente non hanno luogo reazioni termonucleari, bisogna pensare che G. sia riscaldato dall’energia gravitazionale liberata nella contrazione. Non è chiaro, però, se G. stia semplicemente irraggiando il calore immagazzinato nella fase di contrazione originaria, che ebbe luogo all’epoca della sua formazione, o se esso si stia contraendo tuttora. In quest’ultimo caso, si tratterebbe comunque di un processo lentissimo (il diametro del pianeta diminuirebbe di non più di 1 mm all’anno).
G. ha una densità (1,3 g/cm3) assai minore di quella dei pianeti interni e quasi identica a quella del Sole. Ciò suggerisce che esso sia costituito essenzialmente da idrogeno ed elio, pressappoco nelle stesse proporzioni in cui questi due elementi compongono il Sole. Gli elementi più pesanti (ossigeno, carbonio, silicio ecc.) rappresenterebbero il 2% della massa del pianeta. La struttura interna, schematizzata in fig. 1, si desume, oltre che dalla densità, da altre caratteristiche del pianeta: per es., la forma, la composizione chimica dell’atmosfera, l’andamento del campo gravitazionale nello spazio a esso circostante. Al di sotto di una densa atmosfera, spessa un migliaio di km, ci sarebbe uno strato di idrogeno (nel suo usuale stato molecolare H2) ed elio liquidi. Al crescere della profondità e, conseguentemente, della pressione, l’idrogeno, pur rimanendo liquido, viene ionizzato e si comporta quindi come un conduttore (idrogeno metallico). Il passaggio dell’idrogeno dallo stato molecolare allo stato metallico può collocarsi a profondità dell’ordine di 20.000 km. Scendendo ancora verso il centro del pianeta, si incontra un nucleo formato da ghiaccio e materiali rocciosi. Va notato che qui i termini ‘ghiaccio’ e ‘roccia’ sono usati in un senso lato, per indicare composti, allo stato solido, contenenti, oltre all’idrogeno, silicio, ossigeno, carbonio, azoto e metalli (come il ferro e il nichel). Nel nucleo, avente un raggio di 10.000 o 15.000 km, si raggiungerebbero temperature di ∼25.000 K e pressioni dell’ordine di circa 50 milioni di bar.
Le sonde Pioneer e Voyager hanno permesso di stabilire che l’atmosfera di G. è costituita quasi per intero da idrogeno (88-89% in volume) ed elio (11-12%). Gli altri elementi, come il carbonio e l’azoto, non si trovano allo stato libero, ma quasi esclusivamente in combinazione con l’idrogeno. I gas più abbondanti, dopo l’idrogeno e l’elio, sono il metano (1-2 parti per mille), l’ammoniaca (∼2 parti per diecimila) e il vapor acqueo (meno di 1 parte per diecimila).
L’aspetto più caratteristico della superficie di G., osservabile dalla Terra anche con un modesto telescopio, è l’alternarsi di bande chiare (le cosiddette zone) e scure (le fasce), disposte parallelamente all’equatore. Le zone sono grigiastre, mentre le fasce sono variamente colorate, con un prevalere di toni rossicci e bruni. La natura di queste strisce è stata chiarita grazie, soprattutto, ai dati raccolti dalle sonde Pioneer e Voyager. La ‘superficie’ visibile del pianeta è, in realtà, una fitta coltre di nubi che si addensa nell’alta atmosfera. Le zone e le fasce sono originate dai moti convettivi dei gas atmosferici. Le zone chiare corrispondono a materiale, proveniente dal basso, che si raffredda negli strati più alti dell’atmosfera, condensandosi in nuvole. Le fasce scure corrispondono invece a correnti discendenti. Le nubi delle zone e quelle delle fasce, avendo colori diversi, hanno una composizione chimica differente. Le prime sono quasi certamente formate da cristalli di ammoniaca. Le seconde potrebbero contenere anche composti a base di zolfo e fosforo. In aggiunta ai moti verticali, nell’atmosfera di G. vengono osservati forti venti orizzontali con velocità che possono superare i 300 km/h: questi soffiano in direzioni opposte nelle zone e nelle fasce.
Nelle fasce, e ancor più ai confini fra queste e le zone, si individuano numerose strutture di tipo vorticoso, simili alle aree cicloniche e anticicloniche dell’atmosfera terrestre. La più estesa di queste strutture è la «grande macchia rossa», una macchia rossastra, larga ∼14.000 km e lunga ∼30.000 km. Si tratta di un immenso vortice, in cui i gas ruotano in senso antiorario (trovandosi nell’emisfero sud del pianeta, essa corrisponde dunque a un anticiclone terrestre, cioè a un’area di alta pressione). La sua caratteristica più sorprendente è l’estrema stabilità: essa infatti, pur mutando di dimensioni, è stata osservata con continuità per oltre 300 anni, dall’epoca della sua scoperta (per opera di G.D. Cassini nel 1664) fino a oggi.
I vortici di dimensioni minori, pur avendo durata più breve, sono comunque di gran lunga più longevi delle corrispondenti strutture terrestri. La longevità delle aree cicloniche e anticicloniche gioviane e, più in generale, le profonde differenze che esistono fra i fenomeni meteorologici su G. e sulla Terra, vengono attribuite soprattutto alla diversa velocità di rotazione dei due pianeti (G. ruota su sé stesso molto più velocemente della Terra: il periodo di rotazione intorno al piano equatoriale è di 9h50m30s mentre alle alte latitudini vale 9h55m41s; l’asse di rotazione è quasi perpendicolare al piano dell’orbita, sicché sul pianeta non vi sono, in pratica, stagioni; il rapido moto di rotazione produce un notevole schiacciamento polare; si ha infatti (Re−Rp)/Re∼1/16, dove Re e Rp sono rispettivamente il raggio equatoriale e il raggio polare del pianeta) e al fatto che G. non possiede una superficie solida (questa, infatti, sulla Terra, contribuisce fortemente a smorzare gli uragani).
L’andamento della pressione e della temperatura dell’atmosfera gioviana, in funzione dell’altitudine, è indicato in fig. 2, insieme alla presumibile distribuzione dei vari tipi di possibili nubi: i dati sono dedotti in base all’attenuazione dei segnali radio delle sonde spaziali durante la fase di occultazione dietro al disco del pianeta. Partendo dal livello ‘0’ (cioè la massima profondità che può essere sondata con il metodo delle occultazioni), la temperatura diminuisce con l’altezza, raggiungendo un minimo di ∼100 K, e poi aumenta nuovamente verso l’esterno. Si distinguono dunque due strati nell’atmosfera (che vengono chiamati troposfera e mesosfera) separati da una superficie di inversione termica (tropopausa). Fra la struttura delle atmosfere di G. e della Terra vi è dunque un’analogia, che risulta sorprendente, data la loro diversissima composizione chimica. Si pensa che il ruolo dell’ozono, che nell’atmosfera terrestre determina l’inversione termica a quote di ∼11 km, sia giocato, nell’atmosfera gioviana, dalle molecole di idrocarburi, come l’etano e l’acetilene, che sono buoni assorbitori della radiazione ultravioletta solare.
Si conoscono più di 60 satelliti di G., alcuni dei quali di dimensioni molto piccole (diametro di pochi chilometri) e simili agli asteroidi. Fino al 1980 ne erano noti 16, con diametro massimo compreso fra 10 e circa 5300 km. I quattro maggiori, con diametro massimo compreso fra circa 3100 e circa 5300 km, molto più grandi e più splendenti degli altri, furono scoperti da Galileo (1610) e da lui chiamati, in onore dei Medici, pianeti medicei, mentre ora vengono designati come satelliti galileiani; essi hanno, in ordine di distanza da G., i nomi: Io, Europa, Ganimede, Callisto. Le orbite dei tre satelliti più interni sono spaziate in modo tale che il periodo di rivoluzione di Europa è doppio di quello di Io, mentre il periodo di Ganimede è, a sua volta, doppio di quello di Europa. È stato dimostrato che non si tratta di una coincidenza casuale, ma di un fenomeno di accoppiamento (o risonanza) gravitazionale, prodotto dalle forze di marea che agiscono fra questi corpi: se il periodo di rivoluzione di uno dei tre satelliti dovesse cambiare, gli altri due modificherebbero i loro periodi fino a riportare il sistema nella situazione di equilibrio iniziale. Si è anche notato che i tre satelliti si muovono sulle rispettive orbite in modo che le loro longitudini soddisfino sempre la relazione: λIo−3λEuropa+2λGanimede=180° (che implica, per es., che i satelliti non possano mai trovarsi tutti e tre allineati dalla stessa parte di G.). Questa relazione è nota come risonanza di Laplace, dal nome del matematico francese che per primo riuscì a spiegarla (➔ Laplace, Pierre-Simon de).
All’interno delle orbite dei satelliti galileiani, vi sono altri quattro piccoli satelliti (Metis, Adrastea, Amaltea e Thebe), tre dei quali scoperti nel 1979 dalle sonde Voyager. Oltre le orbite dei satelliti galileiani, vi sono gli altri otto satelliti: i quattro più interni di essi (Leda, Himalia, Lisitea ed Elara) percorrono le loro orbite nel senso diretto; i quattro più esterni (Ananke, Carme, Pasife e Sinope) le percorrono, invece, in senso retrogrado. Ciò fa pensare che questi ultimi siano asteroidi, catturati dal campo gravitazionale di G. (➔ satellite). Infine G. possiede anelli, molto più ‘tenui’ di quelli di Saturno e di Urano, scoperti dai Voyager nel 1979 (➔ pianeta).