Ecologia
L'ecologia è una scienza naturale, derivata dalla biogeografia e più precisamente dalla geografia delle piante, che studia le relazioni tra gli organismi viventi e il loro ambiente. Il nome è stato coniato dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866, in riferimento sia all'ambiente di vita, habitat (gr. oikos=casa), sia al concetto di 'economia della natura', già proposto da Linneo, e ripreso poi da Darwin e Thomas Huxley, per indicare l'insieme dei rapporti tra le specie e il loro ambiente. L'inizio reale del suo sviluppo come disciplina scientifica data però solo dalla fine del secolo (1895), e fino al 1960 circa essa è rimasta una branca specialistica, e di fatto marginale, della zoologia e della botanica. A partire da quella data l'ecologia ha rapidamente ampliato i suoi contenuti, sino a comprendere l'intera 'problematica ambientale', ed è divenuta oggetto di grande attenzione collettiva.
L'ecologia interessa le scienze sociali almeno sotto tre profili. In primo luogo, ad essa si è direttamente ed esplicitamente ispirata una vera e propria scuola sociologica, detta dell''ecologia umana', fiorita all'Università di Chicago negli anni venti e trenta e continuata poi in vari modi fino ai nostri giorni, con diverse trasformazioni anche nel nome (ecologia urbana, ecologia sociale, scuola del complesso ecologico, ecologia umana sociologica, ecc.).In secondo luogo, l'ecologia si è posta, a partire dagli anni venti, come uno dei possibili luoghi di convergenza tra le scienze della natura e quelle dell'uomo, e negli anni più recenti come una possibile superscienza 'sintetica', 'architettonica', in grado di organizzare le conoscenze di una grande molteplicità di discipline, sia sociali che naturali, in un quadro teorico unitario, di grande respiro, 'olistico' e 'macroscopico', finalizzato alla comprensione della struttura e dei processi della biosfera o 'ecosistema globale'. Questo possibile status di 'superscienza' è analogo a quello che, alcuni decenni prima, era stato rivendicato dall'urbanistica e, un secolo prima, dalla sociologia (Comte, Spencer), e pone interessanti problemi di sociologia della scienza e di epistemologia.
In terzo luogo, l'ecologia, proponendosi come scienza in grado di affrontare e risolvere alcuni dei più gravi e inquietanti problemi del nostro tempo, è divenuta oggetto di acuto interesse da parte di un pubblico sempre più largo. Da modesta e relativamente oscura disciplina accademica è divenuta corrente di pensiero, ideologia, movimento sociale (ecologismo, ambientalismo, ecologia politica) e istituzione pubblica (ministeri dell'ecologia e assessorati all'ecologia). Tale fenomeno sollecita l'attenzione di diverse branche della sociologia (dei fenomeni culturali, della politica, dei movimenti sociali, ecc.).In questo articolo noi concentreremo la nostra attenzione sulle diverse varietà dell'ecologia umana, e soprattutto sull''ecologia umana sociologica'.
Che tra l'ambiente fisico (terra, acqua, suolo, forme geologiche, topografia, clima, ecc.) e gli organismi viventi (la loro distribuzione e le loro caratteristiche anatomiche, morfologiche, fisiologiche, comportamentali, ecc.) vi siano interrelazioni sistematiche e significative è un dato immediato della conoscenza. Osservazioni e teorie che anticipano l'ecologia si possono trovare già ai primordi del pensiero e delle scienze naturali (Ippocrate, Aristotele, Plinio, ecc.). Tra i precursori più moderni figurano Linneo, che introduce il concetto di equilibrio finalizzato, Goethe, per le sue ricerche morfologiche, e soprattutto Alexander von Humboldt, fondatore della 'geografia delle piante' o 'fitogeografia'.
Nel pensiero di Darwin vi sono numerosi e fondamentali elementi riconducibili alla moderna ecologia, ma indubbiamente, per lui, la forza selettiva principale è esercitata dall'insieme degli organismi viventi in un dato luogo, piuttosto che dai caratteri fisici dell'ambiente. Il ruolo di questi ultimi è invece sottolineato da diversi altri naturalisti dell'epoca. Oltre ad Häckel si può citare Moebius, che nel 1877 propone il termine 'biocenosi' (comunità dei viventi). Isidore Geoffroy de Saint-Hilaire propone il termine 'etologia' (scienza del comportamento) per indicare lo studio delle interazioni tra le popolazioni in un dato ambiente, altri parlano di fitosociologia e zoosociologia.
Tali proposte rimangono in buona parte meramente programmatiche; è solo nel 1895 che il danese Eugen Warming pubblica un trattato di 'geografia ecologica delle piante', in cui si esamina sistematicamente, con chiarezza di impianto teorico e ricchezza di applicazioni empiriche, l'effetto dei parametri ambientali sulla forma, sulla fisiologia e sulla distribuzione delle piante, e le diverse forme di relazioni simbiotiche tra esse (parassitismo, mutualismo, commensalismo, ecc.). A tre anni di distanza esce il secondo incunabolo dell'ecologia moderna, La geografia delle piante su base fisiologica (Lipsia 1898), dello Schimper.Negli stessi anni si sviluppa negli Stati Uniti, e in particolare all'Università di Chicago, una scuola di ecologia botanica a orientamento spiccatamente sperimentale. I nomi principali sono quelli di C. McMillan, R. Pounds, F.E. Clements, H.C. Cowles, C. Elton, C.C. Adams, V.E. Shelford. Sotto l'aspetto teorico, i contributi principali riguardano le dinamiche della vegetazione (invasione, successione, climax, ecc.) e i concetti di 'catene trofiche' e 'piramide ecologica', ma la scuola si caratterizza anche per lo sviluppo delle metodiche di misurazione e quantificazione, l'invenzione di un certo numero di strumenti tecnici, l'estensione dell'ecologia sperimentale alla comprensione degli organismi animali, e soprattutto per il suo carattere applicativo, in riferimento ai problemi di gestione delle risorse forestali e alle pratiche agronomiche. Ad esempio è nell'ambito di questa scuola che nascono le prime esperienze di 'lotta biologica'.
Tra le due guerre l'ecologia si sviluppa in due direzioni principali. La prima è quella che porta l'ecologia a fungere da supporto scientifico ai movimenti conservazionisti, che avevano cominciato ad affermarsi, sia in Europa che negli Stati Uniti, alla fine del secolo, e che riprendono faticosamente il cammino negli anni venti (v. Nicholson, 1987). Una figura centrale in quest'ambito è quella di A.G. Tansley, cui si deve tra l'altro la proposta del concetto di 'ecosistema' (1935). La seconda direzione è quella della teoria e dei metodi. Tra i contributi fondamentali in questo campo si devono citare quelli di A.J. Lotka e V. Volterra - che, in contemporanea (1925-1926), propongono un approccio matematico alla dinamica delle popolazioni, inaugurando così il filone dell'ecologia formale, modellistico-matematica - e quelli rivolti all'integrazione, nei modelli quantitativi dell'ecologia, dei fattori più prettamente fisici. L'ecosistema viene concettualizzato come un sistema integrato di flussi energetici, comprensivo degli aspetti fisico-chimici (biotipo) e di quelli biologici (biocenosi); di esso si può quindi misurare la 'produttività', l''efficienza', ecc. Tale decisivo progresso è opera di C. Juday (1940) e soprattutto di R. Lindeman (1941).
Lo sviluppo della teoria dell'informazione fornisce infine all'ecologia un nuovo apparato concettuale, in base al quale l'ecosistema può essere descritto non solo in termini di flussi energetici, ma anche in termini informazionali. Questo passo fondamentale e, al momento, finale nell'evoluzione del paradigma ecologico viene compiuto essenzialmente da E. P. Odum. Il suo testo del 1953, Fundamentals of ecology, segna l'avvenuta sintesi di tutte le componenti dell'ecologia contemporanea e, nelle sue varie edizioni riviste e ampliate, rimane a tutt'oggi uno dei testi introduttivi più diffusi.
Da questo momento la storia dell'ecologia in senso stretto, naturalistica, è una storia di approfondimenti specialistici, estensioni, revisioni e miglioramenti, e di forte crescita istituzionale (pubblicazioni, istituti, ricerche, associazioni professionali e scientifiche, ecc.), ma la struttura fondamentale della disciplina è stabilizzata.
La disciplina denominata ecologia umana nasce dall'incontro, non solo metaforico, di un gruppo di sociologi dell'Università di Chicago (soprattutto Robert E. Park) con i loro colleghi del dipartimento di scienze naturali, alcuni dei quali sono stati menzionati sopra. Park è affascinato dalla possibilità di trasferire nel proprio campo di ricerca alcuni concetti teorici sviluppati in rapporto ai fenomeni biologici, e addirittura di trovare le chiavi per inserire la sociologia nel quadro più ampio, e più legittimato e prestigioso, delle scienze naturali. L''ecologia umana' della Scuola di Chicago è una delle tante manifestazioni del 'naturalismo' nella storia del pensiero sociologico.
Qualunque altra cosa sia, l'uomo è anche un organismo animale, che sta in qualche luogo e vive in interazione con l'ambiente, e la società è anche una popolazione di organismi. L'approccio naturalistico ai fenomeni umano-sociali è quindi intuitivo e immediato, ed è stato anche di gran lunga predominante, nella storia della scienza, fino a tempi molto recenti. Se la scienza si distingue da altre forme di conoscenza per il suo contenuto empirico-osservativo, e perché mira a scoprire regolarità (leggi causali), e quindi a formulare teorie (modelli predittivi), allora è evidente che le prime conoscenze scientifiche dell'uomo riguardano la sua fisicità. Non a torto, tra i precursori delle scienze sociali si menziona di solito il medico Ippocrate di Coo, per i suoi studi sull'influenza del clima e della morfologia del territorio sull'organizzazione sociale e politica. Questa idea attraversa tutto il pensiero scientifico occidentale e, come afferma Sorokin (v., 1928) nella sua grande storia del pensiero sociologico, è difficile trovare uno studioso di scienze sociali - prima del nostro secolo - che non menzioni il 'fattore geografico' tra quelli che spiegano il comportamento umano e le strutture sociali: Aristotele, Bodin e Montesquieu sono solo tre fra gli infiniti nomi associabili a questa 'teoria'. Per Kant, che a Königsberg ebbe a insegnarla, la geografia (umana) è 'la prima scienza sociale', e per tutto l'Ottocento è ben difficile distinguere tra sociologia, antropologia e geografia, in quanto si dava per scontata la rilevanza, per le scienze sociali, anche dei fattori di 'natura esterna' (geografia) e 'interna' (biologia, razza, ecc.). Per Comte e Spencer le scienze dell'uomo e della società (scienze morali, sociologia) vanno oltre quelle naturali, ma sono solidamente radicate in esse. L''organicismo' non è solo una metafora, ma anche un'affermazione della naturalità del sociale. Ciò presenta ovviamente molti aspetti filosoficamente criticabili (meccanicismo, determinismo, materialismo, ecc.) e buona parte dello sforzo dei fondatori della sociologia contemporanea (Durkheim, Simmel e Weber in particolare) è diretta a enfatizzare la diversità dei fenomeni sociali, culturali, morali da quelli naturali, e l'autonomia dei rispettivi campi scientifici. Questa fondamentale 'regola del metodo sociologico' si è irrigidita, nella prima metà del nostro secolo, in un dogma antinaturalistico di rigida esclusione dei fattori biologici e geografici dall'orizzonte della sociologia, e ciò in parte anche in comprensibile reazione alle disastrose degenerazioni della geografia umana nella geopolitica alla Haushofer e del biologismo nel razzismo nazista. Tuttavia ciò è andato molto al di là delle intenzioni dei classici che intendevano sì definire rigorosamente i confini analitici tra il morale e il naturale, ma non negavano affatto l'importanza dei fattori fisici (tecnici), biologici e geografici nella spiegazione dei fenomeni sociali. Così Durkheim attribuiva molta importanza alla 'morfologia sociale', che altro non è, in sostanza, che una geografia umana fondata sulle basi teorico-metodologiche della sociologia; nei suoi programmi, l'analisi morfologica (della distribuzione nello spazio delle forme dei fenomeni sociali) doveva essere il punto di partenza e, dialetticamente, quello di approdo dell'analisi propriamente sociologica (delle funzioni, dei processi e delle strutture), come l'anatomia rispetto alla fisiologia. Ma anche Weber, a ben guardare, presta la dovuta attenzione a questi aspetti (v. West, 1978).
Il predominio, nella sociologia del XX secolo, delle tendenze 'idealistiche', 'culturalistiche', 'storicistiche', sfociate nell'elaborazione di teorie del sistema sociale disincarnate e astratte (sociologia strutturalista, funzionalista e sistemica) ovvero, più recentemente, in approcci soggettivistici, non è stato tale da escludere del tutto quelle che, viceversa, prestavano una certa attenzione alle dimensioni fisiche della realtà sociale. I sociologi non potevano rimanere del tutto indifferenti ai grandi contributi che, in tema di rapporti tra realtà umana e ambiente, venivano presentati in questo secolo dalle discipline sorelle: la storia (Arnold Toynbee, Lucien Febvre e poi Fernand Braudel), l'antropologia (che, pur con varia enfasi, non ha mai trascurato le componenti geografiche, biologiche e tecnologiche), la geografia umana stessa, l'economia spaziale (teoria della localizzazione) e così via.All'interno della sociologia stessa si erano sviluppate, tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del Novecento, sulla base di una precisa 'domanda sociale', specializzazioni applicate ai problemi di due tipi particolari di ambienti fisici, la città e la campagna (v. Sorokin e Zimmermann, 1929). Alle sociologie 'urbana', 'delle comunità locali', 'rurale', 'agraria', 'degli insediamenti', 'regionale', 'del territorio', ecc., qualunque fosse il particolare approccio teorico adottato, non era evidentemente possibile trascurare il ruolo dei fattori geografico-spaziali; era quindi inevitabile che queste costituissero una delle principali aree di incontro tra le scienze sociali e quelle naturali.
Robert E. Park esordisce a Chicago come giornalista molto vicino ai movimenti di 'riforma sociale', che tanta importanza hanno avuto nella nascita della sociologia, specie americana. Egli è affascinato dallo spettacolo contraddittorio della grande città, con i suoi estremi di splendore e di abbrutimento. La forte tensione a comprendere la dinamica urbana lo attira verso la sociologia, e in particolare egli sente la suggestione del pensiero di Durkheim sulla morfologia sociale e soprattutto di quello di Simmel sulla 'mentalità metropolitana'. Il suo engagement lo porta a costituire all'Università di Chicago una vera e propria scuola di ricerca sociale urbana, a orientamento fortemente empirico. Il clima culturale dominante, nella sociologia americana del tempo, è quello del 'darwinismo sociale', cioè dell'ideologia della 'lotta per l'esistenza', della 'sopravvivenza del più adatto', della competizione come forza motrice della vita. In questo quadro avviene l'incontro con l'ormai prestigiosa scuola di ecologia naturalistica della sua università, e avviene il concepimento del progetto di una ecologia umana. La città può essere concettualizzata come una comunità biologica (biocenosi): la metafora della 'giungla d'asfalto' non è lontana (v. Warner, 1972). La competizione tra individui e gruppi per le risorse vitali (tra cui gli spazi) si svolge secondo dinamiche più o meno regolari e simili a quelle individuate dai botanici (invasione, successione, dominanza) e sfocia in patterns spaziali caratteristici (le 'aree naturali'). La struttura urbana complessiva è la risultante di questi processi, e mostra delle regolarità altrettanto caratteristiche (modello a centri concentrici, modelli polinucleari, ecc.). I processi urbani si svolgono a due livelli: quello 'biotico', di lotta individuale per la sopravvivenza, e quello più propriamente sociale (morale, culturale) in cui intervengono fattori che modificano e regolano la competizione, tra cui i costumi, ma anche l'amministrazione e la politica. L'ecologia umana è la scienza sociale specializzata nello studio dei processi del primo livello, anche se non può trascurare questi ultimi.
La teoria della Scuola di Chicago non è monolitica: essa si è evoluta e differenziata, nel corso di vent' anni, anche in risposta alle critiche che da varie parti le sono state rivolte, soprattutto a partire dagli anni trenta.
Non possiamo qui ricostruire l'intero dibattito sull'ecologia umana 'classica', per il quale si rimanda alla bibliografia (v. Theodorson, 1982; v. Giannotti, 1966). Tra i temi più dibattuti si possono ricordare: a) il rapporto tra ecologia umana e sociologia: accanto a dichiarazioni di autonomia, se ne trovano altre in cui l'ecologia umana è ridotta a branca specialistica della sociologia, o addirittura a un mero approccio o metodo; b) il rapporto tra ecologia umana ed ecologia generale: alle dichiarazioni, soprattutto iniziali, secondo cui l'ecologia umana costituirebbe l'applicazione 'propria' dell'ecologia generale a quella particolare specie animale che è l'uomo e a quel particolare biotopo che è la città, si alternano dichiarazioni sulla natura meramente analogica ed euristica dei prestiti concettuali e teorici; c) la limitazione del campo di riferimento empirico all'ambiente urbano, o meglio metropolitano, degli Stati Uniti del tempo, e quindi la scarsa sensibilità per la dimensione storica del fenomeno urbano, per la sua varietà geografico-culturale, per i rapporti contestuali con il livello superiore (regionale, nazionale, internazionale) di organizzazione socioterritoriale; d) il completo disinteresse per i fattori ambientali naturali e l'insufficiente approfondimento del ruolo dello spazio, troppo spesso considerato solo come supporto delle attività economiche; e) l'accettazione acritica dell'ideologia del darwinismo sociale, e quindi della visuale economicistica; f) errori di metodo: incaute inferenze tra livello di aggregato spaziale e livello individuale (fallacia ecologica) (v. Langbein e Lichtman, 1976).
D'altro canto la Scuola di Chicago ha esercitato una notevole influenza sullo sviluppo di discipline affini, come l'economia urbana e regionale (scienza regionale) e la geografia urbana e umana, talché nel 1923, colpito dalla proposta di Park, il presidente in carica dell'Associazione Americana di Geografia, H.H. Barrows, propose di ribattezzare 'ecologia umana' l'intera geografia. La proposta, più volte ripresa (v. Eyre e Jones, 1966; v. Dickinson, 1970; v. Chailly, 1973), non riuscì a prevalere, ma gli studi della Scuola di Chicago hanno chiaramente influenzato lo sviluppo della geografia urbana e regionale e delle corrispondenti specializzazioni dell'economia (economia urbana, scienza regionale, economia spaziale, ecc.). L'approccio di Park ha avuto qualche parte nello sviluppo della 'psicologia ecologica' di Kurt Lewin e dell'antropologia ecologica di Robert Redfield.
A partire dagli anni quaranta la Scuola di Chicago si è profondamente trasformata e differenziata. Nella sede originale e nelle sue filiazioni dirette sono continuati gli studi sui classici problemi sociali metropolitani ma quasi senza più agganci con l'ecologia umana e in qualche caso con riferimento alla sociobiologia e all'etologia degli anni sessanta (v. Suttles, 1968). L'impegno riformatore e applicativo si è sviluppato nella direzione degli studi di politica e amministrazione urbana.
Nel 1944 Amos Hawley pubblica un articolo, Ecology and human ecology, che critica la divaricazione, avvenuta nel corso della precedente generazione, tra ecologia generale ed ecologia umana, e preannuncia un vigoroso rilancio della seconda alla luce dei progressi compiuti dalla prima e dalla biologia in genere ('nuova sintesi evoluzionistica'). Nel 1950 la sua teoria è compiutamente esposta in Human ecology: a theory of community structure. Le novità rispetto alla teoria della Scuola di Chicago riguardano: a) la riaffermazione senza esitazioni della continuità tra ecologia biologica e umana: la società umana è vista come un prodotto dell'evoluzione naturale; b) il superamento della limitazione all'ambiente urbano: l'ecologia umana è un approccio che si applica a ogni tipo e livello di comunità, dal villaggio rurale ai continenti; c) l'enfasi sugli aspetti organizzativi: l'interazione ecologica non si svolge solo tra individui; l'organizzazione socioculturale emerge 'naturalmente' e inevitabilmente, come forma di adattamento, dall'interazione tra la popolazione e l'ambiente fisico; non è necessario distinguere tra livelli 'biotici', di competenza dell'ecologia umana, e 'sociali', di compentenza della sociologia; d) l'enfasi sulla popolazione: l'unità d'interesse dell'ecologia umana non è l'individuo ma l'aggregato demografico localizzato (comunità); e) l'esclusione programmatica e metodologica, dalle analisi ecologiche, dei fattori psicologici (motivazioni, sentimenti, intenzioni) e culturali (valori).
A questi temi iniziali Hawley aggiunge, nei lavori posteriori (come Urban society: an ecological approach, 1971, e Human ecology: a theoretical essay, 1986), numerosi elementi interessanti. Si può citare l'individuazione del potere sociale come l'equivalente, nella sfera socioculturale (organizzativa), di quel che l'energia è nel mondo fisico; l'enfasi sulla tecnologia, soprattutto su quelle delle telecomunicazioni e dei trasporti, come componente chiave della struttura e della dinamica ecologica, in particolare dei processi di 'espansione'. Più recentemente egli ha richiamato l'attenzione sulla varietà degli effetti dell'ambiente naturale sulla società, aprendo così l''ecologia umana sociologica' a quella che, a partire dagli anni sessanta, si intende comunemente per 'problematica ambientale'.
Fin dal suo apparire l'ecologia umana di Hawley è stata salutata come 'neoclassica'; la sua rimarchevole sistematicità e la sua coerenza interna hanno esercitato un effetto galvanizzante su molti studiosi di sociologia urbana. Tra i primi J.P. Gibbs che, con diversi collaboratori (v. Gibbs e Martin, 1959), concentra i suoi studi sulla sustenance organisation, le forme attraverso cui la società organizza l'estrazione, la distribuzione e il consumo delle risorse vitali (in pratica l'economia). Tra la fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta appare una serie di articoli di Otis D. Duncan e Leo F. Schnore in cui, in riferimento al pensiero di Hawley e in polemica con le correnti dominanti della sociologia americana del tempo (approccio psicologistico e microsociologico, dinamica dei piccoli gruppi; macrosociologia struttural-funzionalista disincarnata e astratta), si afferma la necessità di tener conto del fatto che la società è, prima di ogni altra cosa, una popolazione su un territorio, una comunità biologica, un ecosistema. Ciò che distingue questo ecosistema dagli altri è il grande sviluppo di due elementi, peraltro presenti anche in natura: l'organizzazione sociale e la strumentazione tecnologica. Il 'complesso ecologico' è il sistema che risulta dall'interazione tra popolazione, organizzazione, tecnologia e ambiente; ognuna di queste componenti può di volta in volta essere considerata variabile dipendente o indipendente nelle analisi di ecologia umana.
Nella proposta di Duncan e Schnore qualcuno ha visto un arretramento rispetto a Hawley, nel senso di una rinuncia a una vera e propria teoria complessa, in favore di un modello tipologico accattivante ma primitivo. Proprio per questo, tuttavia, esso sembra più aperto a possibili sviluppi nella direzione di una scienza sintetica, complessa, interdisciplinare, che comprenda le scienze biologiche, la sociologia, la storia, la geografia, ecc. Non sembra che questo fosse però negli intendimenti di Duncan e Schnore e degli altri del gruppo; le loro ricerche successive rimasero infatti nei campi tradizionali dell''ecologia umana sociologica'.
Mentre l'ecologia umana sociologica si andava sviluppando, la società industriale era soggetta a una crescita quantitativa senza precedenti nella storia, e cominciavano a diffondersi preoccupazioni per i suoi effetti distruttivi sull'ambiente naturale. Timori di questo genere non erano del tutto nuovi: anticipazioni si possono trovare fin nell'antichità classica (Platone). Nel Cinquecento e nel Seicento erano emerse, nella letteratura inglese e francese, famose denunce dell'insalubrità dell'ambiente urbano, dovuta all'inquinamento dell'acqua e dell'aria, e dei guasti del disboscamento. Nel Settecento l'Europa conosceva già una prima crisi energetica, per l'esaurimento delle risorse di legna da ardere. Nei primi decenni del secolo seguente la diffusione dell'industria preoccupava per i suoi effetti devastanti sul paesaggio naturale e culturale. Nel 1864 apparve una rassegna sistematica delle profonde trasformazioni arrecate dalle diverse civiltà umane alla 'faccia della terra' (G.P. Marsh), e verso la fine del secolo si costituirono i primi movimenti, associazioni e organizzazioni di difesa della natura. Ma tutto ciò rimase nell'ambito di ristrette élites illuminate. Nel Novecento, nel secondo dopoguerra, apparvero nuove opere di denuncia delle devastazioni operate dalla società industriale (v. Thomas, 1956). Ma fu solo con la pubblicazione, nel 1962, di Primavera silenziosa, di Rachel Carson, che il messaggio colpì il grande pubblico ed ebbe inizio la 'rivoluzione ecologica'. Essa nasce dallo scontro (contraddizione) fra due principali megatrends della società industriale. Il primo è l'intensificazione reale dei processi di trasformazione dell'ambiente: estrazione e circolazione delle risorse materiali, crescita degli insediamenti e dei consumi, dispersione nell'acqua, nell'aria e nel suolo di sottoprodotti, scarti e rifiuti (inquinamento), deterioramento delle qualità estetiche e funzionali dell'ambiente, estinzione di specie, alterazione dei processi ecosistemici, ecc. (v. Degrado ambientale). Il secondo è l'aumento del benessere materiale di larghe fasce delle popolazioni, la soddisfazione generalizzata dei bisogni primari (alimentazione, abbigliamento, abitazione, ecc.) e quindi l'emergere di bisogni più elevati nella scala maslowiana, tra i quali anche quelli relativi alla 'qualità dell'ambiente' e della vita: salubrità, aree verdi, accesso alla natura. A ciò bisogna aggiungere la maturazione dell'ecologia scientifica - che dà alle aspirazioni ambientalistiche un quadro di riferimento teorico-culturale persuasivo e prestigioso - e un fattore più complesso, di tipo politico-culturale, che comprende, da un lato, la crescita del livello d'istruzione e quindi della capacità di comprendere il corso degli eventi e, dall'altro, le condizioni di sicurezza e libertà garantite dai sistemi liberaldemocratici e quindi l'aspirazione a partecipare alla guida degli eventi stessi. La 'rivoluzione ambientale' (v. Nicholson, 1970) è una componente della più generale ondata di innovazione socio-politico-culturale che ha scosso il mondo giovanile-intellettuale (studentesco) negli anni sessanta e che comprende il movimento per i diritti civili (antirazzista), quello per l'eguaglianza tra i sessi (femminismo, liberazione sessuale), per la pace (antimilitarismo, non-violenza), per l'emancipazione dei popoli oppressi (terzomondismo, anticolonialismo, antimperialismo). Tra tutte queste idee e valori vi sono collegamenti profondi; esse sono essenzialmente tutte espressioni di un atteggiamento di compassione, tenerezza, solidarietà, simpatia, empatia, amore (ovvero 'eguaglianza, libertà, fraternità') esteso a categorie sempre più ampie di soggetti e contrapposto all'aggressività della società urbano-industriale-capitalista. Le idee di fondo dell'ambientalismo (ecologismo) non sono nuove: le si ritrova quasi integralmente nel movimento romantico e, più indietro ancora, nel filone naturalistico e dionisiaco che accompagna come un'ombra la cultura occidentale fin dai suoi primordi e che a sua volta ha radici nel pensiero orientale e in quello primitivo. Quel che è nuovo sono le condizioni socioculturali e politiche (storiche) in cui quelle idee possono svilupparsi in modo così rapido e radicale. In poco tempo, tra gli anni sessanta e settanta, ecologia e ambiente diventano oggetto di un'ampia pubblicistica, a ogni livello. Le associazioni e organizzazioni protezionistiche esistenti moltiplicano la loro base associativa, e ne nascono innumerevoli nuove. Si formano iniziative civiche, movimenti locali di protesta, difesa e rivendicazione. I mezzi di comunicazione e l'industria culturale, per diversi motivi (ricerca del nuovo, estraneità dell'ambientalismo alle ideologie consolidate), prestano crescente attenzione al fenomeno. Nei paesi più avanzati, più sensibili ai movimenti della società civile e meno ideologizzati, a cominciare dagli Stati Uniti, le autorità cominciano a prendere atto di questa nuova domanda sociale e rispondono istituendo comitati di studio, enti e apparati burocratici e producendo leggi, programmi e interventi; il problema ecologico è proclamato di interesse primario nel 1969, con il lancio della "nuova politica ambientale". A dieci anni dalla pubblicazione di Primavera silenziosa, nel 1972, le Nazioni Unite pongono il problema con la conferenza di Stoccolma e il Club di Roma pubblica il primo dei suoi studi sulla dinamica dell'ecosistema globale, I limiti dello sviluppo, che fa molto colpo anche sul mondo del business, fino allora rimasto ostile all'ambientalismo. L'OCSE lancia un importante programma di studi sulla compatibilità tra crescita economica e ambiente.
Come si è detto, l'avvenuta maturazione, negli anni cinquanta, dell'ecologia come paradigma scientifico è tra le cause o condizioni della rivoluzione ambientale; ma a sua volta questa sottopone l'ecologia a fortissime spinte evolutive e quindi anche a tensioni.La crescita dell'ecologia deve molto ai programmi di collaborazione a livello internazionale lanciati dall'UNESCO: negli anni cinquanta il programma sulle zone aride e l''anno geofisico internazionale', a partire dal 1964 il Programma Biologico Internazionale, che adottò l'ecosistema come unità d'analisi di base. Dagli studi effettuati nell'ambito del Programma Biologico Internazionale risultò che era ormai difficile trovare ambienti ed ecosistemi non alterati, in misura più o meno profonda, dalle attività dell'uomo. Fu quindi lanciato, a partire dal 1972, il programma MAB (Man and the Biosphere), focalizzato sulle interazioni tra l'uomo, le altre forme di vita e l'ambiente fisico, e caratterizzato quindi da un orientamento spiccatamente interdisciplinare (scienze naturali, fisiche, urbanistiche e umano-sociali) e applicativo (v. Worthington, 1983). Sulla base delle esperienze del MAB è stato lanciato, negli anni ottanta, il programma denominato IGBP, International Geosphere-Biosphere Program, o, più brevemente, Global Change, finalizzato all'analisi dei grandi mutamenti nei parametri della biosfera (composizione dell'atmosfera, clima, cicli biogeochimici globali, ecc.) che possono essere alterati dall'azione dell'uomo.
A partire dagli anni sessanta, quindi, in ogni paese la comunità scientifica nazionale è fortemente sollecitata dalle istanze internazionali a sviluppare competenze e risorse scientifiche in campo ecologico, ma anche dall'interno, dalla società civile, provengono, con sempre maggior frequenza, richieste di analisi e risposte scientifiche sui problemi ambientali.
Lo sviluppo di una disciplina scientifica è un fenomeno molto complesso e delicato, che risponde a diverse logiche e comunque richiede tempi lunghi. In quasi tutti i paesi, agli inizi degli anni sessanta, i cultori di ecologia erano ancora pochissimi, divisi in diversi ambiti accademici (soprattutto facoltà di biologia e scienze naturali) e specializzati in diversi 'regni' (botanici e zoologi) e in diversi 'substrati' fisici (ecologi terrestri, marini e d'acqua dolce), con scarsi contatti reciproci (v. Moroni, 1976). Investita dalla rivoluzione ambientalista, l'ecologia accademica ha spesso reagito con timidezza e fastidio, e rafforzato le difese contro l'eccesso di domanda dall'esterno, enfatizzando la propria natura di scienza 'pura' e specialistica, estranea alle 'emotività' dei movimenti ambientalisti e agli ideologismi dell''ecologia politica'.
V'è stato poi un certo numero di ecologi che hanno raccolto la sfida e cavalcato l'onda della domanda sociale per attrarre risorse e sviluppare istituzioni di ricerca e formazione, dentro e fuori dall'accademia, in campo ambientale, e hanno lavorato per la crescita collettiva della disciplina, dentro e fuori i confini nazionali.Un numero più limitato di studiosi si è convertito alla 'rivoluzione ambientale' ed è andato oltre le attività strettamente scientifiche e didattiche per farsi promotore e protagonista dell'intervento sul sociale, dell'intervento politico. Questo sembra essere avvenuto più spesso nell'ambito delle scienze ambientali diverse da quelle propriamente biologiche (economia, fisica, geografia, urbanistica).
La rivoluzione ambientale ha certamente indotto una grande crescita, in tutto il mondo, dell'ecologia come scienza autonoma, ma sembra essersi tradotta soprattutto in una rapida (e in qualche misura opportunistica) 'ambientalizzazione' o 'ecologizzazione' delle discipline tradizionali, cioè nello sviluppo di branche specialistiche e applicative delle discipline tradizionali, finalizzate alla comprensione e, sperabilmente, alla risoluzione dei problemi ambientali, intesi essenzialmente in una prospettiva antropocentrica (inquinamento, degrado, esaurimento di risorse, ecc.). Ciò avviene, formalmente e legittimamente, aggiungendo il qualificativo 'ambientale' o 'ecologico' al nome della disciplina (fisica ambientale, chimica ambientale, diritto ambientale, medicina ambientale, economia ambientale, ecc.) o aggiungendo il qualificativo disciplinare al sostantivo 'ecologia' (ecologia agraria), il che può essere in alcuni casi meno corretto.
Questa tendenza desta qualche preoccupazione negli ecologi propriamente detti, perché rischia di mortificare lo sviluppo dell'ecologia come scienza autonoma e di affidare la problematica ambientale a studi eterogenei, a-sistematici, privi di direzione e di unità (v. Di Castri, 1985). Un secondo problema di crescita dell'ecologia contemporanea riguarda l'alternativa tra una concezione modesta e ristretta, che considera essenzialmente l'ecologia una scienza specialistica all'interno della biologia, pur con qualche apporto delle scienze fisiche e geologiche, e una concezione ambiziosa, ampia, che considera l'ecologia una sintesi interdisciplinare, una scienza architettonica, un 'macroscopio' (v. Rosnay, 1975), in grado di coordinare i contributi specialistici delle altre discipline e di affrontare organicamente i problemi ambientali su tutte le scale spaziali e temporali (v. Sears, 1957; v. Bresler, 1966; v. Shepard e McKinley, 1969; v. Bruhn, 1974; v. Moos e Insel, 1974; v. Sargent, 1974; v. Morin, 1973; v. Odum, 1977; v. Strassoldo, 1977; v. Tengström, 1985).
Strettamente legato a questo è il problema del ruolo delle scienze umane e sociali all'interno di tale paradigma. Si può ricordare che la possibilità di estendere l'ecologia allo studio dell'uomo era stata già considerata dai padri fondatori della disciplina (v. Forbes, 1922; v. Franklin, 1926; v. Adams, 1935; v. Brews, 1935), e che un certo numero di 'ecologie umane biologiche' erano state proposte e sviluppate già nella prima metà del secolo. E.P. Odum, figlio di un sociologo, ha ben presente il problema dell'integrazione delle scienze umane nel paradigma ecologico, come risulta dal sottotitolo che dà a una delle edizioni del suo manuale (Ecology: the link between the natural and the social sciences, 1975²). Come si è visto, il programma MAB pone questo problema al centro dell'attenzione della comunità scientifica internazionale. Molti ecologi naturalisti si aprono senza riserve alle scienze sociali, operando, in qualche misura e per qualche verso, una sociologizzazione dell'ecologia.
Tuttavia le cose non sono andate come si poteva sperare. Le proposte di un'ecologia a base biologica ma ampia e ambiziosa, avanzate forse più da studiosi appartenenti alle scienze sociali che da quelli di formazione naturalistica, non sembrano aver trovato riscontro, e la distanza tra le 'due culture' non sembra essersi sufficientemente ridotta. Vi possono essere delle oggettive ragioni filosofiche ed epistemologiche per questo stato di cose, e vi possono essere anche alcune 'colpe' collettive degli studiosi di scienze umane e sociali, commesse negli anni settanta, ma senza dubbio la maggior responsabilità va attribuita al rinnovato predominio della logica della differenziazione e della divisione del lavoro scientifico, a scapito dei momenti di integrazione e sintesi culturale, e al peso degli interessi materiali delle corporazioni scientifiche consolidate.
In conclusione oggi l'ecologia è generalmente considerata una scienza naturale il cui oggetto centrale di studio sono i processi ecosistemici e biosferici naturali; l'uomo è visto essenzialmente come un agente esterno, di disturbo e alterazione o di intervento e controllo, ma non come parte integrante e 'naturale' degli ecosistemi. Agli scienziati sociali sono affidate ricerche in qualche modo esterne al paradigma ecologico - studi sulla gestione dei beni naturalistici, sull'educazione ambientale, ecc. -, ma non si ammette generalmente che lo studio della società umana, specie se industriale, e dell'ecosistema antropico, sia un oggetto proprio dell'ecologia.Tuttavia esistono e resistono ancora, negli anni novanta, diversi filoni di studi che si fregiano del titolo di 'ecologia umana'. Nel prossimo capitolo esamineremo brevemente i problemi e le prospettive attuali di ognuno di essi. Va da sé che le distinzioni adottate non sono nette.
Numerosi autori hanno affermato la legittimità dell'estensione dell'ecologia generale (biologica) alla specie umana e agli ecosistemi da questa dominati, considerando la caratteristica più distintiva dell'uomo - la cultura - come nient'altro che un particolare mezzo di adattamento all'ambiente. Esistono anche numerosi testi, scritti da studiosi di formazione biologica, dedicati all'ecologia umana. Tuttavia si deve ammettere che queste proposte sono rimaste per lo più a livello programmatico o introduttivo. L'ecologia umana non è riuscita a consolidarsi come specializzazione dell'ecologia generale. Quanto si produce, in termini di ricerca scientifica, è di solito limitato alla 'demoecologia', alla dinamica delle popolazioni umane e alla genetica. Gli ostacoli principali al decollo di una ecologia umana biologica sembrano essere, da un lato, la difficoltà di estendere ai fenomeni umani (socioculturali) le metodologie tradizionali delle scienze naturali (sperimentazione di laboratorio, isolamento delle variabili sperimentali da quelle di contesto), dall'altro, il timore che la trattazione delle variabili socioculturali comporti l'inquinamento ideologico e politico della ricerca. Malgrado infinite prove e argomentazioni in contrario, sviluppate soprattutto negli ultimi decenni, la maggior parte degli scienziati della natura sembra mantenere una visione rigidamente dualistica delle scienze: da un lato quelle 'vere e proprie', esatte, sperimentali, quantitative e dedicate ai fenomeni fisici, dall'altro quelle umane, non solo vaghe e confuse, ma anche intrinsecamente soggettive, irrazionali e politicizzate.
Una disciplina scientifica che ha sempre cercato di mantenersi saldamente radicata sia nelle scienze naturali che in quelle umane è l'antropologia, ed è in questo campo che si trovano numerose proposte e trattazioni di ecologia umana. La morfologia del corpo umano che definisce le 'razze' ha ovvie relazioni con l'ambiente fisico (clima, risorse alimentari), ma ciò vale anche per la cultura materiale (attrezzi, abbigliamento, abitazioni, pratiche alimentari) e per quella simbolica. Gli antropologi hanno sempre affrontato l'oggetto dei loro studi in modo olistico, considerando tutti quelli che i sociologi hanno poi chiamato gli elementi del complesso ecologico: gli aspetti genetico-biologico-demografici (popolazione), quelli organizzativi e socioculturali, quelli tecnici e quelli ambientali. In reazione ad alcune tendenze a privilegiare gli aspetti simbolico-culturali ('emici'), alcuni antropologi hanno enfatizzato il primato dei fattori ambientali, tecnici ed energetico-materiali ('etici'); si sono anche proposte (non senza influssi del materialismo marxiano) dizioni come 'materialismo culturale' ed 'ecologia culturale' (v. Steward, 1968; v. Hardesty, 1977; v. Harris, 1979). In casi del genere l'ecologia è difficilmente distinguibile dall'economia: oggetto di studio privilegiato sono infatti i processi di raccolta delle risorse alimentari, le pratiche agricole, quelle di distribuzione e consumo, le abitudini alimentari, ecc. In molti casi si tenta di ricostruire e misurare tali attività in termini di flussi energetici (v. Strassoldo, 1983).
Tra l'ecologia umana biologica e quella antropologica vi sono differenze di argomenti (i processi ecosistemici da un lato, la cultura umana dall'altro) e di tradizioni metodologiche; tuttavia esse sono molto affini.I limiti dell'ecologia umana antropologica, rispetto a un'ecologia umana tout court, sono gli stessi dell'antropologia, cioè la prevalente autolimitazione alle società semplici, piccole e primitive, che meglio si prestano allo studio olistico, e la mancanza di una forte tradizione di uso dei metodi quantitativi (salvo che nell'antropologia fisica). Tuttavia il superamento di tali limiti è, in linea di principio, abbastanza agevole, e non a caso è da questo genere di studi che sono venute le più complete, sistematiche e convincenti proposte di ecologia umana tout court (v. Morin, 1973; v. Bennett, 1976).
Le vicende dell'ecologia umana sociologica, fino agli anni settanta, sono già state esaminate nei capitoli 4 e 5. Qui parleremo degli sviluppi più recenti. La tradizione della Scuola di Chicago, ovvero gli studi sulla struttura urbana, ha continuato a svilupparsi, soprattutto nella direzione economica, che è di ovvio interesse sia per le scelte di localizzazione delle imprese che per quelle di pianificazione delle pubbliche amministrazioni. Come si è detto non è facile, in questo campo, distinguere i contributi propriamente sociologici da quelli delle scienze affini (economia e geografia). Vi si trovano studi, in gran parte statistico-quantitativi, sulla distribuzione territoriale della popolazione, sui bacini d'utenza e di mercato, sui poli produttivi e commerciali, sulla mobilità territoriale, sulla dinamica e sulla struttura urbana, sui fattori di produzione, sulla localizzazione delle attività produttive e distributive in rapporto alla distribuzione dei mercati, dei bacini di attrazione, dei confini, della gerarchia dei sistemi urbani, degli effetti dell'innovazione tecnologica, delle dimensioni ottimali delle unità amministrative, e così via (v. Berry e Kasarda, 1977; v. Hamm, 1984). È da dire che in alcune comunità scientifiche nazionali questi campi di studio non sono più molto coltivati dai sociologi, in quanto divenuti di pertinenza di altre discipline (geografia, urbanistica).
Di un certo interesse anche una quarta varietà di ecologia umana che ha qualche limitata diffusione tra gli studiosi di architettura, di urbanistica, di pianificazione territoriale, di progettazione ambientale e simili (v. Berger, 1978; v. Jackson e Steiner, 1985). In questo caso l'enfasi è sul significato etimologico della radice 'eco' (casa) e sulla considerazione che, salvo casi marginali, la vita dell'uomo si svolge prevalentemente tra strutture fisiche artefatte. In questa versione compito dell'ecologia umana è l'analisi scientifica dei bisogni, delle preferenze, delle aspirazioni e dei valori umani rispetto all'ambiente fisico, in modo da permettere ai progettisti di produrre strutture adeguate. Queste esigenze sono di ordine fisiologico, ma anche psicologico, simbolico, culturale e sociale; tutte le scienze dell'uomo sono quindi chiamate a fornire questi dati. L'ecologia umana urbano-abitativa è quindi un programma scientifico spiccatamente interdisciplinare, ovvero un luogo d'incontro e scambio tra studiosi di diverse discipline: non sembra che siano emersi paradigmi teorici unificanti e propulsivi; un tentativo in questa direzione è stata l''echistica' (v. Doxiadis, 1968). (V. anche Ambiente, tutela dell'; Degrado ambientale).
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