Condizione patologica temporanea che modifica la temperatura organica di riferimento, alterando il livello della normale termoregolazione corporea su una soglia di valori più alta. I meccanismi attraverso i quali avviene la termoregolazione stessa dipendono da numerose strutture interagenti anatomicamente situate a livello ipotalamico e della regione preottica, delle ghiandole endocrine (tiroide, surrenali), o con distribuzione periferica (ghiandole sudorifere, mucose, tessuto adiposo e vascolarizzazione di superfici cutanee). Afferenze relative alla temperatura corporea centrale e periferica vengono elaborate dai neuroni del sistema ipotalamico, che misurano la differenza fra una temperatura ‘attuale’ e una di riferimento che in generale è quella propria di appartenenza della specie animale esaminata. Si ritiene che specifici mediatori chimici intervengano durante i processi infiammatori, nella cosiddetta reazione di fase acuta, nel modulare la risposta termica dell’organismo. Fra questi ha un ruolo centrale per i suoi molteplici effetti l’interleuchina 1, che è prodotta dopo stimolazione di cellule monocito-macrofagiche e agisce su numerose cellule bersaglio; induce fenomeni locali e sistemici e in modo particolare causa un aumento di PGE2 (una particolare forma di prostaglandine) che interferendo con il centro della termoregolazione a sede ipotalamica ne sposta il livello di riferimento (concetto assimilabile a una vera e propria regolazione di termostato).
Lo spostamento verso valori più alti della temperatura corporea di riferimento attiva una cascata di reazioni organiche atte a produrre calore. Durante il manifestarsi della f. si associano fenomeni importanti la cui finalità è soltanto in parte conosciuta. Si osserva, probabilmente per azione diretta dell’interleuchina 1 sul midollo osseo, una crescita del numero di globuli bianchi circolanti, una redistribuzione della quantità di ferro circolante con iposideremia, una serie di modificazioni metaboliche a carico del fegato con notevole aumento della sintesi proteica e decremento graduale della produzione di albumina. Durante le manifestazioni febbrili entrano in gioco anche meccanismi di regolazione immunitaria che possono contribuire, con varie interazioni, sia alla genesi della f. sia al suo mantenimento (si ricorda, per es., la famiglia degli interferoni, prodotti associati a molte reazioni ma in particolare correlati con infezioni virali).
Sotto il profilo clinico e biologico la domanda centrale riguarda il significato finalistico della f. e il ruolo da questa svolto nel contesto dei meccanismi di difesa organismica. In generale, nel corso di un evento febbrile, si osserva un incremento in efficienza di alcune funzioni biologiche con tendenza alla riparazione di lesioni ‘infiammatorie’. Meno evidente e in parte poco noto è l’effetto sui microrganismi, sebbene esistano situazioni nelle quali un’alta temperatura corporea esercita comunque un’azione inibente nei confronti di alcuni patogeni (plasmodi malarici, spirochete). La f. va dunque considerata come un fenomeno in qualche modo collaterale in corso di vari processi morbosi, il cui significato non è riconducibile a una visione necessariamente unitaria.
Preceduta o non da brivido, la f., dopo la sua comparsa, tende ad aumentare (periodo dell’accensione) per raggiungere la fase di massima intensità o acme (che caratterizza il periodo del fastigio), e successivamente decrescere ( defervescenza), ora in modo brusco (defervescenza per crisi), ora lentamente (defervescenza per lisi). In base all’andamento della curva termica, la f. può essere continua (quando non presenta variazioni apprezzabili nelle ventiquattro ore), subcontinua (con oscillazioni quotidiane che non sorpassano un grado), remittente (con remissioni giornaliere notevoli, che però non raggiungono la temperatura normale, considerata attorno ai 37 °C), intermittente (con intervalli afebbrili che si alternano all’ipertermia). Sebbene alcuni tipi di f. siano caratteristici di alcune malattie, nessuno di essi può dirsi esclusivo di una determinata forma morbosa.
La febbricola rappresenta uno stato subfebbrile (con oscillazioni della temperatura ascellare tra 37 e 37,5 °C) periodico o continuo che può essere sintomatico di numerose affezioni morbose palesi o occulte, per lo più ad andamento cronico (tonsillite, infezioni focali, disfunzioni tiroidee, tubercolosi) ma che talora può essere semplicemente connesso a una disfunzione neurovegetativa (più frequente nel sesso femminile). F. familiare mediterranea (o polisierosite parossistica familiare) Malattia genetica ereditata con modalità autosomica recessiva. Del gene responsabile, localizzato sul braccio corto del cromosoma 16; sono state riconosciute più di 20 mutazioni, di cui la più frequente è la M694V. La malattia è caratterizzata da febbre ricorrente e peritonite e meno frequentemente da pleurite, artrite, lesioni cutanee e pericardite. Più frequentemente, ma non esclusivamente, sono colpiti gli individui di origine mediterranea. L’esordio della malattia avviene di solito prima dei vent’anni di età.
Nell’antica Roma la f. era personificata dalla dea Febbre (lat. Febris), venerata a Roma (dove aveva 3 templi, tra i quali il più importante sul Palatino) e in altre parti dell’Impero. Nei templi romani erano visibili i remedia adoperati per curare e guarire il male, offerti in ringraziamento. F. figura anche tra le divinità del santuario siriaco del Gianicolo. F., soprattutto nella manifestazione del delirio febbrile, fu assimilata a tutte le forme di squilibrio psichico e sentita come d’origine divina anche in Grecia.