Attribuzione di personalità divina a oggetti inanimati, fenomeni naturali o idee astratte. Ha occupato un posto importante in varie teorie di storia delle religioni. Alcune di queste (per es., quella di Max Müller) vollero ritrovare l’origine di ogni mitologia nella fantasia personificatrice dell’uomo primitivo. Nell’ambito delle ricerche su singole religioni politeistiche, alcuni sostennero che le p. avrebbero rappresentato una forma primitiva dell’idea della divinità, corrispondente a una fase predeistica della religione. Altri le considerarono come un fenomeno di decadenza, dovuto alla tendenza a divinizzare il maggior numero di cose. Però anche nelle religioni dei popoli con sistema economico e tecnologico meno complesso si incontrano divinità chiamate con nomi di cose. I Greci sin dalle fasi più antiche veneravano divinità come Gea (la Terra), o come Dike (la Giustizia) o come Estia (il Focolare); analogamente a Roma, Tellus (la Terra), Fortuna ecc. E in realtà, anche nel caso di divinità dal nome non così trasparente, l’etimologia dimostra spesso un’origine da nomi di cose. Interpretare, però, le divinità come p. implica un presupposto errato: quello cioè che il concetto astratto e razionale dell’oggetto ‘personificato’ sia necessariamente anteriore al complesso di esperienze religiose che vi si formano intorno. In realtà si tratta invece di due forme di concezione differenti e non necessariamente successive nel tempo: se si venera, per es., una divinità ‘Sole’, non è perché si ‘personifichi’ l’astro precedentemente concepito come tale, ma perché l’esperienza di fenomeni (non razionalmente distinti) connessi con il Sole provoca una reazione di natura religiosa che si concreta nell’idea di una divinità.