stilistica Termine, diffusosi in Italia sul modello del ted. Stilistik intorno alla metà del 19° sec., con cui si indicò dapprima quell’insieme di teorizzazioni e di precetti intorno allo scrivere che già si erano costituiti in dottrina, almeno a partire da Isocrate e Teofrasto, nell’ambito della retorica greca.
Alla s. antica risale la distinzione tradizionale dei tre stili (sublime, medio, umile), cui devono corrispondere i diversi generi letterari. Tale distinzione, generalmente accettata dall’antichità e dal Medioevo, poggia sul contenuto: un certo contenuto (naturale, o sociale) vuole lo stile corrispondente (quel certo lessico, quella certa onomastica, quella certa elocuzione), che si realizza attraverso un uso appropriato dell’ornatus e delle figure. Alla s. antica, come a quella che assumeva di riflettere una condizione oggettiva, si attribuiva non soltanto una strumentalità analitica ma (e anche più) un valore normativo. Proprio questa normatività fu il primo tra i suoi aspetti a venir messo in discussione dall’estetica moderna, fondata sul concetto della creatività individuale. Si aggiunse, a disgregarne il sistema, la critica di B. Croce, che dissolse il concetto di genere letterario (sopravvissuto fino al tardo positivismo: F. Brunetière) e infine il fatto che romanticismo e positivismo avevano spostato l’osservazione delle opere letterarie da un punto di vista prevalentemente formale (retorico) a uno decisamente contenutistico (ideologico, psicologico, sociale). Perciò gli strumenti analitici apprestati dalla s. antica invece di venire incrementati caddero piuttosto in disuso, mantenendosi soltanto nelle scuole e, nell’uso scientifico, nella critica e storiografia letteraria di ascendenze umanistiche, piuttosto staccata dal Romanticismo (in Italia: G. Carducci e i carducciani; F. D’Ovidio).
Al principio del Novecento, mentre da una parte cadono definitivamente certi residui arcaici dell’antica s., sorgono, una dopo l’altra, delle s. nuove. Fra esse prima in ordine di tempo e per cospicuità è quella che nasce dall’incontro dell’estetica di B. Croce con la linguistica romanza. È la s. di C. De Lollis (con i suoi scolari: D. Petrini, V. Santoli) e di K. Vossler. Legati invece alla cultura letteraria simbolista e post-simbolista sono in Francia il magistero critico di A. Thibaudet, influenzato da H.-L. Bergson, e le riflessioni sull’arte di M. Proust che, negli scritti postumi raccolti col titolo Contre Sainte-Beuve (1954), pone al centro dell’attenzione il problema dello stile e rivendica il valore autonomo dell’opera letteraria, negando ogni presunto rapporto di derivazione genetica di essa dalla biografia dell’autore. Nell’ambito della critica d’arte ebbe importanti riflessi l’estetica della «pura visibilità» (K. Fiedler), inaugurando un orientamento formalistico che (con gli schemi di H. Wölfflin che fondavano la nuova s. figurativa) ha esercitato a sua volta un notevole influsso sulla storiografia letteraria e musicale, soprattutto per la periodizzazione storica sul fondamento di caratteri formali.
Ma un impulso determinante al costituirsi della nuova s. venne dagli studi di linguistica generale. Dal concetto di sistema linguistico e dalla distinzione fra langue e parole, cioè fra lingua come istituto sociale e lingua come espressione individuale (F. de Saussure), sono scaturite la s. ginevrina di C. Bally e lo strutturalismo. La s. ginevrina (oltre a Bally: J. Marouzeau, C. Bruneau ecc.) è rivolta a caratterizzare le scelte stilistiche e gli aspetti affettivi (a distinzione dagli intellettivi) che la lingua collettiva offre all’individuo. Il formalismo russo (V. Šklovskij, J. Tynjanov, V. Vinogradov) e lo strutturalismo (R. Jakobson) indagano il testo letterario nella sua struttura funzionale, nella connessione di tutte le parti con l’insieme: l’opera letteraria è scomponibile in vari livelli (fonico, grafico, morfologico, sintattico, lessicale) e in vari registri e sottocodici. La descrizione stilistica di un testo (considerato come un microcosmo con proprie leggi interne) è appunto la descrizione di tutte le sue proprietà verbali. Con lo strutturalismo, la s. diventa in realtà l’indagine linguistica globale del testo.
La s. letteraria ha avuto tuttavia il massimo sviluppo nell’opera di L. Spitzer, che può essere considerato il fondatore della s. come disciplina. Spitzer parte da una lettura e rilettura del testo fino a cogliere gli elementi di deviazione rispetto all’uso linguistico medio; tali elementi vengono poi sfruttati per risalire ai caratteri generali dell’opera e dell’autore, attraverso una fitta trama di verifiche. L’indagine è possibile anche in testi scarsamente devianti dalla norma, attraverso l’accertamento degli elementi dominanti la realizzazione linguistica. Più recentemente, sull’avvio di Spitzer, l’uso del computer ha consentito di misurare l’ampiezza e la varietà lessicale di un’opera; e insieme l’indagine stilistica evidenzia le parole-chiave e le parole-tema, da cui si possono trarre utili indicazioni di carattere stilistico generale.
In Italia, sull’esempio di Bally e di Spitzer, G. Devoto ha studiato lo stile degli scrittori confrontandoli con gli istituti linguistici a cui si riferiscono. Anche in G. Contini sono presenti influssi spitzeriani; ma la sua complessa formazione filologica lo porta a realizzare in maniera originale l’indagine stilistica, attraverso le varianti di autore in una biunivoca ricerca diacronica e strutturale, o attraverso la convergenza di tutti gli aspetti tecnici del testo (la critica ‘verbale’). Il grande impulso agli studi linguistici dato dallo strutturalismo ha condotto, d’altra parte, alla caratterizzazione delle lingue nazionali (W. von Wartburg) in parallelo o convergenza con la linguistica idealistica (le «lingue nazionali come stili» di K. Vossler). A completare poi il panorama della s. del Novecento, oltre a ricordare l’influenza del metodo spitzeriano sull’opera di E. Auerbach, si segnala l’ampia indagine storica sui topoi letterari condotta da E.R. Curtius (Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter, 1948), il new criticism americano (in cui riecheggiano pensieri di Croce e di Spitzer), nonché la scuola spagnola (1940 ca.) intorno a D. Alonso. Infine devono essere ricordati nel Belgio A. Henry; in Inghilterra S. Ullmann; in Germania A. Langen; negli USA, R. Wellek e H. Hatzfeld.
La s. è un insieme di strumenti per l’analisi formale e non una forma di critica, cioè un giudizio di valore. L’espressione critica stilistica (in sé impropria) indica, dunque, una critica che per la parte descrittiva si serve di schemi stilistici e non, per es., psicologici o ideologici (tale è, eminentemente, quella di De Lollis). Ma la s. in quanto tale descrive, non giudica. Inoltre, la molteplicità dei metodi stilistici del Novecento ha la sua giustificazione sostanziale nella diversità delle origini filosofiche e, soprattutto, nei differenti bisogni e scopi dell’analisi. La s. d’ispirazione crociana è diretta in principio soprattutto alla caratterizzazione dello stile individuale, anche se poi la linguistica idealistica non diverge troppo dalla storiografia d’ispirazione wölffliniana, rivolgendosi all’esegesi delle correnti collettive del gusto delle grandi epoche storiche; mentre d’altra parte è abbastanza evidente l’analogia tra il formalismo russo, lo strutturalismo, il new criticism e gli orientamenti formali propri di molte poetiche del Novecento.