L’insieme delle indagini che vengono condotte sul terreno, in una determinata area, al fine di accertare e valutare la presenza di giacimenti minerari ma anche per ricerche idrologiche, di ingegneria civile e archeologiche.
È alla base di qualsiasi altro tipo di indagine effettuata in una determinata area e consta del rilevamento geologico di dettaglio delle unità affioranti, grazie al quale, unitamente alle analisi (petrografiche, sedimentologiche, micro- e macropaleontologiche ecc.) eseguite in laboratorio, è possibile definire la successione stratigrafica locale e/o regionale, quindi l’età geologica dei terreni esaminati, i lineamenti tettonici dell’area e, più in generale, la configurazione tridimensionale delle strutture geologiche affioranti. Utilissima soprattutto per l’esplorazione di aree molto vaste è inoltre la fotogeologia la quale, utilizzando appunto le foto aeree, consente di eseguire in tempi brevi carte fotogeologiche dove sono evidenziati i principali caratteri litologici e strutturali dell’area investigata.
Consiste nella misura di grandezze geofisiche, aventi lo scopo di individuare la struttura geologica del sottosuolo, la presenza di giacimenti minerari solidi, fluidi e gassosi, di falde acquifere e di reperti archeologici sepolti; essa trova largo impiego anche nell’ingegneria civile. La p. geofisica viene utilizzata per ridurre al minimo le operazioni di ricerca basate su interventi diretti nel sottosuolo e quindi per ridurre i costi della ricerca stessa. Si avvale di diversi metodi (gravimetrico, magnetico, sismico, elettrico o geoelettrico, elettromagnetico, radioattivo, termico o geotermico), che presentano caratteristiche proprie e vengono utilizzati in relazione ai fini perseguiti e al tipo di mineralizzazioni ricercate.
Metodo gravimetrico. Consiste nella misurazione delle anomalie dell’accelerazione di gravità, prodotte da contrasti anomali di densità tra corpi presenti nel sottosuolo, che portano il campo gravimetrico reale a discostarsi sensibilmente da quello gravimetrico teorico. Le anomalie di gravità (o anomalie di Bouguer) sono positive o negative in funzione delle caratteristiche dei corpi presenti nel sottosuolo. Una anomalia positiva (negativa) indica la presenza di un corpo con densità maggiore (minore) rispetto a quella dell’ambiente circostante. La misura delle anomalie è eseguita con il gravimetro. I valori misurati vengono riportati su mappe dove si tracciano le linee che uniscono i punti dotati di uguali valori di anomalia (isoanomale di Bouguer). La mappa di Bouguer dà indicazioni di carattere regionale, in quanto racchiude in sé l’effetto di una serie di anomalie prodotte da masse poste a diversa profondità nel sottosuolo. Per avere indicazioni più precise si ricorre invece alla elaborazione della mappa delle anomalie residue, dove vengono eliminate, attraverso un opportuno processo di filtraggio, quelle anomalie prodotte da fattori regionali ed evidenziate solo quelle prodotte da corpi piccoli e superficiali. Oltre che sulla terraferma, il rilievo gravimetrico può essere effettuato anche in mare o da un aereo (➔ gravimetria). Nel campo geologico e minerario questo metodo è utilizzato soprattutto per avere informazioni sugli allineamenti strutturali del sottosuolo.
Metodo magnetico. Consiste nel misurare le anomalie locali del campo magnetico terrestre. I valori delle anomalie vengono riportati su mappe (carte magnetiche) dove si tracciano le isoanomale. Come nel metodo gravimetrico, vengono realizzate mappe di anomalie residue utilizzando un processo di filtraggio. Per la p. vengono utilizzate sia le bilance magnetiche, che misurano le componenti verticale e orizzontale del campo magnetico, sia i magnetometri a precessione nucleare i quali consentono la misura dei valori assoluti dell’intensità totale del campo magnetico. È anche utilizzato il magnetometro a nucleo saturabile. Il metodo magnetico è particolarmente utilizzato per p. su vaste aree, generalmente eseguite da un aeromobile; esso trova impiego anche sulla terraferma e in mare. Da un punto di vista geologico e minerario questo metodo consente: a) di avere informazioni sui caratteri strutturali di un’area; b) di conoscere la profondità del basamento suscettivo così come il suo andamento e la geometria, e quindi indirettamente lo spessore della successione sedimentaria presente al di sopra di esso; c) di evidenziare la presenza di corpi vulcanici o plutonici prossimi alla superficie e di calcolarne le dimensioni e la profondità.
Metodo sismico. È basato sullo studio della propagazione nel sottosuolo di onde sismiche artificiali generate da una sorgente. La perturbazione si propaga nel terreno con una velocità proporzionale alle caratteristiche elastiche del terreno attraversato. La sorgente sismica deve essere sufficientemente potente da far penetrare l’impulso nel sottosuolo ma, allo stesso tempo, deve essere in grado di consentire una buona risoluzione. Il metodo può essere utilizzato sia sulla terraferma sia in mare; nel primo caso la sorgente è in genere rappresentata da una carica esplosiva, fatta brillare all’interno di un pozzetto, ma si ricorre anche a masse battenti e/o a vibratori elettromagnetici ed elettro-idraulici. Nella p. fatta a mare la sorgente può essere costituita dalla detonazione di miscele gassose, aria compressa ecc. Si utilizzano anche le sorgenti piezoelettriche ed elettromeccaniche. Nei metodi sismici si distinguono il metodo sismico diretto, il metodo a riflessione e il metodo a rifrazione. In tutti sono perfettamente note la posizione della sorgente e l’istante in cui l’impulso viene generato. Le onde impiegate nella p. sismica sono le onde P o longitudinali o di compressione, in quanto hanno il vantaggio di giungere prima e con frequenza più elevata rispetto agli altri tipi di onde. Le onde, ritornando in superficie, dopo rifrazione e/o riflessione, vengono captate da strumenti ricevitori (geofoni) per cui, noti i tempi di percorrenza tra la sorgente e il ricevitore, e la distanza tra questi due punti, è possibile calcolare la velocità delle onde nei diversi strati di terreno attraversati (e quindi le costanti elastiche del mezzo), nonché determinare la loro profondità e ricostruire la geometria delle formazioni sepolte. I geofoni vengono posti a varie distanze rispetto alla sorgente, secondo allineamenti (stendimenti) che variano in relazione al rilievo da eseguire. La lunghezza complessiva di uno stendimento varia fra 400 e 1500 m; maggiore è questa lunghezza e maggiore è la profondità di investigazione. Gli impulsi ricevuti dai geofoni sono trasmessi a un registratore che è in grado di rilevare su carta fotosensibile un sismogramma. Questi impulsi elettrici, amplificati, corretti e filtrati, sono convertiti in forma numerica e trattati da elaboratori elettronici per eliminare eventuali fonti di disturbo del segnale.
Nel metodo sismico diretto, le caratteristiche fisiche dei terreni vengono valutate introducendo direttamente nei pozzi una sonda in grado di produrre impulsi elastici. La velocità delle onde sismiche viene misurata, lungo la verticale del pozzo, calando a profondità variabili un geofono che registra, per le diverse profondità, il tempo impiegato dall’onda diretta per percorrere il tragitto tra la sorgente e il geofono.
Nel metodo a riflessione (fig. 1) i geofoni sono posti ai lati della sorgente (punto di scoppio) a distanze prefissate l’uno dall’altro (fig. 1A). Dai diversi sismogrammi ottenuti (fig. 1B) si ricava una sezione sismica in tempi e una in profondità, dalle quali si possono ricavare carte strutturali del sottosuolo e quindi conoscere lo spessore delle successioni sedimentarie. Questo metodo trova larga applicazione nella ricerca petrolifera.
Nel metodo a rifrazione (fig. 2) i geofoni vengono posizionati a distanze differenti rispetto alla sorgente di energia in relazione alla profondità del sottosuolo che si vuole investigare. Con i sismogrammi ottenuti si costruiscono le dromocrone (fig. 2B) che definiscono l’andamento del tempo t impiegato dagli impulsi in funzione della distanza s, e sono formate da segmenti la cui pendenza è proporzionale alla velocità delle onde attraversanti i differenti corpi rocciosi. Questo metodo può essere applicato in ricerche a piccola (2-500 m) e a grande profondità (> 3000 m); è poco utilizzato nella p. petrolifera, mentre è molto impiegato in idrogeologia e nell’ingegneria civile. In campo geologico viene soprattutto utilizzato per investigare le parti più profonde della crosta terrestre.
Metodo elettrico (o geoelettrico). Consiste nel misurare alcuni parametri elettrici del sottosuolo e nell’interpretare le loro variazioni al fine di avere informazioni di carattere geologico-strutturale, minerario, idrogeologico, geotecnico e archeologico. Le principali grandezze fisiche che vengono considerate sono la resistività e la costante dielettrica. La resistività di una roccia varia sia in relazione ai minerali presenti, sia in funzione dei fluidi che in essa sono contenuti (v. tab.). La costante dielettrica dipende invece dalla temperatura.
Il metodo elettrico comprende tecniche che utilizzano sia le correnti naturali già presenti nel sottosuolo (metodo tellurico, metodo magneto-tellurico, metodo dei potenziali spontanei) sia quelle artificiali che vengono immesse nel terreno tramite apparecchiature (metodo della polarizzazione indotta, metodo della resistività, metodo delle linee equipotenziali).
Il metodo tellurico si basa sulla misura delle correnti elettriche naturali circolanti nel sottosuolo, che attraversano le rocce poco al di sotto della superficie topografica. Con questo metodo vengono misurate le differenze di potenziale tra una stazione, chiamata base, dove è posto un voltametro registratore, e altre stazioni distribuite nell’area investigata. Le differenze di potenziale vengono poi rappresentate su mappe (carte delle linee isoaree) che visualizzano le variazioni di distribuzione delle correnti telluriche. Questo metodo è particolarmente adatto per rilevare strati conduttivi posti al di sopra di un basamento di natura dielettrica.
Il metodo magneto-tellurico è basato sul presupposto che in un dato luogo il campo magnetico terrestre e quello tellurico subiscono variazioni nel tempo e che da queste variazioni è possibile risalire a un valore di resistività, detta resistività apparente, che rappresenta una media ponderata delle resistività delle rocce presenti nel sottosuolo. La p. viene eseguita sulla verticale e non arealmente; questo consente di spingere l’indagine fino a profondità rilevanti. I valori di resistività misurati vengono interpretati utilizzando curve teoriche che consentono di valutare sia le caratteristiche sia lo spessore delle formazioni rocciose interessate.
Il metodo dei potenziali spontanei sfrutta l’esistenza di fenomeni geoelettrici locali e in particolare quelli elettrochimici che si generano al contatto tra mezzi conduttori di differente natura. Questi fenomeni danno luogo a differenze di potenziale spontaneo. La misura di queste ultime è eseguita con un potenziometro, inserendo nel terreno due elettrodi impolarizzabili. Unendo su una carta topografica i punti con uguale potenziale si ottiene una rappresentazione delle linee equipotenziali. Le zone dove i potenziali si discostano dai valori medi indicano aree anomale che possono essere luogo di giacimenti minerari (fig. 3).
Il metodo della polarizzazione indotta, come il precedente, si basa sull’esistenza dei fenomeni elettrochimici che si generano al contatto tra mezzi conduttori di differente natura. La p. viene fatta utilizzando un circuito composto di due elettrodi, che induce una polarizzazione nel terreno, e un circuito di misura fatto con altri due elettrodi a cui è collegato un potenziometro. I valori misurati, rappresentati su carte topografiche, consentono di valutare l’estensione, la posizione e l’ampiezza del corpo che ha generato la polarizzazione indotta. Il metodo è soprattutto utilizzato per la ricerca di giacimenti di ossidi e solfuri metallici.
Il metodo della resistività si basa sulla misura della resistività del terreno e sullo studio delle sue variazioni. Il dispositivo utilizzato per la misura di questa grandezza può essere di due tipi diversi (fig. 4) ed è composto di due elettrodi A e B, collegati a un accumulatore b, che immettono corrente elettrica misurata dal galvanometro c, nel terreno, e di due elettrodi C e D i quali misurano, tramite il potenziometro d, la differenza di potenziale che si genera a causa della resistenza opposta dai terreni al flusso della corrente. Durante la p. possono essere variate sia la posizione del centro O, sia la distanza elettrodica a. Questo permette due possibili metodi di investigazione: metodo dei sondaggi elettrici e metodo dei profili orizzontali di resistività. Nel metodo dei sondaggi elettrici viene mantenuto fisso il centro O e aumentata simmetricamente la distanza delle due coppie di elettrodi; in questo modo aumenta la profondità di penetrazione del flusso di corrente e si rilevano le variazioni della resistività in verticale. Con il metodo dei profili orizzontali di resistività, la distanza tra gli elettrodi viene invece mantenuta fissa, mentre si varia la posizione del centro O; in questo modo la profondità di terreno esplorato rimane costante mentre vengono rilevate le variazioni laterali della resistività apparente all’interno del terreno. Il valore di resistività apparente ottenuto tramite questi dispositivi rappresenta una risultante di valori reali di resistività, che dipendono dalla forma e dalle litologie delle strutture sepolte. I valori di resistività misurati con il metodo dei sondaggi elettrici vengono riportati in un grafico in funzione della distanza elettrodica e, per interpolazione, si ottiene una curva che rappresenta la variazione di resistività apparente con la distanza elettrodica da cui si può ricavare una interpretazione litologica (fig. 5). Se in un’area si fanno diversi sondaggi elettrici si può costruire uno spaccato elettrostratigrafico oppure una rappresentazione planimetrica con curve di livello dei diversi valori di resistività del sottosuolo. Nel caso invece del metodo dei profili orizzontali di resistività, i valori di resistività apparente misurati in ogni stazione vengono riportati su diagrammi in funzione della posizione del centro degli elettrodi di potenziale. Si ottengono così profili di resistività che vengono successivamente interpretati (fig. 6). Il metodo della resistività trova applicazione negli studi geologico-strutturali, in quelli geotecnici e archeologici risultando particolarmente adatto a quelli dove si vuole indagare sulla presenza di strati acquiferi nel sottosuolo. Il metodo è scarsamente utilizzato nella ricerca petrolifera.
Il metodo delle linee equipotenziali si basa sullo studio del luogo dei punti della superficie del suolo a ugual potenziale. Questo metodo è utilizzato per individuare corpi rocciosi a forte contrasto di resistività rispetto alle rocce incassanti; quindi è molto utile per i corpi mineralizzati. Il dispositivo utilizzato è simile a quello che si usa per il metodo dei potenziali spontanei ed è costituito da un circuito che immette corrente nel terreno tramite elettrodi. Uno strumento misura quindi le differenze di potenziale tra coppie di punti e successivamente, riferite tutte le differenze a un unico punto, si riportano sulla carta i potenziali dei vari punti, tracciando poi delle curve equipotenziali. L’interpretazione dei risultati si basa sul confronto tra i risultati ottenuti con il rilievo e quelli ricavati dagli andamenti di linee equipotenziali teoriche, in assenza di disturbi.
Prende in considerazione la distribuzione, la quantità, la mobilità e la migrazione degli elementi al fine di valutare la possibile presenza in un’area di un corpo mineralizzato. A tal fine si analizzano le caratteristiche chimiche di campioni di materiali naturali (sedimenti, suoli, acqua, vegetali) prelevati nell’area di indagine. Questo mezzo di p. è utilizzato nella ricerca di idrocarburi e in particolare nell’identificazione delle vie di migrazione percorse dagli idrocarburi nel sottosuolo o della loro presenza all’interno dei depositi superficiali ricoprenti i giacimenti. Per la p. si utilizzano apparecchiature trasportabili, generalmente basate su procedimenti calorimetrici, le quali consentono un esame in situ dei campioni prelevati. L’interpretazione finale di una p. geochimica si avvale sempre e comunque anche dei dati forniti sia dalla p. geologica, sia dalla p. geofisica.
Il forte impulso all’esplorazione per la ricerca di oro e di diamanti, verificatosi rispettivamente a partire dalla metà degli anni 1980 e negli anni 1990, ha condotto all’uso massiccio della p. geochimica da parte delle compagnie minerarie, determinando un sensibile affinamento delle tecniche note. I giacimenti metalliferi costituiscono nella crosta terrestre concentrazioni anomale di metalli, i quali a opera di fenomeni meccanici e chimici tendono a diffondersi nelle zone esterne al giacimento dando luogo ad aureole di dispersione, la cui formazione è legata alla mobilità degli elementi, a sua volta influenzata da vari fattori (pH, potenziale redox, tipo di mezzo di trasporto, meccanismo di trasporto, litologia, presenza di gas disciolti, porosità e permeabilità delle rocce, tipo di fluidi e loro viscosità e velocità). L’individuazione di tali aureole, testimoniata da eventuali anomalie geochimiche nella distribuzione degli elementi nelle acque, nei sedimenti, nei suoli, nelle esalazioni gassose, costituisce in questo ambito l’obiettivo della p. geochimica, particolarmente indicata quando il relativo corpo mineralizzato è situato in profondità, è a basso tenore oppure è nascosto da una coltre sedimentaria. Le aureole di dispersione presentano tipicamente ricche distribuzioni di elementi associati (Cu, Pb, As, Sb, Bi, In, Mo, W e oro stesso per i depositi auriferi; Cr, Ni, Nb, As ed elementi delle terre rare per le rocce kimberlitiche che ospitano i diamanti). Spesso per la ricerca di giacimenti di un certo metallo risulta conveniente individuare uno o più elementi (indicatori geochimici) in stretta relazione con l’elemento di interesse ma più facilmente rilevabili: per es., Hg e As per giacimenti auriferi, e Se e V per mineralizzazioni di uranio epigenetico. Il metodo più diffuso per l’esplorazione preliminare di un’area vasta è quello della raccolta e dell’analisi di campioni di sedimento lungo i corsi d’acqua (stream-sediment), mentre quello più usato per un’esplorazione di dettaglio è la campionatura di suoli; entrambi i metodi necessitano però di opportune integrazioni per filtrare gli effetti dell’antropizzazione dei territori, in quanto gli insediamenti industriali e umani in genere possono produrre rilasci, scarichi e rifiuti che sono in grado di generare ingannevoli anomalie geochimiche.