germaniche, popolazioni
Dall'Est e dal Nord contro Roma antica
Rudi e indomite, le popolazioni germaniche nel corso delle loro lunghissime migrazioni finirono per scontrarsi con una barriera assai difficile da oltrepassare: quella dell'Impero Romano. Finché fu possibile, Germani e Romani vissero in pace sulle rive opposte del Reno e del Danubio. Quando altri popoli cominciarono a premere da Oriente, però, il destino dell'Occidente cambiò per sempre. Con la costituzione dei regni romano-barbarici si avviò il lento processo di formazione dell'Europa dei popoli e delle nazioni
Con il nome di Germani si intendono tutte quelle varie e numerose popolazioni che in età preistorica facevano parte della grande e indistinta comunità di lingua indoeuropea e che da questa poi si staccarono per formare una massa omogenea. Già prima del 3° millennio a.C. le tribù germaniche dovevano essersi stanziate nella Scandinavia meridionale e nelle altre regioni presso il Mar Baltico e il Mare del Nord.
A seguito di migrazioni successive, molte tribù avevano finito per occupare le regioni situate a oriente del Reno e a settentrione del Danubio. Spesso confusi, nella tradizione letteraria greca e latina, con altri popoli del Nord, in particolare con i Galli, il primo scontro tra Romani e popolazioni germaniche avvenne alla fine del 2° secolo a.C., quando il grande generale Gaio Mario riuscì a sconfiggere duramente le tribù dei Cimbri e dei Teutoni che si erano spinte verso sud minacciando l'Italia settentrionale (104-101 a.C.).
Giulio Cesare fu il primo, nel suo De bello gallico ("Le guerre galliche"), a distinguere nettamente, su base antropologica, tra Galli e Germani, e fu anche il primo a tentare una politica di aggressione e di conquista nel territorio della libera Germania. Anche se l'impresa era finalizzata innanzi tutto alla difesa della Gallia appena conquistata, lo sterminio della popolazione dei Menapi, che risiedevano al di là del Reno ‒ attraversato grazie alla costruzione del primo grande ponte ‒, rimase un fatto che fece scalpore a Roma tra i contemporanei, e che ancora oggi fa discutere, perché causò un vero e proprio genocidio.
Compiuta con Cesare la definitiva conquista della Gallia (58-52 a.C.), il suo figlio adottivo, Ottaviano Augusto, accarezzò l'idea di potersi spingere oltre il Reno e di conquistare la Germania. Le sue speranze andarono deluse a seguito della terribile e imprevista disfatta subita da un suo generale, Quintilio Varo, nel 9 d.C. Nel cuore della Foresta Nera, nei pressi di Teutoburgo, le tribù germaniche comandate da Arminio ‒ capo della tribù dei Cherusci ‒ tesero una imboscata a un grande esercito imperiale composto di ben tre legioni più gli ausiliari. Nessun romano scampò all'improvviso inferno che venne scatenato, e la distruzione di quel corpo di spedizione comportò un ridimensionamento dell'esercito romano. Dopo Teutoburgo Roma non tentò più seriamente di conquistare i territori al di là del Reno, ma non cessarono i conflitti né i rapporti con le popolazioni germaniche.
I motivi che portavano i Germani, in determinati momenti, in contatto con le frontiere dell'Impero romano sono per noi in larga misura ignoti. Queste popolazioni si mettevano in moto pressate alle spalle da altri popoli, che a loro volta risentivano di ulteriori movimenti fin nell'Asia centrale. La nostra ignoranza delle situazioni storiche e politiche delle steppe eurasiatiche ci costringe a studiare la più antica storia dei Germani in rapporto al loro conflitto con l'Impero Romano, ma questa visione è estremamente parziale e insufficiente, perché non riesce a spiegare come mai, in determinati momenti, si verificarono pressioni maggiori sul confine dell'Impero. Uno dei momenti critici fu rappresentato dalla crescita di potenza del regno dei Marcomanni, che si allearono con i vicini Quadi e iniziarono a penetrare in territorio romano, fino a varcare addirittura le Alpi. Furono necessarie a Marco Aurelio due grandi spedizioni militari (166-175 e 177-180 d.C.) per porre fine alla minaccia.
I movimenti di Marcomanni e Quadi alla fine del 2° secolo furono però solamente il campanello d'allarme di un fenomeno più vasto e profondo, destinato a durare per un lungo periodo. Da allora in poi una gran quantità di popoli fino allora ignoti iniziarono a comparire con frequenza sempre maggiore: il 3° secolo sarà caratterizzato dalle incursioni di Alemanni e Iutungi, che contribuiranno a mettere sotto pressione le frontiere settentrionali proprio mentre più acuta era la crisi economica che travagliava l'Impero. Fu proprio la contemporanea presenza di questi due fattori di debolezza ‒ la crisi economica susseguente la peste sotto Marco Aurelio e la crescente pressione dei nemici esterni su tutti i confini dell'Impero (oltre ai Germani, nel 3° secolo furono particolarmente attivi anche i Sarmati lungo il Danubio e i Sasanidi lungo l'Eufrate) ‒ a imporre all'Impero Romano un lungo travaglio durato tutto il 3° secolo, seguito dalla grande riorganizzazione in un nuovo modello di Stato nel periodo tardoantico.
Nonostante il suo disperato tentativo di reazione, però, alla lunga la parte occidentale dell'Impero Romano ‒ al contrario di quella orientale ‒ finì per crollare sotto l'inarrestabile pressione delle invasioni barbariche. Fra la fine del 4° e la fine del 5° secolo, infatti, l'ondata delle popolazioni germaniche si spinse in tutte le province d'occidente, tanto che la sovranità di Roma aveva cessato di esistere assai prima della formale deposizione dell'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augustolo (476). Per i sudditi romani, infatti, altri due avvenimenti verificatisi circa settanta anni prima avevano già preannunciato la condanna dell'Impero Romano d'Occidente.
Il primo ‒ un momento decisivo per le sorti dell'Impero e della futura Europa ‒ fu la grande invasione barbarica che ebbe luogo nell'inverno dell'anno 406-407, quando in una sola notte superarono il Reno gelato Vandali, Suebi (nome latino degli Svevi) e Alani (questi ultimi non erano però una popolazione germanica, bensì iranica). Il secondo ‒ la cui importanza fu tale da suscitare un enorme sgomento nei contemporanei ‒ fu la caduta di Roma, la città eterna, a opera dei Visigoti di Alarico (410).
Del resto, sarebbe stato impossibile da parte dell'Impero opporsi con le armi alle orde barbariche, per la semplice ragione che un esercito romano non esisteva più: da tempo la difesa dello Stato era affidata agli stessi barbari, prima come mercenari e poi come federati. Si comprende bene come la cosa equivalesse ad affidare a un lupo la custodia del proprio gregge!
Con la fine dell'unità dell'Impero Romano e la costituzione dei regni romano-barbarici, nasceva la nuova Europa dei popoli e delle nazioni.
Attorno al 98 d.C. il grandissimo storico Tacito pubblicò una breve opera etnografica, La Germania, dove venivano descritti, con buona approssimazione, i principali usi e costumi delle popolazioni che abitavano al di là del Reno. Lo scopo dell'opera era principalmente moralistico: mettendo in guardia i Romani dal pericolo rappresentato dalle genti germaniche si volevano sottolineare i danni che una vita eccessivamente agiata e imbelle avrebbe comportato per le attitudini guerresche e per i costumi dei Romani. Oramai erano i Germani i custodi di tutte quelle virtù, in particolare castità e rapporti matrimoniali molto stabili, che avevano un tempo reso grande Roma!