Medico e filosofo (Pergamo 130 circa - ivi, probabilmente, 200 circa). Avviato agli studî di medicina dal padre Nikon, architetto, G. ricevette una completa preparazione culturale, in primo luogo basata sullo studio della tradizione filosofica e di quelle discipline matematiche più vicine alla professione paterna. Dal grande modello della geometria euclidea G. trasse la convinzione che ogni edificio di sapere scientifico dovesse venir costruito con lo stesso rigore dimostrativo, giungendo a formulare un progetto di riorganizzazione unitaria, dimostrativamente incontrovertibile, della medicina. Nei suoi studî propriamente medici risultarono decisivi due aspetti: l'anatomia da un lato, l'analisi e il commento dei testi della medicina ippocratica dall'altro. Maestri di G. furono Satiro, Pelope, Numisiano, e poi soprattutto gli scienziati legati al Museo di Alessandria, dove egli studiò per cinque anni, e dove venne in contatto con la grande tradizione del commento ippocratico. Ritornato a Pergamo, G. approfondì le sue conoscenze anatomiche e chirurgiche come medico dei gladiatori, finché nel 162 si trasferì a Roma ove rimase fino a tarda età, salvo qualche intervallo e un ultimo ritorno nella natia Pergamo. La situazione della professione medica a Roma era complessa e contraddittoria: da un lato, essa era in piena espansione intellettuale e sociale; dall'altro, il campo della medicina (anche per l'assenza di una qualsiasi garanzia pubblica, istituzionale, della formazione e della qualificazione dei medici) era lacerato da violente dispute fra sette rivali. Di fronte a ciò, G. si impegnò in una doppia battaglia. Per un verso cercò di emergere personalmente sull'agguerrita concorrenza, onde acquisire credito presso i ceti più alti della società imperiale (divenne medico personale di Marco Aurelio e del figlio Commodo). In questa direzione, egli si valse principalmente di tre elementi: una solida preparazione culturale complessiva; una profonda conoscenza dell'anatomia, una competenza ippocratica che gli permise di eccellere soprattutto nell'arte prognostica. Per altro verso, G. si impegnò in un tentativo di ricomposizione unitaria della medicina, al di là delle controversie settarie. Tre i capisaldi di questo programma: 1) il richiamo all'unità della tradizione ippocratica, a costo di gravi forzature della realtà storica; 2) l'attribuzione di un ruolo fondamentale (quasi assiomatico) all'anatomia, vista come la base di tutto l'edificio del sapere medico; 3) l'impiego di solidi metodi dimostrativi, secondo il modello aristotelico ed euclideo. Una medicina così ricostruita potrà attingere alla piena dignità epistemologica di un sapere naturalistico e, nella sua solidità razionale, potrà dimostrare scientificamente ciò che la filosofia può solo ammettere retoricamente, e cioè l'esistenza nella natura dei corpi di un ordine provvidenziale, di un finalismo rigoroso solo parzialmente enunciato nella teleologia aristotelica e stoica. Ma la supremazia della nuova medicina sulla filosofia si estendeva al di là del campo conoscitivo a quello etico. Se in effetti, come il medico può dimostrare, le qualità morali e intellettuali dell'individuo dipendono dal buono stato dei suoi organi primarî, e soprattutto dal cervello, è solo il medico che può tracciare una diagnosi morale e tentare la terapia delle deviazioni psichiche, agendo sulla dieta, il regime di vita, l'ambiente. Questo programma di ricostruzione di una medicina unificata doveva passare attraverso una confutazione implacabile della divisione del sapere medico in sette rivali. Le tre principali scuole di medicina attive a Roma al tempo di G. erano l'empirica, la dogmatica e la metodica. Sul piano diagnostico e terapeutico, G. non ha molto da obiettare agli empirici, e su quello del metodo egli è anche d'accordo sull'importanza riconosciuta all'osservazione diretta (autopsia) o tramandata (historia). Tuttavia a livello epistemologico, il rifiuto della teoria causale e dell'anatomia fanno della medicina empirica, secondo G., una scienza dimezzata, confinata al rango di tecnica terapeutica. Quanto ai dogmatici (o razionalisti), G. concorda con loro, fino a potersi largamente identificare con la scuola, nel ruolo attribuito all'anatomia e alle teorie causali, ma contro di essi ritiene che l'ambito del sapere medico non possa arrestarsi alle strutture anatomiche osservabili (organi interni, sistemi, tessuti), ma debba risalire fino agli elementi primarî (che i dogmatici, sulla scorta di Aristotele, lasciavano all'indagine della filosofia della natura) costituenti dei corpi, e cioè aria, fuoco, acqua, terra, con le rispettive qualità: freddo, caldo, fluido, solido. Solo così il sapere medico può porsi come sostitutivo, in quanto scienza della natura, delle vecchie scuole filosofiche. Empirici e razionalisti appartengono comunque, secondo G., all'alveo della buona medicina, pur dando risposte solo parziali ai problemi che essa pone. Se ne discostano invece completamente i metodici che, rifiutando l'intera tradizione medica, da un lato riducono tutte le malattie a due stati principali, la costipazione e il rilassamento, e dall'altro pensano che basti aver osservato i sintomi relativi a questi due stati per avere una sufficiente preparazione diagnostica, e i rimedî rispettivamente utili per essere perfetti terapeuti. Ma, in questo modo, secondo G., essi rovinavano lo statuto scientifico e professionale della medicina. La polemica contro le sette rivali contribuisce a definire il sistema della medicina galenica. Il corpo è dunque costituito dai quattro elementi, la cui composizione dà luogo ai diversi "temperamenti": essi sono anche descrivibili nel linguaggio degli "umori" proprî della tradizione ippocratica (sangue, flegma, bile gialla o nera): così un temperamento caldo e umido sarà "sanguigno", uno freddo e umido "flemmatico", uno caldo e secco "collerico", uno freddo e secco "melancolico". Ogni temperamento ha un suo proprio quadro patologico; discrasie temperamentali intervenute durante la formazione embrionale o in seguito, ad opera di agenti patogeni esterni, danno luogo a predisposizioni morbose. Gli elementi formano i tessuti omogenei da cui sono a loro volta composti gli organi. Sulla base del finalismo che governa la natura, ogni organo possiede una sua "facoltà naturale" che ne spiega la funzione specifica, e che può essere attrattiva, trasformativa o espulsiva (così il fegato è in grado di attrarre i cibi e trasformarli in sangue, che costituisce a sua volta il nutrimento principale dell'organismo). In tutti i processi fisiologici gioca un ruolo centrale il calore innato, che ha sede nel cuore e che è coinvolto tanto nella digestione (concepita come un processo di elaborazione dei cibi per "cozione"), tanto nella riproduzione (perché lo sperma deriva dal sangue per un processo di cozione ed è a sua volta l'artefice della formazione dell'embrione). Quanto all'anatomo-fisiologia, G. eredita dalla medicina alessandrina la conoscenza dei tre grandi sistemi nervoso, venoso e arteriale. I nervi sono connessi al cervello e al midollo spinale: essi sono condotti pieni di un fluido specifico, il pneuma psichico, che deriva dall'aria inspirata attraverso una serie di elaborazioni compiute prima dal cuore e poi dal cervello stesso. Il pneuma contenuto nei nervi sensorî è il veicolo dell'adduzione al cervello degli stimoli percettivi provenienti dall'esterno; il pneuma contenuto nei nervi motorî è viceversa il veicolo degli ordini razionali che presiedono al movimento volontario. D'accordo con Platone, con Erofilo e con Erasistrato, ma in opposizione al cardiocentrismo aristotelico e stoico, G. fa pertanto del cervello la sede delle funzioni psichiche superiori, dunque della "parte razionale" dell'anima. Il secondo sistema è composto dal cuore e dalle arterie. In queste circola un altro tipo di pneuma, quello vitale, responsabile delle funzioni involontarie necessarie alla vita dell'organismo, come la digestione, e connesso inoltre (insieme con il calore cardiaco) a fenomeni emotivi di tipo passionale (la collera, la paura). Le arterie contengono inoltre sangue (contro l'opinione di Erasistrato, sperimentalmente confutata da G.): ma questo sangue arterioso non ha altra funzione che quella di alimentare la tunica dei vasi: è dunque assente in G., come in tutta la medicina antica, l'idea di una circolazione venoso-arteriale del sangue. Quanto al terzo sistema, G. fa del fegato (e non del cuore, d'accordo in questo con Platone ma in contrasto con gli anatomisti alessandrini) il principio delle vene e del sangue in esse contenuto. G. opera dunque una sintesi tra i risultati dell'anatomo-fisiologia alessandrina (che aveva scoperto i tre grandi sistemi di vasi e assegnato a essi rispettivamente tre tipi diversi di fluidi, il sangue e i due pneumata), e la psicologia tripartita elaborata da Platone nel Timeo. In virtù della sua connessione con i nervi, il cervello si confermava come sede dell'anima razionale; il suo rapporto con il calore e il pneuma vitale ribadiva nel cuore la sede della parte emotiva, passionale dell'anima; il fegato infine, per il suo rapporto con il sangue, poteva venir considerato la sede dell'anima nutritiva e riproduttiva ("vegetativa"), e anche "concupiscibile", responsabile cioè dei desiderî alimentari e sessuali. Sul piano anatomo-fisiologico, il corpo vivente appare dunque a G. come una macchina perfetta, a struttura elastico-fluida, composta di organi che la natura ha organizzato in modo da assicurarne l'armonica collaborazione per salvaguardare l'ordinata funzionalità dell'insieme. La medicina costituisce una via razionale e scientifica per la scoperta del piano provvidenziale che regge nel modo migliore possibile la natura del mondo; essa è dunque, dice G., il fondamento di una "teologia rigorosa", assai più dei culti misterici e dell'irrazionalismo misticheggiante che dilagavano nella sua epoca. In questo senso l'opera di G. appare uno degli ultimi baluardi eretti dalla grande tradizione del razionalismo filosofico-scientifico greco contro l'imminente crisi culturale e sociale del mondo imperiale. L'ottimismo cosmologico e provvidenzialistico di G. presenta tuttavia, ad altri livelli, numerose falle. Il meraviglioso ordine provvidenziale dei corpi, rivelato dall'anatomo-fisiologia, è tuttavia continuamente esposto alla malattia: quando G. scrive da medico e per i medici professionisti, egli ritorna al vecchio atteggiamento della clinica ippocratica, più attento a segnalare i continui guasti che si producono nei temperamenti umorali, gli inevitabili squilibrî del rapporto corpo/ambiente esterno, più preoccupato della continua presenza della malattia e della morte, che impegnato a inneggiare alla perfezione del finalismo della natura. Quanto alla concezione galenica dell'uomo, il ritorno alla tripartizione platonica dell'anima lo porta a vedere come l'equilibrio razionale sia continuamente minacciato da fattori endogeni, l'irrazionalità delle passioni e dei desiderî che provengono dalle parti inferiori dell'apparato psichico. Queste forze oscure sono del resto incentivate da una società che, secondo il moralista G., è interamente preda dell'avidità di ricchezza, di fama e di potere, tanto da avviarsi ineluttabilmente verso il suo tracollo finale a meno che, scrive G., si produca qualche improvviso e "divino" mutamento. L'uomo di scienza e di ragione dovrà difendersi da questo mondo, e dalla sua stessa anima, con una sobria e tenace dedizione agli studî, con la frequentazione di suoi simili che lo ponga al riparo dalla corruzione dei tempi. Morendo sotto l'impero di Commodo, G. poté soltanto intravedere l'avvicinarsi della crisi che egli temeva. La sua opera tuttavia sopravvisse, rappresentando per molti secoli a venire uno dei più monumentali lasciti dell'antichità classica, il grande sistema di un sapere sulla natura vivente che non avrebbe conosciuto rivali almeno fino al Cinquecento. A G. sono attribuite oltre 4000 opere (scritte in greco) distinte in 7 gruppi: anatomia, patologia, terapia, diagnostica e prognostica, commentarî agli scritti ippocratici, filosofia e grammatica. A noi ne sono pervenute 108, parte nella stesura originale greca, parte nella traduzione araba. Fra i più noti sono la Θεραπευτικὴ μέϑοδος (Methodus medendi), opera in quattordici libri che riassume il sistema galenico e per lungo tempo costituì il testo fondamentale dell'insegnamento medico, e la Τέχνη ἰατρική (Ars medica). Le opere di G. ebbero numerose edizioni. L'edizione latina più antica è quella pubblicata in due volumi a Venezia nel 1490 da F. Pinzio; tra le edizioni greche antiche la più importante è quella in cinque volumi pubblicata a Venezia nel 1525 da Aldo Manuzio; fra le moderne una delle migliori è quella del Kühn (Lipsia 1821-33). n Durante il Medioevo l'Ars medica fu nota, nella trad. latina di Costantino Africano e citata col titolo di Tegni o Microtegni (dal gr. Τέχνη), mentre l'opera maggiore, Methodus medendi, era chiamata Megategni.