Nome (d’incerto significato etimologico) sotto il quale si comprendono tutte quelle numerose e varie popolazioni che, prima partecipanti alla comunità linguistica indoeuropea, si staccarono poi a formare una massa omogenea e che almeno dal 3° millennio a.C. occupavano la Scandinavia meridionale e le altre regioni intorno al Mar Baltico occidentale fino alla Vistola e le coste orientali del Mare del Nord; a S giungevano al Harz. Da quest’area i G. migrarono progressivamente verso O, S ed E.
Entro l’unità etnico-linguistica dei G. si sogliono distinguere due gruppi principali, costituiti rispettivamente dai G. meridionali (o continentali) e dai G. nordici (o insulari o Scandinavi).
Nel 2° sec. a.C. i Bastarni e gli Sciri si spinsero fin sul Danubio e nel secolo successivo i Cimbri, i Teutoni e gli Ambroni mossero verso l’Europa occidentale, ma furono sconfitti nel 102 e 101 da Mario. Trent’anni dopo tribù suebiche comandate da Ariovisto passarono il Reno e penetrarono in Gallia, ma contro di esse intervenne Cesare che le costrinse a ripassare il fiume (58 a.C.), elevato a confine tra i G. e Roma. Nel 1° sec. a.C. i Suebi si stabilirono nelle terre tra l’Elba, il Meno e la Selva Ercinia. Da essi si distaccarono i Marcomanni che, oltrepassato il Meno, fissarono la loro dimora nella zona fra il Reno e il Danubio superiore, donde successivamente penetrarono in Boemia. Nel 2° sec. d.C. gli stessi Suebi, alleati con i Quadi dimoranti in Moravia, migrarono in parte in Pannonia. Lo spostamento dei Suebi aveva spinto oltre il Reno gli Usipeti e i Tencteri. Nella Germania settentrionale, a O dell’Elba, e tra questo fiume, il Weser superiore e il Harz abitavano i Cherusci. Tra l’Elba e l’Ems, lungo la costa stanziavano i Cauci e gli Amsivari, all’interno i Casuari. Ancora più a O i Frisi. Fra Mosa e Reno stavano i Batavi, tribù dei Catti. I Longobardi, forse oriundi della Svezia meridionale, agli inizi del 1° sec. avevano le loro sedi sull’Elba inferiore, ma in seguito emigrarono in Pannonia, donde nel 568 scesero in Italia. Dal Holstein, nel 5° sec., gli Angli sbarcarono in Britannia. I Sassoni in origine erano stanziati sulla riva destra dell’Elba inferiore. Tra i G. orientali si ricordano i Vandali, provenienti dallo Jütland e stabilitisi quindi sull’Oder, donde nel 5° sec. si diressero nella Gallia, poi nella Spagna e infine in Africa. A N della Vistola stavano i Burgundi, che cacciati dai Gepidi presero dimora sul medio Reno, e poi, spinti dagli Unni, nell’odierna Borgogna. Dalla Scandinavia i Goti passarono alle foci della Vistola, poi si diressero verso SE e si stabilirono sulla costa settentrionale del Mar Nero e nella Transilvania; si divisero in Visigoti e Ostrogoti, i primi a O dello Dnestr, gli altri a E. Della famiglia dei Goti fecero parte anche i Gepidi, fissatisi in Dacia, dove costituirono un regno distrutto nel 567 dai Longobardi e dagli Avari.
I popoli germanici orientali, venuti a contatto con la civiltà romana, costituirono più saldi raggruppamenti etnici: in Alsazia e nel Palatinato si fissarono gli Alamanni, sul Reno inferiore i Franchi, nel centro della Germania i Sassoni. Per quanto riguarda le relazioni tra Romani e G., la linea del Reno fu spostata successivamente da Basilea fino al Danubio. Dal 3° sec. in poi G. e Romani si fronteggiarono ininterrottamente sul Reno e sul Danubio e le lotte contro Alamanni, Franchi, Goti e altre stirpi germaniche furono continue. Con alterna fortuna gli imperatori si sforzarono di mantenere l’unità dello Stato, ma le precarie condizioni economiche e il decadimento politico-sociale li obbligarono a ricorrere, quali mercenari, agli stessi G., che ben presto si tramutarono in federati e alleati di pari grado. L’ondata germanica premeva contro il barcollante edificio dell’Impero. Con il sacco di Roma, nel 410, per opera dei Goti di Alarico, iniziò il periodo terminale del crollo dell’Impero, e assai prima della formale deposizione di Romolo Augustolo l’autorità e la sovranità di Roma avevano cessato di esistere.
La religione degli antichi G. rispecchia l’articolazione piuttosto complessa che caratterizza la loro vicenda etnica. Per i G. continentali, le testimonianze sono prevalentemente latine (letterarie ed epigrafiche), dall’età classica all’età medievale, mentre per i G. nordici la documentazione si accentra attorno a una tradizione di lingua germanica che fa capo all’Edda, quella detta ‘poetica’, che raccoglie canti di varia epoca, e quella composta in prosa da Snorri Sturluson (13° sec.), che, sebbene molto tarda, conserva un vasto patrimonio religioso originario e autentico.
Nel quadro complessivo si presentano linee di una religione politeistica in cui si individuano figure divine, alcune delle quali decisamente collegabili con divinità di altri popoli indoeuropei. Quale divinità suprema appare Wodan (Odin). Depositario di una sovranità totale sorretta dalla magia, della quale è ‘padre’, conoscitore delle rune, arbitro delle sorti della battaglia, strettamente legato al mondo dei morti; Tacito lo presenta, in interpretatio romana, come Mercurio e, almeno sul piano cultuale, come divinità suprema, ma gli affianca un Mars quale grande divinità, quando altrove non lascia apparire lo stesso Mars come dio preminente; il Mars di Tacito è il germanico Tiv-Tiu-Ziu, scandinavo Tyr, il cui nome ha la stessa base del vedico Dyaus, di Zeus e di Iuppiter, cioè dell’antica divinità indoeuropea del cielo. Nella rassegna tacitiana delle divinità germaniche continentali abbiamo poi un Hercules, nel quale non è difficile ravvisare il Donar-Thor pangermanico (da Thunraz), che è il dio della guerra combattuta con la forza, il baluardo del mondo degli dei contro i giganti; il suo invincibile martello Miöllnir è la folgore che sta alla base del nome del dio, lasciando intravedere un’affinità con il vedico Indra. Con Odin-Wodan, Tiu-Tyr e altre divinità, Donar-Thor costituisce il mondo degli dei Asi cui è complementare e solidale, sia pure a quanto sembra in maniera subordinata, il mondo degli dei Vani, i principali dei quali sono tra i G. settentrionali Njörd, Freyr e Freya, divinità collegate con la fertilità, la ricchezza, la pace, l’amore, il piacere. Le differenze che intercorrono fra gli Asi e i Vani e la loro contemporanea solidarietà nella distribuzione e nell’esercizio del potere si incentrano su una tradizione mitologica e leggendaria relativa a un’antica guerra tra i due gruppi, dopo la quale si ebbe l’integrazione e l’istituzione di un cosmo divino definito. Del Njörd scandinavo è visibile uno stretto collegamento con il mondo marino come ambiente della navigazione e della pesca, attività datrici di ricchezza; è padre di Freyr.
La triade Odin, Thor, e, insieme, Njörd e Freyr, oppure Freyr o Freya ricorre a rappresentare schematicamente la totalità del mondo divino nella religione dei G. settentrionali sia sul piano del grande culto pubblico (triade del tempio di Uppsala) sia nella pratica quotidiana (formula di scongiuro) sia nella mitologia. Questo cosmo divino presiede alla sicurezza del mondo; esso si raccoglie in Asgard, ‘dimora degli Asi’, sovrastando direttamente Midgard, ‘la dimora del centro’ in cui i G. si consideravano insediati; ma questa unità solidale e ‘centrale’ di mondo divino e mondo umano trova il suo limite in una serie di mondi e di realtà ‘periferiche’ che ne mettono in costante pericolo la stabilità; avversari abituali degli dei sono i giganti, personificazione della realtà bruta delle origini. Accanto ai giganti appare organizzato in una sfera-limite il mondo di Hel, nel quale si raccoglie la grande massa dei morti, amorfa e spersonalizzata, dalla quale sono invece separati, secondo alcune tradizioni, i guerrieri caduti in battaglia che vanno a far parte del mondo di Odin.
Entro la sfera stessa dell’uomo vive comunque tutto un vario mondo animistico, costituito da spiriti, elfi, anime di morti non separate dai viventi (draugr), geni dei boschi, delle acque, diversamente atteggiati nei riguardi dell’uomo. È attestata anche la nozione di una forza magica impersonale (hamingja), che talora sembra configurarsi in un’individualità precisa di spirito protettore; talora può essere rivolta a conseguire il danno altrui. Nell’ambito delle credenze animistiche, agli spiriti degli alberi si facevano offerte e sacrifici, accompagnati da canti e danze. Certi alberi furono poi messi in relazione con gli dei e intorno ad alberi sorsero miti. Oltre ad alberi singoli anche boschi interi erano venerati come sacri. Particolare potenza era attribuita alla terra, la Terra madre. Di qui, riti e pratiche magiche: la fratellanza del sangue, le pietre fallomorfe della Scandinavia, l’amplesso sul campo in primavera, la deposizione sulla nuda terra dei neonati, i pani a forma di vulva, le uova deposte nei solchi. Al fuoco era attribuita una speciale funzione profilattica contro demoni e spiriti maligni. Il fuoco è anche un sostituto del sole; e al sole si riferiscono, al fine di influenzarlo, operazioni magiche tuttora praticate (fuochi sulle cime dei monti, ruote infuocate precipitate a valle).
Largamente attestato è l’uso di sacrifici cruenti, anche umani (schiavi o prigionieri di guerra), sin dopo il Mille. Le pratiche funerarie comprendevano l’inumazione, alla quale si affiancò alla metà del 2° millennio a.C. l’incinerazione: i due sistemi continuarono a praticarsi sino a tutto il 1° millennio d.C., sia pure con prevalenza dell’inumazione per influsso romano e poi cristiano.
La concezione del mondo come ordine, cui fa da limite e da resistenza il caos delle origini, e che è conservato solo mediante un’ininterrotta serie di lotte cosmiche, è comune ad altri popoli indoeuropei e non indoeuropei; ma presso i G. presenta alcuni aspetti relativi all’origine e alla fine del mondo che non sono caratteristici della generalità delle mitologie antiche: la concezione dell’origine del mondo attuale dallo smembramento di un essere gigantesco primordiale (Ymir) per opera delle prime divinità trova riscontri relativamente lontani (nell’India e nella Cina antiche) e l’idea stessa di una fine del mondo è estranea alle genti indoeuropee, tanto che alcuni hanno pensato a influenze cristiane (➔ Crepuscolo degli dei).
Le notizie sul diritto più antico dei popoli germanici si riducono alle scarse informazioni che ne danno Cesare e la Germania di Tacito e alle più vetuste tra le leggi germaniche che ci sono pervenute. La primitiva costituzione germanica poggiava sull’unione di vaste tribù di uomini liberi, che decidevano in assemblea gli interessi comuni, sotto la guida di capi liberamente eletti. Uomo libero era l’uomo adatto a portare le armi. Le tribù erano divise nei gruppi familiari, con un capo, che aveva un potere assoluto, detto mundio, che si esercitava sulla moglie, sui figli, sui dipendenti, sui servi. Alcune famiglie si distinguevano per privilegi religiosi o politici, costituendo una specie di nobiltà (adalingi), dalla quale si sceglievano più spesso i capi. Tra i liberi e i servi era poi uno strato intermedio di liberti o semiliberi, aldi o liti.
Ai tempi di Cesare non pare che i G. conoscessero una proprietà privata, né un godimento individuale del suolo: appezzamenti di terra erano assegnati ai gruppi familiari, che li coltivavano e, dopo il raccolto, li abbandonavano (non conoscendo colture intensive) e si spostavano altrove. All’epoca di Tacito, questa fase primitiva appare superata: le tribù avevano ormai stabili sedi, la proprietà privata delle terre, prima per famiglie, poi anche, in seguito a divisioni, per individui, si era ormai affermata, pur lasciandosi all’uso comune pascoli e boschi. Unica fonte del diritto germanico primitivo era la consuetudine, non sempre differenziata dalle credenze religiose o dalle regole morali.