Presenza in una popolazione di due o più genotipi per un dato carattere, o anche l’esistenza di una variazione fenotipica in una popolazione. Si parla di p. genetico quando un carattere mendeliano o monogenico esiste nella popolazione in almeno due fenotipi e presumibilmente in almeno due genotipi, nessuno dei quali è raro (per convenzione la frequenza deve essere maggiore dell’1%-2%). Esistono diverse denominazioni del p. genetico, in base ai differenti livelli di osservazione all’interno delle popolazioni delle varie specie: morfologia esterna, come il colore, i disegni, lo sviluppo di alcune strutture (p. morfologico); morfologia dei cromosomi, come cambiamenti nel numero e nella struttura (p. cromosomico); sequenza amminoacidica degli enzimi (p. elettroforetico) e di altre proteine come gli anticorpi (p. immunologico); sequenza di DNA anche di tratti non codificanti, come, per es., variazioni negli introni o nelle sequenze ripetute che non vengono tradotte (p. del DNA).
È stato studiato in vari generi di piante (Plectritis, Primula, Lythrum, Narcissus, Oxalis, Oenothera, Trifolium). Nella fig. 1 viene mostrato il p. del disegno presente sulle foglie del trifoglio: gli alleli implicati sono 7, con diversi rapporti di dominanza l’uno rispetto all’altro. Fra gli animali si osservano p. morfologici in alcuni Molluschi Gasteropodi, in vari Crostacei (Copepodi, Isopodi), in molti Insetti (Ortotteri, Lepidotteri, Ditteri, Coleotteri, Imenotteri), in vari Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi, fra cui l’uomo. Nella fig. 2 viene mostrato il p. della striatura del guscio della lumaca di terra Cepaea nemoralis: le striature non sono sempre presenti e il fenotipo non striato è dominante sullo striato. Essa presenta anche una colorazione rosa o gialla per la segregazione di un altro locus non associato al precedente (rosa dominante sul giallo).
In zoologia, un particolare tipo di p. è la poliandria, per cui in una specie sono presenti due o più tipi di maschi.
Il cariotipo è una caratteristica distintiva della specie; tuttavia molte specie sono polimorfiche per il numero e la morfologia dei cromosomi. Cromosomi soprannumerari, traslocazioni e inversioni sono presenti in molte popolazioni di piante, Insetti e perfino Mammiferi. Ben documentate sono le inversioni (➔ mutazione) in alcune popolazioni di Drosophila pseudobscura provenienti dalle regioni occidentali dell’America Settentrionale.
Nell’uomo il primo p. identificato è stato il gruppo sanguigno AB0. Un p. importante è quello che riguarda gli antigeni cellulari coinvolti nella compatibilità per i trapianti dei tessuti (antigeni del sistema HLA).
Nella seconda metà degli anni 1960 sono stati avviati gli studi sul p. genetico a livello dei polipeptidi codificati dai geni strutturali mediante la tecnica dell’elettroforesi. Ammettiamo che la mutazione genica più frequente sia la sostituzione di una base azotata del DNA con un’altra e che, anche se il codice è degenerato, tale variazione corrisponda a una sostituzione amminoacidica nella proteina il cui gene ha subito questa mutazione puntiforme. Una proteina contiene tanti gruppi laterali per quanti amminoacidi la compongono, e questi conferiscono alla proteina, sottoposta a un campo elettrico, la carica che la farà migrare verso un polo. Per es., il cambiamento di un codone in un gene strutturale (AAC da AAA) determina una sostituzione della lisina carica positivamente con l’acido aspartico carico negativamente: la carica di questa proteina viene alterata e questo nuovo allele potrà essere identificato attraverso la tecnica dell’elettroforesi. Bisogna tuttavia tenere presente che, date le caratteristiche del codice genetico, soltanto il 36% delle sostituzioni nucleotidiche determinano differenze di carica nella proteina. Pertanto, le mutazioni svelabili con la tecnica dell’elettroforesi sono soltanto un terzo delle totali. Studi estensivi di popolazioni di Drosophila pseudobscura hanno portato ai seguenti risultati: dei 18 loci genici esaminati 7 hanno mostrato varianti elettroforetiche delle quali 5 loci hanno 3 o più alleli. In base alle considerazioni fatte in precedenza sulla identificabilità di alleli diversi per un particolare locus utilizzando questa tecnica, dobbiamo correggere l’eterozigosi media di queste popolazioni dell’11,5% e portarla al 35%. Questo valore si ottiene facendo la media dei loci polimorfici rispetto ai loci esaminati; da questo dato si può calcolare la probabilità che un individuo sia eterozigote per un locus scelto a caso. Stime di questo genere sono state anche ottenute con studi condotti sull’uomo. Una ricerca su 27 loci genici diversi ha dimostrato che 1/4 di questi sono polimorfici e che l’eterozigosi media per locus risulta del 16%.
La sorprendente variabilità osservata nell’uomo e nella drosofila è riscontrabile anche in altri organismi studiati e risulta come un dato comune a tutto il mondo vivente. La teoria classica della selezione non prevedeva un così alto grado di variabilità genetica. Secondo questa teoria, un così alto grado di eterozigosi comporterebbe un altissimo carico di mutazioni, prezzo insostenibile per una popolazione. L’esempio più convincente dell’uso selettivo di questa variabilità genetica è rappresentato da una mutazione che riguarda la catena beta dell’emoglobina umana; la sostituzione del sesto residuo con una valina produce, in questo caso, una variazione della carica netta della proteina. Questa condizione è determinata geneticamente e si osservano, in popolazioni di Africani, 3 genotipi AA (individui con emoglobina normale), AS (individui eterozigoti con emoglobina normale e falcemica), SS (individui che presentano falcemia, cioè una grave anemia letale causata dalla presenza di emoglobina con tutte le catene beta mutate). Se si sovrappone l’area d’incidenza della falcemia con quella della malaria, si osserva una quasi completa sovrapposizione, il che permette di supporre che vi sia un qualche rapporto tra i due fenomeni. Infatti, la condizione eterozigote AS protegge dalla malattia (determinata da Plasmodium falciparum) in maniera migliore della condizione AA. La fitness dell’eterozigote, infatti, è maggiore di quella di ambedue gli omozigoti. In questo modo la selezione mantiene nella popolazione un gene che, in condizione omozigote recessiva, determina la morte dell’individuo, ma che in condizione eterozigote conferisce al portatore una maggiore protezione verso la malaria rispetto agli individui normali. Questo fenomeno è noto come vantaggio dell’eterozigote e permette di mantenere un p. bilanciato nella popolazione.
Uno svantaggio dell’elettroforesi per l’osservazione del p. genetico è che essa è in grado di rilevare le variazioni solo nei geni strutturali, quelli cioè che sono tradotti in proteine. Se la maggior parte dell’evoluzione nella morfologia, nella fisiologia e nel comportamento risiede nei cambiamenti degli elementi regolatori, la variabilità osservata nei geni strutturali non coglie completamente il bersaglio. La grande variabilità a livello del DNA si può meglio evidenziare sia mediante l’analisi diretta delle sequenze nucleotidiche codificanti (geni) provenienti da differenti individui, sia dall’analisi delle sequenze non codificanti identificate, in prima istanza, dagli enzimi di restrizione (➔ enzima). Le diverse varianti sia dei geni sia dei tratti non codificanti vengono ereditate in maniera mendeliana. La variante di DNA più frequente viene scoperta quando è presente una mutazione puntiforme nella specifica sequenza di riconoscimento di un determinato enzima di restrizione: l’enzima non è più in grado di riconoscere il sito, quindi non taglia il DNA in quel punto. Si formano così frammenti di DNA che differiscono nella lunghezza e sono noti come RFLP (restriction fragment length polymorfisms). Essi possono essere evidenziati con una sonda molecolare tramite la tecnica del Southern blot. È più probabile che le variazioni di sequenza avvengano in regioni poste lateralmente ai geni o a livello di introni, dato che esse sono meno sottoposte a pressione selettiva rispetto alle regioni codificanti. Tali p. sono diventati pertanto preziosi marcatori (utilizzabili, per es., nella diagnosi prenatale) se sono concatenati (cioè ereditati insieme) a varianti geniche responsabili di gravi patologie.
In mineralogia, fenomeno per cui un elemento o un composto chimico, cristallizzando, può assumere strutture particolari diverse e presentarsi, quindi, in più modificazioni o fasi cristalline, ognuna stabile in un certo intervallo di temperatura e pressione, aventi proprietà fisiche differenti e indicate con a, b, c ecc., a partire da quella stabile a temperatura più bassa. Un esempio classico di p. è costituito dalle due fasi cristalline del carbonio: il diamante e la grafite, fase monometrica la prima e fase trigonale la seconda, con proprietà fisiche e chimiche nettamente diverse.
Le differenze di proprietà non sono sempre così marcate come nell’esempio ora citato e soprattutto le diverse strutture non comportano necessariamente una diversa simmetria, come si potrebbe dedurre dall’etimologia del termine polimorfismo. La formazione dell’una o dell’altra fase non è casuale, ma soggetta a leggi d’equilibrio per cui, in un determinato intervallo di temperature e di pressioni, può esistere solamente la fase (fase stabile) che, in tale intervallo, ha un potenziale chimico inferiore rispetto alle altre. Soltanto al limite fra due campi di stabilità possono esistere contemporaneamente due fasi poiché è in questo punto del sistema, detto punto di trasformazione, che le due fasi hanno lo stesso potenziale chimico. Si considerino, per es., le due modificazioni dello zolfo, quella rombica, detta anche zolfo α, e quella monoclina, o zolfo β. A pressione ordinaria la prima è stabile fra 0 e 90 °C e la seconda fra 90 e 114 °C, punto di fusione dello zolfo β. Alla temperatura di 90 °C, che segna il limite fra i due campi di stabilità, possono coesistere tutte e due le fasi cristalline; al di sopra di 90 °C lo zolfo rombico, non più stabile, si trasforma nello zolfo monoclino e questo, a sua volta, per raffreddamento al di sotto di 90 °C, in zolfo rombico; 90 °C è quindi il punto di trasformazione delle due fasi dello zolfo. Un sistema come questo in cui la trasformazione si verifica in tutti e due i sensi (per diminuzione e per aumento di temperatura) si dice reversibile o enantiotropo. Esistono però anche sistemi, detti irreversibili o monotropi, in cui la trasformazione è possibile in un solo senso; un esempio è dato dalle due fasi del carbonato di calcio (CaCO3): calcite, fase trigonale, e aragonite, fase rombica, per le quali la trasformazione avviene solo nel senso aragonite-calcite. I casi di p. sono numerosissimi, sia fra le sostanze artificiali sia fra i minerali.
In dermatologia, presenza di lesioni elementari diverse. Si parla di p. vero per lesioni varie indipendenti tra loro e di p. evolutivo, o falso p., quando la molteplicità delle lesioni è espressione di diversi stadi di sviluppo di uno stesso elemento.