(russo Čečnja) Repubblica della Federazione Russa (12.300 km2, 1.162.801 ab. nel 2006), nata nel 1991 dalla divisione in due distinte unità politiche della Ceceno-Inguscezia (esistente dal 1936 in seguito alla fusione dell’oblast′ autonoma dei Ceceni e dell’oblast′ autonoma degli Ingusci, costituite rispettivamente nel 1922 e nel 1924). Capitale Groznyj. Situata nella Ciscaucasia centro-orientale, comprende a S i contrafforti del Caucaso (M. Tebulos m 4.492), a N una pianura stepposa, nella parte centrale le valli dei fiumi Terek e Sulak.
Non è facile stabilire il potenziale produttivo della C., sensibilmente azzerato dalle distruzioni belliche per quanto riguarda gli impianti industriali e gravemente indebolito anche nel settore agricolo e zootecnico. La risorsa principale è il transito dell’oleodotto che unisce la città daghestana di Mahačkala (e quella di Baku in Azerbaigian), sulla riva occidentale del Mar Caspio, con Novorossijsk, sul Mar Nero; a seguito del primo conflitto ceceno, la Russia ha aperto una condotta diversiva che effettua un largo circuito a nord del territorio della C., così da evitare il transito per Groznyj, dove peraltro converge anche il petrolio prodotto nella stessa Cecenia.
L’autoproclamazione della C. indipendente (1991), presieduta dal leader nazionalista D. Dudaev provocò la reazione di Mosca che, nel 1994, decise di intervenire militarmente. Nel gennaio 1995 i Russi conquistarono, a prezzo di violenti bombardamenti, Groznyj, ma non riuscirono a debellare la resistenza dei separatisti, che nell’agosto 1996 rientrarono nella capitale. Alla fine dello stesso mese fu raggiunto un accordo di pace che, pur portando al ritiro delle truppe russe, rinviò la definizione dello status ceceno al 2001; da parte cecena i negoziati furono condotti da A. Maschadov, che l’anno dopo fu eletto presidente della Repubblica. Nel 1999, dopo una serie di sanguinosi attentati, la Russia riprese le operazioni militari, rientrando a Groznyj nel gennaio 2000. Nel giugno successivo la C. fu posta sotto il controllo diretto di Mosca, che nominò alla guida dell’amministrazione provvisoria A. Kadyrov. La dura politica repressiva messa in atto dal governo e le violenze delle truppe russe stanziate sul territorio resero difficile l’avvio di un reale processo di pacificazione, minato nelle fondamenta anche dalla crescente radicalizzazione delle forze indipendentiste sempre più egemonizzate dai gruppi fondamentalisti islamici. Gli anni successivi furono dunque caratterizzati da una ripresa degli attentati terroristici, alcuni di fortissimo impatto, come nel 2002 il sequestro di 800 spettatori nel teatro Dubrovka di Mosca. Nel marzo 2003 un referendum costituzionale, pur prospettando l’autonomia della regione, ne asseriva l’appartenenza alla Federazione Russa, e in ottobre le elezioni presidenziali vedevano la vittoria di Kadyrov, schierato su posizioni filorusse. Nel maggio 2004 Kadyrov rimase vittima di un attentato (gli subentrò, dopo le elezioni svoltesi in agosto, A. Alchanov, già primo ministro) e nel settembre successivo un commando di separatisti ceceni fece irruzione in una scuola di Beslan, in Ossezia del Nord, prendendo in ostaggio più di mille persone. Nel marzo 2005 i reparti speciali antiterrorismo russi uccisero Maschadov, considerato il leader dei ribelli indipendentisti; nel novembre successivo il partito filorusso Russia unita vinse le elezioni legislative. Nel marzo 2006 fu proclamato primo ministro R. Kadyrov, figlio del premier ucciso, e nel 2007 fu designato presidente. Seguì un periodo di relativa calma, le incursioni dei ribelli si diradarono e il 16 aprile 2009 il Cremlino decretò la fine del regime antiterrorista: si concludeva formalmente il conflitto ceceno. Nei fatti però la guerriglia continuava: scontri a fuoco e attentati si susseguivano, e nel marzo del 2010 due donne kamikaze provocarono la morte di trentasette persone nella metropolitana di Mosca. Sette mesi più tardi il Parlamento di Groznyj venne preso d’assalto. Sul fronte governativo, la repressione non si è attenuata e la questione cecena ha acquisito sempre più i toni dell’emergenza umanitaria. La stampa che riesce a eludere la censura e le ONG presenti sul territorio raccontano di migliaia di persone scomparse, sequestrate o uccise nel corso degli anni; e non tutti erano ribelli. Tristemente famose, in proposito, sono le vittime A. Russo (2000), A. Politkovskaja (2006), A. Baburova e S. Markelov (2009).