Scienza che ha per oggetto la descrizione interpretativa della superficie terrestre o di sue parti, intendendo per ‘superficie terrestre’ lo spazio tridimensionale dove la massa solida della Terra (litosfera) e quella liquida (idrosfera) vengono a contatto con l’involucro gassoso (atmosfera); spazio in cui si sviluppa la vita vegetale e animale e in cui si fissano le sedi e si svolgono le attività umane. Pur attingendo largamente a dati delle scienze naturali e di quelle umane, la g. si colloca in una posizione originale rispetto alle une e alle altre: non studia i fenomeni fisici né le società umane, ma prende in considerazione gli uni e le altre in quanto agenti responsabili della fisionomia e dell’organizzazione dei territori. Pertanto, un ghiacciaio, una foresta, una città saranno studiati dal geofisico, dal botanico, dall’urbanista, ma nessuno di costoro perverrà alla lettura globale del territorio di cui quegli oggetti sono parti integranti; donde la necessità di una disciplina diversa, non naturale né umana, bensì ‘territoriale’, quale appunto va considerata la geografia.
Lo studio geografico, per la sempre crescente necessità di specializzazione, è spesso settoriale, rivolto ad alcune soltanto delle numerose componenti del territorio. È quindi opportuno tener presente la tradizionale partizione della g. in diverse branche e in particolare nelle due fondamentali, la g. fisica e la g. umana.
La g. fisica studia gli aspetti della superficie terrestre legati ai fenomeni naturali, tra i quali assumono particolare rilevanza le forme del suolo; di queste la geomorfologia chiarisce le cause e la genesi, tenendo conto di dati strutturali e dell’incessante azione esercitata dagli agenti geodinamici. Alla geomorfologia si affiancano altri importanti settori di ricerca geografico-fisica: lo studio delle acque (idrologia marina e continentale), non solo come componenti della superficie terrestre, ma anche per il loro intervento nella morfogenesi; quello dei climi (climatologia), fattori essenziali dei processi morfogenetici, della vita vegetale e animale, del popolamento umano e di molte attività economiche; quello delle formazioni vegetali spontanee e dei loro rapporti con i climi, con i suoli, con le altre manifestazioni biologiche (fitogeografia). La g. umana, invece, si rivolge precipuamente ai complessi rapporti d’interdipendenza che si stabiliscono tra ambiente naturale e attività umana; essa prende in esame: la diffusione della specie umana sulla Terra (g. della popolazione); l’occupazione dello spazio da parte dell’uomo per l’insediamento (g. delle sedi), per gli spostamenti (g. della circolazione), per l’utilizzazione delle risorse (g. economica); l’organizzazione dei territori da parte delle società umane, amplissimo campo di studio che comprende la g. politica, la g. sociale e anche la g. urbana, perché ormai le città non vanno più considerate soltanto come insediamenti (in tal caso il loro studio si esaurirebbe nella g. delle sedi), ma anche e soprattutto come centri di coordinamento e di organizzazione di territori più o meno vasti, così che all’esame delle forme e delle funzioni dei centri urbani deve legarsi indissolubilmente quello di organici spazi individuati dalle loro aree d’influenza. Un settore di grande interesse è poi quello della g. storica che, sulla base di materiali vari (geologici, archeologici, letterari ecc.), mira alla ricostruzione esplicativa dell’organizzazione territoriale del passato e all’interpretazione genetica di quella attuale.
Come ogni scienza, la g. ha il suo momento applicativo, benché sia stata a lungo considerata una disciplina squisitamente culturale, se non esclusivamente accademica. In realtà, tutta la storia della g. è costellata di episodi che ne rivelano in qualche modo il carattere pratico e utilitario, fin dalle descrizioni dei logografi greci, che certamente servivano a fornire notizie su popoli e paesi con i quali il mondo ellenico doveva entrare in contatto. Venendo a tempi più recenti, gran parte dei viaggi di esplorazione e delle spedizioni scientifiche ebbero un significato pre-coloniale e furono stimolati da ambizioni politiche e necessità economiche. Tuttavia, una vera e consapevole g. applicata è sorta solo nel 20° sec., in seguito all’abbandono della concezione deterministica, che riteneva l’uomo rigidamente condizionato dall’ambiente naturale, e al sorgere del possibilismo, che ammette invece facoltà di scelta, e soprattutto del volontarismo, secondo il quale la società umana può intervenire per organizzare lo spazio nel modo più razionale. Un ulteriore stimolo alla g. applicata è venuto dallo stabilirsi su ampi spazi politici di regimi, per es., quello sovietico, che hanno assunto la gestione totalitaria dell’economia e dalla sempre maggiore ingerenza della mano pubblica anche in molti paesi capitalisti. Si è in tal modo pervenuti alla consapevolezza della necessità di regolare i processi spontanei di utilizzazione delle risorse, di sviluppo economico, di espansione insediativa, processi che devono invece essere inquadrati in una pianificazione generale il cui aspetto più importante è forse proprio quello territoriale.
È appunto nella pianificazione territoriale che il geografo può fornire il maggior contributo applicativo, collaborando strettamente con gli altri studiosi interessati e valendosi di quella capacità d’interpretazione globale del territorio che è una sua prerogativa; ma non deve limitarsi alla pianificazione territoriale stessa, perché vi sono numerosi altri problemi da risolvere che presuppongono profonde conoscenze geografiche: difesa dell’ambiente, prevenzione di calamità, ricerca di nuove risorse, riparo ai dissesti idrogeologici ecc. In diversi Stati l’utilizzazione delle conoscenze geografiche a fini applicativi ha ormai una radicata tradizione e numerosi sono i geografi professionisti occupati nel mondo operativo con mansioni diverse e spesso di responsabilità: così negli USA, in molti paesi europei, sia occidentali sia orientali, e perfino in alcuni Stati del Terzo Mondo; in Italia, invece, i geografi sono ancora in assoluta prevalenza occupati solo nell’insegnamento e nella ricerca, e la loro preparazione, fondamentalmente teorica, non li ha ancora dotati dei requisiti tecnici necessari a collaborare con altri specialisti.
La superficie terrestre si presenta estremamente differenziata per le varie combinazioni di numerosi elementi interagenti, nonché per i diversi sedimenti storici; varietà di aspetti che ha esaltato la curiosità geografica e ha costituito uno dei maggiori incentivi al progresso della disciplina. È sorta così, fin da tempi antichi, la tendenza a elaborare studi e descrizioni di g. regionale, capaci di porre in risalto i tratti originali dei diversi lembi della superficie terrestre. D’altra parte, la g., come ogni altra scienza, non può limitarsi allo studio di oggetti particolari ed esimersi da procedimenti di generalizzazione e astrazione volti alla ricerca di leggi (rigorose per quanto attiene esclusivamente al mondo fisico e tendenziali quando entrano in gioco le azioni umane). Così, in tempi altrettanto antichi, è sorta anche una g. generale. La storia della disciplina dimostra che g. generale e g. regionale (diversi e ugualmente validi momenti della scienza geografica) si sono sempre mosse su piani distinti, senza effettiva integrazione.
La g. generale, che ha un antenato illustre nel greco alessandrino Eratostene, non ha progredito quasi affatto per molti secoli: solo alla metà del Seicento fu riproposta all’attenzione della cultura con l’opera del tedesco B. Varenio e solo con i geografi del tardo Ottocento fu ordinata in alcune opere sistematiche che, peraltro, spesso assolvevano solo compiti pedagogici e finivano con il divenire raccolte di dati provenienti da altre scienze piuttosto che fondamenti geografici. La g. regionale si è svolta con maggiore continuità. Nata anch’essa presso i Greci e sviluppata soprattutto nella vasta opera di Strabone, trovò alimento nelle relazioni dei viaggiatori arabi e, più tardi, europei, nonché nelle corografie del 16° e 17° sec., che però erano spesso ammassi acritici di notizie in parte errate. Nella prima parte del 20° sec. la g. regionale ha vissuto il suo grande momento per merito della brillante scuola francese di P. Vidal de La Blache ed è stata considerata da molti come il fine ultimo della disciplina geografica. Tale fortuna della g. regionale novecentesca e la mancanza di valide opere di g. generale hanno gettato discredito sulla g., facendola ritenere una disciplina volta solo allo studio del particolare, puramente idiografica. Le più recenti tendenze portano a una rivalutazione della g. generale come scienza dello spazio terrestre, che può essere studiato non certo prescindendo dalle innegabili diversità dei singoli territori, ma ricercandone tuttavia i tratti comuni. D’altra parte, la g. regionale è chiamata ad assolvere nuovi compiti, anche applicativi, in vista della crescente necessità di politiche locali di organizzazione del territorio; ma per questo occorre ripensarla su nuove basi, anzitutto definendo con chiarezza i limiti della regione, che è appunto l’oggetto della g. regionale e che non può essere un qualsiasi lembo territoriale arbitrariamente delimitato.
Se la g. può essere considerata una scienza unitaria per oggetto e fini, certamente non lo è dal punto di vista metodologico. Infatti, dovendo utilizzare dati di numerose altre scienze, essa deve ricorrere spesso ai loro metodi. Ciò, peraltro, avviene essenzialmente nella raccolta e nella selezione dei dati, ma, quando questi dati eterogenei devono essere composti per interpretare il tessuto territoriale, la g. si vale indubbiamente di una metodologia propria. Per lungo tempo si è fondata prevalentemente sull’induzione, partendo dall’osservazione di fatti particolari per arrivare a conclusioni generali; dalla metà del Novecento è stato utilizzato in larga misura anche il metodo deduttivo, sul quale poggia gran parte dell’edificio della g. teoretico-quantitativa; anche in tal caso, comunque, l’osservazione torna a essere di primaria importanza per verificare le ipotesi generali, poiché la g. non dispone di possibilità di sperimentazione. Capisaldi della metodologia geografica sono alcuni principi, per lo più già applicati e formulati dai due studiosi ritenuti i padri della geografia moderna, A. von Humboldt e C. Ritter: il principio di causalità, proprio di tutte le scienze empiriche, e quelli d’interdipendenza e di sintesi, precipui della g. come scienza che studia oggetti risultanti dall’interazione di molteplici elementi.
Strumenti del lavoro geografico, oltre che l’osservazione e la ricognizione diretta, sono i dati numerici e le rappresentazioni cartografiche, gli uni e le altre indispensabili come mezzi sia di ricerca sia di presentazione dei risultati. I dati numerici sono stati già in passato utilizzati, pur con la diffidenza di chi, come il geografo, sa la difficoltà di quantificare fenomeni in cui hanno larga parte anche fatti della sfera culturale; ma oggi il loro uso tende a diffondersi ulteriormente per lo sviluppo dei metodi di elaborazione elettronica. La cartografia è da sempre il miglior sussidio dello studio geografico, insostituibile in quanto permette in qualunque momento il riesame di spazi, anche molto ampi, non direttamente osservabili.
- L’attenzione per il territorio abitato e quelli limitrofi deve essere comparsa assai precocemente, addirittura agli albori dell’umanità. Quel che sappiamo con certezza è che già alla fine del 3° millennio a.C. alcuni popoli del Mediterraneo e del Medio ed Estremo Oriente possedevano elementari conoscenze geografiche e rudimentali tecniche cartografiche. La g. scientifica nacque nell’ambito della cultura greca classica e si manifestò sia con speculazioni teoriche sulla forma, sulle dimensioni e sulla rappresentazione della Terra, sia con descrizioni particolareggiate di paesi e genti: il filosofo ionico Anassimandro elaborò il primo disegno del mondo conosciuto; i pitagorici intuirono la sfericità della Terra; Aristotele affrontò vari problemi di g. fisica; Ecateo ed Erodoto delinearono efficaci quadri di regioni visitate. Nell’età ellenistica emerse Eratostene, cui si devono la costruzione di una carta dell’ecumene e la misurazione del grado di meridiano; nel periodo romano furono ancora i Greci, e non i Latini, a far compiere progressi alla g., soprattutto con Strabone, autore di una vastissima opera di geografia descrittiva, e con Tolomeo che elaborò una serie di carte e ne scrisse un’introduzione esplicativa.
- L’opera di Tolomeo chiuse la fioritura di studi geografici e cartografici dell’antichità; dimenticata anch’essa nei secoli successivi, fu riscoperta in seguito e restò una fonte indiscussa fino al Cinquecento: infatti, per tutto l’Alto Medioevo, non solo la g. non compì progressi, ma andarono perdute molte delle intuizioni degli studiosi greci, compresa quella della sfericità della Terra. La diminuzione dei contatti tra i gruppi umani stanziati nelle varie parti d’Europa e sui bordi africani e asiatici del Mediterraneo ostacolava gli scambi di idee e di conoscenze; la mancanza di grandi centri culturali impediva il sorgere di scuole. La vivace cultura arabo-islamica stimolò redazioni di giornali di viaggio, che però furono solo suggestive opere di g. descrittiva. Con la scolastica rinacque l’interesse per questioni cosmografiche e geografiche e si cominciò a guardare al patrimonio culturale del passato con occhio più libero, preparando così la strada alle grandi scoperte. I lunghi viaggi terrestri e soprattutto le navigazioni del 15°-18° sec. schiusero agli Europei tutti i mari del mondo e permisero di delineare con buona approssimazione i contorni di quasi tutte le terre: per lungo tempo, storia delle esplorazioni e storia della conoscenza geografica coincisero. I frutti delle nuove cognizioni furono soprattutto cartografici: dalle carte nautiche, senza reticolato geografico ma tanto più esatte delle vecchie carte tolemaiche, ai vari mappamondi, ai grandi atlanti fiamminghi di G. Mercatore e di A. Ortelio. I progressi delle conoscenze non ebbero invece riflesso in valide opere scritte, tra le quali troviamo solo interessanti relazioni di viaggio o vaste descrizioni divulgative, come quella di S. Münster. La g., quindi, esaltava il suo momento grafico e descrittivo, mentre non diede luogo a costruzioni razionali, non ricercò leggi, non si fece scienza; occorre arrivare alla metà del 16° sec. per trovare un’opera che tenti una sistemazione e una generalizzazione, quella di Varenio, la quale, peraltro, passò quasi inosservata. I progressi della conoscenza della superficie terrestre fecero germogliare altre discipline che si staccarono dal tronco originario, quali la geologia, l’oceanografia, più tardi la geodesia, mentre la scienza-madre, la g., si ridusse a compiti meramente informativi e descrittivi.
- Tale situazione permase fino al 19° sec., quando si costituì la scienza geografica moderna; tuttavia non si deve trascurare l’apporto dato nel Settecento da studiosi isolati, da cultori di altre discipline e, soprattutto, da pensatori (Montesquieu, I. Kant, J.G. von Herder) che guardarono con attenzione alle reciproche interdipendenze tra l’uomo e l’ambiente. Nell’Ottocento si crearono situazioni favorevoli a un nuovo sviluppo della conoscenza della Terra. La Rivoluzione industriale pose esigenze di approvvigionamento di materie prime e di apertura di mercati che diedero impulso a nuovi viaggi di esplorazione e di colonizzazione commerciale e politica. Il moltiplicarsi di scuole superiori comportò anche l’istituzione di cattedre universitarie di geografia. Sorsero le società geografiche (la prima a Parigi, nel 1821), che in molti casi promossero studi e spedizioni scientifiche, anche se spesso il loro ruolo fu più politico che culturale. In Germania maturarono i due studiosi reputati i fondatori della moderna g.: A. von Humboldt e C. Ritter. Il primo, naturalista ed esploratore, cresciuto nel clima del razionalismo settecentesco, viene comunemente ritenuto l’iniziatore della g. naturalistica; a lui si devono soprattutto l’elaborazione di una rigorosa metodologia geografica e l’applicazione dei principi fondamentali della g. scientifica. Il secondo, formatosi in ambienti che già avevano superato l’illuminismo e risentivano dello storicismo e del teleologismo pre-romantico, è spesso definito come l’instauratore dell’indirizzo storico-umanistico; egli arrivò alla formulazione esatta di quei principi che Humboldt aveva brillantemente applicato. Mentre Humboldt svolse un’intensa attività promozionale senza tenere scuola, Ritter ricoprì per lunghissimo tempo la prima cattedra universitaria istituita per la g. (a Berlino) ed ebbe molti allievi che parvero continuare la sua opera. In realtà, Humboldt e Ritter furono piuttosto dei precursori che dei fondatori: né l’uno né l’altro esercitarono vera influenza sui contemporanei.
La vittoria dell’indirizzo ritteriano fu più apparente che reale, perché i diretti discepoli di Ritter non applicarono in modo costruttivo gli insegnamenti del maestro: anzi, i più dotati di essi, O. Peschel e F. von Richthofen, approdarono per proprio conto alla g. fisica, che compì grandiosi progressi nel volgere di pochi decenni, favorita dall’avanzamento di discipline naturalistiche di cui utilizzò i risultati, dalla larga messe di dati raccolti nei viaggi di esplorazione all’interno dei vari continenti, da quanto appreso con le spedizioni oceanografiche e polari, dallo sviluppo della produzione cartografica. La g. fisica, in particolare la morfologia, cui apportarono grandi contributi lo statunitense W.M. Davis, il tedesco A. Penck e successivamente il francese E. de Martonne, riusciva così a precisare i suoi metodi e i suoi contenuti, raggiungendo un’indiscussa dignità scientifica.
Più lento e difficile è stato il cammino della g. umana, che per qualche decennio fu coltivata solo da mediocri allievi di Ritter e da cultori di altre scienze, senza arrivare a chiarirne metodi, oggetto e fini. Essa ebbe una sua sistemazione solo alla fine del 19° sec. a opera del tedesco F. Ratzel, studioso proveniente dalle scienze naturali, influenzato dalle idee evoluzionistiche e cresciuto nel clima del positivismo; egli, per la notevole influenza che attribuisce allo spazio e all’ambiente naturale sulla distribuzione e sulle attività dell’uomo, è considerato il primo e più autorevole esponente del determinismo geografico. Questa concezione, secondo cui tutte le manifestazioni umane sono rigidamente condizionate dall’ambiente fisico, di fatto era già presente nel pensiero di Ritter ed è stata portata alle estreme conseguenze non tanto da Ratzel, quanto da alcuni suoi epigoni, e in particolare dalla statunitense E.C. Semple.
- La reazione al determinismo venne agli inizi del 20° sec. dalla Francia, dove Vidal de La Blache andava organizzando le ricerche e l’insegnamento della g.; dai suoi scritti emerge una concezione ben diversa che, in seguito, lo storico L. Febvre denominò ‘possibilismo’, secondo la quale le società umane non sono schiave dell’ambiente naturale, ma possono scegliere in una più o meno ampia gamma di possibilità da esso offerte. Altri studiosi francesi hanno poi dato notevolissimi contributi alla g. umana, conducendo soprattutto studi regionali, che Vidal de La Blache riteneva necessari per arrivare a una costruzione sistematica di g. generale; ed è soprattutto merito della scuola francese se la g. umana, dopo un lungo travaglio, è pervenuta anch’essa alla piena dignità scientifica. Emergono però fra i geografi di tale scuola, e fra altri che ne seguirono le tracce, diverse tendenze nell’interpretazione della g. umana, riconducibili a due fondamentali. Da parte di alcuni si tende a considerare oggetto di ricerca l’uomo sulla Terra: l’uomo in quanto essere vivente (M. Sorre), l’uomo in quanto abitante (A. Demangeon, M. Le Lannou), l’uomo in quanto agente di produzione e di consumo (P. George): è un indirizzo che in fondo, pur nel netto rifiuto del determinismo, si ricollega in parte a Ratzel e ha un’impostazione fondamentalmente ecologica. Altri invece, rifacendosi più da vicino all’idea espressa da Vidal de La Blache (la g. è scienza dei luoghi e non degli uomini), escludono quasi del tutto i soggetti umani e rivolgono la loro attenzione allo spazio umanizzato, modificato dall’azione dell’uomo. J. Brunhes è il più autorevole rappresentante di questo indirizzo, che è stato accusato di voler fare una g. umana senza l’uomo; ma l’uomo vi è in realtà ben presente con la profonda traccia da lui impressa sulla superficie terrestre. Il possibilismo ha avuto poi ulteriori sviluppi, in parte arricchendosi di contenuti teleologici (possibilismo finalista), in parte temperandosi nel ‘probabilismo’ enunciato dallo statunitense O.H.K. Spate, concezione secondo la quale alcune delle possibilità offerte dalla natura all’uomo hanno maggiore probabilità di essere prescelte.
La g. possibilista, probabilista, volontaria, nata dalla reazione al positivismo e influenzata dall’idealismo e dallo storicismo dominanti nei primi decenni del 20° sec., è eminentemente g. idiografica (scienza della differenziazione spaziale dei fenomeni, secondo la definizione del suo massimo sistematore, lo statunitense R. Hartshorne): essa descrive e interpreta i singoli individui spaziali (regioni e loro paesaggi), ognuno diverso dall’altro, e non perviene a generalizzazioni. A partire dal 1950 si sono venute affermando correnti di pensiero neopositiviste, non senza influenze sulla geografia. Così, dopo la metà del secolo, soprattutto nel mondo anglosassone, si è manifestata una nuova concezione, quella funzionalista, incentrata sull’individuazione e sullo studio di spazi: spazi, appunto, ‘funzionali’, in quanto organizzati da una trama di centri coordinatori. Poiché l’organizzazione dello spazio procede, almeno in parte, secondo principi generali, la g. funzionalista non è più disciplina esclusivamente idiografica; inoltre, essa si vale di metodi e di mezzi prima quasi del tutto ignorati, come il ragionamento deduttivo e gli strumenti matematici diffusi nelle scienze sociali dalla cosiddetta ‘rivoluzione quantitativa’. La g. funzionalista, sebbene in parte modificata dall’applicazione della teoria dei sistemi, è ancora vitale. Tuttavia, essa è stata oggetto di numerose critiche, così che a partire dagli anni 1970 si sono fatte strada altre concezioni. Una di queste è la g. radicale, fondata sulla critica e sulla contestazione dell’attuale organizzazione dello spazio e in buona parte ispirata a schemi marxiani. Un’altra è la cosiddetta g. umanistica, che privilegia, in luogo dello studio dello spazio oggettivo, quello dello spazio come percepito e vissuto dai singoli soggetti, e che è strettamente legata ad acquisizioni della psicologia e della sociologia.
Per tutta la prima metà del Novecento, l’idea di una g. unitaria è stata accettata dalla quasi totalità degli studiosi, i quali hanno in gran parte concepito la disciplina come interpretazione globale del paesaggio. Invece, successivamente alla Seconda guerra mondiale, sia per l’enorme sviluppo assunto dalla problematica geografica, che ha imposto una sempre crescente specializzazione e l’adozione di metodi eterogenei, sia per contrapposizioni epistemologiche di fondo tra studiosi di diversa formazione culturale e di differente impostazione ideologica, l’antico dualismo è riaffiorato e sono riapparsi i sostenitori dell’assoluta inesistenza di un’unica disciplina in grado di esaurire l’intera problematica tradizionale della geografia. In Italia, la g. unitaria, propugnata e sistematizzata negli anni 1930 e 1940 da R. Almagià, con un consenso pressoché unanime, negli anni 1950 subì una severa critica soprattutto da parte di L. Gambi. Tuttavia, come si vede anche dall’organizzazione dei congressi geografici internazionali, che continuano ad articolare i loro lavori in tutte le sezioni tradizionali più alcune di nuova istituzione, l’orientamento della maggioranza sembra ancora sostanzialmente per una g. monistica, anche in virtù dei nuovi temi spaziali che sembrano poter condurre a un’effettiva e definitiva riunificazione. Infatti, le moderne tendenze, che si valgono largamente (soprattutto negli USA, in Gran Bretagna, in Svezia) del metodo deduttivo, delle tecniche quantitative e dei modelli, sembrano orientarsi sempre più verso uno studio dello spazio e dei suoi contenuti senza distinguere aprioristicamente se si tratti o no di contenuti dovuti prevalentemente all’azione dell’uomo.
Sia nell’ambito della g. fisica sia in quello della g. umana hanno preso a delinearsi già da molto tempo alcuni settori con tendenze decisamente specialistiche e addirittura centrifughe. Ciò riguarda in particolare la g. umana, dove, fin dai tempi di Ratzel e per opera di lui stesso, la g. politica ha avuto tendenza ad assumere connotati propri: Ratzel, infatti, elaborò un trattato sistematico di g. politica improntato alla stessa concezione della sua g. umana. Le idee del geografo tedesco, seguite senza apporti originali da alcuni suoi connazionali, furono combattute ancora una volta dai Francesi, segnatamente da C. Vallaux. In seguito, riprese e distorte da altri studiosi in parte estranei alla g., finirono con il dar vita alla scuola geopolitica tedesca, legata a momenti politici nazionali e contingenti e dissolta subito dopo la Seconda guerra mondiale. Da allora la g. politica è progredita lentamente, mostrando solo negli ultimi anni del Novecento una tendenza a rinnovarsi nei metodi e nei contenuti, soprattutto nei paesi anglosassoni.
Diverso è stato il cammino percorso dalla g. economica, la quale, a differenza della g. politica, non trovò per lungo tempo nessuno studioso che la elevasse a sistema e restò un ramo umile e utilitario che si occupava, con il nome di g. commerciale, di elaborare inventari di risorse naturali. Ma già in molte delle celebri monografie regionali francesi si dava largo spazio ai fatti economici, e Brunhes, nella costruzione della sua g. umana, teneva in gran conto i risultati delle attività economiche quali fatti di occupazione della superficie terrestre. In seguito, le attività economiche sono entrate da protagoniste nella g. umana proposta da George, che studia l’uomo in quanto produttore-consumatore; e, anche per influsso del pensiero marxista, i fenomeni economici e i loro riflessi sono divenuti oggetto di elezione negli studi geografici. Benché il dibattito sugli ambiti di studio e sulle metodologie della g. economica sia sempre aperto, sono ormai molto numerosi gli studiosi che vedono questo ramo della g. come un campo sostanzialmente diverso, soprattutto per metodologia, dalla g. umana e tendono ad avvicinarla alla teoria economica.
Accanto alla g. politica e alla g. economica è apparsa da tempo anche una g. sociale, la cui nascita risale all’inizio del 20° sec. con l’elaborazione, da parte di Vidal de La Blache, del concetto di genere di vita, cioè del complesso di abitudini e di comportamenti derivato a una collettività dalla lunga simbiosi con il proprio territorio; un concetto che è stato applicato con grande successo dalla scuola francese, ma che ormai, nel mondo attuale, è inutilizzabile. Sebbene più legata alla g. umana di quanto siano la g. politica e, soprattutto, quella economica, anche la g. sociale ha avuto sviluppi propri, specie nei Paesi Bassi, dove si è accostata alla metodologia sociologica, e più recentemente in Francia, con George, e in Germania, con W. Hartke. Ma anche questi rami parzialmente autonomi possono rientrare nel vasto ambito di una g. umana o addirittura di una g. tout court, come studio delle proiezioni territoriali di fatti politici, economici e sociali.
Alla fine degli anni 1980 la comunità mondiale dei geografi ufficiali (in larga misura coincidente con quella dei geografi accademici, con diverse migliaia di effettivi), non si riconosceva del tutto in orientamenti univoci: per es., i metodi quantitativi riscuotevano grande successo nei paesi influenzati dalla cultura anglosassone, ma erano guardati con diffidenza in quelli francofoni, in Germania, in Italia; e il funzionalismo veniva contestato, con argomentazioni a volte scientifiche a volte ideologiche, dai fautori della g. umanistica e della g. radicale d’ispirazione marxista. Da allora, alcune di tali tendenze si sono consolidate, mentre altre sono state ridimensionate o addirittura dimenticate. Si è sostanzialmente rafforzata la g. funzionalista, il cui motivo ispiratore, l’interpretazione dello spazio organizzato dall’uomo attraverso lo studio delle funzioni svolte dagli elementi, strettamente interconnessi, che lo compongono, soddisfa ampiamente almeno due esigenze: quella di una g. applicata, che sia al tempo stesso predittiva e propositiva; quella di tener conto di istanze regionali e locali e, dunque, di essere carica di valenze politiche, assorbendo così alcuni motivi di quella g. umanistica che era nata in opposizione a essa. La ricerca funzionalista può giovarsi largamente dei metodi quantitativi, i quali hanno cessato di suscitare ingiustificati entusiasmi o infondati timori e non vengono più considerati né strumenti capaci di rivitalizzare la g. né, tanto meno, corpi estranei e dannosi, bensì semplicemente metodi, spesso utili per analizzare, misurare e rappresentare processi e fenomeni dell’organizzazione dello spazio. La g. funzionalista non dispone di un apparato concettuale molto solido, essendo per sua natura eminentemente pragmatica, e forse proprio per questo ha potuto attrarre studiosi di altra ispirazione o altri indirizzi, risultando alla fine vincente. Un tentativo per rafforzare le basi teoriche della g. funzionalista è venuto, sul finire degli anni 1980, dal suo innesto nella teoria sistemica, particolarmente adatta allo studio dell’organizzazione del territorio (assai complessa e rispondente ai requisiti del ‘sistema’). In tale direzione si sono mosse le riflessioni di molti geografi (in Italia quelle di A. Vallega), con risultati positivi e spesso brillanti, in particolare per quanto riguarda la precisazione del concetto di regione (intesa come ‘sistema territoriale’) e, dunque, la moderna g. regionale. Peraltro, anche l’applicazione della teoria sistemica ha incontrato qualche difficoltà e nel complesso la g. procede ora per lo più nell’utilizzazione del funzionalismo tradizionale.
La necessità di recuperare un ruolo nelle nuove problematiche ambientali ha portato la g. a riconsiderare con maggiore attenzione e serenità i rapporti tra ambiente fisico e azione umana, non negando aprioristicamente relazioni certamente esistenti. La vecchia g. idiografica è stata in certo modo rivalutata e talora utilizzata, recuperando, in forma più moderna, alcuni dei suoi concetti fondamentali, per es., quello di genere di vita, in qualche modo riapparso da quando, accanto (e forse per reazione) alle ricerche geografiche su fatti globali, sono divenuti frequenti gli studi di fatti locali e localismi; e anche quello di paesaggio. Il dilemma tra l’esistenza o la mancanza dell’unità della g. non sembra più appassionare e dividere i geografi, i quali, da un lato, danno per scontata la necessità della specializzazione e l’impossibilità che uno stesso studioso padroneggi temi e metodi così disparati, ma dall’altro riconoscono la necessità che lo studio dello spazio geografico sia affrontato in modo esaustivo, in tutte le sue componenti, fisiche e umane: è nell’organizzazione del territorio, oggetto ‘sistemico’ della g., che la disciplina si ricompone, restando, appunto, scienza territoriale; se è scienza sociale, lo è in quanto il territorio è un prodotto sociale, derivato da una lunga azione esercitata dall’uomo su un substrato naturale.
Accanto a lavori di stampo tradizionale (esempi di descrizioni monografiche di frammenti dello spazio geografico continuano ad apparire, anche se molto meno frequenti), la pubblicistica geografica degli ultimi 10-15 anni del 20° sec. e dell’inizio del 21° ha prodotto prevalentemente lavori di carattere tematico, in cui il lembo territoriale considerato è assunto essenzialmente come caso di studio. Tra le tematiche affrontate, numerose e spesso di grande momento, alcune possono genericamente essere definite ambientali: per es., il rischio ambientale, le variazioni climatiche, la desertificazione, la tutela del patrimonio naturale e culturale; a parte va considerato il tema del cambiamento globale, che impegna cultori di diversa estrazione disciplinare (g., scienze della Terra, ecologia, scienze della vita). Altre tematiche, pure connesse con gli studi ambientali, sono quelle della gestione delle risorse, in particolare dell’acqua, la risorsa tra tutte più vitale, a volte contesa, per la sua scarsità, tra più Stati confinanti e usata addirittura come strumento di ricatto politico. Altre afferiscono al processo che più incisivamente ha segnato l’organizzazione dello spazio nella seconda metà del Novecento, e cioè lo sviluppo urbano. Altre ancora riguardano un fenomeno che ha assunto dimensioni impreviste, con implicazioni economiche, politiche, culturali notevolissime, vale a dire quello delle grandi correnti migratorie che interessano gran parte del mondo, in particolare quelle dall’Africa e da numerosi paesi asiatici verso l’Europa e dall’America Latina verso gli USA.
Nell’ambito della g. fisica, la geomorfologia è il settore che ha segnato più progressi e nel quale la ricerca è più intensa, praticata da specialisti che si muovono nell’ambito del vasto campo interdisciplinare delle scienze della Terra, intrattenendo strette privilegiate relazioni soprattutto con la geologia. Meno numerose risultano le ricerche di climatologia (peraltro spesso comprese in quelle sul cambiamento globale) e di idrologia.
Nell’ambito della g. umana, gli studi di g. della popolazione traggono alimento soprattutto dalle citate migrazioni, così come quelli di g. della circolazione, stimolati pure dallo straordinario sviluppo delle comunicazioni sia materiali (per gli spostamenti di persone e merci) sia immateriali (per i flussi di informazioni, idee, capitali); pare invece affievolito l’interesse per la g. delle sedi, fuorché, ovviamente, per quanto riguarda le città, che però, non essendo soltanto elementi insediativi, ma anche economici, politici e culturali, con funzioni di guida e di coordinamento nell’organizzazione dello spazio, sono diventate oggetto di un campo di studio proprio, quello della g. urbana, premessa indispensabile della g. regionale. La g. culturale, un tempo intesa essenzialmente come g. delle culture, con particolare attenzione alle lingue e alle religioni, si è fortemente sviluppata, soprattutto in Francia, a opera di P. Claval, divenendo essenzialmente una g. dei fatti (e dei beni) culturali, riconosciuti quali componenti essenziali dell’organizzazione territoriale; almeno in parte connessa con le fortune della g. culturale è la buona tenuta degli studi di g. storica (fra l’altro, sia la g. culturale sia la g. storica sono tornate a occuparsi del tema del paesaggio).
La g. economica, che ha continuato a procedere nel suo cammino sostanzialmente autonomo, se da un lato tende a recuperare vecchi temi geografici da tempo trascurati e ridivenuti attuali, come quello delle risorse, dall’altro è fortemente impegnata nello studio delle trasformazioni in atto nel tessuto territoriale, tra le quali particolarmente significativa la delocalizzazione (meglio, rilocalizzazione). Afferente per lungo tempo alla g. economica, la g. dello sviluppo si va avvicinando piuttosto alla g. sociale e alle problematiche dell’ambiente, in conseguenza dell’ampliamento del concetto di sviluppo, non più riduttivamente identificato con la sola crescita economica, bensì esteso a fatti socioculturali e ambientali, nonché delle nuove acquisizioni in fatto di sviluppo sostenibile.
La g. politica ha avuto una netta ripresa, dopo il lungo periodo di crisi che l’ha caratterizzata a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, periodo di crisi in gran parte dovuto alla cattiva fama della vecchia geopolitica con la quale molti la identificavano (anche la geopolitica, peraltro, è tornata a essere coltivata). È da segnalare pure una rilevante produzione di lavori di storia della g., per quanto riguarda sia il pensiero geografico sia le esplorazioni.
Esiste, dal 1922, un organismo mondiale, l’Unione geografica internazionale (UGI), che all’inizio del 21° sec. raggruppa rappresentanti di un centinaio di paesi e le cui funzioni essenziali sono: la promozione e il coordinamento delle ricerche geografiche; l’organizzazione dei congressi geografici internazionali e di altre riunioni che diano ai geografi di tutto il mondo la possibilità di incontrarsi, confrontarsi e fare il punto sullo stato dell’arte. La seconda delle due funzioni è svolta in modo puntuale e, nel complesso, soddisfacente. La funzione di coordinamento degli studi, affidata a commissioni e gruppi di studio, di fatto è molto modesta, e la ricerca geografica procede in larga misura piuttosto per scuole nazionali, anche se esiste un consenso generalizzato su un ristretto numero di temi e problemi emergenti.
L’UGI non dispone di proprie pubblicazioni scientifiche, ma solo di stampa d’informazione. Sedi di diffusione della ricerca restano i numerosi periodici geografici dei vari paesi, tra i quali alcuni editi da lunga data e ben noti per l’alta qualità dei loro contenuti (a titolo di esempio, il francese Annales de géographie, The geographical journal, organo della Royal Geographical Society di Londra, The geographical ;review, edito dall’American Geographical Society, il tedesco Geographische Zeitschrift), cui se ne affiancano altri più recenti, ma che hanno acquistato notorietà e prestigio per la loro carica innovativa (L’Espace géographique, in Francia) o per i loro importanti contributi metodologici (Progress in physical geography e Progress in human geography nel Regno Unito). Parecchie delle principali riviste di g. sono organi ufficiali di società geografiche, a riprova dell’importanza che tali istituzioni, per lo più fondate nell’Ottocento e a lungo legate alla vecchia g. esploratrice, conservano ancora nell’organizzazione degli studi geografici. Inoltre, va ricordata la fondazione, a Bruxelles, nel 1997, di una Società Europea per la Geografia (EUGEO, European society for geography), sorta di federazione tra le società geografiche di vari paesi dell’Unione.
In Italia gli studi geografici sono condotti in assoluta prevalenza nel mondo accademico. L’Associazione dei Geografi Italiani (AGeI) è l’organo cui sono demandate funzioni di coordinamento della ricerca. Altre importanti istituzioni scientifiche o professionali sono l’antica Società Geografica Italiana (che dall’ultimo decennio del 20° sec. si è segnalata per un rinnovato fervore nella promozione di iniziative e nella pubblicazione di risultati di ricerche), la fiorentina Società di Studi Geografici, l’Associazione Italiana Insegnanti di Geografia (impegnata soprattutto nella ricerca didattica e nella tutela dell’insegnamento della g. nelle scuole), l’Associazione Italiana di Cartografia, l’Istituto Geografico Militare. Tali istituzioni pubblicano periodici di grande interesse, tra cui il Bollettino della Società Geografica Italiana, di notorietà internazionale, stampato ininterrottamente dal 1868, e la Rivista Geografica Italiana, organo del la Società di Studi Geografici. Benemeriti, per la produzione cartografica e le numerose pubblicazioni di carattere geografico, sono il Touring Club Italiano e l’Istituto Geografico De Agostini, nonché alcune altre case editrici che hanno dato vita a collane di volumi geografici.