Studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita. Si occupa di tre livelli di gerarchia biologica: individui, popolazioni e comunità.
L’e., come disciplina scientifica, ha avuto origine intorno alla metà del 19° secolo. Il termine fu introdotto da E.H. Haeckel nel 1866 per indicare la parte della fisiologia che studia le funzioni di relazione degli organismi con l’ambiente circostante e tra loro, e che trova la sua spiegazione meccanica nella teoria dell’adattamento degli esseri viventi, nel corso del loro trasformarsi in seguito alla lotta per l’esistenza, al mezzo, al parassitismo, alla competizione ecc.: in sintesi, la scienza delle condizioni di esistenza, o biologia ambientale. Successivamente K.A. Möbius (1877) propose il termine biocenosi per indicare un raggruppamento di esseri viventi legati da dipendenza reciproca, corrispondenti ad alcune condizioni medie dell’ambiente e occupanti uno spazio chiamato biotopo.
Nei primi decenni del 20° sec. un gruppo europeo e uno statunitense di botanici studiarono le comunità vegetali da due punti di vista: il primo, occupandosi della composizione, struttura e distribuzione di tali comunità, il secondo dedicandosi specialmente allo studio dello sviluppo delle forme vegetali nel tempo. Nel corso degli anni 1930 l’e. vegetale e l’e. animale, che si erano sviluppate separatamente, cominciarono a essere considerate in maniera unitaria ma, fino a tempi relativamente recenti, l’e. mancava di una solida base concettuale. La ricerca ebbe dapprima carattere descrittivo, per poi assumere un indirizzo funzionale, intorno alla fine degli anni 1930, con la definizione del concetto di ecosistema e con lo sviluppo della e. quantitativa, che impiega metodi accurati di campionamento e di analisi fisiche e chimiche, e modelli matematici di simulazione e stabilizzazione di processi ambientali. Inoltre, essendo scienza multidisciplinare, l’e. è stata arricchita dai rapporti stabiliti con parecchie altre scienze, con le quali non è agevole fissare nette demarcazioni.
L’e. si sviluppa oggi lungo le due direttrici dello studio delle piante e degli animali; come tra piante e animali esiste una mutua dipendenza, anche l’e. vegetale e l’e. animale, per essere compiutamente comprese, richiedono una conoscenza reciproca non marginale, specie nei settori dell’ e. applicata (protezione faunistica, conservazione della natura, sfruttamento delle risorse naturali, regolamenti della caccia e della pesca ecc.). Mentre l’ e. vegetale, con un approccio globale, si è occupata prevalentemente, dell’individuazione degli ecosistemi e dello studio della loro produttività, in e. animale l’interesse è stato attratto più dal tema delle reazioni degli organismi alle condizioni dell’ambiente in cui vivono. È, questa, una via attenta alla dinamica delle popolazioni, alle strutture demografiche delle varie specie e alle vicende delle sue variazioni.
Più significativa è la distinzione in autoecologia, che si occupa dei rapporti organismo-ambiente per una singola specie o popolazione, e in sinecologia, che studia i raggruppamenti di più specie, come le comunità animali e le associazioni vegetali e, più in generale, le biocenosi e gli ecosistemi naturali. Mentre l’autoecologia, sperimentale e induttiva, rappresenta l’aspetto dell’e. più direttamente e facilmente controllabile in laboratorio, la sinecologia, deduttiva e speculativa, è orientata verso ricerche più complesse sulla produttività degli ecosistemi e le valutazioni delle biomasse.
Non tutti gli organismi di una comunità sono ugualmente influenti nel determinare la natura e la funzione della comunità stessa. All’interno di essa le specie, o i gruppi di specie, che controllano il flusso di energia sono dette dominanti ecologici. L’ambiente comprende organismi viventi (fattori biotici) e mondo fisico circostante (fattori abiotici) e condiziona i rapporti tra individui in una popolazione e tra individui di popolazioni diverse.
Le interazioni tra individui, tra popolazioni e tra individui e il loro ambiente costituiscono un ecosistema. Questo è formato da un insieme di olocenosi, ciascuna delle quali è il complesso delle piante e degli animali che coabitano in un luogo (stazione) e delle relazioni che hanno tra loro e con l’ambiente. L’insieme dei soli organismi viventi all’interno di una olocenosi è il bioma, e l’insieme del bioma e dei rapporti reciproci tra i soli organismi che racchiude è una biocenosi, che comprende fitocenosi e zoocenosi, rispettivamente formate di sole piante e di soli animali e costituite da popolazioni, insiemi di individui della stessa specie conviventi in una stazione.
Gli ecosistemi si raggruppano in base alla predominanza di uno dei fattori ambientali: il fattore acqua caratterizza gli ecosistemi acquatici; negli ambienti terrestri, fattori predominanti possono essere la quantità e la distribuzione delle precipitazioni; in questo caso i sottogruppi, chiamati biocore, sono definiti dai tipi fondamentali della vegetazione: foreste, savane, steppe, praterie, deserti, tundre.
Gli organismi sono in stretta relazione con l’insieme delle condizioni fisiche, chimiche e biologiche che, intorno a loro, ne costituiscono l’ambiente, al quale sono adattati geneticamente, attraverso la selezione naturale. Partendo da un luogo, che è centro di origine e di dispersione, ogni organismo si diffonde in un’area di distribuzione geografica ( areale), finché non trovi ostacoli alla sua espansione e alla sua capacità moltiplicativa. Esso è bene adattato a un intervallo ristretto di condizioni esterne; qualsiasi cambiamento ambientale determina reazioni omeostatiche, con le quali esso cerca di resistere alle variazioni ambientali. In genere, l’organismo reagisce modificando fisiologia e comportamento, o migrando in un altro ambiente, in via definitiva o con migrazione stagionale, pendolare.
La capacità di un organismo di adattarsi a una gamma ampia ( euriecia) o ristretta ( stenoecia) di condizioni ambientali rappresenta la sua valenza ecologica. Le regole ecologiche stabiliscono corrispondenze tra modificazioni ambientali e variazioni morfologiche degli organismi conseguenti a variazioni funzionali. Esempi di fattori limitanti, che consentono o escludono la possibilità della presenza di una specie in un dato ambiente, sono la temperatura, l’acqua, l’umidità relativa, la possibilità di riparo per gli organismi terrestri, il pH del mezzo e la disponibilità di ossigeno per quelli acquatici, la periodicità e intensità della luce ecc. Le risposte fisiologiche degli organismi vegetali e animali alle condizioni ambientali di una data area costituiscono gli ecofeni, o forme di vita. La regola o legge del minimo (J. Liebig, 1840) stabilisce che, in un dato ambiente, lo sviluppo completo di un organismo è condizionato dal fattore limitante più scarso; per la regola di C. Bergman, gli organismi omeotermi dei luoghi più freddi hanno mole corporea maggiore per la minore esigenza di perdere calore attraverso la superficie del corpo.
Alcuni organismi (specie, gruppi di specie e, talora, comunità) permettono di saggiare l’esistenza di determinate condizioni ambientali e sono detti indicatori ecologici o bioindicatori; essi hanno talora notevole importanza come rivelatori di inquinamento, specie delle acque interne.
Per habitat si intende la facies ambientale in cui una specie vive, mentre per nicchia ecologica si intendono i limiti delle condizioni ambientali entro le quali una specie sopravvive e si riproduce all’interno dell’ecosistema a cui appartiene. Oltre che con i fattori chimici e fisici dell’ambiente, gli organismi convivono e competono con altri organismi della stessa specie o di specie diversa, nel qual caso i rapporti possono essere neutrali oppure antagonistici. La competizione tra specie diverse per il cibo, la luce e i luoghi di riproduzione tende a creare una separazione ecologica tra esse, tanto più netta quanto più sono affini: se, tuttavia, coabitano, possono avere fonti nutritive diverse, o essere attive in ore diverse, cioè occupare nicchie ecologiche distinte.
Gli ecosistemi hanno la proprietà di mantenere costanza di funzionamento nonostante i cambiamenti dell’ambiente, per la presenza di meccanismi, come i controlli biogeochimici e biodemografici, di autoregolazione delle popolazioni. Si ritiene che un ecosistema sia tanto più stabile quanto più è ricco di specie e che quelli poveri di specie siano più soggetti a squilibri. Alle specie che, in una successione primaria, si insediano in un biotopo formandovi la comunità pioniera, segue una serie di comunità intermedie, dette sere o stadi serali, finché si giunge a una comunità matura, che può mantenersi indefinitamente (in termini storici) ed è detta comunità di climax. Ogni ecosistema consta di tre componenti: abiotica, fattori non viventi che partecipano alla definizione dell’ambiente; autotrofa, piante verdi e batteri autotrofi, che sono gli organismi capaci di catturare energia luminosa o chimica dall’ambiente esterno e di organicare composti inorganici; eterotrofa, formata dagli organismi che utilizzano i composti organici sintetizzati dalla componente autotrofa e comprendente i consumatori, che si nutrono di altri organismi, e i decompositori, che per nutrirsi demoliscono sostanze organiche in decomposizione, provenienti dalla morte di altri organismi. Il percorso compiuto in un ecosistema dalla materia organica e dall’energia in essa contenuta è descritto schematicamente dalla catena (➔ rete) alimentare: dai produttori primari (organismi autotrofi) ai consumatori primari (animali erbivori) ai consumatori secondari (animali carnivori che si nutrono di animali erbivori) ai consumatori terziari (animali carnivori che si nutrono di altri carnivori). Tenendo presente che ai produttori primari è indispensabile una fonte esterna di energia e che a ogni passaggio di livello vi è una dissipazione di energia, come impone il 2° principio della termodinamica, si ottiene la cosiddetta piramide ecologica (fig. 1 e 2). La quantità di materiali organici prodotti in un ecosistema è la biomassa. La velocità con cui la biomassa viene formata è la produttività.
Studia i rapporti tra fattori ambientali, rendimento di piante coltivate e animali domestici, in modo da individuare il migliore equilibrio tra questi elementi. Lo studio dell’e. agraria è imperniato sul confronto tra l’andamento delle variabili del clima (essenzialmente temperatura e umidità) durante il ciclo vegetativo e le esigenze delle varie specie di piante nelle diverse fasi del ciclo stesso, che si distinguono in fasi di sviluppo, durante le quali si registrano periodi critici in cui le piante sono particolarmente sensibili ai fattori climatici, e fasi intermedie, durante le quali la sensibilità ai fattori climatici è notevolmente attenuata. Il confronto tra andamento del clima ed esigenze delle piante consente di individuare le situazioni di eccesso, di ottimo e di deficienza (i cosiddetti equivalenti meteorologici) in relazione al rendimento della coltivazione e, quindi, di stabilire il quadro climatico adatto per ogni specie e varietà di piante. È così possibile da un lato orientare la genetica agraria verso la creazione di nuove varietà capaci di fornire rendimenti soddisfacenti in determinate circostanze climatiche e, da un altro lato, intervenire nei periodi critici (per es., la fioritura) per ridurre il divario tra le condizioni del clima e le esigenze delle piante (irrigazione, smaltimento delle acque in eccesso). L’e. agraria studia anche i rapporti tra le piante e le condizioni dell’ambiente biologico (organismi predatori, parassiti, concorrenti, infestanti ecc.) allo scopo di individuare le migliori opportunità di sviluppo delle coltivazioni con il minimo turbamento dell’equilibrio ecologico generale.
Nata come disciplina biologica l’e., da quando ha cominciato a occuparsi dell’ambiente dell’uomo, è divenuta una scienza trasversale, che interessa anche le discipline sociali e che ha contatti con la geografia. Questa, infatti, è stata a lungo interpretata come studio delle relazioni (varie, mutevoli e complesse) tra l’ambiente e le società. In realtà, la geografia non è tanto lo studio delle relazioni dell’umanità con l’ambiente quanto la scienza dell’organizzazione umana dello spazio; ma nell’organizzare il suo spazio l’uomo, se per un lato subisce certe influenze ambientali, dall’altro modifica profondamente e incessantemente l’ambiente (e anche lo sconvolge e lo degrada), rimettendo continuamente in discussione il suo rapporto con l’ambiente stesso.
Branca dell’e. che si occupa dello studio della struttura e della conservazione degli ecosistemi naturali utilizzati dall’uomo. All’obiettivo di prevenire, identificare e porre rimedio, ove possibile, al deterioramento dei sistemi stessi, si affianca quello della gestione delle risorse ambientali a fini economici. Occuparsi del sistema in cui vive è diventata, per l’uomo, una necessità, a seguito del suo enorme incremento demografico e della sua dominanza sulla Terra: con l’aumento della pressione demografica, aree sempre maggiori di terre emerse vengono poste sotto il controllo dell’uomo per usi residenziali, industriali e agricoli (fig. 3); il problema fondamentale è quindi quello della valutazione del rapporto costo/beneficio nell’uso delle risorse ambientali. Al problema della conservazione delle risorse naturali, l’e. applicata risponde utilizzando le conoscenze dell’e. di base per la gestione o il recupero di siti di interesse naturalistico.
Un’altra problematica riguarda il recupero delle zone contaminate: le contaminazioni multiple cui sono sottoposti gli ecosistemi naturali possono avere sulla risorsa effetti diretti, cioè possono precluderne l’uso cui era precedentemente destinata, ed effetti indiretti, cioè possono interferire con altre risorse (per es., manufatti dell’uomo) o con altri organismi, incluso l’uomo. La contaminazione da sostanze chimiche di sintesi che non hanno corrispettivi naturali, i cosiddetti xenobiotici, per es., pone problemi non solo di carattere tecnico-scientifico ma anche di carattere politico: spesso esiste la possibilità di prevenire l’inquinamento, ma ciò implica un costo, talvolta alto. Se questo costo non viene pagato dal produttore, viene poi pagato dalla collettività nel suo complesso, in termini di costi medici, costi per l’installazione e la gestione di impianti di depurazione sempre più grandi, e altri costi difficilmente monetizzabili come, per es., quelli per il non uso a scopi ricreativi di mari, fiumi o laghi inquinati. La contaminazione da elementi o composti di origine naturale, ma immessi nei comparti ambientali in quantità superiori alla capacità di smaltimento dei sistemi naturali, pone esigenze analoghe in termini di depurazione o di interventi sulle fonti di inquinamento. Sempre più spesso, anche per diminuire i costi della depurazione, si riutilizzano, per scopi agricoli o industriali, le acque di scarico depurate. Un caso particolare di riuso è rappresentato dall’impiego di acque ricche in nutrienti per aumentare la produttività di particolari ecosistemi: in questi casi il surplus di nutrienti può essere convogliato verso la produzione di alimenti a più elevato valore commerciale; questo approccio, che ha origini antiche, è oggetto di rinnovato interesse in un contesto più allargato (biomanipolazione delle reti alimentari). Di fondamentale importanza è anche la valutazione economica dell’uso di una determinata risorsa ambientale.
L’approccio metodologico in e. applicata è estremamente complesso e si basa su valutazioni del carico trofico, del carico organico, del carico termico, del carico radioattivo, della tossicità in acqua ecc., ma anche su valutazioni di tipo sociale ed economico, come nel caso delle valutazioni di impatto ambientale. È evidente che tale complessità di approccio comporta la necessità di competenze multiple in questa disciplina, che si connota come uno dei pochi strumenti di una strategia di sostenibilità per il nostro pianeta.