(TBC) Malattia infettiva, contagiosa e ubiquitaria, che deve il nome alla caratteristica formazione anatomopatologica (tubercolo elementare) prodotta, nei tessuti dell’organismo umano e animale, dall’agente patogeno.
Nota probabilmente già alle grandi civiltà orientali, la t. fu descritta nelle sue manifestazioni più classiche dai medici dell’epoca greca e romana (Ippocrate, Areteo di Cappadocia, Galeno). Nel 18° sec. ebbero inizio gli studi anatomopatologici con A.M. Valsalva, G.B. Morgagni, W. Stark, J.C. Reil, M. Baillie ecc., mentre nel secolo successivo G.L. Bayle affermava la specificità del tubercolo e T.-T.-H. Laënnec riportava alla medesima eziologia differenti lesioni tubercolari, interpretandole come manifestazioni diverse di un unico processo infettivo e contagioso. R. Koch (1882) ne identificò definitivamente l’agente eziologico specifico.
L’infezione tubercolare umana è sostenuta da uno schizomicete parassita, appartenente alla famiglia Micobatteriacee, genere Mycobacterium, specie Mycobacterium tuberculosis, comunemente denominato bacillo di Koch (o BK). Se ne riconoscono comunemente 3 tipi o varietà: varietas hominis, bovis e avium. Responsabili della t. umana sono le varietà umana e bovina (Mycobacterium tuberculosis complex). Il Mycobacterium avium complex rappresenta invece il 95% dei casi di micobatteriosi atipica, la cui incidenza è molto aumentata dopo la comparsa delle infezioni da HIV, causando un importante problema epidemiologico, in quanto i micobatteri atipici sono resistenti alle comuni terapie antitubercolari.
I bacilli tubercolari si presentano, nei materiali patologici, come bastoncelli a estremità arrotondate, delle dimensioni di 0,5-4,0×0,3-0,6 mm; nelle colture presentano un maggiore polimorfismo. Il tipo bovino è, in genere, più corto e tozzo del tipo umano. Strettamente aerobio, il bacillo tubercolare si sviluppa lentamente su terreni di coltura solidi o liquidi, fra i quali i più usati sono il terreno IUTM (international union of tubercolosis medium) e quelli di Petragnani, di Löwenstein-Jensen: componenti fondamentali di questi terreni sono il tuorlo d’uovo, la glicerina e il verde malachite. Gli antigeni parziali del corpo bacillare e i derivati del suo metabolismo (filtrati colturali), se iniettati in soggetti venuti in contatto con il bacillo di Koch, producono reazioni locali, generali e a focolaio, dette tubercoline. Il bacillo di Koch è dotato di particolare resistenza: può infatti sopravvivere nell’ambiente per molti mesi in materiali patologici (espettorato), specie se protetti dalla luce diretta del sole, che ha una notevole attività sterilizzante; il calore umido uccide con facilità il bacillo tubercolare, mentre il calore secco è poco efficace e così i comuni agenti chimici alle usuali concentrazioni.
La particolare composizione chimica del corpo bacillare dà ragione dei peculiari caratteri tintoriali. Infatti il bacillo assume con difficoltà i coloranti e ne viene decolorato con difficoltà anche maggiore (acido-alcol resistenza); su tale comportamento si fonda la colorazione differenziale proposta da Ziehl-Nielsen: i micobatteri assumono una colorazione rossa per la loro peculiare caratteristica di trattenere tenacemente la calbolfucsina contenuta nel colorante anche dopo decolorazione con acidi e alcol. Tra le caratteristiche biologiche del bacillo di Koch va menzionata la aerobiosi obbligata per garantire l’attiva moltiplicazione del germe.
La t. è una malattia che da lungo tempo si accompagna all’evoluzione della specie umana; tuttavia, le prime informazioni sulla diffusione geografica fanno riferimento alla Gran Bretagna del Settecento. Tra i sec. 19° e 20°, a una fase di propagazione del bacillo di Koch ha fatto seguito un graduale decremento, in rapporto a migliorate condizioni socio-economiche, a un più efficace controllo delle aree ad alta densità di popolazione e alla crescita del numero dei soggetti che avevano sviluppato una valida difesa immunitaria.
Ai fini della descrizione dell’andamento epidemiologico della t. vanno considerati alcuni aspetti che forniscono, nel loro insieme, il quadro di riferimento dell’endemia tubercolare. Questi indicatori epidemici includono la mortalità, la morbosità, l’indice tubercolinico (misura della diffusione del bacillo di Koch nell’ambiente, valutato come numero di individui con positività alla cutireazione osservati in un determinato momento), l’incidenza per anno. In generale, per definire l’entità della diffusione del bacillo di Koch bisogna considerare gli aspetti propri dell’epidemia, l’impiego di trattamenti medici e, a partire dagli anni 1980, l’associarsi dell’epidemia del virus HIV responsabile dell’AIDS. L’espandersi dell’emigrazione da paesi sottosviluppati, la comparsa dell’epidemia di AIDS, la presenza di fasce di età più sensibili hanno determinato un arresto della discesa di nuovi casi/anno, e dalla seconda metà degli anni 1990 il fenomeno ha riguardato in modo significativo tutte le aree industrializzate con un ulteriore peggioramento della situazione in alcuni paesi economicamente depressi.
Altre considerazioni su fattori incidenti nella diffusione del bacillo di Koch riguardano l’uso di farmaci. Nei paesi in via di sviluppo la polichemioterapia ha determinato una riduzione della mortalità, con una scarsa incidenza sulla morbilità. Inoltre l’uso improprio di un trattamento insufficiente può causare, paradossalmente, il diffondersi di germi resistenti ai farmaci.
La più importante fonte d’infezione per l’uomo è costituita dal portatore di una t. aperta, ossia di una forma tubercolare comunque in comunicazione con l’esterno, che provoca l’eliminazione dei micobatteri nell’ambiente, a seconda della localizzazione della malattia ai vari organi, per mezzo di escreato, feci, urine, pus. Importanza epidemiologica meno rilevante, ma tuttavia non trascurabile, ha l’eliminazione con il latte del bacillo tubercolare da parte di bovini e ovini. Molto raro è il contagio da parte di animali domestici ammalati. Il contagio può essere diretto, da malato a sano, o indiretto, in virtù delle capacità di sopravvivenza di Mycobacterium tuberculosis nell’ambiente. Il bacillo di Koch può penetrare nell’organismo anche attraverso la via digestiva (per ingestione di materiali inquinati) o per via transcutanea (per es., in caso di occasionale inoculazione, nel corso di autopsie su cadaveri di tubercolotici). Importanti veicoli d’infezione possono essere gli oggetti d’uso del malato. Non è ammessa la trasmissione germinale: i rarissimi casi di t. congenita si accompagnano a lesioni tubercolari negli organi riproduttori della madre.
Numerose sono le cause favorenti per la diffusione della malattia: la scarsa salubrità dell’abitazione, un’educazione igienica rudimentale, l’alimentazione quantitativamente o qualitativamente insufficiente, le attività professionali che comportino un lavoro in ambiente chiuso o polveroso (silicosi). Di notevole importanza è anche l’esposizione lavorativa al contagio. Le popolazioni che meno sono state a contatto con il bacillo tubercolare sono più facilmente contagiabili. Altri fattori predisponenti sono la gravidanza, il parto, il puerperio, l’allattamento, le malformazioni soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, tutte le condizioni patologiche capaci d’influire genericamente sulle resistenze organiche, alcune malattie anergizzanti verso la t. o responsabili di seria compromissione respiratoria.
Il bacillo tubercolare, venuto a contatto con l’organismo e trovate le condizioni favorevoli al suo sviluppo, dà luogo, in qualsiasi organo o apparato, all’infiammazione tubercolare, la quale può assumere l’aspetto della flogosi essudativa o produttiva. La t. essudativa può essere sierosa, catarrale, oppure fibrinosa (alveolite); tutte le manifestazioni essudative, a eccezione dell’infiammazione sierosa, vanno facilmente incontro alla necrosi. Altre volte il bacillo di Koch prolifera localmente in piccole colonie, attorno alle quali si costituiscono altrettanti focolai infiammatori con le caratteristiche della flogosi produttiva a evoluzione necrotica (di varia entità ed estensione): granulazioni o follicoli tubercolari o tubercoli elementari. La riunione di più tubercoli elementari (pressoché invisibili a occhio nudo) costituisce il tubercolo miliare. In alcuni organi con scarso tessuto connettivo (per es., il cervello) il tubercolo si può espandere per contiguità fino a formare un unico nodulo di cospicue dimensioni (tubercoloma o tubercolo solitario). Altre volte le lesioni produttive, confluenti in una reazione granulomatosa, prendono la forma di infiltrazione produttiva diffusa (per es., la t. della corticale del rene, talora quella delle meningi, delle articolazioni ecc.). Le raccolte di materiale necrotico, qualora si fluidifichino e si facciano strada all’esterno seguendo le vie naturali (bronchi, vie urinarie ecc.), lasciano al loro posto una cavità che prende il nome di caverna tubercolare.
Sotto il profilo anatomopatologico la t. è una tipica malattia granulomatosa, nella quale si riconosce una lesione elementare caratteristica, il tubercolo. Macroscopicamente si tratta di noduli derivanti dall’aggregazione di tubercoli, mentre a livello microscopico si riconosce una struttura organizzata con macrofagi, e cellule giganti multinucleate circondate da fibroblasti e cellule linfocitarie. Il centro del tubercolo presenta spesso una necrosi caseosa. I caratteri immunologici della risposta granulomatosa rappresentano a livello istologico condizioni che giustificano le varianti cliniche e, in parte, la loro evoluzione. In generale, quando la reazione di un organismo assume i caratteri del granuloma significa che la risposta immunitaria non è costitutivamente in grado di eliminare del tutto l’agente patogeno. Conseguentemente, un modo efficace per contenere l’infezione consiste proprio nel creare confini tessutali all’interno dei quali il germe risulti bloccato e reso incapace di aggredire l’organismo.
La risposta di un organismo immunologicamente competente nei confronti del bacillo di Koch è il risultato della reattività cellulo-mediata dell’ospite (macrofagi e linfociti T) verso i fattori di virulenza dei micobatteri. Se si considerano il modello della t. polmonare e la genesi del granuloma nel tessuto respiratorio si possono seguire i vari momenti della risposta immunitaria. I macrofagi alveolari presentano gli antigeni micobatterici ai linfociti T specifici tramite il proprio recettore. I linfociti T attivati liberano citochine e fattori di chemiotassi che richiamano i monociti dal sangue periferico; i monociti, attivandosi, maturano a macrofagi alveolari, si trasformano in cellule epitelioidi e cellule giganti multinucleate, che rappresentano la componente strutturale del granuloma tubercolare. Poiché il bacillo di Koch non è provvisto di proprie tossine in grado di esercitare una lesione cellulare diretta, il meccanismo del danno conseguente all’infezione si genera in rapporto al tipo di risposta immunitaria che l’organismo ospite è in grado di organizzare. Il modello dell’infezione tubercolare in termini immunologici è dunque classicamente rappresentato dalla reazione cellulo-mediata, dall’intervento cioè di linfociti T e macrofagi con ridotta partecipazione anticorpale. Tuttavia, se condizioni geneticamente presenti o acquisite rendono i macrofagi meno efficienti, non viene bloccata l’infezione tubercolare ma vengono stabilite le premesse di una sua progressione. Quindi, un organismo in buona efficienza è in grado di contenere l’infezione tubercolare, mentre in soggetti che hanno una scarsa risposta si facilita la diffusione ubiquitaria del germe nell’organismo. In casi particolari alcuni individui reagiscono in modo particolarmente intenso al bacillo di Koch, con estesa reazione infiammatoria e imponenti fenomeni essudativi, propri della flogosi acuta. Questo tipo di reazione può essere assai svantaggioso per l’organismo, con l’instaurarsi di un quadro di allergia tubercolare.
In termini biologici e immunologici si possono distinguere con buona approssimazione gli eventi che contraddistinguono la t. primaria da quella postprimaria (in soggetti già precedentemente immunizzati). Un elemento discriminante, anamnesticamente significativo, tra le due varianti è dato dalla reattività tubercolinica (➔ tubercolina) In generale, i soggetti che hanno avuto un contatto con il bacillo di Koch esprimono positività alla tubercolina ma, in talune circostanze, fattori soppressivi possono dar luogo a una reazione negativa in soggetti sensibilizzati, rendendo clinicamente difficile una diagnosi differenziale.
Oltre il 95% dei casi di t. primaria si verifica con contagio del bacillo di Koch a livello inalatorio. In presenza di una modesta carica bacillifera una risposta immunitaria adeguata consente il contenimento dell’infezione, con la genesi del complesso primario e guarigione. Il complesso primario include un focolaio viscerale (sede iniziale del bacillo di Koch) con strie linfangitiche e coinvolgimento dei linfonodi di drenaggio. In questa favorevole circostanza si instaura una memoria immunologica (con positività tubercolinica) e inglobamento dell’agente patogeno all’interno del granuloma. Il bacillo di Koch viene dunque contenuto, ma può essere in grado, potenzialmente, di riattivarsi se il sistema immunitario subisce alterazioni funzionali. D’altro canto, in soggetti con una ridotta capacità di risposta immunitaria al contagio iniziale per via inalatoria può far seguito una diffusione per via ematica con disseminazione e genesi della t. miliare acuta disseminata. In corso di una reazione iperergica (allergia tubercolare) con scarsa carica infettante o in presenza di un elevato carico bacillare si instaura un fenomeno di tipo essudativo a prevalente diffusione locale, che può dar luogo a pleurite, eritema nodoso o epitubercolosi (scarsa concentrazione batterica) e polmonite caseosa (in presenza di una consistente carica bacillifera).
In caso di riattivazione endogena o in presenza di reinfezione esogena in soggetti precedentemente sensibilizzati si verifica il quadro di t. postprimaria. In queste circostanze la risposta immunitaria, più o meno estesamente compromessa, dà luogo a reazioni tessutali diverse in relazione alla carica infettante. Si assiste perciò a un processo di riattivazione locale con l’instaurarsi, a livello polmonare, di focolai nodulari facilmente contenibili e frequente esito in guarigione; qualora si associ una forte carica infettante o in soggetti con una marcata allergia tubercolare, attraverso una diffusione emolinfatica o endocanalicolare, compaiono vari tipi di infiltrato a evoluzione caseosa (tipico l’infiltrato di Assmann-Redeker); se l’immunodepressione persiste a lungo e quindi la risposta non è efficace si ha una diffusione del bacillo di Koch per via ematogena, con fenomeni di t. miliare (acuta o discreta). Le forme miliari postprimarie risultano particolarmente aggressive e, oltre a produrre un esteso interessamento del polmone, coinvolgono molti organi (t. extrapolmonare postprimaria).
Infezione tubercolare primaria. A seconda della via di penetrazione del germe la prima infezione tubercolare si può localizzare nella cute (complesso primario cutaneo) oppure nell’apparato gastroenterico (complesso primario intestinale) oppure, più frequentemente, nel polmone (complesso primario polmonare). In generale, prende il nome di complesso primario la triplice associazione della lesione primitiva al punto d’ingresso del bacillo di Koch, della flogosi a carico dei linfatici tributari del territorio dove ha sede la lesione primitiva (linfangite) e delle ghiandole linfatiche relative (linfoadenite).
T. postprimaria. In alcuni casi, per nuove infezioni esogene, particolarmente se costituite da cariche bacillari massive (superinfezione esogena), o per reinfezione endogena, di cui sono cause favorevoli le stesse della prima infezione, s’instaura la t. postprimaria. La via di diffusione può essere ematogena con localizzazione secondaria del bacillo tubercolare alle sierose, alle ossa, ai reni, al polmone ecc. Se la diffusione ematogena è massiva si verificano le varie forme di t. miliare generalizzata. La diffusione del processo può invece effettuarsi per continuità e per contiguità, dando luogo a forme cliniche peculiari a seconda degli organi o distretti colpiti.
La diagnosi si fonda, oltre che sulla sintomatologia specifica, sugli esami radiologici, sugli esami endoscopici, sugli esami microscopici e colturali dei materiali patologici, su alcune ricerche ematologiche e sierologiche aspecifiche, sulle reazioni alla tubercolina. Va comunque precisato che esistono batteri saprofiti con caratteristiche tintoriali simili al bacillo di Koch, per cui è importante un’accurata diagnosi differenziale. Nei pazienti nei quali l’espettorato è assente assume valore il lavaggio broncoalveolare e, in taluni casi, la biopsia bronchiale o transbronchiale. Per quanto concerne la diagnosi di forme tubercolari extrapolmonari si utilizza l’emocoltura. Ulteriori progressi hanno consentito gli anticorpi monoclonali, che possono misurare gli anticorpi specifici IgG in corso di infezione tubercolare avanzata.
Si chiamano tuberculidi manifestazioni cutanee di accertata o presunta origine tubercolare, insorgenti in soggetti con focolai specifici viscerali spesso latenti e di fronte ai quali l’organismo è in grado di reagire efficacemente. Sono più frequenti nell’età giovanile e nel sesso femminile.
La terapia usa come farmaci base per un adeguato trattamento terapeutico i chemioterapici antitubercolari. Essi, variamente classificati, sono dotati di potere batteriostatico o battericida. Gli schemi terapeutici risultano piuttosto articolati e di solito vengono applicati per un periodo abbastanza lungo (6-9 mesi); prevedono l’uso di più farmaci in associazione sia al fine di ridurre il rischio dell’insorgenza di ceppi resistenti sia per diminuire gli effetti collaterali indesiderati. D’altra parte, una terapia correttamente eseguita ha lo scopo di ottenere una vera e propria sterilizzazione sulla lesione tubercolare, nonché quello di impedire la replicazione di batteri mutanti che esprimono una particolare attività metabolica. In pratica, si possono distinguere medicamenti di prima scelta (isoniazide, rifampicina), prodotti adiuvanti per i precedenti (etambutolo, streptomicina, pirazinamide), e farmaci di seconda scelta (per es., acido paraminosalicilico, etionammide, capreomicina, kanamicina).
La profilassi si fonda, oltre che sulle previdenze sociali generiche (igiene dell’abitazione, dell’alimentazione e del lavoro ecc.), sulla denuncia della malattia, sull’accertamento della diagnosi, sull’isolamento dei malati, sulla disinfezione, sulla vaccinazione, sulla chemioprofilassi, sulla profilassi nell’infanzia. La vaccinazione antitubercolare si basa sull’impiego di un ceppo particolare (BCG, Bacillus Calmette Guerin), dotato della proprietà di non riacquisire la virulenza originaria all’interno dell’organismo umano. In generale, si esegue in soggetti non infettati da micobatteri e con test alla tubercolina negativo. Sono state proposte varie modalità di impiego che includono la via orale, la scarificazione, la via intradermica, e l’inoculo con multipuntura. Il controllo della cutireazione dimostra che la positività alla tubercolina è presente tra le 6 e 10-12 settimane. Gli effetti indesiderati sono rari. In merito alla vaccinazione di soggetti infettati da HIV sono state osservate circostanze di disseminazione del bacillo; tuttavia la vaccinazione è proponibile in bambini sieropositivi che risiedono in zone ad alta endemia tubercolare; in tali circostanze, infatti, il rischio degli effetti collaterali è inferiore al rischio di contagio della tubercolosi.
La maggior parte degli animali a sangue caldo può ammalarsi di t., essendo suscettibile all’infezione da parte della stessa varietà patogena per l’uomo (micobatterio umano e bovino) oppure dell’aviario. Verso il Mycobacterium di tipo umano sono particolarmente recettivi i Primati. Debellare questa malattia nel campo veterinario porterebbe all’eliminazione di una delle più pericolose fonti d’infezione per l’uomo e a un vantaggio economico per l’industria zootecnica. Il primo passo è il controllo della malattia che si può effettuare in due maniere: con il riconoscimento degli animali affetti e loro eliminazione al macello, e con l’immunizzazione. La cura della malattia, così come s’intende nel campo umano, non viene praticata nel campo veterinario per la scarsa convenienza dal punto di vista economico. Nell’ambito degli animali eterotermi, e precisamente da vipere, rane, carpioni, tartarughe sono stati isolati bacilli capaci di produrre in detti animali lesioni che hanno molti punti di contatto con le lesioni tubercolari degli animali a sangue caldo. I bacilli della t. degli animali a sangue freddo sono innocui per gli animali omeotermi. Secondo alcuni autori questi bacilli vanno considerati come mutazioni di bacilli tubercolari umani.