A. funzionale Capacità degli organismi viventi di coordinare tutti i meccanismi delle reazioni biologiche essenziali per la loro esistenza. L’a. funzionale è guidata dall’informazione genetica che si genera e si preserva mediante circuiti di retroazione. L’informazione è codificata nelle molecole di acidi nucleici, che provvedono anzitutto all’espressione dell’intero apparato di replicazione. Successivamente, gli acidi nucleici vengono amplificati dal complesso cooperativo di biomolecole da loro stessi codificate. Poiché l’informazione è legata alla materia e poiché questa si degrada di continuo, l’informazione verrebbe persa se non fosse conservata mediante una riproduzione continua. Il processo di riproduzione non è però esatto: gli errori che avvengono durante il processo replicativo producono variazioni e la nuova informazione è poi valutata in base alla funzione codificata, in modo tale che solamente i mutanti più vantaggiosi sopravvivono. Il processo evolutivo a livello molecolare è stato descritto con un modello matematico che mostra forti analogie con le equazioni dinamiche impiegate nella descrizione dei processi di a. in fisica e in chimica. La descrizione delle cinetiche degli acidi nucleici porta a sistemi di equazioni differenziali accoppiate non lineari. La variazione temporale della concentrazione di un dato mutante nella popolazione viene espressa, nel caso più semplice, da 4 termini: la velocità di formazione mediante corretta replicazione del dato mutante; la sua velocità di decomposizione; la velocità di formazione a partire da un altro mutante, dovuta all’errata riproduzione di quest’ultimo; la velocità di entrata e di uscita del mutante dal sistema (che naturalmente è un sistema aperto). L’analogia con i fenomeni autoorganizzati in campo chimico e fisico è evidente. Per es., la caratteristica dell’autoriproduzione, intrinseca nella natura biochimica degli acidi nucleici, richiama la costante presenza di fenomeni autocatalitici nelle reazioni chimiche oscillanti.
In termodinamica, il processo di a. consiste nella capacità di taluni sistemi aperti (cioè in grado di scambiare energia e materia con l’ambiente circostante) di evolvere spontaneamente, in determinate condizioni, verso stati che presentano su scala macroscopica un certo grado di organizzazione. La comparsa di configurazioni (patterns) spaziali e temporali ordinate rappresenta uno degli aspetti più attraenti dei sistemi complessi, soprattutto perché, a una prima analisi superficiale, essa appare in contrasto con la tendenza spontanea al disordine codificata dal secondo principio della termodinamica.
I fenomeni di a. in campo chimico e fisico hanno trovato applicazioni nella biologia: gli organismi viventi, più degli altri, esemplificano una situazione di mantenimento di ordine (diminuzione di entropia) realizzata attingendo a fonti esterne di energia utile ed ‘esportando’ entropia nell’ambiente. Il campo di indagine dei fenomeni di a. si è poi esteso a sistemi collocati su scale di dimensione e complessità ancora più elevate (ecosistemi, sistemi economici ecc.).
Nonostante l’ampia fenomenologia accumulatasi e i notevoli progressi compiuti nell’interpretazione teorica di tali sistemi, una chiara e univoca codificazione di una serie di condizioni necessarie e sufficienti per l’insorgenza di fenomeni autoorganizzati è ancora mancante. È tuttavia possibile elencare in generale alcuni requisiti che vi contribuiscono in maniera importante: un sistema autoorganizzato è termodinamicamente aperto e non troppo prossimo allo stato di equilibrio termodinamico; consiste di un numero abbastanza elevato di entità interagenti; è un sistema dinamico la cui evoluzione temporale è descritta da equazioni di tipo non lineare; è caratterizzato da processi di retroazione positiva e negativa tra le parti e tra queste e le strutture che emergono ai livelli gerarchici superiori. Dal punto di vista dei metodi di indagine teorica, il comportamento di tali sistemi ha ricevuto una ben definita collocazione nella dinamica dei sistemi non lineari e nella teoria delle biforcazioni; è così divenuto possibile descrivere, cogliendone gli aspetti comuni, un insieme di fenomeni molto diversificati. In generale, l’equazione che descrive l’evoluzione di un sistema aperto si può scrivere nella seguente forma: ∂q(r,t)/∂t=F[q(r,t;λ)], dove t è il tempo, q indica il vettore delle n variabili che caratterizzano lo stato del sistema (per es., temperatura, pressione, composizione chimica), r è il vettore posizione nello spazio e, infine, λ denota una serie di parametri, detti di controllo, che descrivono il modo in cui l’ambiente esterno condiziona il comportamento del sistema. Gli stati ottenuti ponendo a zero la derivata temporale di q sono detti stazionari.
La formazione di strutture autoorganizzate si verifica in seguito alla variazione di una o più variabili di stato, dovuta a fattori esterni oppure generata internamente al sistema, quando esso sia intrinsecamente instabile, per effetto di una fluttuazione. Essa può essere investigata sottoponendo il sistema, inizialmente nello stato stazionario q0, a una piccola perturbazione espressa mediante un vettore ξ(r,t), le cui componenti esprimono piccole deviazioni da q0, e studiando i modi evolutivi che ne scaturiscono. Un ruolo importante è giocato dai parametri λ. Se ci riferiamo per semplicità a un sistema caratterizzato da un’unica variabile scalare q, i cui valori stazionari sono indicati come qs, e da un unico parametro di controllo λ, un tipico andamento di qs in funzione di λ è rappresentato in fig. 1. Per λ inferiori a un valore critico λc esiste un solo stato stazionario stabile. In corrispondenza di λc compare una biforcazione in virtù della quale lo stato iniziale diviene instabile e si generano due nuovi stati stazionari, ciascuno caratterizzato da un valore diverso di qs. Lo stato che il sistema sceglie a partire dal punto critico dipende da una fluttuazione di piccola entità che condiziona la successiva evoluzione verso uno stato stabile diverso. Aumentando il valore di λ, si riscontra una cascata di biforcazioni con incremento del numero degli stati possibili, sino a una transizione repentina verso un comportamento caotico all’apparenza del tutto disordinato. Tra gli esempi dell’insorgenza di strutture autoorganizzate nel campo della fluidodinamica, è il fenomeno delle cosiddette celle di Bénard, noto da lungo tempo: riscaldando dal basso un sottile strato di liquido si osserva sulla sua superficie, in particolari condizioni, la formazione di una struttura complessa (fig. 2), che ha l’aspetto di un mosaico poligonale costituito da esagoni regolari. La comparsa di questo motivo o pattern rappresenta un caso di struttura autoorganizzata che si origina in seguito a un processo di trasporto spontaneo di calore e di materia tra due regioni a diversa temperatura. Affinché tale processo si sviluppi, occorre che la differenza di temperatura applicata tra gli strati estremi – che costituisce il parametro λ – risulti maggiore di un valore critico. Sebbene le prime osservazioni di H. Bénard risalgano al 1900, solo nel 1956 fu individuato il ruolo fondamentale giocato dalla tensione superficiale nella formazione delle celle, e tuttora numerosi aspetti del fenomeno (per es., la geometria esagonale delle celle) non sono stati chiariti completamente.
Altro esempio di fenomeno autoorganizzato è quello della radiazione laser. In questo caso, l’effetto di a. consiste nella produzione di una radiazione dotata di elevata coerenza spaziale e temporale (la radiazione laser, appunto) a partire da una radiazione incoerente (quella fornita dalla cosiddetta pompa). Anche nel caso del laser, condizione necessaria per l’insorgenza del fenomeno è che la radiazione emessa dalla pompa superi un valore critico.
Un settore in cui esiste una vasta e consolidata fenomenologia di sistemi autoorganizzati è quello delle reazioni chimiche oscillanti, cioè delle reazioni nelle quali le concentrazioni delle specie chimiche coinvolte variano in maniera periodica. Un esempio classico è la reazione di Belousov-Žabotinskij, di cui sono state realizzate numerose varianti: consiste nella ossidazione e bromurazione di un acido organico (citrico nella procedura originaria, più spesso malonico negli esperimenti moderni) da parte di un bromato alcalino (NaBrO3 o KBrO3) in presenza di un catalizzatore (per es., ferroina, sali di cerio, manganese, rutenio). La periodicità temporale della reazione è facilmente osservabile perché il catalizzatore cambia colorazione nel passare dalla sua forma ossidata a quella ridotta.