Stato interno dell’Europa orientale, confinante con la Slovacchia a N, l’Ucraina a NE, la Romania a E, la Serbia e la Croazia a S, la Slovenia e l’Austria a O.
Il territorio ungherese si presenta per lo più pianeggiante (per oltre il 70% della superficie totale), con rilievi che raggiungono la massima altitudine a N, nel Monte Kékes (1015 m), facente parte del gruppo dei Mátra. Il Danubio e alcuni modesti rilievi costituiscono la linea divisoria che permette di distinguere le due principali unità morfologiche del paese: il Dunántúl (Oltredanubio, o Transdanubio) a occidente, e il Nagyalföld (Grande Pianura) o, più semplicemente, Alföld, a oriente. La ristretta fascia montuosa settentrionale (Felföld), compresa tra il Danubio e il Tibisco, è costituita da una serie di rilievi (Monti Csóványos, Monti Mátra, gruppo del Bükk) tutti appartenenti alla regione precarpatica, ma di differente costituzione geologica. Il Dunántúl è un’ampia regione compresa tra il Danubio, che ne fissa i limiti a N ed E, la Drava, che la circoscrive a S, le estreme propaggini alpine del Burgenland a O; al suo interno non si presenta del tutto omogenea, ma vi si possono riconoscere tre subregioni. Il Kisalföld, nell’estrema parte nord-occidentale, è connotato sia dalla presenza dei primi rilievi prealpini sia da aree acquitrinose. Più a SE si trova la Selva Baconia, rilievo formatosi quasi contemporaneamente alle Alpi e ai Carpazi, costituita da una serie articolata di altipiani calcarei compresi tra 400 e 700 m s.l.m. A S del Lago Balaton si trova un territorio per lo più collinare, connotato da depositi di sabbia e löss. L’Alföld è una vasta regione pianeggiante, la cui altezza è in media intorno ai 100-110 m s.l.m., estesa a E del Danubio e divisa in due parti dall’altro grande fiume ungherese tributario del Danubio stesso, il Tibisco. La sezione compresa tra i due fiumi, la cosiddetta Mesopotamia ungherese, è costituita da una piattaforma di sabbie con scarsa idrografia superficiale. La sezione a E del Tibisco si presenta come un territorio morfologicamente assai più articolato, in cui si alternano tavolati di löss, dorsali sabbiose, coni di deiezione di torrenti, tracce di dune, zone salmastre, bacini paludosi. In questa vasta area è ben visibile la contrapposizione tra la pianura coltivata, l’alföld, e la steppa, o puszta.
L’idrografia ungherese è dominata dai due grandi sistemi fluviali del Danubio e del Tibisco, che scorrono paralleli l’uno all’altro; un terzo importante fiume, la Drava, segna per lungo tratto il confine con la Croazia. Il Danubio, che scorre in territorio ungherese per 410 km, assume particolare importanza sia come via di comunicazione sia per il fatto di fornire circa i 2/3 di tutte le risorse idriche utilizzate. Il Tibisco, il cui regime idraulico è stato regolato attraverso la costruzione di un sistema di dighe, è in parte navigabile e utilizzato per produrre energia elettrica. Il lago più vasto e più importante, anche da un punto di vista economico e turistico, è il Balaton, formatosi nel Pleistocene. Altri laghi sono il Ferto̯ e il Velence.
Il clima dell’Ungheria presenta spiccati elementi di continentalità, mitigata tuttavia dall’influenza delle masse d’aria atlantiche e mediterranee. Le temperature medie del mese più freddo, gennaio, sono comprese tra −4 °C nelle parti montuose settentrionali e −0,5 °C nelle estreme regioni meridionali. Le medie più alte si registrano, nel mese di luglio, nella parte sud-orientale, con 22 °C. Le precipitazioni presentano grandi disparità territoriali: nelle aree più secche della puszta il totale annuo delle precipitazioni si attesta intorno ai 500 mm, spostandosi verso O e verso N si giunge a superare i 900 mm.
Gruppo dominante è quello dei Magiari (84%), seguono minoranze di Rom (5%), Ruteni (3%), Tedeschi (2%), Romeni (1%). Numerose sono le comunità ungheresi che, a seguito delle vicende storiche del 20° sec., si sono trovate comprese nei confini di Romania (2 milioni, per lo più in Transilvania), Slovacchia, Serbia, Ucraina, Croazia. La dinamica demografica del paese è attestata da tempo su valori negativi (−0,2% nel 2009) a causa della bassa natalità (9,5‰), cui si contrappone un tasso di mortalità decisamente elevato (12,9‰) rispetto alla media dei paesi europei. A scala regionale, soltanto le regioni transdanubiana centrale e occidentale registrano un saldo demografico positivo, mentre le altre, compresa l’Ungheria centrale che include la capitale, sono contrassegnate da una dinamica migratoria negativa. La rete urbana è dominata dalla capitale, che concentra poco meno di un quinto della popolazione del paese e, oltre a rivestire un ruolo centrale a scala nazionale, è l’unica città ungherese con una dimensione funzionale internazionale. Fra le altre città, solo Debrecen supera i 200.000 abitanti.
La religione è cristiana, in prevalenza (63,1%) cattolica di rito latino, con minoranze di riformati, protestanti e, assai esigue, di musulmani ed Ebrei.
L’economia ungherese è stata tra le prime all’interno del blocco sovietico a tentare di realizzare una certa liberalizzazione con la riforma del 1968, che si basava sull’istituzione di un sistema che prevedeva, nello stesso tempo, la coesistenza di elementi propri dell’economia socialista e di altri di un’economia semi-liberista: le aziende potevano stabilire gli obiettivi produttivi, commerciare con l’estero, reinvestire i profitti realizzati, ma gli investimenti di più ampia consistenza erano attuati seguendo le regole di una rigida pianificazione centralizzata. Difficoltà nella bilancia dei pagamenti e lo spostamento di consistenti risorse finanziarie verso imprese inefficienti hanno però, nel tempo, determinato una situazione di crisi. A partire dal 1990 nuove e più radicali riforme sono state attuate dai nuovi gruppi politici al potere, in parte nella linea già anticipata nel 1988, anno in cui era stata introdotta la possibilità di costituire società di capitali, con la privatizzazione di molte attività nei settori dei servizi e dell’agricoltura. Nel 1994 lo Stato ha impresso un’accelerazione al processo di liberalizzazione dell’economia, varando una serie di misure finalizzate ad attrarre gli investitori stranieri (svalutazione della moneta, un piano di privatizzazioni molto più deciso rispetto al passato, tagli alle spese sociali e un aumento della pressione fiscale). Nella seconda metà degli anni 1990, per effetto di questi provvedimenti, l’economia ungherese ha ripreso a crescere, le esportazioni e gli investimenti stranieri sono aumentati costantemente, mentre il tasso di disoccupazione è progressivamente diminuito fino ad attestarsi su valori simili a quelli medi europei. Tali risultati positivi hanno fatto sì che l’Ungheria sia rientrata nel gruppo di paesi ammessi nell’Unione Europea nel 2004. Successivamente, per ragioni dovute sia ai fenomeni di recessione del contesto economico internazionale, sia a fattori intrinseci di debolezza dell’economia nazionale, si è resa necessaria l’adozione di ulteriori misure di austerità, allo scopo di ridurre il deficit di bilancio.
Poco più della metà della superficie territoriale del paese è arativa, mentre poco meno del 20% è coperto da boschi e il 15% da prati e pascoli. L’agricoltura contribuisce al PIL per il 3,4% e occupa il 4,5% della forza lavoro (dati 2009). Le principali colture sono rappresentate da cereali (soprattutto frumento e mais), patate e barbabietole da zucchero. Diffusa nelle regioni collinari occidentali e settentrionali, la viticoltura alimenta la produzione ed esportazione di vini pregiati (noto il Tokaj). Altri prodotti di rilievo sono le piante oleifere (colza, girasole, soia), il tabacco, il lino, la canapa e gli ortaggi. L’allevamento, praticato in forma estensiva nei pascoli della puszta e in forma prevalentemente stalliva nell’Alföld, costituisce un’importante voce economica. Il patrimonio zootecnico si compone principalmente di volatili, suini e ovini, mentre in regresso appare quello tradizionale dei bovini. Lo sfruttamento delle foreste garantisce una produzione media di 6 milioni di m3 di legname l’anno.
Le risorse minerarie comprendono in primo luogo la lignite, i cui principali giacimenti si trovano nel versante meridionale dei Monti Mátra e, a O del Danubio, nei pressi di Tatabánya. Giacimenti di petrolio e gas naturale sono presenti nella parte sud-occidentale del paese (Nagylengyel) e a E del Tibisco, ma le rese sono lontane dal rendere l’Ungheria autosufficiente sul piano energetico. Si estraggono inoltre bauxite (nella Selva Baronia), carbone (nel bacino di Pécs), manganese e uranio.
Il settore industriale (34,3% del PIL e 32,1% della forza lavoro) si è sviluppato, a partire dagli anni 1950, attraverso una rapida e forzata crescita dell’industria pesante, secondo i dettami di un modello di sviluppo che non teneva conto della povertà energetica e di materie prime del paese. A partire, invece, dagli anni 1960 sono stati privilegiati settori come la meccanica di precisione e l’elettronica. Di lunga tradizione è l’industria alimentare e delle bevande, e quella del tabacco. Le industrie chimiche sono localizzate, a O del Danubio, a Berhida, Győr, Zalaegerszeg, Pécs e, nella parte settentrionale e orientale del bacino del Tibisco, a Malyi, Tiszapalkonya, Tiszavasváry, Debrecen. Industrie meccaniche, volte alla produzione di veicoli commerciali e materiale ferroviario, hanno sede a Budapest, Győr, Miskolc, Pécs. L’elettronica ha il suo maggior centro in Székesfehérvár.
Il settore dei servizi (62,4% del PIL e 63,4% della forza lavoro) ha registrato una forte espansione nel passaggio al nuovo sistema economico. Di particolare importanza le attività commerciali, sia quelle legate alle piccole imprese di commercio al dettaglio, che quelle rappresentate dalle società straniere della grande distribuzione. Anche il turismo ha sperimentato un incremento notevole, fornendo opportunità di lavoro crescenti; tra le mete più frequentate, Budapest e il Lago Balaton. Promettente inoltre lo sviluppo del terziario avanzato: ingenti risorse sono state stanziate dal governo per il potenziamento della ricerca e per la realizzazione di parchi scientifici. L’Ungheria intrattiene la maggioranza degli scambi commerciali con i paesi della UE (in particolare Germania, Italia, Romania, Austria e Francia). Per le importazioni, sono partner importanti anche la Russia e la Cina. Per quanto riguarda i prodotti esportati, spiccano apparecchiature elettriche ed elettroniche, macchinari e mezzi di trasporto, seguiti da prodotti in plastica e di meccanica di precisione, farmaceutici, dell’abbigliamento e alimentari; tra le importazioni prevalgono i macchinari e le materie prime industriali e alimentari.
Per quanto concerne le vie di comunicazione (2005), il sistema stradale si snoda su quasi 160.000 km (di cui oltre 600 km di autostrade), quello ferroviario su 8057 km, quello delle vie navigabili interne su 1622 km. La città di Budapest è coinvolta in un piano europeo di comunicazione pensato per collegare, attraverso un sistema di autostrade e ferrovie connesse con il porto di Trieste, l’Europa occidentale e centrale con l’Ucraina.
L’Ungheria fu centro di insediamenti sin dal Paleolitico, cui appartengono i reperti della civiltà di Szeleta (punte di lancia, raschiatoi di diaspro, ‘bastoni di comando’ di osso), ritrovati in caverne di Bükk. Nel Neolitico risultano abitate le pianure del Tibisco e del Körös, dove consistenti ritrovamenti risalgono all’età del Bronzo (terrecotte, rappresentazioni plastiche di figure umane).
L’Ungheria fu occupata da Illiri, Traci e Sciti sino all’arrivo dei Celti (5° sec. a.C.) che si stabilirono nella regione transdanubiana importandovi le più evolute tecniche di fusione del ferro e del bronzo della civiltà di La Tène. L’abilità raggiunta nella lavorazione dei metalli è documentata da armi, ornamenti e vasellame (vasi in rilievo di Pécel).
Conquistata dai Romani (1° sec. a.C.-1° d.C.), fortificata da una serie di costruzioni lungo il limes danubiano e intensamente romanizzata, la Pannonia fu abbandonata (375-406) sotto l’incalzare degli Unni di Attila; invasa da Gepidi e Ostrogoti (fine 5° sec.), divenne possedimento degli Avari che vi costituirono un regno (567). Subì ripetute incursioni slave sino a quando i Magiari, di stirpe ugro-finnica, stanziati prima nella zona del Caucaso e poi (metà 9° sec. ca.) fra il Don e lo Dnepr, sotto la pressione dei Peceneghi, si spostarono verso Occidente insediandosi nell’896 nella pianura pannonica: nella formazione storica che si è sviluppata con continuità fino all’epoca moderna, l’Ungheria è creazione della popolazione magiara.
Con Géza (972-97) della dinastia degli Árpád ebbe inizio la conversione dei Magiari al cristianesimo e il loro fissarsi alla terra; il successore, Stefano il Santo (997-1038), gettò le basi dello Stato ungherese, anche con l’appoggio del papato. La più antica monarchia ungherese era una sorta di monarchia patrimoniale, il cui potere si fondava sugli immensi possessi del re; organi amministrativi furono i comitati, retti da comites, saliti nel tempo da 45 a 72. Per organizzare la Chiesa ungherese Stefano istituì arcivescovadi e vescovadi, inducendo anche gli ordini religiosi a fondare loro conventi.
Alla morte di Stefano, l’Ungheria si trovò coinvolta nelle lotte fra impero e papato, appoggiandosi a questo contro il primo, e dopo un periodo di decadenza, con Ladislao I (1077-95) diede inizio a una politica espansionistica: nel 1089-90 vi fu la conquista della Slavonia; nel 1091 l’unione della corona di Croazia (durata sino al 1918), che comportò una lotta con Venezia, durata tre secoli, per il dominio della Dalmazia. L’unione con la Croazia e l’alterno possesso della Dalmazia coinvolsero l’Ungheria nei problemi balcanici, con conseguente contrasto con Bisanzio.
L’esaurirsi dello Stato patrimoniale e l’avviarsi di forme di organizzazione feudale analoghe a quelle dell’Occidente segnarono la crisi del potere regio: nel 1222 Andrea II (1205-35) riconosceva ai nobiles il diritto di opporsi a ogni attività del re contraria alle leggi. Un tentativo di riaffermazione del potere regio fu compiuto da Béla IV (1235-70), ma l’invasione mongola (1241) gettò l’Ungheria nel caos e con i successori Stefano V (1270-72) e Ladislao IV il Cumano (1272-90) l’oligarchia nobiliare si riaffermò. L’ultimo degli Árpád, Andrea III (1290-1301), si vide contesa la successione dagli Asburgo e dagli Angiò, con il sopravvento di questi ultimi: alla morte di Andrea III, Carlo Roberto di Angiò, dopo lotte dinastiche, poté cingere la Sacra Corona nel 1308.
Riaffermato il potere regio, la politica della nuova dinastia (garantita da Boemia e Polonia contro l’Impero) si volse verso le penisole balcanica e italiana, creando verso la metà del 14° sec. una linea di possessi territoriali o di alleanze o dipendenze feudali quale garanzia del proprio territorio. Contro il pericolo turco Sigismondo di Lussemburgo (1387-1437), con l’aiuto di Bonifacio IX, strinse intorno a sé le armi della cristianità, che però furono battute a Nicopoli nel 1396, né Alberto d’Asburgo (1437-39) riuscì a impedire che i Turchi conquistassero la Bosnia. La nobiltà chiamò allora al trono il re di Polonia Ladislao III Iagellone (1440-44), che fu sconfitto e ucciso a Varna; ma nel 1456 l’avanzata ottomana fu fermata a Belgrado dal voivoda Giovanni Hunyadi, il cui figlio Mattia Corvino (1458-90), chiamato a succedere a Ladislao V, resosi indipendente dai grandi signori, cercò di fare dell’Ungheria il centro di un vasto impero danubiano, lottando contro la Polonia, la Boemia e l’Austria.
Alla morte di Mattia Corvino la corona tornò agli Iagelloni, che con Ladislao II e Luigi II (dal 1490 al 1526) la riunirono a quelle di Polonia e di Boemia. Nel 1521 il sultano ottomano Solimano il Magnifico occupò Belgrado e il 29 agosto 1526 annientò l’esercito magiaro a Mohács, dove cadde lo stesso re. Le lotte fra il partito nazionale, che elesse al trono Giovanni Szapolyai (1526-40), e il partito della regina, che elesse Ferdinando d’Asburgo (1526-64), arciduca d’Austria e re di Boemia, fratello di Carlo V, aprirono la strada alla presa di Buda da parte dei Turchi (1541) e all’occupazione e smembramento dello Stato: nel 1547 Ferdinando chiese la pace, pagando un tributo annuo alla Porta, e la Transilvania andò a Giovanni Sigismondo Szapolyai come Stato autonomo vassallo dei Turchi. Il periodo successivo fu caratterizzato da un lato dalla continua pressione offensiva dei Turchi contro gli Asburgo, dall’altro dalla sempre maggiore perdita di autonomia, e dunque di individualità nazionale, da parte dell’Ungheria, in particolare in seguito all’ascesa al trono imperiale di Ferdinando (1558). Ma la conquista di Budapest (1686) da parte della Lega Santa promossa da Innocenzo XI, completata dalla vittoria di Zenta (1697) conseguita da Eugenio di Savoia, portò alla pace di Carlowitz (1699), per la quale i Turchi rinunciavano alla quasi totalità del territorio magiaro, mentre la Transilvania tornava a far parte del Regno. Questi successi del potere centrale asburgico condussero a un tentativo di ripresa assolutistica, ma la rivolta di Francesco II Rákóczi (1703-11) indusse gli Asburgo a riconoscere al Regno i diritti costituzionali e alla nobiltà magiara i suoi privilegi. Maria Teresa (1740-80) e Giuseppe II (1780-90) ripresero il tentativo di costruire una forte monarchia unitaria e centralizzata, che trovò energica opposizione alla Dieta magiara del 1790.
Dopo il periodo napoleonico, durante il quale la nobiltà magiara si mantenne fedele agli Asburgo, si sviluppò un movimento riformistico, al cui interno emersero posizioni indipendentiste. Sulla spinta degli avvenimenti viennesi del marzo 1848 fu formato un governo, guidato dal conte L. Batthyány, ma l’esercito austriaco soffocò l’insurrezione (agosto 1849). Nel 1867 Vienna concesse agli Ungheresi l’Ausgleich (➔), compromesso con cui furono creati due Stati distinti, l’Impero d’Austria e il Regno di Ungheria, uniti dal vincolo dinastico e da tre ministeri comuni (Esteri, Esercito e Marina, Finanze): nasceva così la monarchia austro-ungarica. L’Ungheria conobbe in seguito un periodo di relativa prosperità economica.
Caduta la monarchia al termine della Prima guerra mondiale, la Repubblica fu proclamata nel novembre 1918, e nel 1920, con il trattato del Trianon (➔), l’Ungheria dovette cedere parte del suo territorio a Cecoslovacchia, Romania e Iugoslavia.
All’interno, di fronte alla durezza delle richieste degli Alleati, il governo repubblicano guidato dal conte M. Károly si dimise (marzo 1919); venne quindi costituito un governo socialcomunista, che proclamò la Repubblica dei soviet, di fatto presieduta dal leader comunista B. Kun. Questo esperimento rivoluzionario, tuttavia, fu duramente represso dopo pochi mesi dalle forze controrivoluzionarie guidate dall’ammiraglio M. Horthy von Nagybánya. Eletto nel febbraio 1920 un parlamento dominato dai conservatori, fu restaurata la monarchia: rinviata la questione del riconoscimento della dinastia, Horthy fu nominato capo provvisorio dello Stato e reggente; negli anni successivi venne messa in atto una dura repressione degli elementi rivoluzionari e comunisti. Gravemente danneggiata dalla guerra e fortemente colpita dalle ripercussioni della crisi economica internazionale, l’Ungheria vide il susseguirsi di diversi governi che portarono a un progressivo avvicinamento alla Germania nazista, con l’obiettivo di una revisione del trattato del Trianon. Nel 1938, con il primo arbitrato di Vienna, l’Ungheria ottenne la Slovacchia meridionale e nel 1939 la Rutenia subcarpatica; con il secondo arbitrato di Vienna riacquisì la Transilvania (1939).
Firmato nel novembre 1940 il Patto tripartito, l’Ungheria partecipò alla guerra al fianco della Germania; nell’aprile 1941 occupò la Voivodina. Nell’agosto 1944, arresasi agli Alleati, fu occupata dai Tedeschi, che, dimesso Horthy, insediarono il leader delle milizie filonaziste croci frecciate F. Szálasi. Liberata dalle truppe sovietiche nell’aprile 1945, l’Ungheria firmò nel 1947 a Parigi il trattato di pace con gli Alleati che restaurò le frontiere del 1920, con una rettificazione in favore della Cecoslovacchia; nel paese rimase una forza di occupazione sovietica. Proclamata la repubblica (gennaio 1946), Z. Tildy, esponente del Partito indipendente dei piccoli proprietari (PIPP), venne eletto presidente e un altro esponente dello stesso partito, Ferenc Nagy, assunse la guida del governo di unità nazionale (1946-47). Il controllo della polizia e la presenza delle truppe sovietiche di occupazione consentì al partito comunista, guidato da M. Rákosi (dal 1945 vicepresidente e dal 1952 presidente del Consiglio), di assumere un ruolo egemone nella vita politica, che si rafforzò in seguito alla fusione con la sinistra del Partito socialdemocratico, da cui nacque il Partito ungherese dei lavoratori (1948). Una costituzione di tipo sovietico fu introdotta nell’agosto 1949. Negli anni successivi il paese fu sottoposto a un processo di profonda trasformazione sociale e politica incentrato sullo sviluppo dell’industria pesante e sulla collettivizzazione dell’agricoltura, nel quadro di una economia pianificata. Tutte le forme di opposizione o dissenso furono represse e il partito fu sottoposto a un’ampia epurazione. L’integrazione dell’Ungheria nel campo socialista fu consolidata dall’adesione al COMECON (1949) e al Patto di Varsavia (1955). Nel 1953, tuttavia, la morte di Stalin permise un rafforzamento delle posizioni riformiste e la guida del governo passò a Imre Nagy. Nei due anni successivi l’Ungheria sperimentò una cauta liberalizzazione politica, economica e culturale, interrotta nell’aprile 1955, quando Nagy fu sostituito da A. Hegedüs. Le posizioni critiche tuttavia si accentuarono e la protesta continuò a crescere, trasformandosi in ottobre in un movimento rivoluzionario contro la dominazione sovietica e il regime totalitario. Nagy tornò alla guida del governo (24 ottobre) e di fronte all’estendersi del movimento rivoluzionario ne accettò le principali rivendicazioni: costituito un gabinetto pluripartitico, proclamò la neutralità dell’Ungheria. Il 4 novembre le truppe sovietiche soffocarono violentemente il movimento rivoluzionario e rovesciarono il governo Nagy (giustiziato nel 1958). Focolai di resistenza furono schiacciati in una decina di giorni. J. Kádár, già alla testa del partito, assunse anche la guida del governo (fino al 1958 e ancora nel 1961-65). Dopo aver represso l’opposizione (circa 20.000 arresti e alcune centinaia di condanne a morte) e restaurato l’autorità del partito, il governo realizzò, anche grazie agli aiuti sovietici, un progressivo miglioramento delle condizioni economiche che ne allargò la base di consenso. Nel 1961 venne quindi avviata una politica di liberalizzazione. Dopo una prima fase di crescita produttiva e di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, dalla metà degli anni 1970 emersero difficoltà economiche connesse alla crisi energetica internazionale. Dopo una breve battuta d’arresto negli anni 1974-78, la politica di riforme venne rilanciata e crebbero gli scambi con l’Occidente.
Nella seconda metà degli anni 1980 emersero i primi segni di una grave crisi del regime che nel giro di pochi anni portò alla fine dell’esperienza comunista. Crebbero le posizioni di critica nei confronti di Kádár, che nel 1988 fu sostituito da K. Grósz alla testa del partito, mentre in novembre la carica di presidente del Consiglio fu attribuita al riformista Miklós Németh. Nel corso del 1988 nacquero nuovi gruppi politici, di orientamento moderato, e nel 1989 dallo scioglimento del Partito comunista si formò il Partito socialista ungherese.
Sul piano internazionale, nel corso degli anni 1980, pur nel quadro di un inalterato allineamento all’URSS, vennero ulteriormente incrementate le relazioni con i paesi del blocco occidentale; nel 1982 l’Ungheria fu ammessa alla Banca Mondiale e all’FMI, e negli anni 1990 divenne membro associato dell’Unione europea (1994) ed entrò a far parte della NATO (1999). La vita politica dell’Ungheria negli anni 1990, che vide l’alternarsi al governo di centro-destra e centro-sinistra, fu ancora dominata dai temi economici: il riequilibrio dell’assetto finanziario statale, la stabilizzazione della moneta, la modernizzazione dell’apparato produttivo si presentarono, infatti, come gli obiettivi prioritari. Il 1° maggio 2004 l’Ungheria, insieme ad altri 10 Stati, è entrata a far parte dell’UE. Nel 2005 il Parlamento ha nominato un presidente di centrodestra, L. Sólyom, mentre le elezioni del 2006 sono state vinte dal Partito socialista, poi sconfitti nel 2010, quando il voto ha riportato alla guida del governo il leader del partito Fidesz, V. Orbán, già presidente del Consiglio fra il 1998 e il 2002. Sull'onda dei sommovimenti di piazza che nel 2011 hanno agitato numerosi Paesi, la politica conservatrice di Orbán è stata fatta oggetto di aspre contestazioni in ragione delle restrizioni alla libertà di espressione imposte dall'istituzione di un’autorità di controllo dei media. Nuove proteste contro la deriva autoritaria avviata da Orbán si sono sollevate nel gennaio 2012 dopo l'approvazione di una nuova Costituzione, che prevede tra l'altro l'assunzione per il Paese della nuova denominazione di "Ungheria" in sostituzione di "Repubblica di Ungheria", limitazioni ai poteri della Corte costituzionale e all’indebitamento dello Stato, oltre che norme e divieti quali la protezione della vita del feto sin dal concepimento, la promozione della famiglia e la proibizione di alcune pratiche biomediche. La linea autarchica seguita da Orbán ha di fatto scoraggiato gli investimenti esteri sottoponendo il Paese a pesantissime ripercussioni finanziarie, aggravate dai ripetuti conflitti con il Fondo monetario europeo che rischiano di impedire l'accesso a un sostegno economico ormai indispensabile. Un grave colpo all'immagine pubblica del premier è derivato inoltre dalle pressanti accuse di plagio che nell’aprile del 2012 hanno costretto a rassegnare le dimissioni il presidente della Repubblica P. Schmitt, persona indicata dal partito ultraconservatore e dal premier stesso per ricoprire la massima carica istituzionale, che egli aveva assunto nell’agosto 2010; nel maggio 2012 gli è subentrato nella carica J. Áder. Nelle elezioni legislative tenutesi nell'aprile 2014 il partito Fidesz di Orbán è riuscito a essere riconfermato al potere, sebbene con un leggero calo dei consensi (44,4% contro il 52,7% del 2010) e dell'affluenza alle urne (61%, circa il 3% in meno delle precedenti consultazioni); secondo partito del Paese è risultato l'Alleanza Coalizione democratica (25%), mentre l'estrema destra del partito Jobbik ha ottenuto il 20,7% dei consensi, con un incremento netto rispetto al 16,7% del 2010. Nell'aprile 2018 Fidesz ha ricevuto oltre il 49% dei suffragi, confermando Orbán al potere per il terzo mandato consecutivo; l'uomo politico si è nettamente affermato anche alle elezioni europee svoltesi nel maggio dell'anno successivo, alle quali il partito Fidesz si è attestato come primo del Paese, ottenendo il 52,3% dei suffragi, seguito a distanza dalla coalizione democratica (16,1%).
In politica estera, tensioni con l’Unione europea e con i Paesi limitrofi sono sorte nel 2015 in occasione dell’emergenza immigrazione che ha condotto il governo di Budapest a erigere barriere difensive ai propri confini meridionali; in merito alla questione, nell'ottobre 2016 il governo conservatore di Orbán ha indetto un referendum contro le quote Ue per la redistribuzione dei profughi; tenutasi nel mese di ottobre, la consultazione non ha però raggiunto il quorum, essendosi recato al voto il 43,42% degli aventi diritto. In ragione dell'ulteriore inasprimento della politica sovranista di Orbán, appoggiata dalle destre al governo in vari Paesi europei, nel settembre 2018 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza (448 voti favorevoli, 197 contrari e 48 astensioni) l’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona che sanziona i casi di violazione dello stato di diritto. Una netta svolta autoritaria si è verificata nel marzo 2020, in concomitanza con la diffusione della pandemia Covid-19, quando il Parlamento ha approvato con 138 voti favorevoli e 53 contrari lo stato di emergenza a tempo indeterminato, conferendo poteri straordinari a Orbán, accordandogli la facoltà di governare sulla base di decreti, di chiudere lo stesso Parlamento, di modificare o sospendere leggi esistenti e di impedire lo svolgimento di nuove elezioni; la deriva repressiva, culminata nel giugno 2021 con l'approvazione di una proposta di legge presentata dal partito Fidesz di Orbán, che vieta alle associazioni LGBT+ la diffusione di informazioni sull’omosessualità, equiparandola alla pedofilia, e la promozione di programmi educativi specifici, ha indotto la Commissione europea a sospendere l'approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato dal Paese con la motivazione formale di garanzie insufficienti sul corretto uso dei finanziamenti. Nel marzo 2022 il Parlamento ha eletto alla presidenza K.É. Novák, prima donna a ricoprire tale carica nella storia dell'Ungheria, mentre le consultazioni legislative tenutesi nell'aprile 2022 hanno registrato la prevedibile affermazione del partito Fidesz del premier Orbán, che ha ottenuto il 54% delle preferenze, corrispondenti a 135 seggi sui 199 del Parlamento. La perdurante violazione delle norme e dei princìpi democratici ha indotto nel settembre successivo il Parlamento europeo ad approvare un rapporto in cui denuncia il Paese in quanto minaccia sistemica per i valori fondanti dell'Unione europea, definendo il governo instaurato da Orbán come "regime ibrido di autocrazia elettorale".
La lingua ungherese o magiara (magyar nyelv) appartiene al gruppo ugrico della famiglia ugrofinnica. Attestazioni di voci ungheresi si trovano in documenti bizantini e latini fin dal 10° sec., ma il primo testo scritto in ungherese risale agli anni intorno al 1200 (Halotti beszéd «Orazione funebre»). L’ungherese si presenta come una lingua fortemente unitaria; i frazionamenti dialettali sono minimi. Nel vocalismo si nota il fenomeno dell’armonia vocalica; nel consonantismo sviluppa parecchi fonemi ugrofinnici, e al pari delle lingue permiane presenta la caduta delle nasali nei nessi di nasale-occlusiva. La morfologia rispecchia molto fedelmente il tipo ugrofinnico: sono conservati parecchi suffissi di declinazione e i possessivi; molti casi sono formati con posposizioni di origine avverbiale; nella coniugazione si distinguono due tipi, uno dei quali si usa quando l’oggetto è determinato (coniugazione oggettiva). Molto innovatore appare il lessico. Allo strato più antico appartengono gli elementi antico-turchi, notevoli sono poi stati i contatti con lingue iraniche, specialmente con l’osseto. Dopo lo stanziamento degli Ungheresi in Europa, e la loro conversione, i più importanti influssi linguistici sono stati esercitati dalle lingue slave, poi dal tedesco. Dato che il latino è stato per molti secoli la lingua scritta in Ungheria, un numero considerevole di voci di origine latina, generalmente voci colte, si è introdotto nel lessico ungherese.
I primi documenti della letteratura in lingua ungherese, prediche, leggende, inni sacri, risalgono ai sec. 13° e 14°. Dal Quattrocento prevalgono poemetti storici e canti commemorativi. Parallelamente, sino alla fine del Medioevo, fioriscono anche una letteratura latina di carattere religioso (Stellarium e Pomerium di Pelbárt Temosvári, 1435-1504) e una, pure latina, ormai di carattere umanistico (Ianus Pannonius) specialmente durante il regno di Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona, la cui corte fu un centro di cultura umanistica nell’Europa centro-orientale. L’orizzonte letterario dei sec. 16° e 17° è dominato da una duplice lotta: per la libertà religiosa e per l’indipendenza nazionale. Il sentimento religioso si presenta in questo periodo in una forma dialettica nella letteratura polemica tra Riforma (G. Károli, G. Heltai, I. Magyari, P. Méliusz Juhász, A. Szenczi Molnár, P. Alvinczy ecc.) e Controriforma (M. Telegdi, P. Pázmány, G. Káldi ecc.), polemica che indirettamente dà una spinta allo sviluppo della prosa letteraria; il sentimento nazionale invece, esasperato dalle lotte contro i Turchi, poi anche dalla crescente pressione austriaca, è quasi onnipresente nell’intera produzione letteraria. Con le opere di B. Balassa (seconda metà 16° sec.), primo grande lirico ungherese, M. Zrinyi (17° sec.), autore della prima epopea nazionale, e I. Gyöngyösi (sec. 17°-18°), tipico rappresentante della letteratura barocca, la letteratura ungherese sale al livello europeo. Dopo la parentesi delle lotte per l’indipendenza nazionale condotte da F. Rákóczi II, durante le quali (1703-11) fiorisce ricchissima la poesia popolare detta Kurucköltészet, continuano i contatti con le letterature classiche e italiana, non soltanto nelle opere dei principali autori del Settecento (K. Mikes, L. Amadé, F. Faludi), ma anche nella novellistica, e nei cosiddetti drammi scolastici, che preparano il terreno alla nascita del vero teatro nazionale.
La relativa stasi della prima metà del Settecento, con il diffondersi delle idee illuministiche, si muta poco dopo in un’attività febbrile. Vari gruppi si formano: i filofrancesi con a capo G. Bessenyei, i classicheggianti (J. Rajnis, J. Révai, B. Virág; e più tardi D. Berzsenyi), gli ammiratori della letteratura neoclassica tedesca (J. Kármán, F. Kazinczy), i tradizionalisti nazionali (J. Gvadányi, A. Dugonics, M. Fazekas), i quali, per diverse strade, perseguono tutti lo stesso scopo: arricchire la letteratura nazionale di nuove forme e rendere più espressiva la lingua. La forte autorità critica di F. Kazinczy, che potrebbe rappresentare la sintesi di tutte le tendenze, guida la lotta per il rinnovamento della lingua, che termina con la vittoria dei neologisti. Oltre i due Kisfaludy (Károly e Sándor), la personalità più significativa e più originale nell’ultimo Settecento e nei primi dell’Ottocento è M. Csokonai Vitéz, che è un precursore dell’indirizzo ‘popolare nazionale’.
I primi decenni dell’Ottocento sono caratterizzati anche in Ungheria dalle correnti del Romanticismo (M. Vörösmarty nel poema, nel dramma e nella lirica; K. Kisfaludy nel dramma; M. Jósika nel romanzo storico), preludio dell’indirizzo ‘popolare-nazionale’, che giunge al culmine nella lirica di S. Petőfi, nei poemi di J. Arany, nel dramma nazionale di J. Katona e nella narrativa romantico-nazionale di M. Jókai. I romanzi di J. Eötvös diffondono idee democratico-liberali.
La seconda metà dell’Ottocento è ancora dominata dal sentimento nazionale, che però, al tempo della riconciliazione con l’Austria (1867) e in seguito, cede lentamente il terreno a correnti d’idee occidentali più universali. Primeggiano I. Madách e G. Csiky nel dramma; J. Vajda, G. Reviczky, J. Komjáthy nella lirica filosofica, pessimista; e Z. Kemény nel romanzo realistico su un piano di analisi psicologica. La narrativa ungherese si è poi orientata verso i modelli del romanzo europeo (É. Zola, A. France, M. Proust, J. Joyce, T. Mann), anche se già conteneva gran parte delle sue correnti: dal naturalismo e dal verismo (S. Bródy, Z. Móricz), allo psicologismo più acuto (F. Karinthy, G. Csáth), alle ricerche postsimboliste ed espressioniste (D. Szabó, M. Füst) e surrealiste (T. Déry, M. Szentkuthy). Tali influssi hanno trasformato lo stile aneddotico, per es. quello di K. Mikszáth, in una sorta di romanzo postsimbolista, dove il discorso poetico viene frantumato tra sogni e ricordi (G. Krúdy, D. Kosztolányi). Trovano inoltre spazio nel panorama ungherese il romanzo populista (Z. Móricz, L. Nagy, G. Illyés), oltre alle forme più tradizionali del romanzo storico (G. Gárdonyi, F. Herczeg, L. Passuth) e del romanzo sociale (L. Németh), fino al romanzo borghese di ‘intrattenimento’ (Z. Harsányi, L. Zilahy, F. Körmendi). Nel teatro trionfa lo stile delle pochades francesi, grazie alla popolarità raggiunta dalle commedie di F. Molnár, autore fra l’altro del celebre A Pál-utcai fiúk («I ragazzi della via Pal», 1907).
Il rinnovamento della letteratura è legato anche alla rivista letteraria Nyugat («Occidente», 1908-41), punto d’incontro di tutte le tendenze moderniste, rappresentate da E. Ady, M. Babits, cui seguirono D. Kosztolányi, G. Juhász, Á. Tóth, M. Füst, L. Szabó. Un’ulteriore sollecitazione al rinnovamento venne anche, agli inizi del Novecento, dall’attività del gruppo di filosofi raccolti intorno alla rivista Huszadik Század («Ventesimo secolo», 1909-16), i più importanti dei quali furono A. Hauser e G. Lukács, e da quella del gruppo di avanguardia, capeggiata da L. Kassák, redattore delle riviste Tett (1915) e Ma (1916-26). La guerra e le successive rivoluzioni travolsero gran parte di questi intellettuali, che sarebbero tornati in Ungheria solo dopo un’emigrazione forzata.
In seguito alla Prima guerra mondiale, si formarono nell’Europa centrale nuovi Stati, all’interno dei quali vennero a trovarsi più o meno numerose minoranze ungheresi: così, dal 1919 in poi, accanto alla produzione letteraria dell’Ungheria propriamente detta si deve considerare anche quella di talune di queste minoranze. È il caso, per es., della letteratura ungherese presente in Romania (Transilvania), che vanta una storia plurisecolare e che, grazie a strutture proprie già consolidatesi nel corso dei secoli (scuole, accademie, università, teatri ecc.), ha prodotto numerose opere nel campo della prosa (E. Benedek, K. Koós, Á. Tamási, A. Sütő, Á. Bodor), in quello della poesia (L. Áprily, S. Remenyik, J. Dsida, S. Kányadi, D. Szilágyi) e del teatro (Á. Tamási, K. Koós, J. Székely, A. Sütő; G. Páskándi). Quanto alla letteratura ungherese vera e propria, essa si caratterizzò nel periodo compreso tra le due guerre mondiali per un evidente maggiore interesse verso le tematiche di carattere sociale e politico: ciò ha distinto tanto il movimento populista della ‘terza via’ (D. Szabó, Z. Móricz, J. Erdélyi, I. Sinka, L. Németh, G. Illyés), quanto quello socialista. A quest’ultimo gruppo appartiene il poeta esistenzialista A. József, cantore dell’amore e della libertà, la cui poesia ha influenzato molti poeti successivi, fra i quali M. Radnóti, J. Pilinszky e altri riuniti intorno alla rivista Uj hold (1945-47), come S. Weöres, A. Nemes Nagy, G. Rába.
Nel secondo dopoguerra anche la vita culturale non poté non risentire del totalitarismo imperante nel paese, conseguenza dell’avvento del regime comunista e della dominazione politico-militare nell’Europa centrale da parte dell’Unione Sovietica; tale situazione spinse numerosissimi intellettuali e scrittori a lasciare l’Ungheria (J. Nyirő, S. Márai, L. Zilahy, L.C. Szabó ecc.). Il fallimento della rivolta popolare del 1956, cui presero parte scrittori, anche comunisti, molti dei quali vennero arrestati (T. Déry, G. Háy, Z. Zelk), diede vita a un’ennesima emigrazione di intellettuali dal paese. Negli anni 1960 il regime guidato da J. Kádár cercò la via del compromesso con il mondo della cultura: così, accanto alle opere letterarie allineate all’ideologia di regime furono pubblicate anche quelle di scrittori fino allora emarginati, quali L. Németh, L. Szabó, L. Kassák, S. Weöres, J. Pilinszky, G. Ottlik ecc. In questo stesso periodo furono anche editi i poemi mistici di F. Juhász, le poesie impegnate di L. Nagy e di S. Csoóri, i drammi di M. Hbay, i romanzi-parabola di T. Déry. Negli anni 1970 e 1980, via via che in Ungheria maturava il cambiamento in sede politica, si rafforzarono le tendenze verso una più accurata ricerca stilistica che, dopo le satire politiche di I. Örkény e di I. Csurka, diedero vita a una letteratura politica anticonformista capeggiata da G. Konrád. Tuttavia, il vero rinnovamento della narrativa ungherese si deve all’influenza di intellettuali quali B. Hamvas, G. Ottlik, M. Mészöly e I. Mándy. A questi scrittori bisogna far risalire la formazione della nuova generazione narrativa postmoderna rappresentata da P. Hajnóczy, P. Nádas, P. Esterházy (il più celebre all’estero), ai quali si possono aggiungere N. Gion, dell’ex Iugoslavia, Á. Bodor, della Transilvania, e L. Grendel, della Slovacchia.
I radicali cambiamenti successivi alla caduta del muro di Berlino (1989) hanno profondamente influito sul mondo letterario ungherese, che si è trovato a dover riflettere sulle prospettive di sopravvivenza della letteratura nel nuovo contesto economico e sociale. A partire dagli anni 1990 sono entrate nel circuito letterario sia opere prodotte negli ultimi decenni del 20° sec. e scritte in previsione di una immaginata fine o almeno di una radicale trasformazione del regime, sia opere di autori storici in varia misura censurate dal regime stesso, come, per es., quelle di M. Babits, S. Márai, Á. Nemes Nagy, S. Weöres, M. Mészöly. Nel sistema letterario entra però anche la produzione degli anni 1970 e 1980 relegata nel circuito del samizdat locale, come quella di M. Kornis (Végre élsz «Finalmente vivi», 1981, ristampato in edizione «non censurata e parzialmente riveduta» 1992; Drámák «Drammi», 1999, con una ballata su J. Kádár), o quella pubblicata all’estero dagli autori in esilio. Trovano spazio anche scrittori appartenenti alle minoranze ungheresi dei paesi confinanti, fra cui (oltre al citato Grendel) A.F. Kovács, poeta di lingua ungherese in Romania, autore di testi orfici colmi di autoironia e di maschere storico-poetiche; J.D. Orbán, anch’egli poeta della Transilvania e autore del volume Hivatalnok-líra («Lirica impiegatizia», 1999). Dopo la caduta del regime socialista, la letteratura ungherese è caratterizzata da scelte tematiche e formali profondamente legate alla questione dell’autonomia della letteratura. L’imposizione del realismo socialista aveva prodotto infatti non solo opere allineate alle direttive politiche, ma anche opere che esprimevano una radicale reazione. Ne è testimonianza una ricca memorialistica: Rom: a szovjetónió története («Il rudere. Storia dell’unione sovietica che fu», 2000) di E. Kukorelly; Emlékiratok könyve («Libro dei ricordi», 1986) di P. Nádas; Sinistra körzet (1992; trad. it. Il distretto di sinistra: capitoli di un romanzo, 1999) e Az érsek látogatása («La visita del vescovo», 1999) di Á. Bodor; Kényszerë szabadulás («Liberazione obbligata», 2000) di L. Márton; Kádár János, az igazságos («János Kádár, l’imparziale», 2001) di V. Csaplár. Tutte queste opere manifestano un bisogno di intimità, che si esprime in una scrittura autoreferenziale, con un’intensa e ampia innovazione dei procedimenti formali. Queste tendenze innovative sono più in generale evidenti nello sviluppo delle singole carriere, per es. nella notevole evoluzione stilistica del citato Esterházy (che rimane l’autore più rappresentativo) da Termelési regény («Romanzo di produzione», 1979) a Harmonia caelestis (2000).
I Magiari trovarono nel territorio della Pannonia una cultura artistica portatavi da Unni, Avari, Sciti, Longobardi, e vi introdussero elementi di origine perso-sasanide, come risulta da varie oreficerie trovate nelle tombe. Con Stefano I il Santo ebbe inizio l’indirizzo occidentale dell’arte dell’Ungheria, dove del resto già nei sec. 3°-4° si erano avuti esempi di arte paleocristiana di stampo latino (mosaico pavimentale della basilica di S. Quirino a Szombathely in Savaria, della fine del 3° sec., affine a quello della basilica di Aquileia; cimitero di Sagván, Tricciana; cappelle funerarie nelle vicinanze del duomo di Pécs, 4° secolo).
In età romanica, per influssi classici, lombardi e della Francia meridionale si sviluppò un’architettura originale, centro della quale fu Esztergom (portale della cattedrale fondata nel 1010 da Stefano I il Santo; cappella palatina nel Palazzo Reale) e che si affermò nelle chiese abbaziali di Sopronhorpács, Türje, Lébény, Ják. La scultura romanica, che ha precisi contatti con l’arte della Francia sud-occidentale (rilievi e statue, chiesa inferiore della cattedrale di Pécs, e abbazia benedettina di Somogyvár) ha le sue espressioni più alte nelle sculture della chiesa di Ják. Della pittura romanica le più interessanti testimonianze sono gli affreschi della chiesa di Feldbrő (11° sec.) e la decorazione bizantineggiante della cappella di Gisella a Veszprém (13° sec.), mentre la Bibbia del monastero benedettino di Csatár è l’esemplare più insigne nel campo della miniatura romanica ungherese. L’architettura gotica fu importata dalla Francia a metà del 13° sec.; fu però modificata originalmente: chiese di Kassa (Košice) e Zsámbék, 13° sec.; Brassó (Brașov), 15° secolo. Di grande interesse è la sinagoga di Sopron (14° sec.). In Transilvania fiorì una particolare architettura lignea (➔ Romania). Di tipo francese sono alcuni grandi castelli, dei quali il principale è quello di Vajdahunyad (Hunedoara; 15° sec.) fatto costruire da Giovanni Hunyadi. Di gusto francese sono le sculture della sala del capitolo francescano a Sopron, mentre la decorazione del palazzo di Buda e della chiesa di Nostra Signora (fine 14° sec.) riflette l’influenza della bottega di Parler: il S. Giorgio di M. e G. Kolorsvári (1373, Praga, Castello), una delle maggiori opere della scultura gotica europea, rivela influenze italiane. Di grande interesse sono la scultura lignea e i caratteristici altari a trittico, come quelli con la Natività di Bártpa e di S. Giacomo a Lócse. Elementi italiani, già presenti nell’architettura e nella scultura, divennero predominanti nella pittura nel 14° sec., quando gli Angioini di Napoli, regnanti in Ungheria, vi chiamarono molti artisti italiani (cappella del Palazzo Reale di Esztergom, affrescata da Niccolò di Tommaso; ecc.). Nell’oreficeria è evidente l’influsso francese, mentre, per i contatti con Venezia, nel 14° sec. si perfeziona lo smalto filigranato, che diventerà un tratto tipico della produzione ungherese. Di influsso austro-germanico sono le grandi pale d’altare a sportelli, riccamente scolpite e dipinte, diffuse nel 15° sec., e il cui centro di produzione fu Kassa (pala dell’altare maggiore della cattedrale, 1474). Tuttavia, nei sec. 15° e 16° l’influsso italiano continuò a essere larghissimo in tutti i campi, dall’oreficeria (Calvario di Mattia Corvino, con base in smalti di autore italiano e italianeggiante, e Calvario vero e proprio, importante smalto francese del tardo 14° sec.), alla miniatura (le cosiddette Corvine, i volumi della famosa biblioteca di Mattia, riccamente miniati parte in Italia parte a Buda), all’architettura: della reggia di Buda, ricostruita da Mattia Corvino, che vi chiamò numerosi artisti italiani, distrutta dai Turchi, i pochi resti consentono di comprendere il vasto piano del fiorentino Chimenti di Leonardo Camicia, noto da antiche descrizioni; importanti le rovine dell’altro grande palazzo costruito per Mattia Corvino sul Danubio a Visegrád. Notevoli le fontane di marmo rosso di scultore italiano del 1480-85.
Il cardinale Ippolito d’Este, che ricostruì il Palazzo Vescovile e la cattedrale di Esztergom, fu tra i propugnatori del Rinascimento di ispirazione italiana: numerosissimi artisti si recarono in Ungheria e molte opere vennero commissionate in Italia dopo la morte di Mattia, quando centro maggiore di questo movimento fu Esztergom (cappella di T. Bakócz, 1507; importante anche la cappella Lázói a Synlatehérvár, del 1512). Lo stile rinascimentale, elaborato dagli artisti locali, sopravvisse fino all’introduzione del barocco viennese nel 18° secolo. La dominazione turca arrestò in parte lo sviluppo artistico nei territori centrali; mentre in quelli occidentali e settentrionali, sotto il dominio degli Asburgo, si stabilivano relazioni con l’arte austriaca, e indirettamente continuavano quelle con l’Italia. Ancora molti artisti italiani furono attivi in Ungheria nei sec. 16°-18° per la ricostruzione di fortezze e castelli (Francesco di Spazio, Niccolò da Milano, P. Ferabosco ecc.; i Carlone; più tardi i Bibbiena ecc.). Nel Settecento l’aspetto delle maggiori città fu trasformato secondo i modelli del barocco viennese (Buda, Eger ecc.), grazie all’opera di vari maestri austriaci. Alcuni artisti ungheresi lavoravano frattanto in corti straniere (G. Bogdány, G. Kupeczky, A. Mányoky). Nel 19° sec. fu di nuovo sensibile l’influsso italiano: l’architetto neoclassico M. Pollák risentì di G. Piermarini; F. Fesel è il più insigne rappresentante di uno stile nazionale in cui si mescolano elementi medievali e islamici. Per la scultura, è da ricordare J. Ferenczy, il primo scultore neoclassico, allievo di B. Thorvaldsen. Per tutta la prima metà dell’Ottocento la pittura rimase fedele alla tradizione accademica di Vienna; ma con N. Barabás gli artisti cominciarono a riprendere il cammino dell’Italia. Più tardi l’italiano N. Marastoni fondò la prima Accademia di pittura in Ungheria (1846). Nella seconda metà del secolo fu forte l’influsso della scuola di Monaco. Il maggiore artista di questo periodo è M. Munkácsy. Con P. Sighnei Mersche l’impressionismo penetrò in Ungheria. Verso il 1900, la Scuola di Nagybánya, ispirandosi ai principi dell’impressionismo, operò il distacco da Monaco, mentre E. Lechner nell’architettura cercava di rifarsi a uno stile ispirato alle tradizioni popolari nazionali.
All’inizio del 20° sec. si hanno esempi di architettura aperta all’esperienza ‘funzionale’ (B. Laisha, 1873-1920) e all’insegnamento del Bauhaus. Nel secondo dopoguerra, d’impronta rigorosamente funzionale sono le ricostruzioni e gli ampliamenti di centri abitati e industriali (Berente, Inota, Komló ecc.). In pittura si rifà all’insegnamento di Munkácsy il gruppo della Grande Pianura, tra i cui esponenti si ricordano G. Kosrta e G. Tornya, mentre tendenze a un realismo socialista si riscontrano in G. Derkovits e D. Huber. La prima arte astratta ha in L. Kassak, F. Martyn, D. Korniss, i più attivi e significativi rappresentanti, ma ancora sono da ricordare i gruppi della Scuola europea e di avanguardia del bacino del Danubio e in particolare S. Kepes, S. Trauner, B. Vezelszky, B. Hegedüs, L. Vajda e gli scultori T. Csiky e I. Gador. Grande sviluppo in Ungheria hanno avuto nel 20° sec. la grafica (B. Kondor), la ceramica, l’oreficeria e l’arazzo. Tra i numerosi artisti ungheresi che hanno vissuto all’estero spiccano L. Moholy-Nagy e V. Vasarely che ha influenzato J. Fajo e F. Lantos. Sono ancora da ricordare il concettuale M. Erdély e il neofigurativo L. Lakner.
Nell’ultimo ventennio del 20° sec., rispetto agli altri paesi dell’Est europeo l’arte ungherese è stata caratterizzata da una maggiore libertà espressiva e da una precoce apertura verso le contemporanee esperienze artistiche internazionali, in un confronto particolare con l’arte tedesca e austriaca. Negli anni 1980 anche in Ungheria si fa strada una nuova tendenza, che riunisce artisti di formazione diversa, in cui attraverso il riferimento a stili del passato si esprime una rinata individualità (Új szenzibilitás, «Nuova sensibilità»). La situazione artistica contemporanea è caratterizzata dalla parallela presenza di diversi modi espressivi, della nuova pittura, dell’arte oggettuale e dell’installazione. Tra i principali esponenti sono I. Bak e I. Nádler, che muovono da esperienze neocostruttiviste; A. Birkás, K. Kelemen e L. Fehér, che trovano riferimenti nella pop art e nell’arte concettuale. Il problema dell’identità artistica e della tradizione nazionale, in chiave sottilmente ironica, è al centro della ricerca di S. Pinczehelyi e I. Bukta; gli antecedenti di questa attitudine ironica si legano alle esperienze neodadaiste e surrealiste dello studio Lajos Vajda, attivo a Szentendre dalla metà degli anni 1970 (L. fe Lugossy, I. ef Zámbó, A. Wahorn). La lezione di M. Erdély, fondamentale per l’affermazione in Ungheria di forme espressive come la performance, è stata basilare per le successive generazioni di artisti (A. Börökz, L. Révész, con un figurativismo surrealista e ironico; J. Szirtes che interpreta il mondo dei riti, dei miti e degli idiomi artistici attraverso diversi media e linguaggi espressivi). Per le arti plastiche, si ricordano le sculture di G. Jovánovics, G. Pauer e M. Melocco; le strutture mobili di I. Haraszty e G. Gálantai, fondatore del centro Artpool; gli oggetti trovati, mobili o sonori, di V. Lois. Caratterizzano la produzione artistica dell’ultimo decennio del 20° sec. la tendenza alla multimedialità, con l’uso di video, suono, fotografia (J. Sugár, emerso nell’ambito del gruppo artistico interdisciplinare Indigo, guidato da Erdély; P. Forgács); tra corporeità e la sua negazione vertono le ricerche di A. Csörgö, M. Imre, E. Benczúr, G. Erdélyi, con installazioni pittura, manifattura e oggetto; lavorano con fotografia e pittura, luce e ombra, combinazioni di materiali, J. Hersko, É. Köves, R. el-Hassan. Da ricordare l’istituzione di centri e spazi museali pubblici e privati per l’arte contemporanea, dalla Fondazione Soros (1984) al Ludwig Múzeum (1991), alla MEO-Collezione di arte contemporanea (2001) a Budapest.
La caduta della ‘cortina di ferro’ ha determinato nell’architettura una decisa reazione verso gli stili ufficiali e l’espressione di nuove libertà è stata individuata in forme postmoderne: da un lato con l’adesione a forme internazionali e con l’uso di nuovi materiali (edifici realizzati a Budapest, quali il Grand Hotel Kempinski di J. Finta e A. Puhl, 1992; l’Istituto Francese di G. Maurios, 1993; la sede nazionale dei vigili del fuoco di P. Molnar, 1990; l’edificio per uffici Alaig Center Buda di C. Virág e A. Marillai, 1990); dall’altro lato, con riferimenti a forme vernacolari d’inizio 20° sec. e con l’uso di materiali tradizionali (Hotel Liget, 1990, a Budapest, dello stesso Finta). Di particolare interesse sono tuttavia le opere degli architetti di gusto organico, con tipologie edilizie ricche sia sul piano morfologico sia su quello simbolico, che ricorrono spesso a tecnologie e materiali tradizionali nella riscoperta di archetipi storici. Capofila di questa tendenza è I. Makovecz, l’esponente più rappresentativo dell’architettura ungherese a livello internazionale (chiesa calvinista a Timişoara, 1991; casa per appartamenti e uffici a Budapest, 1992; centro culturale di Makó, 2000). Tra gli esponenti della linea organica, si segnalano anche E. Nagy (Hattyú ház, Budapest, 1996) e D. Ekler (azienda vinicola a Mezözombor, 1993; centro commerciale a Szolnok, con I. Kövér, 1995; ippodromo di Gánt, con G. Kovács, 1996). A un indirizzo architettonico che media tra il linguaggio del neomodernismo e quello internazionale regionalista fanno capo architetti come T. Karácsony e P. Janesch (centro di riabilitazione per giovani disabili a Perbál, 1999); J. Mónus, Z. Szöke e S. Nagy (complesso residenziale di case ad atrio, Római Part, Budapest, 1997).
L’Ungheria vanta un antico patrimonio di canti e danze popolari, riscoperto e pubblicato nei primi anni del 20° sec. da B. Bartók e Z. Kodály. Sul versante della cosiddetta ‘musica colta’ un periodo favorevole si ebbe nel 15° sec., quando alla corte di Mattia Corvino operavano musicisti italiani e borgognoni. Le prime espressioni musicali specificamente ungheresi si registrarono però sotto il dominio turco (1526); contemporaneamente si sviluppò un abbondante repertorio di canti religiosi polifonici e di danze strumentali. La musica ungherese conservò proprie caratteristiche fino alla cacciata dei Turchi (1676), per assumere poi caratteri d’impronta austriaca. Tra 18° e 19° sec. si assistette, da un lato, alla sempre più forte influenza dello stile sinfonico tedesco sui compositori ungheresi; dall’altro all’utilizzo, da parte di musicisti dell’area culturale germanica (come F.J. Haydn, L. van Beethoven, F. Schubert ecc.), di moduli stilistici mediati dalla musica ungherese. I saggi di una scuola nazionale, tentati da F. Liszt nelle sue Rapsodie ungheresi, si fondarono proprio sull’equivoca assunzione di stilemi magiari ‘addattati’ alla musica colta. Nel 20° sec. l’Ungheria divenne protagonista di un rinnovamento, annoverando i nomi di musicisti come A. Molnár, G. Ligeti e G. Kurtág.