Infezione causata da Emosporidi (Sporozoi) appartenenti al genere Plasmodium. La m. umana e dei mammiferi in genere (scimmie, roditori ecc.) è trasmessa esclusivamente da zanzare del genere Anopheles.
La m. era diffusa nel mondo già in epoche molto antiche e Ippocrate (400 a.C.) distinse i vari tipi di febbri intermittenti in terzane, quartane, quotidiane ecc.; Celso (circa 30 d.C.) e Galeno (150 circa) ne diedero una descrizione molto accurata ma l’eziologia e la patogenesi della m. furono chiarite solo da C.-L.-A. Laveran che, nel 1880, scoprì nei globuli rossi dei malati di febbri intermittenti il parassita che era causa dell’infezione. Si devono a E. Marchiafava e A. Celli (1883) la conferma della scoperta e la dimostrazione del modo in cui i parassiti si sviluppano e si moltiplicano negli eritrociti nutrendosi dell’emoglobina che trasformano in pigmento bruno. C. Golgi (1885-86) distinse il parassita della terzana benigna (Plasmodium vivax) da quello della quartana (Plasmodium malariae), descrivendone la morfologia e stabilendo che l’accesso febbrile insorge a ogni nuova generazione di parassiti che viene immessa in circolo. La morfologia e la biologia del parassita della terzana maligna furono descritte da Marchiafava e Celli (1889); per indicarlo prevalse il nome Plasmodium falciparum proposto da W.H. Welch. G.B. Grassi identificò nella zanzara Anopheles il veicolo di trasmissione della malaria umana. Si deve alle ricerche di H.E. Shortt, P.C.C. Garnham e collaboratori (1948-51) la descrizione completa dello sviluppo dei parassiti della m. dell’uomo e delle scimmie in cellule del parenchima del fegato.
I plasmodi della m. hanno due cicli di sviluppo, uno schizogonico o asessuale che si svolge nell’ospite vertebrato (uomo, scimmia, uccello ecc.) e l’altro sporogonico o sessuale che si svolge nelle zanzare (v. fig.). Nell’uomo la m. viene trasmessa dagli anofeli, che con la puntura inoculano gli sporozoiti contenuti nelle loro ghiandole salivari. Immessi in circolo, gli sporozoiti giungono col sangue al fegato, nelle cui cellule avviene la prima fase del loro sviluppo (fase esoeritrocitica) che porta alla formazione dei parassiti figli o merozoiti. Questi vengono liberati nel sangue dove invadono i globuli rossi nei quali ha inizio la seconda fase di sviluppo (fase eritrocitica) con comparsa dei fenomeni morbosi e conseguente possibilità di fare diagnosi del tipo d’infezione malarica, mediante l’esame del sangue. Una parte dei parassiti liberati nel sangue (merozoiti emotropi) può ritornare nelle cellule del fegato (istotropi) e ripetere il ciclo di sviluppo della cellula genitrice. Sono queste le forme che, sfuggendo all’azione dei farmaci, permangono nell’organismo e causano le recidive. I merozoiti prodotti dai parassiti degli eritrociti ne invadono altri, per cui il numero dei parassiti nel sangue si accresce fino a dar luogo all’attacco febbrile in corrispondenza di ogni nuova generazione di merozoiti liberati.
Non tutti i parassiti degli eritrociti si moltiplicano: parte di essi dà origine agli elementi sessuali o gametociti maschili (microgametociti) e femminili (macrogametociti), la cui evoluzione ulteriore avviene negli anofeli. I gametociti succhiati col sangue dalle zanzare, giunti nel loro stomaco, si trasformano in gameti. Quelli maschili subiscono un peculiare processo di maturazione detto di flagellazione, emettendo lunghi e mobilissimi flagelli citoplasmatici cui aderiscono i filamenti contenenti il nucleo. Sono questi i microgameti, mobilissimi e quindi atti alla ricerca nel sangue dei gameti femminili o macrogameti, di forma rotonda, la cui maturazione non dà luogo a evidenti modificazioni di struttura. Dalla fecondazione del macrogamete deriva lo zigote che cambia forma: da rotondo diventa allungato e mobile (vermicolo od oocinete); questo attraversa la parete epiteliale dello stomaco e si fissa nella tunica esterna a essa dove assume forma rotonda. Si ha così l’oocisti che gradualmente si accresce, mentre all’interno il nucleo originato dall’unione dei nuclei dei due gameti si divide ripetutamente (sporogonia), onde alla fine dello sviluppo l’oocisti, che raggiunge dimensioni di 50-60 μ, risulta gremita di nuclei minuti, in corrispondenza di ciascuno dei quali si solleva un’esile porzione di citoplasma che si prolunga in un fuso dando origine allo sporozoite fusiforme e mobile. Con la rottura delle oocisti, gli sporozoiti vengono liberati nell’emocele della zanzara che contiene l’emolinfa di cui seguono il flusso e si fissano nelle ghiandole salivari dove rimangono fino a quando la zanzara, pungendo, li inocula nell’uomo con la saliva. Ricomincia così il ciclo schizogonico descritto.
Lo sviluppo dei parassiti negli anofeli è più o meno rapido secondo la temperatura ambiente. Le temperature tra 25 °C e 30 °C sono le più favorevoli allo sviluppo sporogonico e coincidono con quelle meglio adatte allo sviluppo degli anofeli, per cui la m. infierisce ed è diffusa soprattutto nei climi caldi.
Le specie di parassiti causa della m. umana sono 4 e cioè, in ordine di frequenza: Plasmodium vivax, Plasmodium falciparum (sinonimo di Plasmodium laverania falciparum), Plasmodium malariae, Plasmodium ovale. I caratteri utili alla distinzione delle 4 specie sono quelli che i parassiti assumono negli strisci di sangue colorati con il metodo di G. Giemsa (D.L. Romanovskij). I parassiti spiccano entro le emazie colorate in rosa. In tutte le specie i trofozoiti giovani hanno forma anulare per la presenza di un cospicuo vacuolo centrale intorno al quale si addensa il citoplasma formando un anello azzurro lungo il quale spicca il granulo rosso della cromatina. Negli stadi successivi di sviluppo ciascuna specie assume caratteri peculiari che ne facilitano l’identificazione.
Plasmodium vivax. - Determina l’infezione designata terzana benigna; il globulo rosso rimane ingrandito, impallidisce e presenta caratteristiche granulazioni rossastre note come granuli di Schüffner. Alla fine dello sviluppo raggiunge dimensioni notevoli e occupa circa i due terzi del globulo rosso; la mobilità diminuisce e i numerosi granuli di pigmento formatisi durante l’accrescimento si raccolgono in una massa intorno alla quale si dispongono i merozoiti prodotti con la schizogonia. Lo sviluppo dura circa 48 ore, per cui gli attacchi febbrili insorgono a giorni alterni.
Plasmodium falciparum. - Determina l’infezione clinicamente nota come terzana maligna o estiva autunnale o tropicale, forma di m. grave e a volte mortale. Di solito nel sangue periferico se ne osservano soltanto i trofozoiti giovani anulari, che sono più piccoli di quelli delle altre specie di parassiti della m. umana. Il globulo rosso conserva dimensioni e colorito normali, ma può presentare macchie rosso scure di forma variabile, dette macchie di Maurer. Lo sviluppo dura circa 48 ore e gli attacchi febbrili hanno carattere terzanario, ma durano a lungo e l’accumulo dei parassiti negli organi interni concorre a rendere particolarmente grave il decorso dell’infezione.
Plasmodium malariae. - Determina l’infezione nota come quartana; è caratteristica la tendenza a disporsi a fascia nel globulo rosso che non è ingrandito. Il globulo rosso non appare alterato. Lo sviluppo dura 72 ore, per cui gli attacchi febbrili sono separati da due giorni di apiressia.
Plasmodium ovale. - La specie si osserva in alcuni territori tropicali, soprattutto in Africa occidentale. Come Plasmodium vivax ingrandisce il globulo rosso, che impallidisce e spesso assume forma ovale, a volte con bordi sfrangiati e fin dall’inizio dello sviluppo del parassita presenta molte granulazioni di Schüffner. Lo sviluppo dura 48 ore, per cui la febbre è terzanaria.
L’incubazione della m. dal momento della puntura dell’anofele infetto all’inizio della febbre è di 13-15 giorni nelle infezioni da Plasmodium vivax e Plasmodium ovale, di 9-12 giorni in quella da Plasmodium falciparum e di 28-30 giorni in quella da Plasmodium malariae; può tuttavia essere più breve o più lunga. Vi sono ceppi di Plasmodium vivax che possono dare incubazione molto prolungata, di vari mesi. L’attacco febbrile ha inizio con brividi intensi di freddo che durano circa un’ora, la temperatura si eleva rapidamente, può raggiungere 40-41 °C e si mantiene alta più o meno a lungo secondo la specie del parassita che determina l’infezione. Nella terzana maligna, a differenza degli altri tipi di infezione malarica, la riproduzione dei parassiti è spesso illimitata e il loro accumulo nei vasi degli organi interni è causa di alterazioni che ne compromettono la funzione. I capillari cerebrali rimangono occlusi dai parassiti e, nei casi mortali, la sostanza grigia del cervello è cosparsa di emorragie puntiformi. L’enorme numero di parassiti nei vari organi e le conseguenze che ne derivano sono causa delle perniciose malariche, le quali presentano sindromi molto varie che possono simulare le più diverse malattie; di qui la necessità dell’esame del sangue eseguito senza indugi, se il paziente febbricitante abbia soggiornato o soggiorni in zona malarica. La forma più comune di perniciosa è la comatosa, nella quale il paziente, dopo pochi giorni di febbre, cade improvvisamente in coma profondo dal quale raramente si riprende. L’esito è quasi sempre fatale. La perniciosa è fenomeno tipico dell’infezione primitiva da Plasmodium falciparum e si verifica nei soggetti che non ne hanno sofferto in precedenza. Complicazione grave e a volte mortale è l’emoglobinuria.
In tutte le forme di m. la milza aumenta di volume (splenomegalia) per congestione dell’organo e per varie altre alterazioni. L’anemia è di grado variabile secondo il numero di eritrociti distrutti dai parassiti; è particolarmente intensa nella terzana maligna. Il numero dei leucociti è spesso diminuito, con aumento relativo dei monociti.
Caratteristica della m. è la tendenza a recidivare dopo la cura e l’apparente guarigione dell’infermo. Con i farmaci sintetici, la terzana maligna guarisce senza dare recidive, ma la terzana benigna e la quartana non di rado recidivano dopo periodi più o meno lunghi di latenza.
Circa il 48% della popolazione mondiale vive in aree di endemia malarica. L’eradicazione della malattia dalle zone endemiche, auspicata e tentata nel passato, non è stata possibile, sia per resistenza dei vettori anofelini al DDT e agli altri insetticidi impiegati a tale scopo, sia per l’instaurarsi di resistenze dei plasmodi a taluni farmaci impiegati nella terapia della malaria. Inoltre, i conflitti verificatisi negli ultimi decenni in molti paesi in via di sviluppo, le migrazioni e gli spostamenti delle popolazioni hanno determinato ulteriori difficoltà nel controllo della malattia. Nei paesi industrializzati si assiste a un aumento di casi d’importazione e alla comparsa del rischio di un contagio trasfusionale e fra i tossicodipendenti di una m. ‘da siringa’, legati all’arrivo di portatori in territori indenni dalla malattia. L’Africa rappresenta uno dei maggiori serbatoi di malattia dove il rischio e la gravità della m. sono fra i più elevati del mondo. Il parassita malarico più diffuso in Africa è Plasmodium falciparum e il rischio di mortalità è quindi elevato.
Nel 2005 l’UNICEF e l’OMS hanno pubblicato il primo rapporto sulla m. nel mondo: risultavano ancora colpiti ogni anno da 350 a 500 milioni di persone, con un milione circa di morti, soprattutto fra i bambini, nonostante l’innegabile progresso verificatosi dal 2000 in molti paesi nella prevenzione e nel controllo della malattia, grazie alle campagne di sensibilizzazione e ai nuovi rimedi introdotti, come le zanzariere trattate con insetticidi (che hanno ridotto del 50% il rischio di contagio) e una terapia combinata basata sull’artemisina (ACT).
Per oltre due secoli la m. è stata curata con la corteccia di china e con gli alcaloidi in essa contenuti, dei quali il più efficace è la chinina, i cui sali (solfato, bisolfato, idroclorato ecc.), dotati di grande efficacia per la rapidità di azione, sono tuttavia di grande tossicità e non prevengono le recidive. Attualmente la terapia della m. presenta alcune difficoltà legate all’instaurarsi di resistenze soprattutto di Plasmodium falciparum a taluni farmaci. I farmaci utilizzati tengono conto non solo di queste resistenze, ma anche del parassita interessato. Le forme da Plasmodium vivax, ovale o malariae e quelle da falciparum sensibili vengono trattate con clorochina. Le forme da Plasmodium falciparum resistenti alla clorochina vengono trattate con altri farmaci (sulfadoxina, pirimetamina, sulfametopirazina, meflochina, halofantrine). Il chinino rimane il farmaco impiegato o nella m. perniciosa o nelle forme resistenti a tutti gli altri farmaci.
La profilassi antimalarica tiene conto delle eventuali resistenze dei plasmodi a determinati farmaci e inoltre della zona nella quale si deve soggiornare. L’OMS fornisce ogni anno una mappa nella quale le zone endemiche sono suddivise in tre aree indicate con le prime tre lettere dell’alfabeto. Secondo la mappa pubblicata nel 2008, nella zona A (a basso rischio o a rischio stagionale) dove Plasmodium falciparum è sensibile alla clorochina, tale farmaco deve essere assunto da una settimana prima della partenza a quattro settimane dopo il rientro. Nella zona B (a medio rischio, come India, Bali, Medio Oriente) dove la resistenza alla clorochina non è diffusa, va associato proguanil alla clorochina, assunti sempre da una settimana prima della partenza a quattro dopo il rientro. Nella zona C (ad alto rischio, come Africa subsahariana, Perù, Bolivia, Cambogia, Bangladesh), Plasmodium falciparum presenta elevate resistenze ai farmaci: la profilassi andrebbe quindi effettuata con meflochina o doxiciclina, oppure clorochina in associazione con proguanil, sempre con le stesse modalità di assunzione viste in precedenza.
Nel 2021 L’Organizzazione mondiale della sanità ha approvato il vaccino per la prevenzione della malaria denominato Mosquirix (o RTS,S/AS01) e prodotto dall’azienda farmaceutica GlaxoSmithKline, che utilizza la tecnologia delle proteine ricombinanti per contrastare il Plasmodium falciparum, rivelatosi efficace nel prevenire il 44% dei casi nella prima infanzia; mentre nel 2023 è stato approvato il vaccino R21 sviluppato dall'azienda Novavax, che nella fase di sperimentazione clinica ha dimostrato un'efficacia dell'80% alle dosi più alte di somministrazione.