Russia Il più vasto Stato del mondo, esteso dall’Europa orientale all’Estremo Oriente.
Il nome R. designa lo Stato consolidatosi a partire dal 16° sec. attorno al Principato di Moscovia ed esteso al momento della massima espansione, a metà del 19° sec., in Europa, Asia e Nord America, dal Mar Baltico all’Alaska. Oggi, considerato sinonimo di Federazione Russa, designa tutto il territorio già appartenente alla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, resosi indipendente dall’URSS alla fine del 1991, delimitato a N dal Mar Glaciale Artico; a O da Norvegia, Finlandia, Mar Baltico, Estonia, Lettonia, Bielorussia (l’exclave di Kaliningrad confina con Mar Baltico, Lituania e Polonia); a SO da Ucraina e Mar Nero; a S da Georgia, Azerbaigian, Mar Caspio, Kazakistan, Cina, Mongolia, di nuovo Cina, Corea del Nord; a E dall’Oceano Pacifico. Sono anche in uso le denominazioni geografiche di R. europea, per la sezione a occidente degli Urali e del fiume Ural (o, semplificando, a O del Kazakistan), e di R. asiatica, per la Siberia.
Con una superficie di 17.098.242 km2, la Russia è di gran lunga lo Stato più esteso al mondo; la sua popolazione (140 milioni di ab. ca. stimati nel 2009) è decisamente sproporzionata alla dimensione territoriale, tanto che la densità media raggiunge appena gli 8 ab./km2, e in circa metà del paese non arriva a 1 ab./km2. La sezione europea (4.238.500 km2) ospita quasi l’80% della popolazione complessiva, per una densità media, pur sempre bassissima, di circa 27 ab./km2. Il territorio russo, d’altronde, si estende quasi completamente a N del parallelo di 50° e fin quasi a 80° (eccettuando le isole artiche): una fascia dove le condizioni fisiche (soprattutto climatiche) rendono assai problematico l’insediamento umano.
L’enorme territorio della R. può essere scomposto, semplificando molto, in poche grandi unità morfologiche. Dal punto di vista strutturale, si può parlare di due blocchi stabili, quello dell’Europa orientale (proseguimento dello scudo baltico) e quello della Siberia, separati e contornati da rilievi risalenti ai vari cicli orogenetici e ulteriormente modificati. Nel complesso della R., circa due terzi della superficie sono pianeggianti e al di sotto dei 300 m di altezza.
Da O a E e da N a S, si incontra dapprima il grande Bassopiano Russo, che si spinge fino alla catena degli Urali e, al di là, al Bassopiano Siberiano (Siberia Occidentale). Questo giunge a E fino al corso del fiume Enisej, oltre il quale si eleva di qualche centinaio di metri l’Altopiano Siberiano, che arriva fin oltre il Lago Bajkal e il fiume Lena, lasciando infine il posto a una regione montuosa più tormentata (Estremo Oriente Russo). A S si estendono le parti meridionali delle grandi unità pianeggianti del settentrione, che si abbassano fino ai bacini di raccolta delle acque (Mar Nero, Mar Caspio, Lago d’Aral), e una serie di rilievi montuosi: Caucaso, tra Mar Nero e Mar Caspio, Altaj e Saiani, a S della Siberia occidentale e centrale, Iablonovyi e Stanovoj, a E del Lago Bajkal, e i rilievi prossimi al Pacifico.
Il Bassopiano Russo è costituito da un basamento di rocce arcaiche coperte da formazioni più recenti e intensamente rimaneggiate durante le glaciazioni quaternarie. Le quote maggiori, superiori ai 1200 m, si raggiungono presso il confine norvegese, nella Penisola di Kola. Più a S si trovano i laghi di escavazione glaciale, tra cui il Ladoga e l’Onega, i maggiori d’Europa. Ancora a S affiorano le rocce paleozoiche e le morene dei Valdaj, che, pur superando di poco i 300 m di altezza, sono un importante spartiacque continentale, dal quale defluiscono a O la Dvina Occidentale verso il Baltico, a S il Dnepr verso il Mar Nero e a E il Volga verso il Mar Caspio. I due ultimi bacini sono divisi da serie di colline: il Rialto Centrale Russo, che non giunge a 300 m di altezza, e le Alture del Volga (390 m). A S del Rialto Centrale sono le alture del Donec, le cui acque hanno profondamente inciso i rilievi, mettendo in luce enormi giacimenti carboniferi. Qui il Bassopiano Russo presenta una leggera inclinazione verso O, rendendo asimmetriche le valli dei fiumi, la cui sponda occidentale è spesso ripida e alta anche più di 100 m, mentre sulla riva orientale si estendono ampie pianure.
Tra Valdaj, Rialto Centrale e Alture del Volga, è la Pianura Sarmatica, delimitata a N da una serie di bassi rilievi morenici, tra il Lago Onega e gli Urali, oltre i quali si stende verso il Mar Glaciale Artico la pianura, ampia oltre 500 km, percorsa dalla Dvina Settentrionale e dalla Pečora, i cui bacini sono separati dai Monti Timani. Tutta la regione è soggetta, come avviene alla Siberia settentrionale, a un lentissimo sollevamento, che attenua ulteriormente la già scarsissima pendenza dei fiumi. Il limite meridionale della parte europea è segnato, tra Mar Nero e Mar Caspio, dal Caucaso, dove, sull’El′brus, si superano i 5600 m di altezza.
I Monti Urali si allungano in senso meridiano per oltre 2000 km, e constano di una catena principale che a N giunge a 1894 m (Narodnaja Gora), ma in genere non supera i 1200; verso mezzogiorno le si affiancano formazioni parallele, più elevate. Gli Urali sono ricchi di risorse sia metalliche sia energetiche, al punto che il settore centrale della catena è denominato Urali Metalliferi (gli Urali Settentrionali sono detti Deserti, quelli meridionali Selvosi). Nel Mar Glaciale Artico il rilievo degli Urali si prolunga con le isole della Novaja Zemlja.
A oriente degli Urali il grande Bassopiano Siberiano, di forma quadrangolare, si estende per oltre 1600 km fino allo Enisej e per 1900 km dal Mare Artico al confine con il Kazakistan, sempre a quote inferiori ai 180 m. La grande regione è drenata dall’Ob´, che nasce dall’Altaj e sfocia nel Golfo dell’Ob´. Come tutti i tributari del Mar Glaciale, il fiume gela ogni anno; il disgelo primaverile-estivo comincia a S, quando il basso corso (a N) è invece ancora ghiacciato, il che determina enormi allagamenti. Sulle foci dei fiumi che si gettano nel Mare Artico il gelo dura oltre 6 mesi in Europa, e fino a 10 mesi in Siberia: le parti settentrionali delle pianure, quindi, nei mesi estivi si trasformano in enormi acquitrini. Questa zona è detta in russo merzlota (permafrost): il sottosuolo è impregnato di acque gelate ormai dall’età glaciale (fino a 350 m di profondità, nella penisola di Tajmyr), e pertanto è impermeabile; la merzlota si estende per circa 4 milioni di km2 con continuità e per altri 6 milioni in maniera discontinua (un terzo dei quali nella R. europea): ne consegue che una grandissima parte della superficie della R. è quasi inutilizzabile.
L’Altopiano Siberiano, serie di piattaforme ad altezze varianti fra i 300 e i 750 m di altezza, ha un’ampiezza simile a quella del Bassopiano e culmina a N con i Monti Putorana (1701 m), mentre è contornato a O, a S e a E da formazioni di corrugamento ercinico che a S, con i Saiani e l’Altaj, superano rispettivamente i 3400 e i 4500 m. A corrugamenti cenozoici risalgono il sollevamento dei monti Iablonovyi e Stanovoj e la formazione della fossa tettonica del Bajkal, che con oltre 1600 m è il più profondo della Terra (il suo fondo si trova 1300 m sotto il livello del mare). Tutte le acque dell’Altopiano Siberiano si raccolgono a O nello Enisej (tramite l’Angara, emissario del Bajkal, la Tunguska Pietrosa e la Tunguska Inferiore) e a E nella Lena.
Più a oriente si levano catene dirette verso N e NE, quali i monti di Verhojansk, Čerskij, Kolyma, tra i quali scorrono, sempre verso il Mar Glaciale Artico, i fiumi Jana, Indigirka e Kolyma. Verso lo Stretto di Bering si elevano i rilievi terziari dell’Anadyr´, mentre verso S si allunga la vulcanica e sismica penisola di Camciatca, che chiude a E il Mare di Ohotsk. A S dei monti Iablonovyi e Stanovoj (Estremo Oriente Russo), si trova parte del bacino del fiume Amur e, tra il suo affluente Ussuri e il Pacifico, sorgono i Monti Sichote-Alin´.
La costa è fronteggiata dalla stretta e lunga isola di Sahalin. Le altre principali isole della R. si trovano nel Mar Glaciale: più a N della Novaja Zemlja sono la Terra di Francesco Giuseppe, la Terra del Nord (Severnaja Zemlja), le Isole della Nuova Siberia e l’Isola Wrangel.
Oltre alla latitudine, determinante fattore dei climi della R. è la forte continentalità: circa quattro quinti del territorio distano più di 400 km dal mare; i mari in questione, del resto, molto settentrionali (Mar Glaciale Artico e Pacifico settentrionale) e chiusi (Mar Baltico), non hanno una vera influenza termica positiva, salvo il Mar di Barents e il Mar Bianco, dove è ancora debolmente sensibile l’apporto di calore di un ramo della Corrente del Golfo, per cui le acque del porto di Murmansk, a differenza di quanto avviene in quasi tutti gli altri porti russi, non gelano; un’ulteriore modesta influenza termica sulla R. europea giunge dall’Atlantico. La disposizione dei rilievi, infine, ostacola i venti meridionali, e lascia completamente libera la via alle masse d’aria provenienti da nord. I climi della R. sono quindi caratterizzati da forte escursione termica annua e da basse temperature invernali. Su quasi due terzi del territorio la neve rimane al suolo per circa 200 giorni all’anno, e per almeno 240 notti il termometro scende sotto 0 °C.; nella Siberia nord-orientale si hanno le temperature più basse dell’emisfero settentrionale. Nella stagione estiva i venti occidentali prevalgono nel settore europeo e fino alla Siberia occidentale; lungo le coste artiche e nella Siberia centrale prevalgono quelli settentrionali e orientali; sulle coste pacifiche quelli da SE, di tipo monsonico. Le medie mensili invernali sono dappertutto inferiori a 0 °C, e diminuiscono verso E più che verso N: circa −7 °C a San Pietroburgo, −9 °C a Mosca e, poco più a E, −13 °C sia ad Arcangelo, sul Mar Bianco a 65° di lat. N, sia a Volgograd, sul basso Volga, quasi 2000 km più a S. Oltre gli Urali si scende sotto i −20 °C, e sempre più fino a E della Lena. Nella zona di Verhojansk la media di gennaio scende a −48 °C, meno che sulle coste del Mar Glaciale Artico. Avvicinandosi al Pacifico si risale verso i −12 °C. Le isoterme estive diminuiscono da S a N: i valori superano i 20 °C sulle coste del Mar Nero, oscillano da 18 a 16 °C tra San Pietroburgo, Mosca e Perm′, e rimangono ancora oltre i 10 °C ad Arcangelo. In Siberia, dai circa 18 °C nella regione meridionale del Bajkal si passa ai 12 °C di Verhojansk e ai 5°C sulle coste artiche, mentre sul Pacifico le medie si attestano attorno ai 10 °C. L’escursione annua supera ovunque i 25 °C, valore già molto elevato, ma su quasi metà del territorio si arriva a 40 °C, con massimi nella regione di Verhojansk, dove la differenza tra le medie di gennaio e luglio supera abitualmente i 60 °C.
Una sottilissima fascia costiera sul Mar Nero riceve precipitazioni superiori agli 800 mm; in tutto il territorio rimanente, solo su circa un decimo si superano i 500 mm. Il settore europeo, data l’influenza atlantica, è più favorito: San Pietroburgo e Mosca ricevono ancora 550 mm, che diminuiscono sia verso E (circa 450 a Kazan´) sia verso N (ancora 450 ad Arcangelo). Oltre gli Urali i valori sono superiori ai 400 mm solo nel Bassopiano Siberiano, dove però nella fascia costiera si scende già verso i 300 mm, valore medio nella Siberia centrale e orientale; lungo le coste settentrionali si raggiungono valori decisamente aridi, inferiori ai 200 mm. L’influenza del Pacifico si limita a un centinaio di km dalle coste, dove si superano i 500 mm, per arrivare a oltre 800 mm sui vulcani della Camciatca e sui Sichote-Alin´.
Le regioni più settentrionali, sia a O sia a E degli Urali, sono dominio della tundra: bassi arbusti, varietà nane di salici e betulle, vasti acquitrini, formazioni di torba e suoli tendenzialmente acidi. Verso meridione, la tundra cede alla taiga, immensa foresta di conifere: pini, abeti e larici, inframmezzati da betulle (le sole latifoglie), su suoli grigiastri del genere podsol, decisamente acidi. La taiga è frammista a formazioni torbose, nei fondivalle, e alla tundra montana, sui rilievi. Più a S carpini, frassini, ontani, querce, tigli, meli e noci diventano più numerosi e in prossimità della latitudine di 55° la taiga viene sostituita dalla foresta temperata che, abbastanza estesa a O degli Urali, si assottiglia in Siberia, e che è stata dappertutto intaccata per fare spazio all’agricoltura, anche perché i suoli sono via via più ricchi, fino alle fertili terre nere (černozëm) delle steppe.
La fauna presenta caratteri simili a quelli dell’Europa centrale. Tra i Carnivori sono diffusi lince, gatto selvatico, volpe, lupo, orso bruno, ghiottone, martore. Gli Ungulati sono principalmente rappresentati dalle renne. Numerose sono le specie di Uccelli, scarse invece quelle dei Rettili e degli Anfibi. Nella ricca ittiofauna d’acqua dolce sono presenti il luccio, la carpa, il salmone, la trota, lo storione, la lampreda. L’entomofauna comprende gruppi molto interessanti dal punto di vista zoogeografico, come i Carabidi tra i Coleotteri e, tra gli Ortotteri, i piccoli Acrididi della steppa.
La disposizione dei rilievi ha favorito i movimenti nel senso dei paralleli, ponendo in contatto le etnie europidi e mongolidi e le famiglie linguistiche indoeuropea e uralo-altaica. Fino alla fine del Medioevo i movimenti di popoli sono proceduti da E a O, ma dopo il consolidamento dell’Impero russo, cioè dell’etnia slava, è stato attivo solo il movimento verso oriente; attualmente una sola popolazione totalmente mongolica è insediata in territorio europeo, i Calmucchi del basso Volga. Diversamente dagli imperi coloniali europei, l’espansione russa è avvenuta in continuità territoriale e pertanto non può essere definita propriamente coloniale; inoltre, dopo la rivoluzione del 1917 la costruzione del nuovo Stato ha in qualche modo coinvolto tutte le etnie. Alla rivoluzione va riconosciuto il merito di aver salvato molte etnie e lingue in via di estinzione, con lo statuire parità di diritti, alfabetizzando gruppi privi di scrittura e istituendo il particolare regime ‘federativo’, definito appunto su base etnica. La Costituzione, tuttavia, era per molti versi ambigua: garantiva a tutte le nazionalità l’autonomia nell’ambito delle rispettive regioni, ma con un’indiscutibile soggezione all’autorità centrale, sia in termini amministrativi sia, e soprattutto, in termini politici, cioè tramite le decisioni assunte in seno al PCUS e automaticamente fatte proprie dai partiti, e quindi dalle amministrazioni, delle singole parti federate.
Le entità federate sono molto dissimili per estensione; alle minoranze nazionali sono stati assegnati territori in proporzione molto più ampi di quelli popolati dagli Slavi, fino ai casi estremi degli Iacuzi-Saha, circa 3 milioni, che dispongono di oltre 3 km2 a testa, dei 24.000 Coriacchi, il cui circondario autonomo è vasto esattamente quanto l’Italia, o degli Evenki (17.000), il cui territorio è due volte e mezza quello italiano. La componente slava è largamente maggioritaria (l’80% del totale) e soprattutto le decine di singoli gruppi minoritari sono molto meno consistenti: i Tatari, secondo gruppo per dimensione, non raggiungono il 4% del totale, gli altri sono tutti assai meno numerosi.
Il dissolvimento dell’URSS ha reso di fatto più omogenea la composizione etnica, dal momento che molti Russi insediati nelle repubbliche ex sovietiche divenute indipendenti sono rientrati in R. e, viceversa, molti appartenenti ad altri gruppi etnici hanno lasciato la R. per tornare nelle rispettive regioni di origine. Queste circostanze non appaiono prive di rilievo nell’azione geopolitica condotta dalla R. dagli inizi del 21° sec., volta a recuperare, o almeno a non diminuire ulteriormente, la preminenza di Mosca sulle regioni già appartenenti all’URSS (e, prima, all’impero russo), con l’unica eccezione dei tre paesi baltici, ormai membri dell’Unione Europea e fuori dall’influenza russa. In questa sua azione, infatti, la dirigenza russa ha potuto contare sulla coesione sostanziale di gran parte della popolazione, sulla condivisione della lingua, sulla crescente reazione ai guasti indotti dal brusco passaggio dal sistema socialista a quello di libero mercato, nonché sulla necessità che gli stessi competitori esterni della R. hanno di un attore coerente e stabile, tanto nell’area caucasico-caspica quanto in quella centro-asiatica.
Il rimescolamento etnico che si è prodotto con la fine dell’URSS, in gran parte spontaneo benché indotto da tensioni anche gravi nel corso degli anni 1990, ha inciso anche sulla dinamica demografica russa. Il comportamento demografico dei Russi è da decenni molto meno vivace di quello delle popolazioni caucasiche o centro-asiatiche; addirittura, da tempo il tasso di natalità (in calo dagli anni 1970, nel 2009 è stimato all’11‰) è largamente superato da quello di mortalità (18‰) per cui, anche in presenza di un bilancio migratorio debolmente positivo, la popolazione russa è in declino al ritmo di circa mezzo punto percentuale all’anno (2001-06). La mortalità è elevata per l’effetto combinato del pregresso invecchiamento della popolazione e del deterioramento delle condizioni di vita, che fu improvviso e drammatico negli anni 1990, come conseguenza della liberalizzazione economica, dell’insorgere della disoccupazione, della progressiva riduzione delle provvidenze pubbliche, della privatizzazione dei servizi; solo lentamente, negli anni seguenti, le condizioni hanno ripreso a migliorare, ma l’arretramento della speranza di vita (circa 60 anni per i maschi, 73 per le femmine nel 2009) rispetto agli ultimi anni 1980 non è stato ancora colmato. Altri indicatori (come i tassi di scolarizzazione) sono invece comparabili con i valori occidentali.
La densità demografica è estremamente difforme e raggiunge valori comparabili con quelli dell’Europa centrale solo nella sezione della R. europea a S dei 60°, e davvero elevati solo in prossimità delle principali agglomerazioni: Mosca (circa 10,5 milioni di ab. nel 2008) e San Pietroburgo (4,6) su tutte le altre, con le rispettive aree metropolitane, e poi Novosibirsk (1,4) sul fiume Ob´ nella Siberia occidentale, Nižnij Novgorod (1,3) a E della capitale, Ekaterinburg (1,3) poco oltre gli Urali, e poi ancora Samara, Kazan´, Čeljabinsk, che superano di poco il milione di abitanti, e Omsk, Perm´, Rostov sul Don, Volgograd, Ufa, che si aggirano sul milione di abitanti. La sezione europea è segnata da una rete urbana discretamente folta, salvo a N, mentre nella sezione asiatica i principali centri, anche piuttosto popolosi, si dispongono lungo la Ferrovia Transiberiana o in corrispondenza dei grandi bacini minerari, e sono fra loro spesso molto distanti. Malgrado le dimensioni più contenute, spiccano tuttavia proprio i centri siberiani o comunque periferici, dove più violento è il contrasto fra l’addensamento in città e lo spopolamento delle aree circostanti: valga l’esempio estremo della città di Tomsk (490.000 ab.), che ospita circa la metà della popolazione della sua provincia (un po’ più estesa dell’Italia).
La pianificazione territoriale e urbanistica, assai spinta durante il periodo sovietico, ha portato alla nascita di nuovi centri urbani (ne sono stati censiti oltre 1600 realizzati nel corso del Novecento) anche nelle regioni più sfavorite, sia per sfruttare le risorse minerarie, sia per altri scopi, inclusi quelli militari. Dopo la desovietizzazione, molte di queste città nuove sono state quasi abbandonate e, in generale, si è verificato un riflusso di popolazione verso occidente. Comunque, anche se tutte le maggiori città russe hanno registrato una seria contrazione demografica a partire da metà anni 1990, nel complesso la popolazione russa è urbana al 73%, dato che poco sviluppato è il popolamento sparso o in piccoli centri.
Nella storia del popolamento e dell’urbanizzazione della R. un essenziale ruolo è stato svolto dalle vie di comunicazione: la Transiberiana, con la sua variante settentrionale BAM (Bajkalo amurskaja magistral´), per la Siberia; e la rete stradale e ferroviaria, ma soprattutto quella fluviale, per la sezione europea.
Le religioni, osteggiate dopo la rivoluzione, con la fine del regime sovietico hanno ritrovato libertà di espressione. Il 72% della popolazione, comunque, si dichiara non credente; gli ortodossi sono circa il 16%, i musulmani il 10%.
Negli ultimi anni dell’impero zarista la R. era tra i maggiori produttori mondiali di materie prime, ma sia l’estrazione sia le scarse industrie erano gestite principalmente da stranieri, a eccezione dell’industria tessile, presente principalmente a Mosca. Dopo la rivoluzione e alcuni anni dominati da un’economia ‘di guerra’, una nuova politica economica (NEP) fu messa a punto da V.I. Lenin, soprattutto per stimolare una maggiore produzione agricola. Negli anni seguenti le produzioni aumentarono, il che permise al governo di I. Stalin di adottare una politica più in linea con la teoria bolscevica. Dal 1928 si procedette all’elaborazione di piani (quinquennali o settennali), con l’obiettivo di aumentare il benessere pubblico, di elevare rapidamente i livelli materiale e culturale dei lavoratori e di rafforzare l’indipendenza e le capacità di difesa. Entrate statali, investimenti, trasferimenti settoriali e territoriali della manodopera vennero programmati in base agli obiettivi di piano e a obiettivi intermedi, annuali, necessari per introdurre aggiustamenti nel corso del piano. Gli intendimenti erano ottimi, la loro realizzazione non lo fu altrettanto. Le necessità dell’infrastrutturazione (comunicazioni, elettrificazione), dello sviluppo dell’industria pesante e della difesa ebbero la precedenza su tutto il resto; le risorse furono prelevate a danno dell’agricoltura, che non riuscì a svilupparsi malgrado fasi di forti investimenti, e delle condizioni socio-economiche della popolazione, che rimasero stabilmente molto modeste. Furono ottenuti risultati significativi come la piena occupazione (in parte, in effetti, sottoccupazione mascherata), l’alfabetizzazione di massa, estese forme di sicurezza sociale, riuscendo così a eliminare la secolare miseria e le più gravi sperequazioni; ma il sistema raramente raggiunse gli obiettivi produttivi fissati, non consentì forme di accumulazione di capitale e quindi investimenti, non perseguì l’innovazione. Con gli anni 1960 si registrò un’apertura maggiore, benché incerta, verso la produzione di beni di consumo, mentre l’aumento dei contatti con l’Occidente mostrava con chiarezza che il sistema non aveva raggiunto l’obiettivo di superare in sviluppo le economie capitalistiche e che anzi, al contrario, il divario che negli anni 1950 era sembrato quasi colmato aveva preso ad ampliarsi drammaticamente.
Negli anni 1990, in brevissimo tempo, si demolì il modo di produzione precedente, ma senza poterlo rimpiazzare con uno più efficiente: la svolta economica, favorendo gli investimenti privati, sviluppò un rapido processo di inflazione (del tutto ignoto nel precedente sistema economico), che consentì arricchimenti enormi più o meno leciti mentre dimezzava il potere di acquisto per la maggioranza dei cittadini, produsse disoccupazione, provocò il crollo della produzione agricola e il dimezzamento di quella industriale, innescò processi inediti e ingovernabili di finanziarizzazione fino al crack del 1998 e alle speculazioni internazionali sul rublo, avviò un mercato immobiliare e la conseguente speculazione fondiaria, incentivò comportamenti individuali e collettivi antisociali; la vendita all’estero, a prezzi di realizzo, di materie prime di ogni genere (compresa parte delle riserve auree statali) e la contrazione della domanda interna consentirono un discreto surplus commerciale, non in grado però di bilanciare l’enorme debito pubblico. Alla metà degli anni 1990 si ebbe la fase di più evidente peggioramento delle condizioni generali (il 30% della popolazione si collocava al di sotto della soglia di povertà, la speranza di vita si aggirava sui 63 anni, la mortalità infantile era risalita al 20‰).
La situazione economica prese poi a recuperare lentamente, sia per l’assestamento spontaneo dei meccanismi di mercato, sia per il pur modesto afflusso di investimenti produttivi esteri e per quello più consistente di crediti internazionali, sia per il contrasto attuato nei confronti dei più gravi comportamenti economici illegali; ma soprattutto perché il capitale pubblico e quello privato di stampo monopolistico (alleato dei poteri politici) provvedevano a una razionalizzazione degli assetti produttivi, dando vita a cartelli (per es. in campo bancario e petrolifero), o a monopoli di fatto (gas naturale), che svuotavano di sostanza l’impronta liberista, ma restituivano peso contrattuale ai settori strategici e ne rivalutavano le capacità negoziali. La riorganizzazione dell’economia portava anche a una modernizzazione nella ripartizione degli attivi: i servizi assorbono ormai (2008) il 62,4% della forza-lavoro, l’agricoltura il 10%, l’industria circa un quarto.
La tendenza generale è alla razionalizzazione ulteriore del settore minerario e di quello energetico (il più redditizio), ma anche al ristabilimento di condizioni di sicurezza sociale, all’assestamento delle produzioni destinate al consumo interno, e alla rivitalizzazione dei comparti a più forte incidenza tecnologica, anche per evitare la definitiva dispersione di un capitale umano, nelle attività di ricerca, che ha caratteristiche di eccellenza. I risultati, per alcuni versi almeno, sembrano positivi: il reddito pro capite è salito – circa 16.000 dollari a parità di potere d’acquisto nel 2008, esattamente il doppio che nel 2000, quando si era già quasi raddoppiato rispetto al 1995 – e la disoccupazione è calata (6% nel 2008); la quota di popolazione in condizioni di povertà si è quasi dimezzata, benché restino fortissime le differenze reddituali; il disavanzo dei conti pubblici è migliorato; l’incidenza del debito si è ridotta, sono aumentati gli investimenti all’estero. I miglioramenti, tuttavia, sono stati ottenuti anche a prezzo di un arresto dello sviluppo di molte regioni siberiane, ridotte ad aree di fornitura di materie prime e quindi in via di deindustrializzazione e di svalorizzazione, restaurando un assetto territoriale dualistico che per decenni era stato contrastato; del resto, il paese fa fronte alla forte esposizione verso l’estero solo grazie alla vendita di materie prime. Si valuta che siano necessari ulteriori tagli nel sistema produttivo, perché circa un terzo di tutte le imprese russe non sarebbe in grado di raggiungere condizioni di competitività o per insanabile obsolescenza o per scarsa capitalizzazione. Appare sempre più plausibile che il capitale pubblico e semi-pubblico miri a recuperare il controllo del sistema economico, tramite i settori finanziario ed energetico e il complesso militare-industriale che, dopo il tentativo di smantellamento subito nel corso degli anni 1990, è stato oggetto di programmi di modernizzazione e di rilevanti finanziamenti.
L’agricoltura trova forti ostacoli nelle condizioni naturali, soprattutto in quelle climatiche, che la rendono impossibile su quasi metà del territorio. Soltanto il 13% della superficie è idoneo alla coltivazione e di tale estensione l’8% è formato da seminativi, il 6% da prati e pascoli e circa il 50% da foreste. Si tratta peraltro di superfici enormi in termini assoluti: i soli cereali, coltivati fin oltre il limite della taiga, coprono circa 40 milioni di ha; la R. è il primo produttore mondiale di orzo e avena e uno dei primi di frumento (insufficiente però alla domanda interna), di patate e barbabietole, e produce grandi quantità di ortaggi. La meccanizzazione, da tempo promossa, è necessaria sia per fronteggiare le vaste estensioni a coltura, sia per ridurre i tempi delle lavorazioni entro il ristretto periodo vegetativo, ma rappresenta un pesante immobilizzo di capitale, che non frutta per la massima parte dell’anno; se la situazione era in qualche modo sostenibile per le aziende collettive (kolchoz) e statali (sovkhoz) dell’epoca sovietica, non sempre lo è per i nuovi proprietari privati (quasi tutte le aziende già collettive hanno però assunto la struttura di cooperative o società, che consente di affrontare meglio i problemi gestionali alla scala delle migliaia di ha a disposizione).
L’allevamento ha subito una netta contrazione in conseguenza delle riforme economiche e dell’impoverimento della popolazione; tuttavia i bovini sono (2006) 21,5 milioni, i suini 13,5, gli ovini e i caprini oltre 18; nell’estremo nord si pratica l’allevamento delle renne. Anche la pesca ha registrato un calo della produzione, per effetto della concorrenza di flotte più attrezzate, ma realizza comunque 3,5 milioni di t di pescato.
Le foreste hanno fornito, nel 2006, 190 milioni di m3 di legname, che alimentano una delle principali attività delle regioni settentrionali e siberiane (Arcangelo, Tomsk, Bratsk) e un notevole flusso di esportazioni.
La vera industrializzazione del paese, al di là dell’estrazione di minerali e della trasformazione dei prodotti alimentari e tessili, va fatta risalire agli anni successivi alla costituzione dell’URSS e all’avvio dell’industria siderurgica in impianti a ciclo completo (kombinat). La localizzazione delle attività si mantenne tuttavia simile a quella tradizionale, impostata sul ferro ucraino e il carbone del bacino del Don, cui si aggiunse quello degli Urali, e sul petrolio azero (Baku) e del basso corso del Volga (il bacino detto ‘Seconda Baku’); l’urgenza di sostenere un’economia autarchica e isolata, impegnata nell’infrastrutturazione di base, spinse al crescente sfruttamento di queste risorse e al rafforzamento dell’industria pesante nella R. europea, poi anche allo sviluppo di un’industria meccanica (macchine agricole, materiale ferroviario e bellico), con qualche evoluzione nel settore della metallurgia (alluminio), un crescente ricorso all’energia idroelettrica e una lenta espansione dell’industrializzazione verso oriente. La Seconda guerra mondiale accelerò improvvisamente, per motivi soprattutto militari, quest’ultima tendenza, potenziata poi dagli anni 1960, valorizzando le regioni a cavallo degli Urali e quelle settentrionali, sia nella R. europea (bacino carbonifero della Peciora) sia in Siberia. Nell’insieme, comunque, le regioni siberiane si distaccarono poco dal ruolo di produttrici di materie prime, mentre quelle occidentali potevano differenziare la gamma di prodotti industriali, includendovi quelli destinati ai consumi finali.
Il grande sviluppo del bacino carbonifero del Kuzbass, a E degli Urali, della regione del Bajkal, della Iacuzia, e in genere delle regioni percorse dalla Transiberiana (ma anche nell’estremo nord), fu sostenuto mediante la realizzazione di ‘complessi territoriali di produzione’, pianificati e attrezzati in funzione di specifiche produzioni di base; rilevantissimo, fra questi complessi, quello della ‘terza Baku’ (bassi corsi dell’Irtyš e dell’Ob´, da Tjumen al Mar Glaciale Artico), uno dei bacini petroliferi più produttivi al mondo. Nei primi anni del 21° sec. la produzione di carbone si è grandemente ridotta (230 milioni di t nel 2007), grazie alla crescente disponibilità di petrolio (estratto anche a N del Bajkal, nell’isola di Sahalin e in varie altre regioni) e di gas naturale (proveniente essenzialmente dalle medesime aree).
La R., largamente autosufficiente, è primo produttore (470 milioni di t) e secondo esportatore di petrolio, nonché primo produttore (656 miliardi di m3) e primo esportatore di gas, di cui detiene anche le riserve di gran lunga più cospicue. Altri giacimenti di idrocarburi sono stati individuati sulla piattaforma del Mare Artico, dove la riduzione della calotta glaciale ha reso possibile sia la navigazione costiera sia le prospezioni minerarie. Sulla gestione degli idrocarburi si è sviluppata una competizione geopolitica che vede la R. protagonista. Una buona parte delle regioni teatro di serie tensioni geopolitiche odierne (Caucaso, Iraq, Iran, Afghanistan, Xinjiang) sono implicate nell’estrazione o nel transito di idrocarburi e sono prossime alla R.; parallelamente, l’avvio degli idrocarburi russi alle aree di consumo estere avviene mediante condotte che il più delle volte attraversano territori esteri (repubbliche ex sovietiche).
La distribuzione ha richiesto la realizzazione di una rete imponente di condotte (quasi 160.000 km di gasdotti e 90.000 di oleodotti, per gran parte al servizio del territorio russo), alla quale si vanno aggiungendo sempre nuove tratte. Tramite la gestione delle sue risorse, dei relativi prezzi e delle infrastrutture di trasporto, la R. opera per condizionare i suoi più vicini competitori o clienti o paesi di transito e per controbilanciarne la concorrenza economica o politica. Per es., a dispetto dei tentativi occidentali di assicurarsi gli idrocarburi centroasiatici (attraverso il territorio afghano, che non è divenuto rapidamente disponibile come si era immaginato), la R., tramite la Gazprom, azienda a capitale pubblico, acquista l’intera produzione di gas del Kazakistan, del Turkmenistan e dell’Uzbekistan, e la distribuisce con la sua rete di gasdotti, potenziata grazie a un accordo con il Kazakistan; anche alla Cina il gas kazako viene venduto tramite una condotta russa. Un altro esempio è dato dalla funzione rilevantissima svolta dai 4500 km dell’oleodotto ‘dell’Amicizia’ e dal gasdotto che lo affianca, che da decenni riforniscono l’Europa centrale e occidentale attraverso l’Ucraina; questa è anche acquirente, ma con la R. ha intavolato un duro contenzioso; nel 2005 però è entrato in funzione il gasdotto detto Blue Stream, che dal terminale di Novorossijsk raggiunge Samsun, in Turchia, e di qui l’Europa occidentale, mentre è allo stadio di avanzato progetto un altro gasdotto (South Stream) che, attraverso il Mar Nero, raggiungerà la Bulgaria e l’Europa occidentale; le due condotte evitano il transito in territorio ucraino (e in territorio caucasico). Infine, è quasi completato un gasdotto, in gran parte sotto il Mar Baltico, che evitando territori di altri Stati raggiunge la Germania; la costruzione di un nuovo terminale petrolifero a Primorsk, sul Baltico, ha inoltre ormai reso inutile il porto lettone di Ventspils. Altre condotte interessano i porti settentrionali, da dove gli idrocarburi vengono imbarcati, o il terminale di Novorossijsk sul Mar Nero, o i porti dell’Estremo Oriente Russo.
Completa il quadro energetico la produzione idroelettrica, che conta per il 20% dell’elettricità prodotta (quasi altrettanta è di origine termonucleare), precocemente sviluppata grazie alle favorevoli condizioni del sistema fluviale. Favorevole è anche l’associazione di giacimenti di ferro e giacimenti di carbone (Urali Meridionali, Kuzbass, regione del Bajkal); malgrado il distacco dell’Ucraina, la produzione di ferro (110 milioni di t) rimane elevatissima.
Per le altre risorse minerarie, la R. è tra i primi produttori mondiali di oro, diamanti, platino, uranio, rame, nichel, stagno, molibdeno, zolfo, fosfati naturali; ne deriva una produzione chimica (soprattutto di base) pure rilevantissima e, naturalmente, una metallurgia molto sviluppata.
La localizzazione dell’industria, privilegiando i luoghi prossimi alle materie prime e ai mercati di sbocco dei prodotti, ha nettamente favorito la R. europea. A San Pietroburgo prevalgono le industrie meccaniche e di precisione, chimiche, farmaceutiche, alimentari. L’amplissima regione industriale moscovita presenta la maggiore varietà produttiva, comprendendo anche industrie di beni di consumo, che trovano nella regione il maggiore mercato, e tecnologicamente avanzate (elettronica, ottica, aeronautica). Nel Donbass e nel medio Volga si sono sviluppate le industrie meccaniche. La produzione di autoveicoli, dapprima solo di autocarri, poi anche di autovetture (a partire dalla realizzazione a Togliatti di un impianto Fiat), aumentate fino ai 25 milioni di vetture circolanti nel 2005, è distribuita in varie città della R. europea. Più orientate alla prima lavorazione dei minerali e alla chimica di base o alla metallurgia sono le aree degli Urali, e soprattutto quelle della Siberia, nel Kuzbass e nella regione a O del Bajkal. Nell’estremo oriente russo, Komsomol´sk (siderurgia, petrolchimica, meccanica, alimentari e legno) e Vladivostok (cantieri navali, industria conserviera) sono i principali centri industriali.
La rete delle comunicazioni stradali (oltre 700.000 km, più 30.000 km di autostrade) e ferroviarie (92.000 km) è ben sviluppata nel settore europeo e nella fascia meridionale della Siberia, dove la Transiberiana (9434 km a doppio binario dal 1936, elettrificata) è l’asse portante. In tutto il territorio subartico gli ostacoli naturali sono, invece, quasi insormontabili e i percorsi si svolgono in effetti solo in senso meridiano lungo i fiumi. La rete di vie d’acqua navigabili è estesissima (102.000 km, 72.000 dei quali nella R. europea); Mosca è congiunta, sola città al mondo, con 5 mari (Baltico, Bianco, Nero, d’Azov e Caspio). Molto sviluppata è anche l’aviazione civile (circa 29 milioni di passeggeri, 2006), che dispone di più di 1200 di aeroporti, 250 dei quali idonei a grandi vettori. Mosca ha 8 aeroporti, di cui quattro internazionali, e costituisce il sistema più articolato. I porti marittimi principali sono San Pietroburgo sul Baltico, Novorossijsk sul Mar Nero, Rostov sul Don, Vladivostok sul Mar del Giappone, Murmansk sul Mar di Barents e Arcangelo sul Mar Bianco. Il commercio estero, da anni largamente in attivo, vede come primo partner la Germania, seguita da Cina, Ucraina e Giappone per le importazioni e da vari paesi europei per le esportazioni.
Le testimonianze più antiche nel territorio della R., risalenti al Paleolitico superiore, provengono da una vasta zona della Siberia, degli Urali e dell’Europa orientale (Kostenki sul Don; Puškari presso Novgorod-Seversk; Malta presso Irkutsk). Durante il Neolitico, si svilupparono numerose tradizioni culturali, come la cultura di Tripol´e, in Ucraina occidentale, e quella nord-pontica del Dnepr-Donec. Questo sviluppo culturale, e quello di numerose altre popolazioni, fu interrotto o modificato dall’espansione della cosiddetta cultura dei Kurgan (da kurgan «tumulo», a indicare le tipiche sepolture), che comportò anche spostamenti di popolazione: si tratta di una serie di gruppi, noti con vari nomi, provenienti dal bacino del basso Volga e dalle steppe dell’Asia, che si diffusero o fecero sentire la loro influenza fino alla Transcaucasia, alla Scandinavia meridionale, all’alto Reno e alla Grecia. Erano popolazioni più bellicose delle precedenti, che avevano addomesticato il cavallo: forse a esse si deve l’introduzione di questo animale in Europa. A partire dal 2000 a.C. cominciarono a formarsi nuovi gruppi culturali, riferibili all’età del Bronzo: la cultura di Andronovo, quella di Fat´janovo, quella delle tombe a camera. L’età del Ferro vide, a sua volta, lo sviluppo di culture numerose e differenziate, la più nota delle quali è quella degli Sciti: alcuni gruppi di queste popolazioni guerriere, che in origine percorrevano a cavallo le steppe dell’Asia, si stabilirono a nord del Mar Nero; sono i cosiddetti Sciti reali, che dettero origine a una cultura particolarmente avanzata, con manifestazioni artistiche di grande rilievo. Gli oggetti di arte greca trovati nei tumuli scitici testimoniano i contatti delle civiltà nomadi delle steppe con quella ellenica
Il costituirsi della prima formazione statale degli Slavi orientali, cioè della R. di Kiev, rappresenta il punto d’inizio di tutta la storia russa. I guerrieri scandinavi (Vichinghi e Normanni) che superarono il Baltico e dalla Scandinavia mossero verso S sfruttando la rete di comunicazioni fluviali per raggiungere le terre dell’Oriente bizantino (detti Variaghi, ma anche Rus´, da cui il nome R.), nel corso del 9° sec. costituirono all’interno delle comunità slave preesistenti la classe dominante, stretta intorno a Rjurik e ai suoi leggendari fratelli (➔ Rjurikidi). Verso l’878 il primo successore di Rjurik, Oleg il Saggio o il Santo, da Novgorod si diresse verso S, occupò Kiev ed estese il suo dominio su tutta la R. meridionale. Più tardi, riunite le terre russe sotto il suo scettro, Vladimiro I (981) si spinse verso la Galizia e prese Przemyśl e Červen; nel 983 si rivolse verso il Baltico combattendo contro Lituani e Jatvingi; la sua conversione al cristianesimo nel 988 aprì la strada a quella del suo popolo. L’unità del regno di Kiev cominciò a perdersi con i successori di Vladimiro I, sia per la consuetudine di dividere i domini tra tutti i figli sia per la pressione di altri popoli (Polacchi, Lituani, Estoni e Lettoni) alle frontiere; alla morte di Jaropolk (1125-39) lo Stato si divise in vari principati. Nel 1237 sulla piana d’Oriente comparvero i Mongoli che, conquistata la regione del Volga, nel 1240 raggiunsero Kiev e occuparono tutta la R. meridionale.
Nel 14° sec. le terre russe caddero sotto una duplice influenza (fig. 2). I principati della Grande Russia, fra i quali emerse quello di Mosca, riconobbero la sovranità tatara; i territori occidentali, invece, entrarono nell’orbita del granducato lituano di Gediminas e dei suoi successori, che s’impadronirono di Kiev (1362) e, temporaneamente, di Smolensk. Si creò un vasto Stato sovranazionale che toccava il Baltico e il Mar Nero, dal 1385 stretto alla corona polacca in unione personale. Nei territori della Grande Russia dopo l’invasione mongola il centro di gravità si spostò sull’alto Volga, dove il principato di Vladimir aveva ormai la prevalenza su Suzdal´, mentre i piccoli principati in cui si era frammentato l’originario principato di Černigov ne paralizzavano e annullavano ogni funzione politica.
Solo nel 1480 Ivan III (1462-1505), assorbito per parentela il principato di Rjazan´, annessi Novgorod con i suoi possedimenti territoriali e il principato di Tver´, si svincolò definitivamente dal dominio tataro, continuando a fronteggiare l’ostilità della Polonia-Lituania. Dopo il matrimonio con Sofia Paleologo (1472), nipote dell’ultimo imperatore bizantino, Ivan cominciò a usare il titolo di zar e ad assumere emblemi e predicati imperiali, contribuendo così a creare il mito di Mosca come ‘terza Roma’. Nello stesso periodo la Chiesa arrivò ad assumere carattere di Chiesa nazionale. Il processo di unificazione territoriale e il complessivo rafforzamento del potere centrale portarono anche a un aumento dell’autorità dello zar sui nobili, i boiari. Con Ivan IV il Terribile (1547-84) la R. si estese verso S e verso E (conquista della Siberia), mentre aspre lotte per il possesso della Livonia e della costa baltica la contrapposero a Svezia e Polonia. Riordinati il sistema militare e l’amministrazione ecclesiastica, Ivan IV contrastò il potere dei boiari attraverso l’istituzione dell’opričnina, che comportò la concessione di buona parte delle terre, già requisite a boiari, in amministrazione a militari o altri stretti collaboratori dello zar, dando vita a una piccola nobiltà strettamente dipendente dallo zar.
Morto Ivan IV, con il regno di Boris Godunov (1598-1605), si aprì una lunga lotta di fazioni; il rinnovato conflitto tra lo zar e i boiari e l’indebolimento economico delle campagne precipitarono la R. in piena crisi. Nel 1613 salì al potere lo zar Michele I (1613-45), fondatore della dinastia dei Romanov. Con lui e con i suoi successori Alessio (1645-76) e Teodoro (1676-82) proseguì l’asservimento dei contadini e l’espansione territoriale russa (fig. 3).
Durante il regno di Pietro I il Grande (1689-1725) la R. conobbe un rinnovamento dell’organizzazione militare e civile dello Stato, accanto ai primi segni di sviluppo economico e alla ripresa di una politica espansionistica: questo insieme di fattori pose le basi per la trasformazione della R. (dal 1721, Impero russo) in una delle principali potenze europee. Allo sviluppo delle prime industrie si accompagnò la creazione di un esercito permanente e di una marina militare. La politica estera si sviluppò, secondo il tradizionale orientamento, a N-O, per il controllo del Mar Baltico, e a S-O, contro l’Impero ottomano. Con la seconda guerra del Nord (1700-21) la R. impose la propria egemonia nella regione baltica e con la pace di Nystad (1721) ottenne dalla Svezia: Carelia, Ingria, Estonia e Livonia. L’acquisizione di numerosi porti sul Mar Baltico (oltre a San Pietroburgo, fondata nel 1703 e divenuta nel 1712 capitale russa) permise un incremento degli scambi commerciali. All’interno, Pietro I concentrò la propria opera verso il rafforzamento del potere statale in senso centralistico e autocratico. La condizione dei contadini peggiorò ulteriormente (introduzione del testatico, 1708), la nobiltà fu sottoposta all’obbligo del servizio statale; anche la Chiesa ortodossa fu strettamente subordinata allo Stato.
I provvedimenti di Pietro I furono in parte ridimensionati dai successori (Caterina I, 1725-27; Pietro II, 1727-30; Anna Ivanovna, 1730-40; Elisabetta, 1741-61, Pietro III, 1762). In particolare, nel 1730 venne limitata l’obbligatorietà del servizio statale per i nobili, poi abrogata nel 1761. Sul piano internazionale, l’indebolimento della Polonia aprì una nuova direzione espansionistica: dopo la partecipazione alla guerra di successione polacca e alla guerra dei Sette anni, l’intervento russo aumentò progressivamente; nelle tre successive spartizioni polacche (1772-97) la R. ottenne l’Ucraina occidentale, la Bielorussia e la Curlandia. Nell’area di conflitto con l’Impero ottomano, la pace di Küciük Qainarge (1774) sancì l’indipendenza della Crimea (annessa alla R. nel 1783) e assegnò a Mosca il territorio tra il Bug e il Dnepr, oltre ad alcune fortificazioni strategiche sul Mar Nero, nel Kuban´ e nel Caucaso settentrionale; in base allo stesso trattato, Mosca ricevette anche un generico diritto di protezione dei sudditi ortodossi del sultano. Nel corso del Settecento continuò anche l’espansione al di là degli Urali, mentre nel Nord l’Impero si estese fino in Alaska (1799), ceduta nel 1867 agli Stati Uniti.
Durante il regno di Caterina II (1762-96) venne ripresa la riforma amministrativa già avviata da Pietro I (aumento del numero dei governatorati), anche in risposta alla crisi prodotta, fra il 1773 e il 1775, dalla rivolta contadina guidata dal cosacco E.I. Pugačëv, l’ultima di una lunga serie di insurrezioni che avevano segnato il secolo. Con la pubblicazione nel 1785 della Carta della nobiltà, fu inoltre sancita l’espansione dei privilegi nobiliari dei decenni precedenti. Il successore Paolo I (1796-1801) tentò di rafforzare la subordinazione dei nobili allo Stato, ma fu rovesciato da una congiura di palazzo, che pose sul trono il figlio Alessandro I (1801-25). La parziale realizzazione della riforma elaborata da M.M. Speranskij comportò la riorganizzazione dei ministeri e la creazione di un Comitato dei ministri (1802), con compiti di supervisione dell’apparato amministrativo. Nel 1810 fu istituito un Consiglio di Stato con poteri consultivi, mentre il Senato assumeva sempre più le funzioni di massimo organo giudiziario. Con Paolo I e poi con Alessandro I, la R., insieme alla Gran Bretagna, fu il principale avversario di Napoleone, al quale, dopo alterne vicende, inflisse una pesantissima sconfitta nel 1812, contribuendo in modo decisivo alla fine del suo impero.
Dopo la caduta di Napoleone, la R. fu una delle protagoniste della politica europea. Giocò un ruolo importante al Congresso di Vienna (1814-15), ottenendo tra l’altro la Polonia. Insieme a Prussia e Austria, inoltre, diede vita alla Santa Alleanza, che ebbe una funzione essenziale nel vigilare sull’ordine internazionale della Restaurazione. Stato fortemente autocratico, la R. rimase estranea ai moti e alle rivoluzioni che investirono l’Europa nella prima metà dell’Ottocento. L’unica eccezione fu il moto dei decabristi del 1825, represso nel sangue dallo zar Nicola I (1825-55) appena insediatosi al potere. Per il resto, in occasione sia della rivolta polacca del 1830-31 sia delle rivoluzioni del 1848-49 in Europa centrale, la R. rivestì il ruolo di guardiano della reazione. Svolta importante fu la guerra di Crimea (1853-56) contro i Turchi, la Gran Bretagna, la Francia e il Regno di Sardegna. In questo conflitto, infatti, la R. mostrò tutta la sua debolezza e, sconfitta, ripiegò su sé stessa. Si aprì allora un ampio dibattito tra ‘occidentalisti’ e ‘slavofili’, cioè tra i fautori delle riforme di stampo occidentale e coloro che invece si opponevano a questa prospettiva in nome delle peculiarità della civiltà russa. Gli stessi vertici del potere zarista, a partire dallo zar Alessandro II (1855-81), presero coscienza della necessità di avviare un processo di modernizzazione che permettesse il superamento della strutturale arretratezza dell’Impero. Il principale risultato di questa svolta fu, nel 1861, l’abolizione della servitù della gleba. Si trattò tuttavia di una misura insufficiente, che non riuscì a risolvere i problemi dei contadini e quindi a innescare lo sviluppo di una moderna economia.
Negli anni successivi continuò l’espansione soprattutto a E della R., dove crebbe un significativo movimento di opposizione, il populismo, che con il tempo diede luogo a forme di lotta politica di tipo terroristico. Lo stesso Alessandro II cadde vittima di un attentato nel 1881. Seguì un periodo di reazione che si protrasse durante i regni di Alessandro III (1881-94) e di Nicola II (1894-1917), l’ultimo zar. In questi anni prese avvio in alcune regioni del paese un processo di industrializzazione, che trasse impulso soprattutto dallo Stato e dai capitali stranieri e che nello stesso tempo favorì la nascita di un moderno movimento operaio. Dopo la sconfitta subita nella guerra russo-giapponese (1904-05) scoppiò la prima rivoluzione russa. Lo zar fu costretto a concedere una Costituzione e si formò un Parlamento – la Duma – i cui poteri furono però progressivamente limitati.
In questo contesto, nonostante alcuni rilevanti tentativi di riforma agraria, acquisirono consistenza importanti gruppi rivoluzionari, tra cui i socialrivoluzionari e i socialdemocratici, che già nel 1902-03 si erano divisi tra menscevichi e bolscevichi. Queste forze divennero decisive durante la crisi determinata dalla Prima guerra mondiale, a cui la R. partecipò in alleanza con Gran Bretagna e Francia. La guerra colse la R. impreparata sul piano militare: le sconfitte subite e il logoramento morale e materiale costituirono le immediate premesse della rivoluzione del febbraio 1917 (marzo secondo il calendario gregoriano) che, con l’abdicazione di Nicola II, pose termine al regime zarista.
Il crollo della monarchia aprì la strada a una crisi generale dell’assetto sociale e politico della R., sfociata nella Rivoluzione d’ottobre e nell’instaurazione del potere sovietico (per la trattazione delle vicende rivoluzionarie e della successiva storia russa fino allo scioglimento dell’URSS nel 1991, ➔ URSS).
La proclamazione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR) fu seguita dalla perdita di ampi territori occidentali già appartenenti all’Impero russo (Finlandia, Paesi baltici, Polonia, Ucraina occidentale, Bessarabia) e dalla nascita di nuove repubbliche sovietiche (Ucraina, Bielorussia, Transcaucasia) nell’area rimasta sotto l’influenza di Mosca. L’URSS ebbe come capitale Mosca e come lingua ufficiale il russo, ma la sua complessa struttura etnoterritoriale si sviluppò in gran parte a spese della repubblica russa: la superficie di quest’ultima fu considerevolmente ridotta in seguito alla costituzione, fra il 1925 e il 1936, di 5 nuove repubbliche dell’Unione (Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan, Kazakistan, Kirghizistan); inoltre, all’interno della stessa repubblica russa, numerosi territori caratterizzati dalla presenza di nazionalità non russe ottennero uno status di autonomia. Negli anni della Seconda guerra mondiale la repubblica russa ottenne nuovi territori, sia a occidente (Carelia, Prussia Orientale), sia a oriente (Tuva, Isole Curili), mentre nel 1954, con la cessione della Crimea alla repubblica ucraina, acquisì l’estensione che avrebbe mantenuto anche dopo lo scioglimento dell’URSS.
Malgrado fosse formalmente sullo stesso piano delle altre repubbliche federate, la politica del partito comunista al potere tendeva a identificare gli interessi della R. con quelli dell’URSS nel suo complesso. La maggior parte delle posizioni di rilievo nei gruppi dirigenti sovietici era occupata da Russi; la politica economica del governo centrale, inoltre, incoraggiava i Russi a emigrare verso le altre repubbliche federate. Nel corso degli anni 1980 la crisi progressiva del sistema economico e politico sovietico provocò un indebolimento del potere centrale e lo sviluppo di tendenze nazionaliste e separatiste, in particolare nelle repubbliche non russe economicamente più avanzate; questi fenomeni generarono a loro volta una reazione nazionalista e isolazionista presso ampi strati della popolazione russa. A partire dal 1990, nel quadro del tentativo di riforma dell’URSS condotto da M.S. Gorbačëv (dal 1985 segretario generale del PCUS, dal 1989 presidente dell’URSS), anche nella repubblica russa fu avviato un processo di autonomia e furono create istituzioni nazionali specifiche. Nel marzo 1990 fu eletto un nuovo Parlamento russo, che in maggio elesse il leader dei riformatori radicali, B.N. El´cin, presidente del Soviet supremo, la più alta carica della repubblica, e in giugno votò una Dichiarazione di sovranità della R. nei confronti dell’URSS; un anno dopo, il processo si consolidava con l’istituzione della carica di presidente della Repubblica (eletto a suffragio universale e dotato di poteri esecutivi) e l’elezione di El´cin. Gorbačëv cercò di far fronte alle spinte nazionaliste e indipendentiste proponendo alle repubbliche costitutive dell’URSS di sottoscrivere un nuovo trattato di unione, che riconoscesse loro un’ampia autonomia, ma il progetto fu bloccato da un tentativo di colpo di Stato, il cui fallimento aprì la strada alla crisi definitiva del potere sovietico. Dopo lo scioglimento del PCUS e del Partito comunista russo, la progressiva esautorazione degli organi del potere centrale e una serie di proclamazioni di indipendenza da parte di repubbliche federate, il processo si concluse nel dicembre 1991 con la dissoluzione dell’URSS; il 25 dicembre la RSFSR assumeva la nuova denominazione ufficiale di Federazione Russa.
Dopo la caduta del regime comunista, la R. è diventata il nucleo politico della Federazione russa, che a sua volta fa parte della Comunità degli Stati indipendenti, sorta sulle ceneri dell’Unione Sovietica. Dapprima sotto la leadership di El´cin e poi sotto quella di V.V. Putin (eletto presidente nel 2000 e riconfermato nel 2004), la R. avviò un difficile processo di transizione (punteggiato da varie crisi interne, come nel 1993) verso la democrazia e l’economia di mercato, confrontandosi al tempo stesso con le molteplici tensioni nazionalistiche e separatistiche esplose all’interno della Federazione, in particolare in Cecenia, dove il grave conflitto ebbe momenti particolarmente drammatici negli attacchi terroristici al teatro Dubrovka di Mosca (ottobre 2002) e nella scuola di Beslan (Ossezia, settembre 2004).
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 la R. entrò a pieno titolo nella coalizione internazionale contro il terrorismo patrocinata dagli Stati Uniti, ottenendo una serie di vantaggi sul piano diplomatico. La collaborazione tra Mosca e Washington conobbe una prima crisi in occasione della guerra in Iraq, giudicata un errore da Putin. In seguito la R. prestò assistenza al programma nucleare iraniano, opponendosi ai piani di sanzioni e rappresaglie militari contro Teheran discussi tra Londra e Wash;ington. Putin accusò inoltre gli USA di destabilizzare irresponsabilmente gli equilibri strategici con il progetto di scudo antimissile e avviò la cooperazione militare con India e Cina, mettendo in discussione gli accordi sul disarmo nucleare raggiunti con Washington nel 2002. Le tensioni tra la R. e il campo occidentale furono alimentate anche dai sommovimenti politici verificatisi in Ucraina (‘rivoluzione arancione’) e Georgia (‘rivoluzione delle rose’), considerati da Mosca il frutto di inaccettabili ingerenze nella propria sfera di influenza. In politica interna Putin assunse un profilo decisionista, rafforzando le prerogative del potere centrale rispetto alle autorità locali e ridimensionando la libertà dei potentati economici privati sorti negli anni 1990. Le accuse rivoltegli di seguire una linea sempre più autoritaria non ne intaccarono la determinazione nel perseguire gli obiettivi di rilancio del ruolo di potenza e dei sentimenti di orgoglio nazionale.
Nel dicembre 2007, il partito di Putin, Russia Unita ha conseguito una nuova vittoria di larghe proporzioni nel voto per il rinnovo della Duma. Le elezioni presidenziali del marzo 2008 sono state vinte da D. Medvedev, già primo vicepremier e presidente di Gazprom (il colosso pubblico dell’energia) e candidato dello stesso Putin, che è divenuto primo ministro continuando a mantenere un ruolo politico di primo piano. In campo internazionale, nell’estate del 2008 la crisi con la Georgia per la questione dell’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abhazija, e il conseguente intervento armato della R., ha accentuato le tensioni con i paesi occidentali, e in particolare con gli USA. Dopo l’avvento alla presidenza degli Stati Uniti del democratico B. Obama, i rapporti bilaterali si sono normalizzati fino a giungere nel 2010 a una nuova intesa per la riduzione degli armamenti nucleari, sostitutiva del trattato START. Nel 2008 la R., con Brasile, India e Cina, ha dato vita al sistema di cooperazione politico-economica BRIC. Sul piano interno, il predominio del partito Russia Unità è incontrastato, anche se nelle elezioni amministrative del 2010 ha avvertito una flessione.
Alle consultazioni parlamentari tenutesi nel dicembre del 2011 il partito di Putin - che a settembre aveva annunciato la sua candidatura, sostenuta dallo stesso Medvedev, alle presidenziali del 2012 - ha nuovamente ottenuto la maggioranza, seppure è stato nettamente ridimensionato: Russia Unita ha infatti raggiunto il 49,5% dei consensi, il 15% in meno rispetto alle precedenti elezioni, aggiudicandosi comunque 238 seggi su 450 (contro i 315 su 450 delle precedenti consultazioni) grazie al sistema proporzionale che prevede la redistribuzione dei consensi raccolti dai partiti che non hanno superato lo sbarramento del 7%. Il Partito comunista si è affermato come seconda forza politica, conquistando il 19,1% e raddoppiando i consensi rispetto alle elezioni del 2007, seguito dal partito centrista Russia Giusta (13,2%) e dal partito di estrema destra dei Liberaldemocratici (11,6%). Nei giorni successivi alla divulgazione dell'esito delle consultazioni hanno avuto luogo in varie località della R. numerose proteste di piazza contro il governo - cui sono state mosse fondate accuse di brogli -, culminate nella manifestazione che a Mosca ha contato centomila partecipanti, la più grande dimostrazione di forza dell'opposizione dall'ascesa di Putin. Le elezioni presidenziali, svoltesi nel marzo 2012 in un perdurante clima di violente agitazioni sociali, hanno visto la riconferma di Putin per un terzo mandato della durata di sei anni. L'uomo politico ha ottenuto oltre il 60% delle preferenze, contro il 17,1% del candidato comunista G.A. Zyuganov, sebbene gli osservatori dell'Ocse abbiano riportato che in un terzo dei seggi si sarebbero verificate irregolarità e violazioni delle norme elettorali.
In politica estera, nonostante la crisi ucraina e il conseguente raffreddamento delle relazioni con l’Occidente, il Paese ha rivestito un ruolo centrale sia nei negoziati sul nucleare iraniano, conclusisi con il raggiungimento di un accordo nel luglio 2015, sia in Siria, dove nel settembre 2015 è intervenuto militarmente sia per combattere l’Is, sia per offrire sostegno a Bashar al-Assad, ciò aprendo però nuove tensioni con le potenze occidentali.
Sul fronte interno, sebbene la crisi economica si sia aggravata e siano proseguite le proteste di massa contro la leadership di Putin - soprattutto in merito alla limitazione dei diritti civili garantiti dalla Costituzione - che tuttavia non hanno assunto la forma di un movimento di opposizione organizzato, alle elezioni legislative svoltesi nel settembre 2016 con un'affluenza alle urne scarsissima (47,9% ca.) il partito Russia Unita del presidente si è imposto con il 54,2% dei voti, distanziando il Partito comunista (13,5%), i Liberaldemocratici (13,2%) e Russia Giusta (6,1%) e ottenendo la maggioranza assoluta dei seggi alla Duma. Nel marzo 2018 Putin è stato rieletto per il quarto mandato presidenziale con oltre il 76% dei consensi, mentre nel gennaio 2020 il premier Medvedev si è dimesso con l'intero esecutivo, subentrandogli nella carica su nomina di Putin M. Mishutin. Nel luglio 2020 sono state approvate attraverso lo strumento referendario, con oltre il 78% di pareri favorevoli, le riforme costituzionali proposte dal presidente del Paese, che prevedono tra l'altro l'annullamento del vincolo del secondo mandato presidenziale consecutivo, che potrebbe permettere all'uomo politico di ricandidarsi per altre due tornate di sei anni, rimanendo al potere fino al 2036. Alle elezioni per il rinnovo della Duma tenutesi nel settembre 2021 il partito Russia Unita si è imposto con il 49,8% dei voti, conquistando oltre due terzi dei seggi, sebbene con un sensibile calo dei consensi, mentre il Partito comunista ha ottenuto il 19% dei suffragi. Sul piano internazionale, il rischio di una eventuale estensione del Patto atlantico a est, confermato dalle ambizioni dell’Ucraina di aderire all’Unione europea e alla Nato, è stato a partire dal novembre 2021 uno degli elementi decisivi per un vistoso incremento delle tensioni internazionali, che non hanno trovato alcuna possibilità di soluzione attraverso la minaccia di sanzioni economiche dell’Occidente contro il Paese, il dialogo diplomatico e i tentativi di mediazione politica. Nel febbraio 2022, dopo aver riconosciuto l'indipendenza delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, la R. ha avviato una “operazione militare speciale” nel Paese, invadendo la regione di Kiev e lanciando offensive contro numerose città. Seppur mobilitando anche milizie irregolari e paramilitari, impedendo la praticabilità dei corridoi umanitari e non rispettando il cessate il fuoco - così da bloccare la fuga da città quali Mariupol’, Sumy e Charkiv, dove si è aperta una gravissima emergenza umanitaria -, l’avanzata delle forze russe è proseguita lentamente, ostacolata dalla controffensiva ucraina. Dopo il fallimento di vari tentativi negoziali e l’imposizione da parte dei Paesi occidentali di durissime sanzioni economiche, quali il congelamento delle riserve russe di valuta straniera, l'espulsione di alcune banche dal sistema di pagamenti globali SWIFT e – negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – il blocco delle importazioni dalla Russia di gas e petrolio, l’offensiva russa si è intensificata, arrivando nel mese di marzo a interessare luoghi strategici quali le centrali nucleari di Chernobyl e Zaporižžja, ad accerchiare Kiev e a espandersi verso il settore occidentale del Paese. A un anno dall’inizio del conflitto, stime dell’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani hanno accertato 7155 morti tra i civili: la sovrastima delle capacità delle forze armate russe da parte del Cremlino, sul campo risultate impreparate ad affrontare il conflitto, congiuntamente alla sottovalutazione delle forze di difesa ucraine, sostenute dal decisivo apporto degli apparati di intelligence e degli armamenti dell’Occidente, hanno prodotto nel medio termine un prolungamento del conflitto, imponendo inoltre al Vecchio Continente un’accelerazione nelle politiche di affrancamento dalla dipendenza energetica dalla Russia e costringendolo a prendere atto della crisi ambientale scatenata dal conflitto, oltre che delle sue pesanti conseguenze sulle catene di approvvigionamento alimentare, di materie prime e di beni necessari a sostenere filiere produttive di decisiva importanza per le economie occidentali. Nel marzo 2023 la Corte penale internazionale dell'Aja ha emesso un mandato di arresto contro Putin in quanto ritenuto "responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell'Ucraina alla Russia". In un contesto di sostanziale stallo del conflitto in Ucraina, dove la controffensiva del Paese ha continuato a ostacolare il controllo russo dei territori occupati e a frenarne l'avanzata, il temporaneo ammutimento della milizia privata del Gruppo Wagner guidato da E. Prigožin - che ha occupato senza incontrare resistenze la città di Rostov, giungendo fino a 200 km da Mosca - ha evidenziato le fragilità strutturali delle forze di sicurezza russe e l'incapacità del regime putiniano di esercitare il monopolio della forza intervenendo con tempestività contro le minacce interne.
La lingua russa è costituita da un gruppo di dialetti che, con i dialetti bielorussi e quelli ucraini, forma il ramo orientale delle lingue slave, all’interno delle quali si caratterizza per gli esiti ere, oro e ele, olo dei nessi originari er, or e el, ol davanti a consonante (cfr. russo bereg «sponda», di fronte al bulgaro, serbo e croato breg, ceco břeh, polacco brzeg, paleoslavo brĕgŭ, da un *bergŭ), l’esito delle vocali ĭ e ŭ in e e o (russo den´ «giorno», moch «muschio», da dĭnĭ e mŭchŭ, di fronte al serbo e croato den, machovina, bulgaro den, măch, ceco den, mech, polacco dzień, mech). Nella morfologia, notevole è l’uso del genitivo plurale per l’accusativo plurale nei nomi di esseri animati. I dialetti russi si dividono in due rami, settentrionale e meridionale, distinti dal fatto che in questi ultimi la o protonica non assume la pronuncia a.
La lingua letteraria è fondata sul paleoslavo, che via via si è arricchito di inflessioni grammaticali e soprattutto di vocaboli russi: così, mentre nell’11° sec. l’Evangeliario di Ostromir è scritto in paleoslavo appena colorito di tracce di russo, nel 13° e 14° sec. l’elemento russo, specialmente nei testi non religiosi, va sempre aumentando, finché all’inizio del 18° sec. già M. Lomonosov, il ‘padre della letteratura russa’, può parlare di due lingue letterarie, il paleoslavo e il russo. Sempre nel Settecento l’opera dei grammatici e degli scrittori unifica e potenzia la lingua letteraria russa, che sarà poi elevata ad altissima forma d’arte dalla letteratura ottocentesca. Nella lingua russa letteraria, e anche colta, non sono tuttavia del tutto scomparse le tracce dell’origine paleoslava: in molti vocaboli si ha re, ra, le, la in luogo degli esiti popolari russi ere, oro, ele, olo (grad, per es. in Leningrad, invece del russo gorod «città»), šč e žd invece degli esiti russi č e ž, da originari tj e dj (posešču «io visiterò», da *posetja).
Dal momento dell’assunzione del cristianesimo di Bisanzio come religione di Stato (988) da parte di Vladimiro I il mondo slavo ortodosso ha un destino storico diverso e separato da quello romano-germanico, pur restando nell’ambito di una grande civiltà europea, quella bizantina, di cui raccoglie l’eredità. Nuclei cristiani esistevano anche prima del 988 nel territorio della Rus´: nell’863, su richiesta del principe Rostislao di Moravia, l’imperatore romano d’Oriente aveva inviato nella Grande Moravia i fratelli di Salonicco Cirillo e Metodio per evangelizzare gli Slavi; la lingua liturgica usata nella loro predicazione, per la quale crearono un apposito alfabeto, divenne la lingua letteraria comune a tutti gli Slavi ortodossi, oggi nota come slavo ecclesiastico o paleoslavo, mentre il russo era, nella Rus´, la lingua dell’amministrazione e del diritto. La tradizione cirillo-metodiana fu conservata durante il regno di Boris di Bulgaria e di suo figlio Simeone, e proprio dalla Bulgaria molti testi giunsero nella Rus´ di Kiev prima ancora del 988.
Dopo il battesimo della Rus´ Vladimiro I creò alcune scuole dove si insegnava lo slavo-ecclesiastico, formando un ceto istruito che negli anni successivi cominciò a produrre traduzioni e anche una letteratura originale. Una parte considerevole della letteratura russa antica è formata da traduzioni della patristica greca, da testi sacri e liturgici bizantini, da apocrifi; erano noti padri della Chiesa orientale e scrittori ecclesiastici bizantini come Basilio di Cesarea, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, né mancavano scritti di carattere secolare, storico, scientifico. Le traduzioni di singole opere sono rare, più frequenti le crestomazie. Tra le opere agiografiche vanno ricordati i Pateriki («Vite dei padri»), tradotti dal greco oppure originali, come il Paterik del monastero delle Grotte di Kiev, e i Čet´i minei («Letture mensili» o «Menologi»). La datazione precisa dei testi più antichi è difficoltosa, perché quasi tutti ci sono giunti in redazioni successive. Nel 1073 e nel 1076 furono copiati per il principe Svjatoslav di Kiev gli Izborniki («Raccolte»), che contenevano, accanto a opere religiose, anche scritti di retorica, aforismi, aneddoti didascalici. La tradizione cronachistica bizantina fu presto nota attraverso le versioni slave delle cronache di Giovanni Malala e di Giorgio Monaco; assai diffusa fu la Guerra giudaica di Flavio Giuseppe. La Pčela («L’ape»), raccolta di detti, proverbi, aneddoti, e il Fiziolog («Fisiologo») attestano la diffusione del gusto enciclopedico. A volte le traduzioni colmano alcuni vuoti nell’area greca; così la storia di Akir premudryj («A. il saggio») è pervenuta in versione russa, mentre la tradizione greca è andata perduta.
Primo documento autonomo della letteratura della Rus´ è considerato lo Slovo o Zakone i Blagodati («Sermone sulla Legge e sulla Grazia», 1050 ca.), attribuito a Ilarione, metropolita di Kiev, che dimostra una notevole padronanza dell’arte oratoria e un uso sapiente dello slavo ecclesiastico. Lettere private, testamenti, documenti vari dei secoli 11°-15° sono contenuti nelle iscrizioni su corteccia di betulla di Novgorod, scoperte nel 1951. I tentativi di creare una letteratura propria, non di pura imitazione, presentano un rilevante interesse storico e letterario, e costituiscono un gesto di autonomia politica e culturale da Bisanzio. Significativo, sotto questo aspetto, lo Skazanie o Borise i Glebe («Narrazione di Boris e Gleb», 12°-13° sec.), storia dei figli del principe Vladimiro, divenuti i primi santi russi ufficialmente riconosciuti da Bisanzio. Lo skazanie, insieme con lo slovo, la letopis´, la povest´, l’istorija, è una delle numerose forme di narrazione storica della letteratura russa antica. Le cronache, divise per anni, formano l’importante filone dell’annalistica locale e incorporano anche testi di genere diverso; la più antica tra quelle pervenuteci è quella di Nestore (12° sec.), nota come Povest´ vremennych let («Cronaca degli anni passati»), basata su cronache precedenti. Di carattere laico, sebbene ispirato a principi religiosi, è il Poučenie («Ammaestramento»), sorta di testamento spirituale scritto dal principe Vladimiro II Monomaco per i suoi figli (inizio 12° sec.). Un altro genere letterario diffuso è il ‘pellegrinaggio’, inaugurato dal Choždenie dell’igumeno Daniil Palomnik in Terrasanta, resoconto di un viaggio compiuto tra il 1106 e il 1108, che unisce una precisa descrizione della Palestina a copioso materiale leggendario. Uno dei rarissimi testi di contenuto puramente laico del periodo premongolico è il Molenie («Supplica») che Daniil Zatočnik («il prigioniero») rivolge al principe di Perejaslavl´ Severnyj. La Russkaja pravda («Giustizia russa») servirà da modello alle successive raccolte di leggi.
L’opera più preziosa, più studiata e discussa dell’antica letteratura russa è lo Slovo o polku Igoreve («Canto della schiera di Igor´», fine 12° sec.), storia della campagna che il principe di Novgorod-Severskij, Igor´ Svjatoslavič, condusse nel 1185 contro i Cumani e della battaglia in cui venne sconfitto e cadde prigioniero. Per il respiro storico, la sapienza stilistica, la forza oratoria, il poema segna il culmine della letteratura del 12° sec. e chiude gloriosamente il periodo che precede la conquista mongola.
Durante la dominazione tatara i generi prevalenti sono le vite di martiri della fede, accanto alle storie di battaglie e di sconfitte, pervase dal sentimento di colpa per le divisioni che hanno provocato il castigo divino e dal desiderio di espiazione. Tali sono i numerosi racconti sull’invasione tatara, come lo Slovo o pogibeli russkoj zemli («Canto sulla rovina della terra russa») e la Povest´ o razorenii Rjazani Batyem («Racconto sulla distruzione di Rjazan´ da parte di Batyj»). Dopo la caduta di Kiev si formano nuovi centri politici e culturali, cresce l’importanza di Tver´, i legami tra la R. meridionale e il resto del paese s’indeboliscono, il principato di Mosca acquista un ruolo crescente. In seguito alla battaglia di Kulikovo, sul Don (1380), prima vittoria dei Russi guidati da Dmitrij Donskoj contro l’Orda d’Oro in una lotta che si protrarrà ancora per un secolo, si spezza in parte l’isolamento e si riprende un’intensa opera di traduzione: è l’epoca della seconda influenza slava meridionale, quando i sottili e stilisticamente raffinati trattati dei mistici bulgari e serbi penetrano in Russia. Numerose, nel 14° e 15° sec., le storie della battaglia di Kulikovo; la più nota è la Zadonščina («L’epopea d’oltre Don», fine del 14° sec.), di cui sarebbe autore, secondo alcuni manoscritti, Sofonija, un religioso di Rjazan´. La Zadonščina, oltre a riprendere motivi dell’epica popolare, imita immagini, procedimenti e situazioni dello Slovo o polku Igoreve. Epifanij Premudrij, nella sua vita di Stefano di Perm´ e in quella di Sergio di Radonež, fornisce un alto esempio russo della tecnica dell’‘intreccio di parole’, elaborata originariamente nella scuola bulgara di Tărnovo.
Al di fuori del filone storico e agiografico si situa il Choždenie za tri morja Afanasija Nikitina («Viaggio al di là dei tre mari di Afanasij Nikitin»), resoconto del viaggio avventuroso in Persia e in India compiuto tra il 1466 e il 1472 per scopi commerciali da un mercante di Tver´ che morì sulla via del ritorno. È una sorta di diario vivace, ricco di osservazioni, scritto da un uomo di non grande cultura; un’opera eccezionale in una letteratura dotta d’ispirazione quasi esclusivamente religiosa.
Solo verso la fine del 15° sec., sotto il regno di Ivan III, la Rus´ moscovita diventa un forte Stato unitario e nel 1480 riesce a liberarsi dal dominio dell’Orda d’Oro; la Chiesa russa si stacca da quella bizantina, rivendicando la propria autonomia e proclamandosi erede della missione di Costantinopoli dopo la caduta della città in mano ai Turchi (1453); agli inizi del secolo successivo il monaco Filofej elaborerà la teoria di Mosca terza Roma. Negli scritti di Nil Sorskij, fautore di un monachesimo povero e contrario alla proprietà ecclesiastica di beni materiali, e di Iosif Volockij (entrambi 15°-16° sec.), sostenitore del potere temporale della Chiesa e del diritto dei monasteri a possedere terre e beni, si riflettono le idee delle due principali correnti del monachesimo russo. Maksim Grek (Massimo il Greco, 15°-16° sec.), monaco del Monte Àthos inviato a Mosca per provvedere alla revisione dei testi sacri, è uno dei tramiti dell’influenza occidentale sulla letteratura russa; scrittore fecondo, è autore di un racconto sulla vita e la morte di Savonarola.
Dall’Occidente, dal granducato di Lituania, viene anche I.S. Peresvetov, che conferisce dignità letteraria al genere burocratico della čelobitnaja («lettera di omaggio») e introduce nella letteratura russa la finzione artistica. Spirito innovatore fu anche Ermolaj-Erazm (m. 1550 ca.), autore di un audace progetto di riforme economiche e di un’opera della narrativa antico-russa lontana dagli stereotipi dell’agiografia, la Povest´ o Petre i Fevronii («Leggenda di Pietro e Fevronia»). Di grande interesse linguistico e storico è la corrispondenza degli anni 1564-79 tra Ivan IV il Terribile e il principe A.M. Kurbskij, fuggito in Lituania per sottrarsi all’ira dello zar. Kurbskij accusa Ivan di aver distrutto il fiore della nobiltà russa ed esibisce la sua cultura letteraria di aristocratico; Ivan sostiene energicamente il suo buon diritto di autocrate, discendente diretto di Cesare Augusto e rappresentante di Dio sulla terra, e si dimostra a sua volta scrittore istintivo, ma colto e abile nel maneggiare il russo e lo slavo ecclesiastico.
Il 16° sec. è caratterizzato da uno sforzo di unificazione della vita politica, economica, religiosa e familiare del paese, condotto anche attraverso l’elaborazione di regole comuni. Il Domostroj («Governo della casa») propone norme di vita familiare valide per tutti i ceti e indica regole di comportamento per i padroni e per la servitù: ordine, pulizia, estrema parsimonia, rispetto delle gerarchie familiari. Scopi analoghi, in ambito religioso, persegue lo Stoglav («Cento capitoli»), raccolta di provvedimenti emanati dal Concilio del 1551 per la formazione del clero e il rafforzamento dell’unità della Chiesa. Coronano quest’opera di sistematizzazione alcune raccolte monumentali di carattere storico e agiografico, come il Licevoj letopisnyj svod («Raccolta illustrata di cronache»), originale summa della storia russa con più di mille illustrazioni; la Stepennaja kniga carskago rodoslovija («Libro dei gradi della genealogia degli zar»), dove si narrano le vite dei singoli zar; i Velikie čet´i minei («Grandi letture mensili»), 12 volumi, uno per mese, redatti dal metropolita di Mosca Macario (1482-1563) e contenenti testi originali e tradotti, vite di santi per ogni giorno dell’anno, secondo il calendario liturgico.
Nel 17° sec. la R., per effetto dei contatti stabiliti attraverso le guerre, il commercio e la diplomazia, esce dall’isolamento aprendo anche la letteratura a influenze europee mediante traduzioni, rifacimenti e l’assimilazione di temi e mezzi espressivi propri della letteratura d’invenzione. La letteratura del primo trentennio del secolo ha come tema centrale gli avvenimenti dell’epoca dei torbidi. Il Chronograf («Cronografo», 1617) costituisce un passo importante sulla via della secolarizzazione della storiografia russa; si attenua la rigida divisione dei personaggi in buoni e cattivi, si cominciano a descrivere caratteri complessi e contraddittori come quello di Boris Godunov. Nel 1631 si trasforma in Accademia il Collegio mogiliano (dal nome del metropolita moldavo P. Movilă, in russo Mogila) di Kiev, dove si insegnano la teologia, la filosofia, ma anche la retorica; l’Accademia favorisce la diffusione della poesia metrica barocca ucraina e introduce a Mosca un nuovo genere letterario, il dramma scolastico. Il barocco russo differisce per alcuni tratti essenziali da quello dei paesi che hanno conosciuto la Riforma e la Controriforma: nell’Europa orientale di civiltà bizantino-slava, che non ha avuto un’esperienza rinascimentale, il barocco si fa parzialmente portatore anche di valori culturali dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Il bielorusso S. Polockij può essere considerato il primo poeta del granducato di Mosca, poiché concepisce modernamente la poesia come autonoma forma espressiva e introduce nello Stato moscovita la poesia sillabica di derivazione polacca. Fino al 17° sec., la letteratura scritta si esprimeva in prosa, mentre la poesia popolare, che conosceva da tempo le forme metriche, era soltanto orale. Polockij porta inoltre a Mosca (dove era sorta, sul modello kieviano, l’Accademia slavo-greco-latina) la tradizione del teatro scolastico dei gesuiti, scrivendo commedie in versi di argomento biblico. Il primo dramma è invece l’Artakserksevo dejstvo («Azione di Artaserse»), presentato al teatro di corte russo nel 1672 dal pastore luterano tedesco J.G. Gregori.
Si formano, nel corso del Seicento, generi prosastici di tipo moderno; l’elemento della narratio diventa visibile in opere diverse per genere e stile, come la povest´ di Savva Grudcyn, ricca di elementi popolari, che introduce il tema faustiano del patto con il diavolo, o quella di Karp Sutulov, di intonazione anticlericale, dove si raccontano gli stratagemmi ideati dalla saggia moglie di un mercante per difendere la propria virtù, o ancora la povest´ satirica di Erš Eršovič, che ha per protagonisti dei pesci, testimoniando l’inserimento delle vicende di animali nella letteratura scritta. Con la storia di Frol Skobeev compaiono nella narrativa elementi picareschi e il termine povest´ comincia ad assumere un’accezione non lontana da quella moderna («novella», «racconto»), mentre la Povest´ o Gore-Zločastii («Storia di Dolore-Malasorte») utilizza i principi del verso epico delle byliny (➔ bylina) e quelli del duchovnyj stich («verso spirituale») per narrare le disavventure di un giovane colpito dalla malasorte dopo aver violato i precetti morali trasmessi dai genitori. Grande fortuna ha la Skazanie pro Bovu Koroleviča («Storia di Bova principe»).
Verso la metà del 17° sec. il patriarca Nikon introduce nella Chiesa russa una serie di riforme liturgiche, approvate dal Concilio del 1656, ma violentemente respinte da una parte del clero e dei fedeli, che prendono il nome di ‘vecchi credenti’ e danno origine a uno scisma. Un battagliero rappresentante dei vecchi credenti, l’arciprete Avvakum, ferocemente perseguitato e poi arso sul rogo (1682), lascia le opere letterarie più importanti e innovative del secolo; la sua autobiografia, eccezionale per forza espressiva e originalità di linguaggio, fa ricorso a forme linguistiche popolari e conclude il periodo moscovita della letteratura russa, segnando l’inizio di una nuova stagione letteraria. Il concetto di stile individuale, la presenza dell’autore e della sua biografia avevano cominciato a manifestarsi nella letteratura ucraina e russa tra la fine del 16° e l’inizio del 17° sec., e sul finire del Seicento si affermano definitivamente.
Al Seicento risalgono anche le prime trascrizioni di materiale folclorico. La ricchissima tradizione folclorica dell’antica Rus´ era trasmessa dagli skomorochi, attori girovaghi e menestrelli, attivi fin dall’11° sec., rinati nel 16° dopo la fine della dominazione tatara, malvisti dalla Chiesa e messi fuori legge dallo zar Alessio alla metà del 17° secolo. Nel 1619-20 sei canzoni storiche russe sono trascritte per R. James, uno degli ambasciatori inglesi inviati da Giacomo I allo zar Michele III. Le canzoni epiche russe vengono di solito divise in due categorie: le byliny, in cui prevale l’elemento mitico e leggendario, e le canzoni storiche, che si riferiscono a eventi e personaggi reali. Nelle byliny si distinguono il ciclo di Kiev, che ruota intorno al principe Vladimiro e ai suoi Bogatyri (Il´ja Muromec, Dobrynja Nikitič e Alëša Popovič), e il ciclo della città mercantile di Novgorod, che annovera tra i suoi eroi Sadko e Vasilij Buslaev. Le canzoni storiche esaltano le gesta di personaggi contemporanei: Ivan il Terribile, Ermak, Sten´ka Razin. Altre forme di folclore dell’antica Rus´ sono i canti di tipo rituale per propiziare la pioggia o la fertilità della terra e i canti profani, come quelli di carnevale o dei briganti; diffusa è anche la poesia lirica popolare e quella a sfondo religioso dei duchovnye stichi. Una delle prime raccolte di byliny è quella di K. Danilov, pubblicata proprio all’inizio di quel 19° sec. che vedrà sorgere un vivace interesse per il folclore e moltiplicarsi raccolte e studi.
Il periodo di Pietro I il Grande segna una svolta radicale nella letteratura come nella storia russa, ma in letteratura la sua portata diventerà visibile solo nel periodo successivo. Alla morte di Pietro I, il divario culturale tra R. e Occidente, ancora abissale quando egli sale al trono, si è enormemente ridotto. Se fino al secolo precedente l’elemento religioso aveva avuto un peso determinante in un sistema letterario che, malgrado le numerose innovazioni, aveva le sue radici nella cultura bizantina, la letteratura del nuovo secolo s’ispira a modelli occidentali. Costruendo la sua nuova capitale, San Pietroburgo, Pietro fonda un grande mito letterario e dà inizio al periodo pietroburghese della letteratura russa, che si protrarrà fino alla rivoluzione del 1917.
Nel 1710 Pietro introduce l’alfabeto civile, una semplificazione grafica della scrittura in corsivo che la avvicina all’alfabeto latino, tracciando una netta distinzione funzionale tra russo e slavo ecclesiastico. La creazione della nuova R., nel disegno dello zar, richiede anche la creazione di una nuova lingua letteraria. Sostenitore delle riforme di Pietro è Feofan Prokopovič, esperto di retorica, teologia e filosofia, autore di una poetica in latino e di un abbecedario grazie al quale i bambini imparano a leggere in ‘semplice’ lingua russa e non più nella lingua della liturgia. V. Tredjakovskij, in un primo tempo, difende il primato della lingua parlata nella formazione di una lingua letteraria russa moderna, affine a quelle occidentali; propone un tipo di versificazione più aderente ai caratteri della lingua russa ed espone un sistema dei generi poetici.
A. Kantemir è il primo poeta originale russo del secolo, noto soprattutto per le sue satire in rima e in metro sillabico, tra le quali la famosa Na chuljaščich učenie («Contro i nemici dell’istruzione», 1729); traduttore di N. Boileau e B. Fontenelle, contribuisce alla formazione di una nuova coscienza teorico-letteraria, di una letteratura laica moderna. M. Lomonosov, geniale chimico, fisico, linguista, poeta, offre un contributo determinante al rinnovamento della scienza e delle lettere: elabora una nuova metrica, partecipa al dibattito linguistico del tempo con opere normative come la Rossijskaja grammatika («Grammatica russa», 1757) e il trattato O pol´ze knig cerkovnych v Rossijskom jazyke («Dell’utilità dei libri ecclesiastici per la lingua russa», 1757), nel quale espone la teoria classica dei tre stili. È autore di epistole, anche di contenuto scientifico, e di odi, alcune delle quali offrono un notevole esempio di poesia filosofica. Il prolifico A. Sumarokov, autore teatrale, scrive anche un’epistola sulla poesia, favole, satire contro la burocrazia, canzoni, seguendo i dettami del classicismo.
La profonda influenza del classicismo francese favorisce l’elaborazione di un sistema di generi letterari: M. Cheraskov, autore di poemi epici di grande successo come la Rossijada («Rossiade», 1779) e il Vladimir (1785), introduce i generi dell’elegia e dell’epistola in versi, nuovi per la letteratura russa; si diffonde l’ode anacreontica, specialmente per merito dell’ucraino V. Kapnist, che nella commedia Jabeda («Il raggiro», 1793) denuncia la corruzione del sistema giudiziario; il poema eroicomico trova un cultore in V. Majkov, con il suo Elisej ili razdražënnyj Vakch («Elisej o Bacco infuriato», 1771). M. Murav´ëv e I. Bogdanovič introducono in R. la poésie fugitive (lëgkaja poezija), che i seguaci di N. Karamzin impiegheranno contro la retorica classica. La favolistica gode del favore dei classicisti, da Cheraskov a Majkov, e trova in I. Chemnicer un fedele cultore. Il principe M. Ščerbatov, critico dell’occidentalizzazione voluta da Pietro e della corruzione dei costumi di cui essa sarebbe stata causa, scrive il racconto utopistico Putešestvie v zemlju Ofirskuju g. S. švedskogo dvorjanina («Viaggio nella terra di Ofir del sig. S., nobile svedese», 1783-84), quadro di uno Stato ideale e critica implicita dello Stato russo.
Le istituzioni culturali, il sistema di istruzione, il giornalismo e il teatro conoscono un grande sviluppo durante il regno di Caterina II, che, salita al trono nel 1762, intraprende un’opera di riordinamento e di riforme legislative, visibilmente influenzata dal pensiero di Montesquieu. Buona propagandista delle sue riforme, Caterina si presenta come una sovrana illuminata, intrattiene una vivace corrispondenza con gli illuministi francesi, acquista la biblioteca di Diderot, offrendogli l’aiuto economico di cui ha bisogno.
Grande sviluppo riceve il giornalismo. Nel 1759 Sumarokov aveva pubblicato a proprie spese la Trudoljubivaja pčela («L’ape operosa»), rivista letteraria e satirica. A Mosca Cheraskov imprime la sua concezione classicista della letteratura alle riviste Poleznoe uveselenie («Utile divertimento», 1760-62) e Svobodnye časy («Ore libere», 1763). Si comincia a creare un pubblico letterario anche in provincia. È però con l’uscita di Vsjakaja vsjačina («Di tutto un po’», 1769) che la situazione muta; la rivista ha un taglio satirico, vi collabora con articoli anonimi l’imperatrice stessa, incoraggiando la nascita di altre riviste di satira dal tono didascalico. Assai più vivace è la satira nelle riviste di N. Novikov Truten´ («Il fuco», 1769-70), Pustomelja («Il chiacchierone», 1770) e Živopisec («Il pittore», 1772-73), ispirate allo Spectator di J. Addison. Tra le riviste dell’epoca vanno ricordate anche Adskaja počta («La posta dell’inferno», 1769) di F. Emin, scritta in forma di corrispondenza tra due diavoli, e le riviste vivacemente polemiche di M. Čulkov.
La futura Caterina II fonda (1756) a San Pietroburgo il Rossijskij Teatr, primo teatro stabile russo, diretto da Sumarokov, promuove la traduzione di testi, fa aprire una scuola per attori; il teatro ha un intento didascalico, e i testi stranieri vengono adattati all’ambiente russo perché il pubblico possa coglierne il messaggio educativo. D. Fonvizin, pur russificando modelli stranieri, dimostra grande originalità nelle sue commedie Brigadir («Il brigadiere», 1769), satira della gallomania della nuova generazione e dell’oscurantismo bigotto della vecchia, e Nedorosl´ («Il minorenne», 1782) che traspone in una situazione tipicamente russa la tradizione del teatro comico europeo.
Il classicismo considera il romanzo un genere basso, a meno che non abbia chiare finalità didascaliche. Fino alla metà del 18° sec. non vi sono romanzi russi d’amore o d’avventure; Emin e Čulkov sono i primi a diffondere il genere. A Emin si deve Nepostojannaja fortuna, ili pochoždenija Miramonda («La fortuna incostante o le avventure di Miramondo», 1763), ispirato alla vita avventurosa dell’autore, mentre Čulkov, nel suo romanzo incompiuto Prigožaja povaricha ili pochoždenie razvratnoj ženščiny («La cuoca avvenente o l’avventura di una donna dissoluta», 1770), si richiama a generi ‘bassi’ come il comico e il picaresco.
Nell’ambito della poesia s’impone la personalità di G. Deržavin, il poeta più originale del suo secolo, capace di mescolare audacemente comico e sublime, di dare spazio alla lingua ‘bassa’ in un genere ‘alto’ come l’ode, trasgredendo l’idea lomonosoviana di stile elevato. Accanto alle sue odi più celebri, sono da ricordare le Anakreontičeskie pesni («Canti anacreontici», 1804), i cui temi personali e domestici precorrono il sentimentalismo, e le opere della vecchiaia, ancora piene di vigore e di un gioioso epicureismo.
Gli eventi politici europei dell’ultimo scorcio del 18° e dell’inizio del 19° sec., come la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, e in particolare la campagna di R. del 1812, suscitano nel paese nuove energie intellettuali e politiche. A. Radiščev, inviato a Lipsia da Caterina II per completarvi gli studi, viene a contatto con le idee che apriranno la strada alla Rivoluzione francese. Il suo Putešestvie iz Peterburga v Moskvu («Viaggio da Pietroburgo a Mosca», 1790), pubblicato anonimo, che deve in parte a L. Sterne la sua tecnica, cerca di applicare alla R. le idee di diritto e di giustizia sociale e descrive gli orrori della servitù della gleba. L’opera, giudicata pericolosa, costò all’autore l’esilio in Siberia fino alla fine del regno di Caterina. Radiščev è anche un buon poeta e autore di povesti sentimentali, rispondenti al rapido mutamento della sensibilità letteraria.
Favoriscono il diffondersi di un diverso clima letterario le traduzioni di Pamela (1740) e Clarissa Harlowe (1747-48) di S. Richardson, di Tristram Shandy (1760-67) e del Sentimental journey (1768) di Sterne, della Nouvelle Héloïse (1761) di J.-J. Rousseau, dei Leiden des jungen Werthers di J.W. Goethe (1774), dei canti di Ossian e di altre opere del preromanticismo europeo, ormai accessibili al pubblico russo poco dopo la pubblicazione originale. Sorge il problema di creare una lingua adeguata alla nuova epoca e ai nuovi generi letterari; a circa un secolo dai primi tentativi di codificazione della lingua letteraria russa, si riapre la polemica tra ‘arcaisti’ e ‘innovatori’. L’arcaista A. Šiškov (18°-19° sec.) vede la particolarità del russo letterario nel suo legame con lo slavo ecclesiastico, combatte la confusione tra lingua letteraria e lingua parlata, sostiene che slavo ecclesiastico e russo sono in realtà la stessa lingua nelle sue espressioni ‘elevata’ e ‘semplice’. L’innovatore N. Karamzin, viceversa, invita a eliminare le parole dotte slave, a scrivere come si parla, orientandosi sulla lingua colloquiale dell’élite intellettuale, influenzata dal francese e da altre lingue europee.
Si formano alcuni circoli letterari: la Beseda ljubitelej russkogo sloga («Conversazione degli amanti della parola russa», 1811-16), che si riunisce da Deržavin e raccoglie i sostenitori di Šiškov, e lo scanzonato e informale Arzamas, di orientamento opposto. Del primo fa parte, tra gli altri, I. Krylov che, dopo aver scritto alcune opere teatrali e aver tentato di far rinascere il giornalismo satirico, trova la sua vena migliore in un genere molto popolare tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento: la favola. Le favole di Krylov, ispirate a J. de La Fontaine ma profondamente radicate nella realtà russa, hanno un enorme successo: la loro satira senza violenza, la morale dettata dal buon senso borghese, la scrittura ironica e vivace, la lingua originale, nutrita di detti e proverbi popolari, piacciono ai contemporanei.
La personalità letteraria che meglio riassume le nuove tendenze che si delineano nel passaggio da un secolo all’altro è però quella di Karamzin, uomo di cultura cosmopolita, aperto a quel nuovo tipo di sensibilità che prende il nome di sentimentalismo. L’opera che conquista a Karamzin la massima popolarità e segna una tappa importante nella formazione della narrativa moderna è Bednaja Liza («La povera Liza», 1792), lacrimevole storia di una fanciulla sedotta e abbandonata, in piena sintonia con il gusto sentimentale. Sarà poi Karamzin stesso a superare il sentimentalismo nelle sue ultime opere, usando anche i toni dell’ironia e del sarcasmo in Moja ispoved´ («La mia confessione», 1802).
Dall’incontro-scontro delle varie tendenze che si intersecano agli inizi del secolo emerge una linea predominante, rappresentata da giovani nobili, cultori della poesia, innovatori della lingua, aperti allo spirito del sentimentalismo e del Romanticismo, benché spesso ancorati alle forme del classicismo settecentesco; alcuni sono raccolti nel circolo dell’Arzamas, come V. Žukovskij, eccellente traduttore e autore di popolarissime ballate; P. Vjazemskij, teorico del Romanticismo, poeta elegante e leggero; K. Batjuškov, il cui classicismo affonda le sue radici nella tradizione latina e italiana; il giovanissimo A. Puškin. L’elegia, la poésie fugitive, l’epistola agli amici sono i generi preferiti dagli arzamasiani. Il Romanticismo domina, in varie forme, la vita letteraria degli anni 1820 e 1830.
Grande è il debito di Puškin verso coloro che gli hanno preparato il cammino e che, insieme con lui e con i poeti della cosiddetta pleiade puškiniana (D. Davydov, A. Del´vig, E. Baratynskij, N. Jazykov), hanno fatto parlare di un’età dell’oro della poesia. Baratynskij è, con D. Venevitinov, uno dei pochi rappresentanti di una poesia filosofica di alto livello. Con Puškin, tuttavia, si apre una pagina totalmente nuova della letteratura russa, che entra nel novero delle grandi letterature europee. Puškin trasforma innovando i generi letterari sin dal Ruslan i Ljudmila («Ruslan e Ljudmila», 1820), fusione del poema fantastico con elementi del folclore; con il romanzo in versi Evgenij Onegin (1825-33) crea un nuovo genere e preannuncia il passaggio alla prosa. La sua scrittura limpida, concisa, classica, da Pikovaja dama («La dama di picche», 1833) a Kapitanskaja dočka («La figlia del capitano», 1836), dà inizio a una delle linee della narrativa russa. Nuovo è anche il genere delle ‘piccole tragedie’ (tra le quali spiccano Mocart i Sal´eri «Mozart e Salieri» e Kamennyj gost´«Il convitato di pietra»).
Amici e sodali di Puškin sono i giovani decabristi, come il compagno di liceo V. Kjuchel´beker, poeta, drammaturgo e romanziere, e il poeta K. Ryleev, autore di ballate storiche e di poemi sulla storia ucraina. Legato ai decabristi è anche A. Griboedov, che deve la sua fama a un’unica geniale commedia, Gore ot uma («Che disgrazia l’ingegno», 1824), satira di un mondo chiuso e immobile con il quale si scontra il libero ingegno del protagonista.
Negli anni 1830 si delinea il passaggio dai generi poetici alla prosa, si rompe la continuità con il vecchio romanzo di avventure o picaresco, nello stile di V. Narežnyj, che pure andava oltre la semplice trasposizione di modelli francesi. In ambito romantico, a parte gli originali esperimenti di A. Vel´tman, prosatore immaginifico vicino ai romantici tedeschi, le ricerche più compiute di nuove forme narrative sono quelle dell’hoffmanniano V. Odoevskij, che con Russkie noči («Notti russe», 1844) introduce in R. la novella filosofica in forma di conversazione, e quelle di A. Bestužev, che va dal ciclo di novelle riunite da una comune cornice alla povest´ e al romanzo. L’opera che getta le basi del romanzo psicologico russo è Geroj našego vremeni («Un eroe del nostro tempo», 1839-40), scritta da uno dei maggiori poeti russi, M. Lermontov. Malgrado l’esiguità della produzione matura, Lermontov esprime con grande maestria formale la nostalgia romantica per terre lontane, il dolore di una moderna coscienza lacerata, dal byroniano poema Demon («Il demone», 1829-41) all’enigmatico poemetto Mcyri («Il novizio», 1839), fino al dramma Maskarad («Il ballo in maschera», 1835).
Tra i poeti di questa stagione ormai volta alla prosa sono da ricordare A. Kol´cov per le sue canzoni popolari e F. Tjutčev, poeta metafisico di grande statura, che contrappone dualisticamente Cosmo e Caos, canta la natura e l’amore in versi dal ritmo ampio, senza ignorare i toni dell’oratoria nella poesia politica.
Se i poeti Puškin e Lermontov avevano dato alla prosa apporti brillanti, N. Gogol´ sintetizza le esperienze precedenti, incluse quelle dei romantici tedeschi, creando una prosa originalissima. Uomo pieno di contraddizioni viene inteso solo in parte dalla critica contemporanea. I detrattori contrappongono il principio gogoliano, oscuro e ambiguo, alla serena luminosità del principio puškiniano; gli ammiratori, come V. Belinskij, vedono in lui soltanto il padre della ‘scuola naturale’, il fondatore del realismo russo. Per oltre mezzo secolo sfugge la potenza della componente fantastica dei suoi scritti, popolati di diavoli e ‘forze impure’. Da Gogol´ i realisti della generazione successiva imparano la libertà nel parlare di aspetti bassi o volgari dell’esistenza, l’attenzione al dettaglio espressivo, mentre gli scrittori del Novecento prendono la componente grottesca.
Gli anni 1830 e 1840 hanno un peso rilevante nella vita culturale e letteraria russa: l’intensificarsi dei contatti con l’Occidente a partire dalle guerre napoleoniche, la penetrazione dell’idealismo tedesco e del fourierismo, l’affermazione di una grande letteratura russa stimolano un nuovo atteggiamento, misto di ammirazione e di aspra critica, nei confronti del resto d’Europa, e una rivalutazione della tradizione nazionale. La pubblicazione della prima versione russa delle Lettres sur la philosophie de l’histoire (1836) di P. Čaadaev, che sostiene la superiorità culturale dell’Europa occidentale e attribuisce l’arretratezza della R. al suo legame con Bisanzio (l’ortodossia) anziché con Roma (il cattolicesimo), provoca violente discussioni; il Teleskop, la rivista che l’ha pubblicata, viene soppresso, Čaadaev è dichiarato pazzo. Si delineano nette le correnti degli occidentalisti e degli slavofili, che attraversano tutta la storia culturale della Russia. Tra gli occidentalisti sono attivi T. Granovskij, A. Herzen e Belinskij, vero leader dello schieramento, giornalista e critico veemente e geniale, le cui idee favoriranno il multiforme sviluppo del realismo russo. Gli slavofili, che annoverano nelle loro file personalità come A. Chomjakov, i fratelli I. e P. Kireevskij, S. Aksakov e i suoi figli Konstantin e Ivan, si avvalgono di categorie riconducibili al Romanticismo nella loro appassionata riflessione sul carattere nazionale della cultura russa e sulle sue matrici.
Emergono come gruppo culturalmente egemone i raznocincy («uomini di classi diverse»), prima generazione di intellettuali non nobili. L’intelligencija, esclusa dalla vita pubblica, avverte comunque una responsabilità civile, espressa attraverso le riviste e la letteratura, che si assume compiti sociali o apertamente politici. Sorgono importanti riviste; il Sovremennik («Il contemporaneo»), fondato nel 1836 da Puškin, passa nel 1846 nelle mani di N. Nekrasov. Si apre la controversia tra arte impegnata e arte per l’arte, critica utilitaria e critica estetica. A questo periodo risalgono alcune delle migliori liriche di A. Fet, poeta ‘puro’, riconosciuto poi dai simbolisti quale loro predecessore, accanto a quelle di J. Polonskij, di A. Majkov e del poeta e critico slavofilo A. Grigor´ev.
Il teatro conosce una nuova fioritura nella seconda metà del secolo, con il dramma storico di A.K. Tolstoj, la satira crudele di A. Suchovo-Kobylin, la commedia psicologica di I. Turgenev. Il nuovo genere di commedia di A. Ostrovskij s’impone nel panorama teatrale per il suo realismo drammatico con opere spesso ambientate tra i mercanti di Mosca e della provincia, dei quali mostrano l’avidità, la grettezza, il dispotismo familiare.
Il popolo è il protagonista della poesia di Nekrasov, ora vigorosamente oratoria, ora intessuta di motivi del folclore contadino e di elementi del linguaggio quotidiano, nello spirito della canzone popolare. I poemi Moroz, krasnyj nos («Gelo, naso rosso», 1864) e Komu na Rusi žit´ chorošo? («Chi vive bene in Russia?», 1866-76) sono esempi di una poesia libera dai modelli tradizionali, il cui contenuto sociale ha fatto passare in secondo piano le notevoli qualità poetiche.
Herzen, noto anzitutto come giornalista e politico, fa entrare clandestinamente in R. la sua rivista Kolokol («La campana», 1857-67), pubblicata a Londra, una delle sedi del suo lungo esilio. Memorie personali e riflessioni storiche si amalgamano felicemente nel suo Byloe i dumy («Passato e pensieri», 1867), in una scrittura elegante e ironica che raggiunge momenti di vera poesia. Ad accentuare l’impulso verso un realismo attento ai problemi sociali contribuisce la critica radicale e razionalistica di N. Dobroljubov, D. Pisarev e N. Černyševskij, autore del celebre romanzo Čto delat´? («Che fare?», 1863). Si elaborano in questa atmosfera i valori del populismo, sorto dopo il 1848 come risposta russa alle rivoluzioni europee, esperienza politica e culturale decisiva per più di una generazione. In letteratura, l’impronta del populismo è profonda; basti ricordare la narrativa di G. Uspenskij.
È il genere dominante nella seconda metà dell’Ottocento e costituisce il principale contributo della letteratura russa a quella europea. I grandi romanzieri russi godono in Europa di una popolarità ignota al genio di Puškin e Lermontov. Turgenev, molto noto all’estero per i suoi lunghi soggiorni in Francia, esordisce con versi, lavori teatrali e racconti; la sua prima opera in prosa di grande risonanza è Zapiski ochotnika («Memorie di un cacciatore», 1852), una serie di racconti sulla vita contadina, interpretati sia dalle autorità sia dalla critica radicale come una denuncia della servitù della gleba. Turgenev cerca poi di esprimere le inquietudini del suo tempo con alcuni romanzi nei quali compaiono personaggi emblematici della società russa. Sulla figura del nichilista Bazarov di Otcy i deti («Padri e figli», 1862) avviene la rottura con la critica radicale. Meglio dei suoi romanzi hanno resistito al tempo alcune delicate storie d’amore come Asja (1858), Pervaja ljubov´ («Primo amore», 1860), Vešnye vody («Acque di primavera», 1872).
Lontani dai romanzi a tesi allora in voga sono Semejnaja chronika («Cronaca familiare», 1856) e Detskie gody Bagrova-vnuka («Anni d’infanzia di Bagrov nipote», 1858) di Aksakov, che comincia a scrivere tardi, stimolato da Gogol´. In quella corale riflessione storica e psicologica, etica e filosofica che rende così peculiare il romanzo russo dell’Ottocento, l’Oblomov (1859) di I. Gončarov propone un’ottica del tutto originale. Dal nome del protagonista, divenuto un simbolo, è stato coniato il termine oblomovismo per indicare l’inguaribile inerzia di un ceto parassitario in decadenza; Oblomov è tuttavia figura più complessa, e la sua proverbiale pigrizia va interpretata come una forma di tenace resistenza al modello di vita frenetica incarnato dal suo antipode, il tedesco Stolz, e come difesa della libertà di sognare e di riflettere. M. Saltykov (noto come Saltykov-Ščedrin) usa l’arma della satira violenta, suscitando un’eco immediata in molti contemporanei quando, in Istorija odnogo goroda («Storia di una città», 1869-70), rappresenta su scala cittadina la storia della R. e dei suoi governanti, o quando, in Gospoda Golovlëvy («I signori Golovlëv», 1875-80), descrive in modo cupo e magistrale la decadenza e la definitiva rovina di una ricca famiglia di proprietari terrieri.
L’opera di F. Dostoevskij è animata da una possente carica ideologica che è in realtà una perenne interrogazione su tematiche quali la libertà dell’uomo, il socialismo, il bene, il male, Cristo, l’età dell’oro; l’intensità drammatica di questi interrogativi e la tumultuosa vita dello scrittore hanno sovente messo in ombra le qualità artistiche, rivelatesi sin dall’esordio nel romanzo epistolare Bednye ljudi («Povera gente», 1846). Le altre opere del periodo che precede la condanna ai lavori forzati mostrano già una grande complessità tematica e stilistica. L’esperienza di forzato ispira Zapiski iz mërtvogo doma («Memorie da una casa di morti», 1861-62), riflessione sulla libertà e la dignità umana, che segna l’inizio di una fase del tutto nuova; la dialettica tra verità e libertà sarà il tema centrale del Dostoevskij maturo. Nella ‘casa dei morti’ si stabilisce un difficile contatto con il popolo che muta il rapporto dello scrittore con la fede, lo induce a ‘scegliere Cristo’, come confermerà nei grandi romanzi, da Prestuplenie i nakazanie («Delitto e castigo», 1866) a Brat´ja Karamazovy («I fratelli Karamazov», 1878-80): costruiti intorno a un’idea filosofico-religiosa o politico-sociale, centro organizzatore dell’intreccio, essi danno vita a eroi in rivolta, come Raskol´nikov (Delitto e castigo) e Stavrogin (Besy «I demoni», 1871-73), o pervasi di amore cristiano, come Sonja Marmeladova (Delitto e castigo) o il principe Myškin (Idiot «L’idiota», 1868-69), colti sempre in momenti di crisi drammatica.
La ricerca della verità e la profondità dell’esperienza spirituale accomunano Dostoevskij all’altro grande romanziere russo, L. Tolstoj, malgrado la radicale differenza di pensiero, vita, procedimenti letterari. Tolstoj, immerso nei problemi del suo tempo, li considera sotto l’aspetto etico e psicologico oppure storico. Dal giovanile Kazaki («I cosacchi», pubbl. 1863) all’epico Vojna i mir («Guerra e pace», 1865-69), i portatori della sanità morale sono coloro che vivono secondo natura: la coscienza del bene e del male spezza l’integrità dell’uomo, che può ricostituirla e recuperare i veri valori morali solo accanto al popolo, secondo la lezione di J.-J. Rousseau. Circa un decennio separa Anna Karenina (1875-77) da Vojna i mir: la servitù della gleba è stata abolita da molti anni, è venuta meno la fiducia nel cammino da seguire, regnano inquietudine, smarrimento, fino alla disperazione che, con il suicidio di Anna, conclude idealmente il romanzo. Negli anni successivi, pur attraversando una crisi che lo porterà a dedicarsi ad attività educative e religiose, Tolstoj scrive ancora alcuni romanzi, opere teatrali e splendidi racconti. Il distacco dalla letteratura diventerà quasi definitivo dopo Čto takoe iskusstvo? («Che cos’è l’arte?», 1897-98); da quel momento Tolstoj sarà un critico delle istituzioni, un pensatore religioso, un pacifista.
Alle teorie tolstoiane si avvicina con le figure dei suoi ‘giusti’ N. Leskov, che occupa un posto a sé nella narrativa dell’Ottocento per la ricchezza del linguaggio, impasto fecondo di forme dialettali, di etimologie popolari, di voci dei gerghi professionali o dello slavo ecclesiastico, e per l’uso sapiente dello skaz, tecnica che riproduce l’intonazione del linguaggio parlato di un narratore fittizio. Il suo stile, dimostrazione della vitalità della letteratura popolare orale, ha fortemente segnato scrittori novecenteschi come A. Remizov ed E. Zamjatin.
Finita la stagione dei giganti del romanzo realista, si affermano i generi brevi, in autori pregevoli come V. Garšin, dotato di una visione tragica della vita e di una sensibilità morbosa che lo porterà alla follia e al suicidio, o V. Korolenko, che combatte con mitezza, nella vita e nell’opera letteraria, l’ingiustizia sociale e la malvagità umana.
Il creatore di una nuova forma di racconto, destinata a godere di uno straordinario successo in R. e all’estero, è A. Čechov, che inizia a pubblicare racconti umoristici nel 1880 sotto vari pseudonimi. Presto, oltre la superficie comica, traspare una malinconica attenzione agli aspetti apparentemente insignificanti e grigi della vita, e si delineano le caratteristiche del racconto čechoviano: tinte tenui, capacità di cogliere le minime variazioni degli stati d’animo, importanza dei dettagli, salda costruzione dell’intreccio. Non ci sono forti personalità, né grandi azioni, né alte idealità; l’attenzione è spostata verso l’uomo comune, i gesti banali, quotidiani. Nei racconti come nelle opere teatrali si avverte un senso di estraneità; l’incomunicabilità tra i personaggi rivela l’insoddisfazione di sé, l’opacità della vita. La collaborazione di Čechov con il Teatro d’arte di K. Stanislavskij dà inizio a un totale rinnovamento dell’arte teatrale che continuerà nei decenni successivi, in direzioni diverse.
M. Gor´kij esordisce come scrittore romantico, cantore dei vagabondi, dei liberi individui anarchici che si oppongono alle regole della società, con Makar Čudra (1892), Starucha Izergil´ (1894), Čelkaš (1895). In un decennio pervaso di misticismo e di oscure premonizioni, i racconti del giovane autodidatta dalla vita avventurosa conquistano un’immediata popolarità. Più tardi Gor´kij partecipa al circolo di tendenza realista Sreda («Mercoledì») e nel 1904 fonda gli almanacchi di Znanie («Conoscenza»), che pubblicano opere degli scrittori del gruppo, tra cui A. Serafimovič (pseudonimo di A. Popov), V. Veresaev (pseudonimo di V. Smidovič), A. Kuprin, I. Bunin, L. Andreev. Nel passaggio tra i due secoli spiccano le figure di V. Solov´ëv e V. Rozanov. A Solov´ëv, filosofo e letterato, si ricollega gran parte del pensiero religioso del 20° sec.; a lui si richiamano esplicitamente, come a un maestro, i simbolisti nella loro fase mistica. A Rozanov la scrittura del Novecento è debitrice di un nuovo genere letterario, montaggio di frammenti, commistione di diario intimo, libro di cucina, lettere private, aforismi, sperimentato in Uedinennoe («Solitaria», 1912) e Opavšie list´ja («Foglie cadute», 1913-15).
Il periodo a cavallo tra 19° e 20° sec., fino alla Rivoluzione d’ottobre, coincide con la grande crisi che attraversa tutta l’Europa e sfocia nella Prima guerra mondiale. La R. è scossa in questi anni dalla guerra russo-giapponese e da sommovimenti interni come la rivoluzione del 1905 e le due rivoluzioni del 1917. Si diffondono catastrofismo e visioni apocalittiche; alle concezioni positivistiche si oppongono quelle religiose e mistiche, al pensiero storicista succede il dialogo con l’eternità e con l’universo, alla prosa segue una nuova stagione poetica. Con le conferenze di D. Merežkovskij O pričinach upadka i o novych tečenijach sovremennoj russkoj literatury («Sulle cause del decadimento e sulle nuove correnti della letteratura russa contemporanea», 1892, pubbl. 1893), che indicano nel contenuto mistico, nei simboli e nell’ampliamento della sensibilità artistica i tratti essenziali della nuova arte, si apre la stagione del simbolismo. Sono anni di ripensamento critico della tradizione letteraria ottocentesca, di abbandono dell’impegno sociale della letteratura, anche se non della riflessione sulla società russa e sui suoi orientamenti. La letteratura stabilisce un intreccio di rapporti con le altre arti; emblematico è il ruolo della rivista Mir iskusstva («Il mondo dell’arte», 1899-1904), che raccoglie artisti e letterati, simbolisti e non.
I riferimenti europei della nuova cultura sono i poeti del simbolismo francese, la musica di R. Wagner, la filosofia di A. Schopenhauer e F. Nietzsche, il teatro di H. Ibsen e A. Strindberg. Il primo decennio simbolista è affine per spirito al decadentismo europeo: vi dominano disincanto, temi satanici, cinismo provocatorio, voluttà (K. Bal´mont; V.J. Brjusov), gusto morboso, incubi, come nella poesia di F. Sologub (pseudonimo di F. Teternikov) e nel suo romanzo Melkij bes («Il demone meschino», 1905), momento alto della prosa simbolista. La rivista Vesy («La bilancia», 1904-09), per alcuni anni centro di dibattito e di diffusione della nuova poesia, è fondata da Brjusov, poeta di grande abilità formale, romanziere (Ognennyj angel «L’angelo di fuoco», 1907), critico, teorico e organizzatore culturale, che esercita un forte fascino sui poeti della generazione successiva.
I giovani, però, considerano il simbolismo una concezione filosofico-religiosa più che una scuola letteraria, e la poesia un mezzo per esprimere l’ineffabile, per raggiungere realtà altrimenti inattingibili. In questo senso appartiene alla giovane generazione V. Ivanov, il rappresentante più compiuto, sul piano teorico, della tendenza mistica del simbolismo, poeta di vasta cultura classica, autore teatrale e saggista. A. Blok sintetizza nella sua opera e nella sua persona, mitizzata dai contemporanei, l’itinerario del simbolismo russo dal misticismo alla percezione tragica del momento storico. Alla concezione solovëviana dell’eterno femminino (Stichi o Prekrasnoj Dame «Versi sulla Bellissima Dama», 1905) succede la degradazione della Dama, lo smascheramento ironico dei mistici (Neznakomka «L’ignota», 1906; Balagančik «La baracca dei burattini», 1906); nuclei tematici più terreni, come la vita della grande città, il destino storico della R., la funzione degli intellettuali, alimentano i versi e la saggistica di Blok negli anni della maturità. L’amico e rivale di Blok, A. Belyj (pseudonimo di B. Bugaev), pubblica nel 1902 la prima delle quattro ‘sinfonie’ in prosa ritmica. Capace di tuffarsi senza riserve in ogni avventura dello spirito, si muove nell’ambito del misticismo e dell’antroposofia, scrive raccolte poetiche, saggi estrosi e suggestivi; ma forse il suo maggior contributo alla letteratura è dato dai romanzi, anzitutto da Peterburg («Pietroburgo», 1916), opera di sconcertante modernità linguistica e strutturale che lo ha fatto paragonare a J. Joyce.
Il simbolismo russo, ricco di personalità diverse, dopo il 1910 entra in una crisi irreversibile. In quell’anno appare su Apollon l’articolo programmatico di M. Kuzmin O prekrasnoj jasnosti («Della bellissima chiarezza»), che segna il suo distacco dal simbolismo. Senza rotture violente, Kuzmin si oppone alla nebulosità mistica dei simbolisti, chiede razionalità e chiarezza, divenendo un precursore dell’acmeismo. Gli acmeisti (N. Gumilëv; A. Achmatova, pseudonimo di A. Gorenko; O. Mandel´štam) non negano il loro debito verso i simbolisti, ma all’allusività, alla musicalità del verso contrappongono la precisione, l’abilità artigianale, le salde strutture architettoniche. La riflessione sulla poesia, la perfezione classica della forma, la densità semantica collocano i maggiori acmeisti tra le voci più alte della poesia novecentesca, non solo russa. Come gli acmeisti, l’amaro V. Chodasevič vede in I. Annenskij un suo maestro, e come loro appartiene alla ‘linea pietroburghese’ della poesia e tende alla classicità della forma.
Negli stessi anni pubblica i primi versi M. Cvetaeva e fanno il loro ingresso nella letteratura i futuristi, scrivendo manifesti, scandalizzando, proclamando la loro avversione al vecchiume, alle tradizioni stantie. Il futurismo russo, al di là degli aspetti spettacolari delle sue esibizioni, ha dato al rinnovamento della poesia contributi essenziali nell’opera di V. Chlebnikov e di V. Majakovskij. Gli anni che precedono la Prima guerra mondiale sono fervidi di ricerche non soltanto poetiche: nella narrativa e nel teatro di Andreev (Žizn´ čeloveka «La vita dell’uomo», 1906; Car´ golod «Il re fame», 1908) vi sono fermenti espressionistici che non andranno perduti; B. Zajcev tenta le vie dell’impressionismo, Remizov e Zamjatin quelle della cosiddetta prosa ornamentale.
La Rivoluzione dell’ottobre 1917 segna una svolta radicale nella letteratura come nella storia russa. Si crea immediatamente una frattura tra gli intellettuali: entusiasti alcuni vecchi rivoluzionari e molti giovani, nettamente ostile gran parte della vecchia intelligencija, mentre un’altra parte, insofferente verso il vecchio regime autocratico, è alla ricerca della propria collocazione. Molti scrittori affermati emigrano subito, altri temporeggiano, tentano d’inserirsi nella nuova vita culturale. Il Proletkul´t, organizzazione culturale formatasi prima della rivoluzione, svolge un’attività febbrile; i futuristi si schierano subito a sinistra, sostenendo che la rivoluzione in letteratura deve partire da un radicale rinnovamento della forma.
Nel primo periodo prevale la poesia. Gli scrittori proletari migliori riescono a esprimere con slancio sincero la fiducia nel progresso, nella rivoluzione mondiale, nella funzione degli operai: così A. Gastev in Poezija rabočego udara («Poesia dello slancio proletario», 1918); così V. Kirillov in Železnyj messija («Il messia di ferro», 1918). A dare l’impronta poetica al periodo rivoluzionario sono i grandi poeti: Blok, con Dvenadcat´ («I dodici», 1918), che collega un gruppo di rivoluzionari pezzenti all’immagine dei dodici apostoli guidati da Cristo, e con Skify («Gli Sciti», 1918), dove mostra il volto ‘asiatico’ della R. rivoluzionaria; Belyj, che proietta la sua visione mistica anche sugli eventi della rivoluzione in Christos voskres («Cristo è risorto», 1918); S. Esenin, che vede nella rivoluzione bolscevica una rivincita della campagna e descrive il suo paradiso contadino nel poema Inonija («Altra terra», 1918). Tutte queste opere nascono sotto l’impulso dello scitismo di Ivanov-Razumnik (pseudonimo di R. Ivanov).
Sempre nel 1918 Majakovskij scrive per il teatro Misterija-Buff («Mistero buffo»), in cui un gruppo di ‘puri’ (i borghesi) e uno di ‘impuri’ (i proletari) cercano di salvarsi dal diluvio universale e di raggiungere la terra promessa. Majakovskij, come quasi tutti i futuristi, è totalmente impegnato nella realizzazione di un’arte rivoluzionaria e non disdegna nessuna forma, dall’alta lirica di Pro eto («Di questo», 1923) ai cartelloni pubblicitari, senza mai riuscire a far accettare la carica innovativa della sua poesia.
I problemi della parola poetica e della lingua sono al centro delle ricerche del Circolo linguistico moscovita e del pietrogradese Opojaz, che raccolgono brillanti studiosi, creatori del formalismo russo. La fine della guerra civile e l’avvento della NEP favoriscono la rinascita della prosa. Gor´kij, che nei suoi Nesvoevremennye mysli («Pensieri intempestivi», 1917-18) aveva espresso forti riserve sulla rivoluzione, diventa il protettore dei giovani scrittori, non solo sul piano letterario: li aiuta a trovare alloggio, abiti, cibo in un momento di estrema carestia, crea la casa editrice Vsemirnaja literatura («Letteratura universale») che procura lavoro a molti di loro. A Pietrogrado si forma il gruppo dei Fratelli di Serapione; il loro giovanissimo teorico, L. Lunc, propugna un’arte non schierata politicamente, capace di costruire intrecci avvincenti e dinamici come quelli dei romanzi di avventure occidentali. Il gruppo riunisce scrittori assai diversi, come l’‘orientalista’ V. Ivanov, l’‘occidentalista’ V. Kaverin (pseudonimo di V. Zil´berg), il brillante umorista M. Zoščenko, K. Fedin, il poeta N. Tichonov, i quali imparano la tecnica della prosa e l’uso dello skaz da Zamjatin, che emigrerà in Francia quando gli diventerà impossibile pubblicare in R. le sue opere, tra cui il celebre romanzo antiutopistico My («Noi», 1922).
Una visione romantica della rivoluzione, intesa come forza elementare e purificatrice, si trova nell’opera di A. Vesëlyj (pseudonimo di N. Kočkurov), A. Malyškin, V. Ivanov, V. Šiškov, nelle ballate di Tichonov. Emergono voci femminili fra loro molto diverse, come quelle di L. Sejfullina, di O. Forš, di M. Šaginjan. Alcuni degli scrittori più originali, raggruppati sotto il nome di ‘compagni di strada’, sono tra i collaboratori della rivista Krasnaja nov´ («Novale rossa»), diretta (1921-27) dal critico A.K. Voronskij; tra loro I. Babel´, autore della prosa smagliante di Konarmija («L’armata a cavallo», 1926) e degli Odesskie rasskazy («Racconti di Odessa», 1931); B. Pil´njak (pseudonimo di B. Vogau), che spicca per l’audace sperimentalismo di Golyj god («L’anno nudo», 1921); il primo L. Leonov. Rivelano notevoli qualità poetiche N. Aseev, E. Bagrickij (pseudonimo di E. Dzjubin), I. Sel´vinskij, i poeti contadini N. Kljuev e S. Klyčkov (pseudonimo di S. Lešenkov), ai quali è inizialmente legato Esenin.
Alla guerra civile vista dalla parte dei ‘bianchi’ è dedicato il romanzo di M. Bulgakov Belaja gvardija («La guardia bianca», 1925), mentre le altre sue opere dello stesso anno D´javoljada («Diavoleide») e Rokovye jajca («Uova fatali») sono racconti satirici scritti nei modi del fantastico grottesco. Zavist´ («Invidia», 1927) di J. Oleša, originalissimo per il tipo di scrittura, è un’acuta analisi dello stato d’animo dell’intellettuale, lacerato tra attrazione e ripulsa per la rivoluzione; J. Tynjanov, teorico della letteratura e critico, scrive tra il 1925 e il 1927 due romanzi storico-letterari, Kjuchlja e Smert´ Vazir Muchtara («La morte di Vazir Muchtar»). Gode dei favori del pubblico e della tolleranza della censura una linea satirica allegra e pungente, meno feroce di quella bulgakoviana, rappresentata da I. Il´f (pseudonimo di I. Fainzil´berg) ed E. Petrov (pseudonimo di E. Kataev), che scrivono insieme Dvenadcat´ stul´ev («Le dodici sedie», 1928) e Zolotoj telënok («Il vitello d’oro», 1931), e da V. Kataev con Rasstratčiki («I dissipatori», 1927). A. Tolstoj, rientrato in R. dopo un breve periodo di emigrazione, comincia a pubblicare la trilogia Choždenie po mukam («La via dei tormenti», 1920-41); M. Šolochov compone il suo apprezzato e contestato Tichij Don («Il placido Don», 1928-40), una delle opere più complesse della narrativa sovietica.
Dopo il 1925 muta la presentazione dell’evento rivoluzionario: il primato passa dalla spontaneità delle masse all’organizzazione e alla coscienza politica; la rivoluzione e la guerra civile non sono più i temi predominanti; appare la figura dell’eroe del lavoro, ricostruttore del paese, in Cement («Cemento», 1925) di F. Gladkov, capostipite di una ricca letteratura sullo stesso argomento. Il teatro si avvale dell’opera di grandi registi, da Stanislavskij a V. Mejerchol´d, da A. Tairov (pseudonimo di A. Kornbliet) a E. Vachtangov, che mettono in scena commedie di Majakovskij, Bulgakov, N. Erdman, e opere di autori classici. Gli anni 1920, in complesso, sono caratterizzati, pur tra aspri contrasti, dalla vivacità creativa, dalla varietà delle sperimentazioni, dalla passione teorica. Il suicidio di Majakovskij (1930) segna tragicamente il passaggio al decennio successivo.
Parallelamente, all’estero si sviluppa la letteratura dell’emigrazione. Suoi centri principali sono Berlino prima, Parigi poi, e solo nel secondo dopoguerra gli USA. Emigrano subito dopo la rivoluzione scrittori affermati come Andreev, M. Arcybašev, A. Averčenko, Bunin, Z. Gippius, Merežkovskij, A. Kuprin, I. Šmelëv, Zajcev, M. Aldanov (pseudonimo di M. Landau), P. Muratov, e poco più tardi Bal´mont, la giovane Cvetaeva, Remizov, Chodasevič con N. Berberova; qualcun altro otterrà in seguito il permesso di espatriare (Zamjatin), altri ancora saranno espulsi. Nel periodo berlinese (1921-23) i rapporti con la R. non sono del tutto interrotti; molti scrittori che poi torneranno in patria frequentano gli ambienti dell’emigrazione. Belyj a Berlino scrive con prodigiosa fecondità e pubblica una sua rivista, Epopeja; così fa anche I. Erenburg, che dirige con El Lissitzky (pseudonimo di E. Lisickij) la rivista Vešč´ («La cosa») e scrive il suo primo romanzo, pieno di ironia e di scetticismo, Neobyčajnye pochoždenija Chulio Churenito i ego učenikov («Le avventure straordinarie di Julio Jurenito e dei suoi discepoli», 1922). Il quotidiano Nakanune («Alla vigilia», 1922-24) esprime gli umori di quella parte dell’emigrazione che pensa a un prossimo ritorno in Russia.
Riviste, almanacchi e giornali sono centri di coordinamento e d’incontro di partiti e gruppi politici, di tendenze letterarie, a Berlino come poi a Parigi. Tra gli scrittori già noti che continuano con successo a lavorare nell’emigrazione si possono ricordare Bunin, riconosciuto maestro di stile, al quale nel 1933 sarà assegnato il premio Nobel, e Remizov, che maneggia con straordinaria abilità la lingua del folclore e degli antichi documenti, trovando in essa un riparo dall’angoscia dell’esilio. Viceversa tace come poeta, dopo i versi di Evropejskaja noč´ («La notte europea», 1927), Chodasevič. Cvetaeva, di poco più giovane, proprio all’estero raggiunge la piena maturità, esprimendo un profondo sentimento tragico e una visione orfica della poesia in un verso sonoro e possente. All’estero si forma V. Nabokov, divenuto più tardi scrittore di lingua inglese. La generazione di coloro che erano emigrati nell’infanzia o nell’adolescenza continua generalmente a scrivere in russo; poeta e prosatore interessante è B. Poplavskij, morto a Parigi per un’overdose di eroina.
Nell’Unione Sovietica negli anni 1930 si afferma la teoria del ‘realismo socialista’; si diffonde la letteratura del primo piano quinquennale, che esalta la costruzione di grandi fabbriche o centrali idroelettriche, poi quella della collettivizzazione delle campagne e della nascita dell’uomo ‘nuovo’. Gli scrittori visitano cantieri e villaggi per poter rappresentare ‘realisticamente’ le trasformazioni del paese. Molti pagano il loro tributo più o meno sincero a questi temi. Continuano a scrivere con successo Kaverin, Il´f e Petrov, Kataev, Leonov, A. Fadeev e molti altri. Il romanzo storico, genere assai praticato negli anni 1920, assume una nuova dimensione, più confacente ai tempi, con Pëtr I («Pietro I», 1929-45) di A. Tolstoj. B. Pasternak, che aveva già esordito da tempo con esperienze legate al futurismo, si afferma come poeta lirico di primo piano e originale prosatore. Assai più difficile la situazione di Bulgakov e di A. Platonov (pseudonimo di A. Klimentov), che stentano molto o non riescono affatto a far conoscere le loro opere. Bulgakov continua a scrivere lavori teatrali che non vengono rappresentati e romanzi che non vengono pubblicati, tra i quali il suo capolavoro, Master i Margarita («Il Maestro e Margherita»). Platonov crede nelle conquiste scientifiche, nel progresso, nel comunismo; la sua opera è una continua ricerca della felicità, una puntuale verifica dell’utopia realizzata. Una scelta delle sue opere viene pubblicata in URSS nel 1966; opere fondamentali come Čevengur e Kotlovan («Lo sterro»), scritte alla fine degli anni 1920, sono apparse in R. solo sul finire degli anni 1980.
A questo periodo risale la travagliata vicenda degli oberiuti (da Oberiu, abbreviazione di Ob´edinenie real´nogo iskusstva «Unione dell’arte reale»), gruppo sorto nel 1927 come ultima propaggine delle avanguardie, che ha dato scrittori della statura di D. Charms (pseudonimo di D. Juvačev), A. Vvedenskij, K. Vaginov (pseudonimo di K. Vagingeim) e N. Zabolockij.
Il decennio si chiude con le tragiche repressioni che coinvolgono un numero impressionante di scrittori, compresi coloro che avevano partecipato con entusiasmo alla rivoluzione e alla guerra civile.
Le vicende della Seconda guerra mondiale riescono a ricreare una forte unione tra intellettuali e potere. Riprendono la parola scrittori come Achmatova, condannata a lungo al silenzio, e diventano punti di riferimento importanti per il loro popolo. I temi della guerra occupano quasi interamente la letteratura e trovano in K. Simonov, A. Tvardovskij e V. Nekrasov una rappresentazione partecipe e non convenzionale. Le speranze dell’immediato dopoguerra sono destinate a spegnersi ben presto: all’aspettativa di una democratizzazione della vita e della cultura, A. Ždanov risponde attaccando la rivista Zvezda («La stella») che ha pubblicato scritti di Zoščenko e Achmatova. Per alcuni anni si ripiomba in un clima oppressivo. Nel 1952 la rivista Novyj mir («Mondo nuovo»), diretta da Tvardovskij, pubblica Rajonnye budni («Vita quotidiana di una regione») di V. Ovečkin, che racconta con molta franchezza la vita reale di un kolchoz con le sue difficoltà, la sua miseria, la sua disorganizzazione. Nel 1954 appare su Znamja («La bandiera») il romanzo di Erenburg Ottepel´ («Il disgelo»), che darà il nome al periodo di relativa liberalizzazione che segue la morte di Stalin (1953). È una stagione vivace, piena di speranze. Nasce una prosa che si propone di analizzare la vita e i sentimenti reali dei contadini. Il romanzo di V. Dudincev Ne chlebom edinym («Non di solo pane», 1956) diviene un’opera emblematica, malgrado il modesto valore letterario. Gli almanacchi Literaturnaja Moskva («Mosca letteraria», 1956) e Tarusskie stranicy («Pagine di Tarusa», 1961), che raccolgono testi quasi sconosciuti al pubblico sovietico, assurgono a eventi letterari. Vengono riabilitati scrittori spariti negli anni del terrore; si ristampano opere di Bunin, Oleša, Platonov; si affermano giovani poeti come E. Vinokurov, E. Evtušenko, R. Roždestvenskij, A. Voznesenskij, B. Achmadulina; riprendono slancio poeti meno giovani, da Aseev ad A. Prokof´ev, P. Antokol´skij, B. Sluckij, L. Martynov. B. Okudžava, V. Vysockij e A. Galič (pseudonimo di A. Ginzburg) accompagnano i loro versi con la chitarra, seguiti da un pubblico giovanile appassionato. Comincia a diffondersi la popolarità dei fratelli A. e B. Strugackij, autori di originali romanzi di fantascienza.
Un primo irrigidimento si nota con il divieto di pubblicare Doktor Živago di Pasternak che, apparso in Italia, valse all’autore il premio Nobel (1958) e aspre critiche in patria. Su Novyj mir esce tuttavia Odin den´ Ivana Denisoviča («Una giornata di Ivan Denisovič», 1962) di A. Solženicyn, la prima opera ambientata in un campo di concentramento. Vengono pubblicati postumi Teatral´nyj roman («Romanzo teatrale», 1965) e Master i Margarita (1967) di Bulgakov.
Il processo di liberalizzazione s’interrompe nel 1966 con l’arresto di J. Daniel e A. Sinjavskij, accusati di aver pubblicato alcune opere all’estero. Negli anni 1970 si evidenzia una frattura tra la letteratura ufficiale e il samizdat (l’editoria clandestina), aumenta il numero delle opere russe pubblicate all’estero, sale una nuova ondata di emigrazione o di espulsioni. Si stabiliscono all’estero scrittori già noti (V. Aksënov; I. Brodskij; Nekrasov; Solženicyn; G. Vladimov; V. Vojnovič), così come il critico Sinjavskij e il filosofo A. Zinov´ev che in esilio diventeranno originali scrittori, audace sperimentatore il primo, feroce satirico il secondo. Nel 1979 esce in samizdat l’almanacco Metropol´, preparato da Aksënov, A. Bitov, Venedikt Erofeev, F. Iskander, E. Popov, subito ristampato in America, mentre in Francia Sinjavskij pubblica la rivista Sintaksis.
Nella letteratura ufficiale continua a occupare un posto rilevante la prosa contadina nelle opere di V. Šukšin, V. Rasputin, F. Abramov, V. Belov; la descrizione della vita dura dei villaggi, di personaggi frustrati, delle difficoltà del passaggio dalla campagna alla città si accompagna a una rivalutazione della tradizionale morale contadina e della sottomissione alle sue regole, che spesso sfocia nel vasto fiume del neoslavofilismo. A problemi di ordine etico dedicano le loro opere J. Trifonov e V. Tendrjakov; si affermano, con nuovi temi e nuovi procedimenti stilistici, A. Kim, V. Makanin, V. Orlov, Bitov.
Con la fine del decennio, accanto alla letteratura strettamente ufficiale di J. Bondarev, A. Čakovskij, P. Proskurin, appaiono opere di scrittori più critici, attenti ai problemi sociali e a quelli esistenziali, come Kartina («Il quadro», 1980) di D. Granin (pseudonimo di D. German), Posle buri («Dopo la tempesta», 1982-86) di S. Zalygin e Al´tist Danilov («Il suonatore di viola Danilov», 1980) di Orlov.
Il vero momento di svolta, tuttavia, è il 1985, anno dell’ascesa al potere di M. Gorbačëv. Nel giro di pochi mesi la situazione letteraria muta completamente: vengono pubblicate opere fino ad allora inedite in R., di scrittori come Bulgakov, Mandel´štam, Pasternak, Platonov, V. Šalamov, Solženicyn, J. Dombrovskij; escono dai cassetti scritti di Belov, Dudincev, J. Nagibin, A. Pristavkin, A. Rybakov (pseudonimo di A. Aronov); appaiono nuove edizioni di autori dell’inizio del secolo o addirittura del 19° sec., non ristampati da decenni: pensatori religiosi come N. Berdjaev, L. Šestov (pseudonimo di L. Schwarzmann) e P. Florenskij, scrittori come Gumilëv e L. Dobyčin. Si recupera la letteratura della prima emigrazione, pubblicando opere di Bunin, Chodasevič, Cvetaeva, G. Ivanov, Nabokov, Remizov, Šmelëv, Zajcev, Zamjatin. Riescono a tornare per breve tempo in R. le ultime superstiti di quella generazione, Berberova e I. Odoevceva, di cui si ristampano le opere. Tra gli scrittori della seconda emigrazione (quella che abbandonò la R. al seguito delle truppe tedesche) emerge il lirico I. Elagin (pseudonimo di I. Matveev).
La stagione della lettura appassionata è però brevissima. Solženicyn, prima osannato come un profeta, è diventato poi per i più un noioso predicatore. Si fa strada una nuova generazione di scrittori, in polemica con il canone del passato recente ma anche con la tradizione ottocentesca del romanzo ideologico, moralistico, parenetico. Molti, esordienti negli anni 1970, in seguito hanno reso esplicita la loro posizione. Uno di loro, Viktor Erofeev (forse il primo a introdurre in dosi massicce l’elemento erotico nella prosa russa contemporanea con Russkaja krasavica, 1990; trad. it La bella di Mosca, 1991) li definisce ‘i fiori del male’, ma sono generalmente noti come ‘l’altra letteratura’: ‘altra’ rispetto alla letteratura sovietica e a quella del dissenso. Non contestano, non denunciano, non difendono nessun ideale; dissacrano il ruolo dello scrittore, apprezzano la durezza di Šalamov e di S. Dovlatov (emigrato e morto a New York nel 1989); sono convinti che il male abbia da tempo trionfato nel mondo; introducono nella letteratura temi tabù come l’erotismo, l’omosessualità, fino all’antropofagia; esibiscono cinismo, talvolta venato di satanismo. La loro scrittura è varia per stile e per qualità; alcuni non disdegnano i mezzi del surrealismo. Oltre a E. Popov, V. Popov, V. P´ecuch, Venedikt Erofeev, E. Limonov (pseudonimo di E. Savenko), vengono talvolta annoverate nelle loro file, con una forzatura ingiustificata, scrittrici come T. Tolstaja (Na zolotom kril´ce sideli, 1987; trad. it. Sotto il portico dorato, 1989; i racconti della raccolta La più amata, 1994) e L. Petruševskaja per l’uso del grottesco e per i dubbi sulla bontà della natura umana che traspaiono dietro la loro benevolenza per i derelitti.
Dagli anni 1990 in poi, agli autori (come V. Sorokin) che con argomenti scabrosi o marginali fanno concorrenza ai gialli e alla paraletteratura si affiancano poeti e narratori di generazioni diverse che continuano la riflessione, tipica della tradizione russa, su grandi problemi storici o su intime esperienze spirituali. V. Pelevin in opere di grande successo come Omon Ra (1992) e Generation ‘P’ (1999) rivisita in chiave fantastica gli aspetti più assurdi e grotteschi della vita quotidiana sovietica e post-sovietica. Da ricordare la scrittrice L. Ulickaja, che con il romanzo breve Sonečka (1992) ha ottenuto in Occidente unanimi consensi. Nell’ambito della letteratura commerciale si deve rilevare il fenomeno della scrittrice A. Marinina, che nel corso degli anni 1990 ha riscosso uno straordinario successo di pubblico con i suoi gialli. Nella seconda metà del decennio si distinguono i più raffinati romanzi gialli a sfondo storico di B. Akunin (pseudonimo di G. Tchkhartichvili), tra i quali Azazel (1998; trad. it. La regina d’inverno, 2000) e Tureckij gambit (1998; trad. it. Gambetto turco, 2000), e i romanzi giallo-neri, venati di ironia, di D. Doncova.. Nel panorama della poesia, accanto ad autori come E. Rejn, che continuano i modi tradizionali della lirica russa, è nata una pleiade di sperimentatori (la critica ha parlato di minimalismo, concettualismo, soc-art, postmodernismo ecc.), fra cui vale la pena di ricordare L. Rubinstejn, M. Ajzenberg, T. Kibirov, nonché la figura di maggior rilievo, il concettualista D. Prigov.
La produzione artistica abbraccia in primo luogo un nucleo culturale sviluppatosi nella parte centrale della zona europea della R., alla cui formazione partecipano le tradizioni delle culture nomadi delle steppe, le influenze delle civiltà dell’Asia anteriore e di quella ellenica e, più tardi, gli apporti di Bisanzio, importantissimi per tutta la storia dell’arte russa fino al 17° secolo.
Nella sua formazione e nel suo sviluppo la cultura artistica russa fu profondamente legata a quella dell’Ucraina e della Bielorussia, avendo le stesse radici culturali. Con la cristianizzazione della R. nel 988 cominciò il fondamentale processo di penetrazione dell’influenza bizantina. Furono artisti e architetti greci a costruire le prime chiese di pietra e a decorarle con mosaici e affreschi.
Con il consolidamento dei primi Stati e principati sul territorio degli Slavi orientali, sorsero centri fortificati con residenze di principi e di boiari circondati da vasti borghi. Per case e palazzi predominavano le costruzioni in legno, così come per le prime chiese (prima cattedrale di S. Sofia a Novgorod, 10° sec.; chiese di Kiev, 11°-12° sec.).
La prima chiesa di pietra fu la Desjatinnaja a Kiev (989-996, distrutta 13° sec.). Imponente costruzione dell’11° sec. è la cattedrale della Trasfigurazione a Černigov (1017 ca., tre navate e cinque cupole, con torre cilindrica all’angolo). S. Sofia a Kiev (1018-37, cinque navate circondate da gallerie, 13 cupole, fiancheggiata da due torri scalarie) fissò un modello per l’architettura russa dell’11° e 12° secolo. Nell’architettura monastica di Kiev si elaborò un tipo di chiesa a croce inscritta con una sola cupola (cattedrale della Dormizione, 1073-78, monastero Pečerskij, distrutta; cattedrale del monastero di S. Michele, metà 11° sec., distrutta; cattedrale del monastero Vydubickij, 1070-88; chiesa del Salvatore in Berestovo, fine 11° sec.). Tra i monumenti del 12° sec., si distinguono, a Černigov, SS. Boris e Gleb e soprattutto S. Parasceve, di struttura complessa, con ricca decorazione esterna di mattoni.
In quest’epoca sorsero altri centri d’attività artistica nelle regioni di Vladimir e Suzdal´ e, nel nord, di Pskov e di Novgorod, ognuno dei quali conservava sue precise particolarità locali. Nel principato di Vladimir-Suzdal´ si formò un tipo di chiesa, poi molto diffuso, di forma cubica e con una sola cupola. Decorazioni molto elaborate caratterizzano la cattedrale della Dormizione della Vergine (1158-61) e a S. Demetrio (1139-97), a Vladimir. La chiesa dell’Intercessione sul Nerl presso Vladimir (1165) è uno degli edifici più armoniosi ed eleganti di tutta l’architettura russa. In S. Giorgio a Jur´ev-Pol´skoj (1229-34) notevoli rilievi ornano le pareti. Il castello principesco in pietra bianca di Bogoljubovo, presso Vladimir, è ancora una dimostrazione della penetrazione delle forme romaniche nel 12° secolo. L’architettura di Novgorod dell’11°-12° sec. mostra un’austera monumentalità (S. Sofia, 1045-50, a cinque navate e cinque cupole); le chiese del 12° sec. sono caratterizzate da sei pilastri austeri nel vasto interno, una torre presso la facciata occidentale e tre o cinque cupole (S. Nicola Taumaturgo, 1113 ca.; chiesa della Natività della Vergine nel monastero di S. Antonio, 1117 ca.; chiesa del monastero di S. Giorgio, 1119-30). La chiesa del Salvatore a Neredica presso Novgorod (1198; ricostruita), di dimensioni minori, si distingue per la semplicità delle facciate. La cattedrale del monastero Mirožskij a Pskov (prima del 1156), a pianta cruciforme, è caratterizzata da una pesante monumentalità e da un’estrema semplicità, specifiche della R. settentrionale.
Nel 14° sec. a Novgorod si costruirono le chiese più pittoresche, con facciate decorate di motivi geometrici (S. Teodoro Stratelate, chiesa del Salvatore); sorse la fortezza-cremlino con il palazzo arcivescovile e le volte gotiche che rivelano la presenza di artisti tedeschi. Le chiese di Pskov, molto semplici di pianta e struttura, sono caratterizzate da numerosi annessi (gallerie, cappelle, campanili) che conferiscono loro un aspetto caratteristico (cattedrale della Trinità; S. Basilio il Grande, inizio 15° sec.).
Anche gli inizi della pittura nella R. medievale furono strettamente legati alla tradizione bizantina (importante ciclo di mosaici e affreschi di S. Sofia a Kiev, 11° sec.; mosaici dell’11° sec. dalla chiesa del monastero di S. Michele a Kiev), mentre gli affreschi della chiesa del monastero di S. Cirillo a Kiev (12° sec.), rivelano affinità con la pittura balcanica. Nel monastero di Pečerskij nell’11° sec. esisteva una scuola di pittura di icone in cui il pittore Alipij raggiunse grande fama. Come testimoniato dalle prime opere di Kiev pervenute (fine del 12° sec.), nella pittura di icone dell’11°-12° sec. si riscontra un processo di assimilazione e rielaborazione della tradizione bizantina simile a quello della pittura monumentale. Notevole la miniatura dell’11° sec., segnata dalla compenetrazione di elementi bizantini, slavi e romanici. Nell’oreficeria dell’11°-12° sec., decorata di niello e smalti, sono caratteristici i motivi fitomorfi e zoomorfi.
Della pittura monumentale nel principato di Vladimir-Suzdal´ del 12° sec. si sono conservati frammenti di affreschi della cattedrale della Dormizione e gli affreschi della cattedrale di S. Demetrio a Vladimir e della chiesa dei SS. Boris e Gleb nel villaggio di Kidekša presso Suzdal´. La tradizione della pittura di icone in questa zona iniziò con l’icona greca di Nostra Signora di Vladimir (Mosca, Galleria Tret´jakov) del 12° sec., importata da Costantinopoli, esempio di pittura bizantina di grande influenza. Raffinati esempi, le icone della scuola di Vladimir e di Jaroslavl´ del 12° e 13° secolo. Le raffigurazioni delle porte della cattedrale di Suzdal´ del 13° sec., incise in oro su bronzo, sono ancora una testimonianza della rielaborazione dell’iconografia e dell’arte bizantina. La scuola di pittura di Novgorod e di Pskov, formatasi nel 12° sec., raggiunse la massima espansione nel 14° secolo. Si distingue per la solennità e l’austerità dell’impostazione, i colori sobri, la spiritualità e l’ascetismo dei volti (affreschi delle cattedrali di S. Sofia, S. Nicola Taumaturgo, S. Antonio, S. Giorgio, delle chiese del Salvatore a Neredica e dell’Annunciazione nel villaggio di Arkažy, di S. Giorgio a Staraja Ladoga e della cattedrale del monastero di Mirožskij a Pskov). La prima pittura di icone a Novgorod seguì anch’essa modelli bizantini.
Tra i cicli di affreschi di Novgorod del 14° sec. sono notevoli quelli nella chiesa della Trasfigurazione di Teofane il Greco, che portò nel nord della R. la drammaticità dell’arte tardobizantina, sensibile anche in un gruppo di icone ispirate alla sua scuola. Le icone di Novgorod del 13° e 14° sec. si distinguono invece per la presenza di elementi folcloristici, per la purezza di colori chiari e vivaci, per la semplicità della composizione, e nel 15° sec. per uno stile più minuzioso; vennero spesso raffigurati i santi locali (icona dei SS. Floro e Lauro, protettori dei cavalli, Mosca, Galleria Tret´jakov). Le icone provenienti dal nord della R. (da Vologda, da Kargopol´) sorprendono per la vivacità dei colori e l’estrema laconicità della composizione.
L’ascesa di Mosca, che unì intorno a sé le terre russe, determinò il formarsi nel corso del 14° sec. di una cultura pittorica e architettonica locale. Nei dintorni della città restano edifici della fine del 14° e degli inizi del 15° sec., che proseguono la tradizione dell’architettura di Vladimir-Suzdal´ (cattedrale di Zvenigorod, cattedrale della Trinità nel monastero di S. Sergio a Sergiev). Nell’ultimo quarto del 15° sec. l’attività edilizia si sviluppò intensamente. Architetti russi e italiani eressero chiese, palazzi e fortificazioni del Cremlino: A. Fieravanti progettò la cattedrale della Dormizione, fondendo la tradizione dell’architettura russa con la concezione spaziale del Rinascimento italiano. La cattedrale dell’Annunciazione, con piccoli spazi circondati da una vasta galleria e molteplici cupole, continua la tradizione tipicamente russa. M. Ruffo e P. Solari portarono nel Cremlino (Granovitaja Palata) tratti del tardo gotico e del primo Rinascimento. Nella decorazione esterna della cattedrale degli Arcangeli, di Aloisio Nuovo, furono utilizzati motivi tipicamente rinascimentali, benché la pianta e la struttura generale rimanessero quelle della tradizione russa. La chiesa a cinque cupole divenne la più diffusa nell’architettura del 15° e 16° secolo.
Anche la fioritura della pittura fu legata a Mosca e al Cremlino, per la decorazione del quale lavorarono i migliori artisti del tempo. Nella cattedrale dell’Annunciazione, accanto a Teofane il Greco lavorò A. Rublëv, grande pittore del periodo. L’arte di Dionisij, altro grande pittore del 15° sec., e della sua scuola, si distingue per la delicatezza e l’eleganza, i colori luminosi e puri.
Il gusto per la decorazione fastosa crebbe durante il 16° secolo. Nell’architettura delle chiese, il passaggio dalle parti superiori delle facciate al tamburo si coprì di solito di kokošniki, piccoli archi decorativi ogivali (S. Trifone e Concezione di S. Anna a Mosca). Si costruirono grandi cattedrali a cinque cupole (nei monasteri di Novodevičij e Donskoj a Mosca), si eressero e si ampliarono monasteri fortificati. Molte chiese di legno del 16° sec. nel nord della R. hanno tetto a piramide; il gusto per le proporzioni più allungate raggiunse la sua più alta realizzazione nella chiesa dell’Ascensione (1530-32) di Kolomenskoe a Mosca. S. Basilio (1555-60, eretta a Mosca dagli architetti russi Barma e Posnik) è coperta di una molteplicità di cupole e di piramidi, tutte con elementi decorativi, di aspetto quasi fiabesco. Alcune case private del 16° sec. restano a Mosca, Pskov, Kaluga, Jaroslavl´.
Nella pittura si sviluppa una tendenza narrativa; le scene della vita dei santi acquistano nuovi particolari, con motivi della vita reale (affreschi e icona a quattro scomparti nella cattedrale dell’Annunciazione nel Cremlino di Mosca; icona con la Chiesa militante nella Galleria Tret´jakov a Mosca). Il 16° sec. vide la fioritura della miniatura, della decorazione di libri, dell’incisione su legno, del ricamo e dell’oreficeria.
Nel 17° sec. la decorazione delle chiese divenne sempre più ricca e pesante, le facciate si coprirono di rivestimenti di pietra bianca ornata o di mattoni (dalla capitale a Jaroslavl´, a Rostov, a Kargopol´, a Nižnij Novgorod). Si diffuse un tipo di piccola chiesa riccamente decorata, sempre con cinque (o a volte con tre) cupolette e con un campanile a tetto piramidale, unito alla chiesa da un passaggio (Mosca: chiese della Trinità a Nikitniki, della Natività della Vergine a Putinki, di S. Nicola a Chamovniki). Nella decorazione di chiese e di palazzi si usò spesso l’alternanza di intagli in pietra con maioliche (a Jaroslavl´ e Uglič, Krutickij Teremok a Mosca). Verso la fine del secolo, nel ‘barocco russo’ o ‘barocco di Naryškin’ la decorazione delle chiese si arricchì di elementi occidentali rielaborati dai maestri russi con gusto decorativo (Mosca, chiesa della Resurrezione a Kadaši, chiese a Fili, a Ubory, a Troickoe-Lykovo, a Dubrovicy; campanile del monastero Novodevičij ecc.). Forme piramidali e proporzioni slanciate si diffusero; le torri del Cremlino di Mosca ricevettero cime piramidali durante il 17° secolo.
Nella pittura del Seicento la crescente influenza occidentale si combinò con il gusto tradizionale (elementi profani, soggetti religiosi raffigurati come scene di vita reale). Gli affreschi coprirono pareti e volte come un tappeto policromo (cattedrale degli Arcangeli, chiesa della Trinità a Nikitniki, a Mosca). Le icone della scuola detta Stroganov (dai suoi maggiori committenti) si caratterizzano per la minuziosa rifinitura dei particolari e per l’abbondanza delle dorature e degli elementi decorativi. Il pittore S. Ušakov fu anche uno dei primi incisori in rame: le sue incisioni rivelano la conoscenza di modelli occidentali e lo studio della natura. Numerose le sculture in legno, destinate alla decorazione di chiese e palazzi. Anche nella scultura l’influsso occidentale fu sempre più considerevole (rilievi nella chiesa di Dubrovicy, presso Mosca, fine 17° sec., eseguiti da maestri dell’Italia settentrionale). L’arte decorativa del 17° sec. si distingue per l’abbondanza dell’ornamentazione, per l’abile applicazione delle diverse tecniche di lavorazione dell’oro, dell’argento e degli smalti, per l’uso di pietre preziose. Sono notevoli anche le opere di ceramica (mattonelle di maiolica decoravano le pareti di chiese, palazzi, stufe).
L’architettura in legno ebbe la sua massima espansione nel nord della R., conservando le vecchie tradizioni fino al 18° sec., quando fu costruito il suo più straordinario esempio, la chiesa della Trasfigurazione a Kiži sul Lago Onega, dal profilo frastagliato da innumerevoli cupole. Con le riforme di Pietro il Grande e la maggiore apertura all’Occidente iniziò il periodo di laicizzazione della cultura russa, incoraggiando l’orientamento a rompere con le tradizioni bizantine e slave. La nuova capitale, San Pietroburgo, divenne il simbolo di questi orientamenti. Mentre qui, alla sobrietà dell’architettura di inizio secolo si associava il gusto barocco della seconda metà del 18° sec., Mosca conservò ancora alcuni tratti della tradizione locale, con il suo gusto per la ricca decorazione. Forme ed elementi dell’architettura gotica, collegati alle tendenze del romanticismo riscontrabili nell’architettura europea della fine del 18° sec., caratterizzano lo straordinario complesso del palazzo di Caterina II a Caricyno, presso Mosca, creato da V.I. Baženov e M.F. Kazakov. Tuttavia le tendenze neoclassiche rimasero predominanti dalla fine del 18° secolo.
La scultura del 18° sec. è rappresentata da grandi monumenti creati per le piazze di San Pietroburgo (statua equestre di Pietro il Grande di B.C. Rastrelli, monumento a Pietro il Grande di É. Falconet, monumento ad A. Suvorov di M. Kozlovskij), e da gruppi e busti di marmo, tra i quali notevoli le opere di F. Šubin.
Nella pittura del 18° sec. assunse particolare importanza lo sviluppo del ritratto (con i russi I. Višnjakov, I. Argunov, A. Antropov, F. Rokotov, D. Levickij, V. Borovikovskij e i pittori stranieri J. Tannauer, L. Caravaque, G. Grooth, A. Roslin, J. Lampi, L. Tocqué, S. Torelli, P. Rotari, che portarono in R. gli influssi del barocco e del rococò). Si sviluppò anche la pittura storica e religiosa (A. Losenko, G. Ugrjumov), la pittura di genere (M. Šibanov) e paesaggistica d’intonazione romantica (F. Šcedrin, F. Alekseev). Fiorì la pittura decorativa che risentì della pittura italiana portata in R. da G. Valeriani, S. Barozzi e P. Gonzaga.
L’architettura russa della prima metà del 19° sec. continuò le tradizioni del classicismo dando vita, durante il regno di Alessandro I, al cosiddetto stile impero, caratterizzato dal forte influsso palladiano e dall’austera monumentalità e semplicità geometrica (Ammiragliato di A. Zacharov, Borsa di T. de Tomon, cattedrale della Vergine di Kazan´ di A. Voronichin, palazzo del granduca Michele e teatro con edifici circostanti, di C. Rossi). Sobrietà e purezza classica distinguono anche le costruzioni di V. Stasov (edificio dei Depositi a Mosca), J. Beauvais (Teatro Bol´šoj a Mosca), D. Gilardi. Dopo la metà del secolo, divenne predominante un pomposo eclettismo (S. Isacco, di A. Montferrand, palazzi di Stackenschneider, a San Pietroburgo), con la creazione dello stile ‘russo-bizantino’ (cattedrale del Salvatore a Mosca di K. Ton; chiesa della Resurrezione a San Pietroburgo, di A. Parland; complesso dei magazzini, poi GUM, sulla piazza Rossa a Mosca, di A. Pomerancev; le opere di I. Petrov ecc.).
La scultura della prima metà del 19° sec. seguì le tradizioni del classicismo, con i noti monumenti di carattere eroico (monumento a Minin e Požarskij a Mosca, di I. Martos), la decorazione architettonica, le sculture nei parchi, i monumenti funebri (I. Martos, M. Kozlovskij, S. Ščedrin, S. Pimenov, V. Demut-Malinovskij, I. Vitali). Nella scultura della seconda metà del 19° sec. si distinguono le opere di M. Antokolskij, epigono del classicismo (statue di Ivan il Terribile, Pietro il Grande), di A. Opekušin (monumento ad A.S. Puškin a Mosca), dello scultore-impressionista P. Trubeckoj. Accanto alla pittura storica e religiosa, si sviluppò la pittura di genere, di paesaggio, di ritratto. La tradizione accademica si arricchì di accenti romantici; notevoli le figure di K. Brjullov, A. Ivanov, O. Kiprenskij, V. Tropinin. Negli anni 1860 e 1870 si manifestarono tendenze verso un realismo critico con il gruppo dei Peredvižniki o Ambulanti (➔).
Tra la fine del 19° e l’inizio del 20° sec. nell’architettura avvenne il passaggio dall’eclettismo all’art nouveau: tra i maggiori esponenti, F. Šechtel, F. Lidval, L. Kekušev, V. Valcott, le cui opere anticiparono elementi dell’architettura del costruttivismo. Negli anni 1910 si sviluppò una reazione alle forme floreali, un ritorno alle forme del classicismo (I. Fomin, V. Ščuko, I. Žoltovskij). Nella scultura si manifestarono tendenze impressionistiche (A. Golubkina, N. Andreev) e simboliste (A. Matveev, S. Konenkov). Nella pittura, le tradizioni degli Ambulanti cedono il primo posto a tendenze impressioniste, simboliste e ai movimenti innovatori comuni a tutta l’arte europea. I pittori del Mondo dell’arte (Mir iskusstva, 1898; A. Benois, K. Somov, N. Roerich, V. Borisov-Mussatov, E. Lansere, M. Dobužinskij ecc.) affermano il concetto dell’art pour l’art, esprimendo raffinata nostalgia del passato. I pittori della Rosa azzurra (Golubaja roza, 1906-07; M. Sarjan, P. Kuznecov ecc.) e del Vello d’oro (Zolotoe runo) esprimono tendenze postsimboliste e postimpressionistiche, mentre gli artisti del Fante di quadri (Bubnovyj valet, 1910; i fratelli Burljuk, I. Maškov, P. Končalovskij, R. Falk ecc.) creano una pittura tipo fauve e tendenze più radicali del primitivismo russo si raggruppano in Coda d’asino (Oslinyi chvost, 1912, N. Gončarova, M. Larionov, K. Malevič, V. Tatlin).
In questo clima d’intenso fermento intellettuale, spirituale e artistico appaiono nelle mostre di Mosca (Bersaglio, Mišen´, 1913) e di San Pietroburgo (0, 10 e Tramway V, 1915) le prime tendenze dell’arte d’avanguardia: il futurismo e il raggismo (Gončarova, Larionov, D. Burljuk, A. Ekster), il suprematismo (K. Malevič, O. Rozanova, L. Popova) e l’arte non figurativa (Tatlin, V. Kandinskij). Un posto particolare occupa M. Chagall.
Dopo la Rivoluzione d’ottobre, in un clima di vivissime discussioni nascono nuove istituzioni: al Dipartimento di belle arti (IZO, 1917) collaborarono Kandinskij, Tatlin, N. Altman, D. Šterenberg, Rozanova, Malevič, Rodčenko, N. Udalcova, I. Maškov, Falk, Petrov-Vodkin; l’Istituto di cultura artistica è guidato da Kandinskij e Malevič. La volontà di collegare la creazione artistica al mondo della produzione industriale trova espressione nel Vchutemas. Grande importanza hanno gli esperimenti teatrali di V. Mejerchol´d, il manifesto politico e la caricatura (D. Moor, V. Denis, V. Majakovskij). S’individuano tuttavia, nell’ambito dell’avanguardia, posizioni diverse rigettanti le tesi estreme del produttivismo, che portano alcuni artisti (N. Gabo, N. Pevsner, Chagall, Kandinskij) a proseguire la loro ricerca all’estero.
Nel 1922 si crea l’Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria, i cui esponenti (I. Brodskij, M. Grekov, S. Maljutin, G. Rijažskij e altri), difendendo l’arte realista, anticipano nelle loro opere il concetto di realismo socialista. Nell’architettura predominano le tendenze del costruttivismo (i fratelli Vesnin, M. Gincburg, I. Golosov, I. Leonidov, K. Melnikov, A. Ščusev). Sorgono i primi grandi stabilimenti industriali (fabbrica di prodotti chimici a Černoreč´e, 1918-19, di V. Vesnin; centrale elettrica di Volchov, 1919-26, di O. Munc, ecc.), complessi di case operaie, magazzini, palazzi della cultura e club operai (Melnikov, Golosov), si ricostruiscono quartieri interi in diverse città.
Verso la fine degli anni 1920 nelle arti figurative predominano tendenze realiste, rispondenti a scopi di propaganda e d’impegno politico. Nel 1932, sotto l’influenza del partito, i gruppi di pittori si sciolgono per confluire nell’Unione degli artisti sovietici, sulla base dell’Associazione degli artisti della Russia rivoluzionaria (B. Ioganson, V. Jakovlev, A. Gerasimov, S. Gerasimov, Dejneka, A. Plastov, J. Pimenov, M. Nesterov, P. Korin, V. Bakšeev, N. Krymov, A. Kuprin, V. Bjalynickij-Birulja ecc.). Molti pittori d’avanguardia sono relegati in secondo piano, alcuni seguitano le loro ricerche in privato (Tatlin, P. Filonov), altri continuano a lavorare nelle arti applicate, nel design e nell’illustrazione di libri (Rodčenko, Stepanova, V. Favorskij ecc.). Tra i pittori di primo piano sono Dejneka, Plastov, Nesterov Končalovskij. Nel campo della scultura si distingue V. Muchina (gruppo monumentale Operaio e colcosiana per il padiglione dell’URSS nell’esposizione di Parigi del 1937).
Negli anni 1930, in architettura, il costruttivismo esce dalla fase sperimentale con le realizzazioni a Mosca dei fratelli Vesnin (Club operaio della fabbrica di automobili, 1930-37), di Golosov (sede della Pravda, 1929-34); M. Ginzburg elabora il piano di ricostruzione socialista di Mosca Città verde (1930). Intensi sono anche i rapporti con gli architetti d’avanguardia europei, da Le Corbusier (Centrosojuz, poi Palazzo dell’industria leggera, a Mosca, 1929-35) a A. Lurçat, che soggiorna in R. dal 1934 al 1937, a E. May. Tra i concorsi internazionali importante è quello del Palazzo dei Soviet (1931-33), ma la vittoria del progetto di Jofan, Gel´frejch e Ščuko mostra l’affermazione della corrente tradizionalista e monumentale; gli architetti cercano di decorare la costruzione funzionale con gli elementi dell’architettura classica e rinascimentale (a Mosca opere di D. Čečulin, N. Molokov, K. Alabian, Ščuko, V. Gel´frejch, L. Rudnev, V. Munc; a Sverdlovsk: G. Vol´fenzon, E. Balakšina; ecc.).
Dalla fine degli anni 1940 con l’intensificarsi del controllo ideologico i temi della guerra, della vittoria e della ricostruzione, la glorificazione della storia rivoluzionaria sono i soggetti principali dell’arte (Dejneka, Pimenov, V. Serov, P. Sokolov-Skalja, E. Kibrik, A. Gerasimov, M. Maniser, N. Tomskij, A. Laktionov, F. Bogorodskij, S. Gerasimov, F. Modorov, J. Neprincev, D. Nalbandian ecc.). Si afferma la pittura di genere, descrittiva e moralizzante (F. Rešetnikov, S. Grigoriev). Si sviluppano il cartellone e la caricatura politica (B. Efimov, B. Prorokov, Kukryniksy, M. Kuprijanov, P. Krylov, N. Sokolov). Si creano edifici e complessi in cui predominano la pomposa monumentalità e l’eclettismo (case di via Gor´kij a Mosca di A. Burov e A. Mordvinov, stazioni della metropolitana di Mosca e di Leningrado, grattacieli di Mosca, di L. Rudnev e altri).
Verso la metà degli anni 1950 l’architettura comincia a liberarsi dall’imitazione degli stili storicizzanti e si volge verso una progettazione standardizzata e funzionale, soprattutto nell’architettura pubblica, con l’impiego di nuovi materiali e modi di costruzione e con l’uso di elementi prefabbricati. Si costruiscono a Mosca, Leningrado, Sverdlovsk, Gor´kij, grandi complessi abitativi, si procede a una vasta ricostruzione delle città antiche, impoverendo il loro aspetto storico. Un’impostazione per risolvere problemi urbanistici su vasta scala è evidente nella costruzione delle città nuove: Togliatti (di I. Pokrovskij), Zelengorod, presso Mosca (di Pokrovskij). Si edificano complessi architettonici (campo internazionale dei pionieri Novyj Artek di A. Poljanskij, 1960-69), edifici pubblici (Palazzo dei Congressi nel Cremlino a Mosca di M. Posochin e altri; Palazzo dei Pionieri sulle Colline dei passeri a Mosca di Čečulin, 1962-69).
Una serie di edifici pubblici degli anni 1970 evidenzia esempi di postmodernismo: complesso sportivo olimpico a Mosca di B. Tchor e altri, 1981; Casa dei Soviet della RSRFS Belyj dom «Casa bianca» di Čečulin, 1981. Dalla metà degli anni 1980 si affermano architetti di nuova generazione (M. Brodskij, I. Utkin, M. Chazanov).
Le prime aperture nell’arte si manifestano con le opere di gruppo degli allievi di S. Gerasimov, presentate nel 1954 alla I Mostra dei giovani artisti a Mosca (V. Gavrilov, I. Popov, V. Stožarov, fratelli Tkačëv e A. Tutunov), che prediligono tematiche contadine. Si organizzano mostre di artisti stranieri (P. Picasso) e di artisti russi degli anni 1920 e 1930 (Dejneka, El Lissitsky ecc.). Rinasce l’interesse per la grande forma figurativa, per la grafica pubblicitaria e per una concezione drammatica e severa (P. Nikonov, N. Andronov, V. Popkov, V. Ivanov, P. Ossovskij, fratelli Smolin). A metà degli anni 1950 nasce un’arte alternativa a quella ufficiale (A. Zverev, I. Kabakov, D. Krasnopevcev, V. Jakovlev, V. Sitnikov, D. Plavinskij, V. Nemuchin, O. Rabin, O. Celkov, V. Jankilevskij, V. Vejsberg, L. Kropivnickij; lo scultore E. Neizvestnyj), tollerata dalle autorità nella sfera privata. Notevole ruolo nella vita artistica di Mosca ha E. Beljutin, incoraggiando la sperimentazione e riallacciandosi alle tradizioni dell’avanguardia russa.
Negli anni 1970, in un clima di tensione tra artisti d’avanguardia e potere politico, si sviluppano l’arte concettuale e la pungente soc-art, con I. Kabakov, I. Čujkov, I. Makarevič, I. Komar, A. Melamid, attivi soprattutto all’estero. Negli anni 1980, in un’atmosfera di maggiore libertà svolgono le loro azioni i gruppi Muchomory («Ovoli malefici»), Detskij sad («Giardino d’infanzia»), Medicinskaja germenevtika («Ermeneutica medica»).
Dal 1991 la situazione artistica in R. ha subito notevoli cambiamenti sia nel campo propriamente creativo sia in quello organizzativo, in qualche modo già avviati nel decennio precedente. L’Unione degli artisti, che in precedenza aveva regolato l’attività artistica, ha perduto d’importanza, sostenuta da artisti della vecchia generazione, mentre più attiva è l’Unione professionale degli artisti e dei grafici. Anche l’Accademia delle Arti, baluardo dell’arte ufficiale dalla sua fondazione (1947), ha perso d’influenza. In numerose gallerie d’arte municipali si organizzano mostre e installazioni dei principali artisti (B. Orlov, I. Čujkov, F. Arana Infante, I. Makarevič) e di giovani di tendenze radicali. Gli artisti emigrati all’estero e in particolare i fondatori della soc-art, Komar e Melamid, e il principale artista concettuale, Kabakov, hanno continuato a indirizzare l’avanguardia nazionale. Si riscontra, tuttavia, accanto alla presenza di nuove tendenze (A. Brodskij e I.V. Utkin, S. Šutov, I. Baskin, O. Černiševa, T. Liberman, L. Gorlova, A. Isaev, S. Bugaev Afrika, A. Èulgin, O. Ljalina, A. Brener, O. Kulik), la permanenza di elementi propri del passato come, per es., la considerazione dell’arte da parte dello Stato quale importante mezzo di propaganda.
Nel corso degli anni 1990 l’architettura russa ha continuato a sviluppare i principali filoni di ricerca già emersi nel decennio precedente. Alla combinazione di elementi che reinterpretano il contesto non sfugge il Presidium dell’Accademia delle Scienze a Mosca (J. Platonov e altri, 1990), dove i cubi traforati e dorati posti sulla sommità delle doppie torri intendono richiamare la città delle cupole d’oro. Tra gli esponenti dell’ultima generazione, M.A. Filippov e I. Utkin. Rilevante anche l’attività dello Studio Ostoženka, diretto da A.A. Skokan.
Le prime testimonianze storiche della vita musicale in R. risalgono al 10° sec., quando documenti attestano la nascita dell’epos delle byliny, che fu in voga per vari secoli, avendo per centro prima Kiev (11°-12° sec.), poi Novgorod (12°-14° sec.). Canto di matrice popolare, a carattere epico-narrativo, monodico o polifonico, la bylina scomparve gradualmente con la formazione dello Stato russo (14°-15° sec.), lasciando il posto a veri e propri canti popolari, più radicati nelle vicende politiche e nelle aspirazioni sociali.
Immenso è il patrimonio di canti popolari. Fra essi emergono i burlaki, cantati una volta dagli alatori del Volga, e le brevi e incisive castuske, allusive all’attualità. Inseparabile dal canto è la danza: l’antica trepak, l’ucraina gopak, la perepljas, una gara di danza a 5, la pridanie, caratterizzata da uno slancio sfrenato, i girotondi ecc. La musica strumentale popolare, strettamente legata al canto, usa vari strumenti: la gusla, il gudok, la domra e poi la balalaika; pifferi, trombe, flauti, la zalejka e la volinka (a fiato); i lozki e altri strumenti a percussione.
Insieme con le forme popolari, la musica sacra (la cui presenza è storicamente databile dal 988) contribuì grandemente al formarsi di un patrimonio musicale nazionale. Nel 16° sec., quando si ebbe l’introduzione della notazione europea su 5 righe, si realizzò una grande opera di revisione e classificazione di tutta la musica liturgica: ciò portò, tra l’altro, alla compilazione dello Stoglavyj sobor, codice comprendente una selezione delle melodie in uso sotto il regno di Ivan il Terribile, e all’introduzione del canto strocnoe, a 2 o 3 voci.
Nel Seicento, nonostante l’opposizione ufficiale, per diretto influsso dei cantori ucraini e del loro compositore N. Diletskij, la musica sacra si arricchì di forme legate alla tradizione occidentale, fenomeno che portò, nella seconda metà del secolo, al kant (che richiama il gymel inglese), comune anche al genere profano, a 3 voci, di sapore tonale maggiore o minore, mentre già si era diffuso il ‘concerto spirituale’, polifonicamente complesso (fino a 24 voci), che ebbe compositori di rilievo in V. Titov e, nel 18° sec., in M. Sozontovic Berezovskij e D. Stepanovic Bortnjanskij .
Nel Settecento i nobili, seguendo l’esempio di Pietro il Grande e di Caterina II, sentirono il bisogno di circondarsi di uomini insigni nel campo dell’arte e della scienza, attingendo largamente alla civiltà occidentale. Nella seconda metà del secolo musicisti di grande fama, soprattutto italiani, contribuirono alla nascita di una musica colta russa: tra essi gli operisti F. Araja, B. Galuppi, T. Traetta, G. Paisiello, G. Sarti (direttore della Cappella Imperiale), D. Cimarosa (direttore dell’Opera italiana a San Pietroburgo), C. Cavos (direttore del Teatro Imperiale e autore delle prime opere d’argomento russo in lingua russa). Sotto il loro influsso alla fine del Settecento si erano già affermati compositori russi: nel teatro, E.I. Fomin, M. Matinskij, V.A. Paskevic; nel genere vocale, J. Kozlovskij; in quello strumentale, I. Chandoskin.
Nel 19° sec. l’assimilazione della musica occidentale si estese e si affermò la romanza vocale con S.N. Titov, A.N. Titov, A. Varlamov, A.F. Lvov, autore dell’inno nazionale Dio salvi lo zar (1833). Ma l’Ottocento fu soprattutto il secolo in cui la musica colta russa assunse una fisionomia propria. Iniziatori della scuola nazionale furono A.S. Dargomyžskij e M.I. Glinka, creatore dell’opera nazionale con Una vita per lo zar e Ruslan e Ljudmila, nelle quali recuperò originalmente il folclore russo. La loro eredità fu raccolta dal Gruppo dei Cinque, in particolare da M.P. Musorgskij, che si ispirò largamente, soprattutto nell’opera, al patrimonio popolare. Altri compositori, come A.G. Rubinstejn , si rifecero invece chiaramente al romanticismo tedesco o cercarono nell’eclettismo valide forme di espressione: tra questi, il posto di gran lunga più importante è occupato da P.I. Čajkovskij, probabilmente il maggiore rappresentante della storia musicale russa, attivo in ogni campo con lavori che tuttora sono alla base del repertorio teatrale, sinfonico e cameristico. Fra gli altri autori citeremo A.S. Arenskij, A. Konstantinovic, A.N. Skrjabin, S.V. Rachmaninov, il cui linguaggio si rifà al tardoromanticismo tedesco.
In una tradizione di gusto chiaramente occidentale, si colloca il maggiore compositore russo del Novecento, I. Stravinskij, la cui vicenda biografica si svolse completamente, a partire dal 1915, tra l’Europa e gli Stati Uniti. Dopo la scoppio della rivoluzione nel 1917, oltre a Stravinskij altri musicisti abbandonarono il paese trasferendosi in Occidente, Rachmaninov, A.T. Grecaninov e A.K. Glazunov. S.S. Prokof´ev, che era stato assente dall’Unione Sovietica dal 1918, pur condividendone le scelte politiche e ideali, vi fece ritorno nel 1933.
La prima fase del regime comunista (sino al 1930 ca.) fu caratterizzata in campo musicale da un’aperta adesione alle avanguardie storiche occidentali, in particolare alle esperienze dell’espressionismo e della nuova scuola di Vienna (A. Schönberg, A. Berg e A. Webern), e dalla ricerca di un linguaggio che rispecchiasse sul piano dello stile il processo di rinnovamento rivoluzionario in atto nel paese. La rivalutazione del patrimonio folcloristico, la stretta collaborazione con uomini di teatro e di cinema (celebre fra le altre la collaborazione di Prokof´ev con S.M. Ejzenstejn per Alessandro Nevskij), l’elaborazione di nuove forme e modi di comunicazione furono i punti nodali di questa ricerca. Accanto a Prokof´ev e a D. Šostakovic, che rimangono le personalità di maggiore rilievo della storia musicale sovietica del Novecento, si segnalarono N. Mjaskovskij, R.M. Glier, B.V. Asaf´ev , A.A. Krejn, J.A. Saporin, S.N. Vasilenko e altri.
La politica culturale staliniana portò a un arresto di queste esperienze, ponendo l’accento sulla necessità di una musica facilmente comprensibile al popolo, ispirata a tematiche patriottiche e, soprattutto, nettamente legata al sistema tonale: in base a questi principi nel 1948 furono accusati di ‘formalismo borghese’ autori quali Prokof´ev, Šostakovic, A.I. Khacaturjan e altri. Queste direttive si accompagnarono peraltro a una capillare ristrutturazione della vita musicale, sia sul piano didattico sia su quello organizzativo, che fece dell’Unione Sovietica uno dei paesi nei quali più alto e generalizzato era il livello dell’istruzione musicale, com’è confermato dalla vasta diffusione di complessi sinfonici e di solisti di fama mondiale: si pensi a pianisti come E.G. Gilels, S.T. Richter, V. Askenazij, L. Berman, ai violoncellisti G. Piatigorski e M.L. Rostropovic e a sua moglie, il soprano G.P. Visnevskaja, ai violinisti D. e I. Ojstrach, L.B. Kogan ecc.