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L’Ungheria è una repubblica parlamentare dell’Europa orientale, nata nel 1918 dalle ceneri dell’Impero austroungarico. Il Trattato del Trianon, siglato nel 1920 dai paesi vincitori della Prima guerra mondiale, ha delineato gli attuali confini, riducendone la superficie del paese da 288.000 a 93.000 chilometri quadrati. L’assetto così definito ha fatto sì che gran parte della popolazione ungherese (circa 12,6 milioni di abitanti) passasse sotto la sovranità degli stati limitrofi e che i cittadini ungheresi si riducessero a soli 7,6 milioni, oggi saliti a 9,9. La questione delle minoranze ungheresi nei Balcani, in Romania e in Cecoslovacchia è tuttora fonte di tensioni regionali e argomento di dibattito politico interno.
Perduta definitivamente, con il dissolversi dell’Impero austroungarico, la centralità politica e culturale in Europa, l’Ungheria partecipò alla Seconda guerra mondiale come attore secondario. Impegnata inizialmente al fianco della Germania nazista nella speranza di recuperare i territori persi nel 1920, l’Ungheria venne successivamente occupata dai tedeschi e infine liberata dall’Armata rossa sovietica. L’influenza sovietica si concretizzò, nel dopoguerra, nella vittoria del Partito comunista (1947) e nell’apertura di una fase di riforme di matrice statalista, d’ispirazione sovietica. L’aspetto autoritario della politica filosovietica prevalse presto, tuttavia, sulle retoriche populiste del comunismo internazionale, minando irreversibilmente l’ampio consenso ottenuto nell’immediato dopoguerra. Nell’autunno del 1956 buona parte della società civile ungherese insorse contro il regime e il paese sancì la propria neutralità internazionale, annunciando l’uscita dal Patto di Varsavia. Per tutta risposta l’Urss inviò truppe a invadere l’Ungheria e reprimere duramente le sommosse popolari.
Gli eventi del 1956, se da un lato hanno consolidato l’ordine bipolare del sistema internazionale e la stretta di Mosca sui paesi satellite dell’Europa centro-orientale, dall’altro hanno permesso il maturare di una leadership politica ungherese attenta alle istanze avanzate della società civile e pronta a interpretare le opportunità politiche ed economiche offerte dal mondo occidentale. Nel corso degli anni Sessanta e poi nei decenni a venire, il premier János Kádár avviò un lento ma inesorabile processo di riforme che consentirono all’Ungheria uno sviluppo economico tra i più dinamici del Comecon. Gli aspetti salienti di tale percorso politico sono stati la concessione di nuovi diritti ai lavoratori, la graduale apertura al mercato occidentale, la decentralizzazione economica interna e, soprattutto, un’attiva politica estera. Nel 1973, l’Ungheria ebbe accesso all’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio (Gatt) – poi trasformatosi in Organizzazione mondiale del commercio (Wto) – e, nel 1982, al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale. Nel 1988 il paese siglò inoltre un accordo commerciale e di cooperazione con la Comunità europea e, nel 1991, divenne membro fondatore della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd).
Con la dissoluzione del Patto di Varsavia e del Comecon (1991) l’Ungheria avviò una nuova fase politica di democratizzazione, fondata su una regolare alternanza di governo. La dissoluzione dell’Urss e la fine del bipolarismo, inoltre, permisero all’Ungheria di approfondire la cooperazione economica e il dialogo politico con i partner dell’Europa occidentale e gli Stati Uniti, consolidando al contempo i rapporti con gli altri paesi già satelliti dell’Unione Sovietica. Il Patto di Visegrád, piattaforma di dialogo e cooperazione tra Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, ne è l’esempio più evidente. Nato anche nella prospettiva di favorire l’ingresso congiunto dei suoi membri nell’Unione Europea (Eu) – avvenuto, per l’Ungheria, nel 2004 – il Gruppo di Visegrád costituisce oggi un forum di primario rilievo per il coordinamento delle politiche comunitarie di questi paesi. Non è un caso che l’Ungheria – che non fa parte dell’eurozona, ma ha siglato la convenzione di Schengen – durante la presidenza di turno dell’Eu, ricoperta nel primo semestre del 2011, abbia dato ampio spazio alle questioni regionali.
Sul fronte della politica interna, il governo guidato da Viktor Orbán, leader del partito Fidesz-Unione civica ungherese (Fidesz-Magyar Polgári Szövetség) di centro-destra, è sorretto dalla maggioranza parlamentare più solida affermatasi in Ungheria dalla caduta del comunismo, forte di 263 seggi sui 386 disponibili (ridotti con la legge del 2012 a 199) nell’assemblea nazionale. Dal suo insediamento, nel 2010, il governo di Orbán (che era già stato premier dal 1998 al 2002) ha varato una serie di leggi restrittive della libertà dei media, oltre che delle libertà politiche e civili. Per questo motivo, l’Ungheria è stata oggetto di richiami formali da parte dell’Unione Europea, che si sono intensificati dopo che, nel marzo 2013, sono stati introdotti alcuni emendamenti costituzionali. Le modifiche riducono le possibilità per i partiti politici di fare campagna elettorale attraverso i media nazionali, concedono agli studenti sovvenzioni statali solamente se si impegnano a lavorare in Ungheria dopo la laurea, introducono multe e pene detentive per i senzatetto, ridefiniscono il concetto di ‘famiglia’ escludendo le coppie non sposate, quelle senza figli e quelle formate da persone dello stesso sesso.
La popolazione ungherese, di origine etnica magiara per lo più di religione cristiana (cattolica e protestante) è di 9,9 milioni di abitanti, circa 400.000 abitanti in meno rispetto al 1990. A compensare il calo demografico contribuisce parzialmente il costante aumento dei flussi di immigrazione dai paesi confinanti. Oltre ai Rom, unica significativa minoranza del paese – che, secondo il centro europeo dei diritti per i Rom, rappresenterebbe il 5% della popolazione totale – è aumentata la presenza di cittadini di Romania, Ucraina e dei paesi dell’ex Iugoslavia. In realtà molti sono cittadini di origine ungherese, discendenti dei magiari rimasti fuori dai confini statali dopo il Trattato del Trianon del 1920. Non a caso in Slovacchia ci sono ancora circa mezzo milione di ungheresi, in Romania un milione e mezzo, in Serbia 400.000, in Ucraina più di 150.000, mentre comunità più piccole sono presenti in altri stati vicini per un totale di cinque milioni di ungheresi fuori dai confini.
La dispersione delle minoranze ungheresi nei paesi vicini è stata storicamente fonte di tensioni regionali e di accesi dibattiti interni. Le ultime tensioni politiche si sono verificate nel maggio 2010, a seguito dell’approvazione, da parte del parlamento ungherese, di una legge che riconosce il diritto di cittadinanza a tutte le persone di origine ungherese residenti fuori dai confini nazionali. Tra i paesi meno propensi ad accettare questa legge (che conferisce potenzialmente doppia nazionalità a milioni di cittadini) c’è la Slovacchia, che ha accusato il governo di Viktor Orbán di revisionismo storico, minacciando di revocare la cittadinanza slovacca a qualunque cittadino dovesse accettare quella ungherese. Pur essendo in corso un dialogo tra i due paesi, la Slovacchia continua a considerare la legge ungherese lesiva dei diritti del cittadino e non conforme alla giurisprudenza europea.
A livello europeo ha fatto inoltre molto discutere la legge ungherese sui media approvata nel febbraio 2011, accusata di non garantire un sistema informativo libero e pluralista. Tale legge prevede la creazione di una commissione governativa che giudichi l’operato dei media e decida le notizie da riportare in quanto ‘necessarie alla società’, limitando fortemente la possibilità di criticare l’operato del governo. L’Unione Europea ha espresso un parere negativo sulla norma, esortando e inducendo il governo Orbán – che ha risposto criticando l’ingerenza di Bruxelles negli affari interni ungheresi – a rivedere la legge. Crescente è anche il clima di razzismo dopo la vittoria della coalizione di centro-destra. La comunità rom ungherese, tra le più grandi d’Europa, è sempre più vittima di discriminazioni e violenze e le istituzioni locali non sembrano disposte ad avviare un reale processo di integrazione.
Il governo di Orbán ha varato un piano di riforme che ha segnato una rottura con la politica d’austerità e di liberalizzazioni del precedente governo, puntando a investire in grandi progetti pubblici che rinforzino il mercato del lavoro. Il governo ha annunciato l’ambizioso proposito di ridurre il deficit pubblico di otto punti percentuali proponendo, però, misure economiche che le organizzazioni finanziarie internazionali criticano duramente. C’è forte scetticismo, in particolare, sia per la decisione di utilizzare 14 miliardi di euro dai fondi pensioni privati per il bilancio pubblico, sia per la proposta di imporre un’ulteriore tassazione ‘a pioggia’ – su banche, compagnie energetiche e di telecomunicazioni e sul settore agricolo – per aumentare gli incassi pubblici anziché promuovere una politica di tagli strutturali. Tali scelte sono valse la sospensione dell’ultima tranche (5,5 miliardi di dollari) di un aiuto finanziario di 25 miliardi di dollari che il governo precedente era riuscito a ottenere, nel 2008, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale. Le dinamiche macroeconomiche, d’altronde, costituiscono una minaccia per la volatile economia ungherese, anche a causa delle critiche che il governo continua a raccogliere a livello internazionale.
La bilancia commerciale – con 10 miliardi di dollari di attivo – mantiene valori positivi grazie alla produttività del settore secondario (31% del pil), in particolare dell’industria pesante, e del terziario (65,5%). Gli investimenti diretti esteri, nel 2012 pari a 13 miliardi di dollari, costituiscono inoltre un’importante fonte di introiti. Il principale partner commerciale ungherese è la Germania, seguita da Russia e Austria. Mosca, in particolare, riveste un ruolo di primo piano per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia. Per questo l’Ungheria mira ad assumere un ruolo di primo piano
nei progetti infrastrutturali verso i mercati europei lungo l’asse est-ovest.
L’Ungheria è entrata a far parte della Nato nel marzo 1999, grazie all’esito positivo di un referendum popolare molto partecipato. L’ingresso nell’Alleanza atlantica, avvenuto in concomitanza all’entrata di Polonia e Repubblica Ceca, è frutto di un percorso di cooperazione tra Nato e Ungheria avviato già nella prima metà degli anni Novanta e culminato con la partecipazione ungherese alle missioni della Nato in Bosnia-Erzegovina, tramite il dispiegamento di un piccolo contingente militare e l’apertura delle proprie basi alle truppe della coalizione.
La partecipazione militare ungherese alle missioni internazionali di peacekeeping non si è però limitata al solo ambito della Nato. Oltre all’arruolamento di 160 soldati nella forza di difesa dell’Unione Europea (Eufor) e alla partecipazione alla missione delle Nazioni Unite a Cipro, l’Ungheria ha sostenuto l’impegno statunitense in Afghanistan e in Iraq (2003) tramite l’apertura alle truppe alleate della base aerea di Taszar, situata nella regione centro-meridionale del paese, e dello spazio aereo del proprio territorio. Nel giugno dello stesso anno 300 soldati dell’esercito ungherese sono stati inoltre inviati in Iraq per operazioni di controllo e mantenimento dell’ordine. Ritirate le truppe alla fine del 2004, 150 militari ungheresi sono tornati nuovamente in Iraq nell’ambito di una missione Nato nel giugno 2005. L’anno successivo sono stati ritirati. Nel 2013, soldati ungheresi erano dispiegati in Afghanistan, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Cipro ed Egitto.
La Costituzione ungherese del 1989 ha sancito che il potere legislativo fosse prerogativa del parlamento unicamerale (assemblea nazionale), formato da 386 deputati eletti ogni quattro anni con sistema elettorale misto e a doppio turno: 58 deputati sono eletti all’interno di una circoscrizione nazionale, 152 sono eletti in circoscrizioni territoriali, secondo la suddivisone statale in 20 contee (compresa quella della capitale), e 176 sono eletti in circoscrizioni uninominali. Queste ultime prevedono che risulti vincitore il candidato che ha ottenuto la maggioranza semplice, ovvero il 50% più uno dei voti conteggiati. Se nessun candidato ottiene la maggioranza semplice si procede con un secondo turno. Nelle circoscrizioni territoriali, invece, i candidati, presentati all’elettorato in liste bloccate, ottengono il seggio in proporzione ai voti ottenuti. Per l’assegnazione del seggio è tuttavia necessario superare la soglia di sbarramento del 5% sul totale dei voti validi. La circoscrizione nazionale prevede poi un altro sistema elettorale. Nella circoscrizione unica hanno valore i voti dispersi, ovvero quelli che sono stati ottenuti dai candidati delle circoscrizioni elettorali uninominali senza tuttavia aver vinto il seggio e, in maniera analoga, quelli che nelle circoscrizioni elettorali territoriali sono stati assegnati senza consentire l’ottenimento del seggio, o che hanno ecceduto il numero sufficiente e necessario per il suo ottenimento. Nella circoscrizione nazionale esiste la soglia di sbarramento del 5% e la suddivisione dei seggi avviene secondo il cosiddetto metodo d’Hondt (proporzionale). La Corte costituzionale ha annullato una nuova legge elettorale, proposta da Orbán, che prevedeva una pre-registrazione al voto, perché ritenuta limitante dei diritti degli elettori.