Narrazione poetica di gesta eroiche, spesso leggendarie. Si distingue comunemente in e. (o poesia epica) tradizionale, quella che raccoglie in organica unità di poema racconti elaborati dalla tradizione (per es., l’e. omerica, l’e. dei Nibelunghi), ed e. riflessa, quella nella quale tanto l’elaborazione fantastica del racconto storico quanto la sua formazione in poema è opera individuale (per es., la Gerusalemme liberata).
Abbraccia la produzione di diverse civiltà, da distinguere con criterio geografico. La più antica e. è quella che si trova nel vicino Oriente, e segnatamente nelle due grandi culture che ne dominano la storia, l’egiziana e la mesopotamica. La prima è assai meno diffusa della seconda: essa si limita ad alcuni poemi sui faraoni, mentre per il resto si rinviene solo in tracce sparse, nei testi mortuari magici ecc. Ampia e fondamentale l’e. mesopotamica, sumerica e accadica, che narra le vicende degli dei e degli eroi: tra le prime è famoso particolarmente il poema della Creazione (Enūma elīsh), tra le seconde il poema di Gilgamesh, irradiatosi nelle letterature circostanti.
Presso i popoli della Siria e Palestina, un’ampia letteratura epica è stata scoperta a Ugarit, e resti di composizioni simili appaiono fusi nella narrazione biblica. Più tardi, l’antica letteratura araba offre numerosi elementi di carattere epico. Procedendo verso oriente, la letteratura persiana porta il genere dell’e. alla più compiuta espressione con lo Shahnāmè («Libro dei re») di Firdusi. E più oltre ancora l’India offre due immensi poemi, il Mahābhārata e il Rāmāyaṇa, ampiamente studiati in Europa. Tracce epiche non mancano, infine, nelle letterature dell’Estremo Oriente.
I più antichi poemi epici rimastici sono l’Iliade e l’Odissea, già dalla tradizione attribuiti a Omero. A Omero furono dagli antichi attribuiti anche i perduti poemi del cosiddetto ciclo epico, che cantavano fatti aventi come centro le vicende narrate nell’Iliade e nell’Odissea. Dopo Omero, si trovano elementi epici nelle opere di Esiodo; dei successori è rimasto poco o nulla. Nel periodo ellenistico prevale l’ epillio, breve episodio epico, di cui Callimaco fu il teorico e il maggior cultore; le stesse Argonautiche di Apollonio Rodio tendono a risolversi in una serie di episodi. Tra gli autori di poemi epici successivi si ricordano Quinto Smirneo e Nonno di Panopoli.
Indubbiamente le stirpi italiche ebbero nuclei propri, fissati in carmi epici, di tradizioni non estranee all’opera dei primi poeti epici che subirono l’influsso greco. Nevio iniziò l’e. romana letteraria con il Bellum Poenicum; Ennio riprese negli Annali il tema di Nevio abbracciando tutta la storia di Roma (salvo la parte trattata da Nevio); ma solo nell’Eneide di Virgilio la storia di Roma e l’esaltazione della sua missione nel mondo trovano la loro piena espressione artistica. Un filone di epica più strettamente storica prese a soggetto avvenimenti particolari di storia recente: Ostio, Furio Bibaculo, Cicerone, Albinovano Pedone, di cui restano scarsi frammenti, e infine il Bellum civile (o Pharsalia) di Lucano. Silio Italico con le Puniche si riallaccia a Nevio e a Ennio; Valerio Flacco con le Argonautiche e Stazio con l’Achilleide e la Tebaide alla tradizione greca del poema epico-mitologico. Qualcosa di mezzo tra l’e. e la poesia didascalica, sotto l’influsso dell’epillio alessandrino, sono i Fasti di Ovidio.
La vera e propria e. germanica è preceduta dai cosiddetti Heldenlieder, le «canzoni eroiche», in gran parte perdute, sviluppatesi all’epoca delle grandiose migrazioni di quei popoli, fra il 4° e il 7° secolo. Il sentimento dell’unità della stirpe fece sì che la materia leggendaria di un singolo popolo fosse sentita come patrimonio spirituale comune a tutti i popoli germanici. Del principio dell’8° sec. è l’anglosassone Beowulf; del 10° sec. il poema latino su Gualtiero di Aquitania, di Eccheardo. Ma l’e. germanica giunse alla sua piena manifestazione solo con il Nibelungenlied (principio del 13° sec.), in cui confluì la maggior parte della leggenda eroica tedesca, e che fu seguito da una fioritura di altri poemi, a esso più o meno strettamente collegati. Nella prima metà del 13° sec. Snorri Sturluson redigeva l’Edda in prosa, e si raccoglievano ancora una volta nella Völsungasaga i dispersi elementi della storia di Sigfrido. Soltanto la Gudrun (1200 ca.), su antiche leggende dei Germani del Nord, presenta una materia diversa dal ciclo dei Nibelunghi.
Nessuna delle letterature slave ha avuto una vera e.; vi sono soltanto singoli canti epici, dei quali alcuni sono stati raccolti dagli studiosi in cicli, come quelli sulla battaglia di Kosovo (1389) e intorno alla figura leggendaria di Marco Kraljević presso i Serbi, e quello sui Bogatyri di Kiev presso i Russi; di questi solo il Canto della schiera d’Igor, che rappresenta uno squarcio di vita feudale russa del 12° sec., si avvicina all’epopea.
Abbraccia l’e. francese, spagnola, italiana intorno alle lotte dei cristiani contro i saraceni e dei feudatari tra di loro; si estende dal 9° al 16° sec. (➔ cavalleresca, poesia; Chansons de geste; Cid).
Con il rinascere degli studi di antichità classica, si elabora il concetto del genere letterario epico, e si scrivono in ogni nazione poemi sul modello degli epici classici, soprattutto di Omero e di Virgilio. Già F. Petrarca aveva voluto dare nella sua Africa una nuova Eneide; G. Boccaccio per primo nel Teseida tentò in volgare il poema che sarà poi detto eroico e, nobilitata la popolare ottava, diede il metro alla futura poesia narrativa italiana. L’epica latina del Quattrocento cantò di solito avvenimenti contemporanei, a fini encomiastici (Hesperis di Basinio da Parma su Sigismondo Malatesta; Sphortias di F. Filelfo). La Poetica di Aristotele diviene nel Cinquecento la grande fonte a cui ricorrono i teorici di poesia e i poeti stessi, nello sforzo concorde di dare all’Italia un poema nazionale degno di essere posto a fianco degli antichi. L’Italia liberata da’ Gotti di G.G. Trissino (1547-48) è il più perfetto esempio di uno sforzo erudito che, non sorretto da un temperamento veramente poetico, era destinato a fallire.
Nel Cinquecento si separò teoricamente il poema eroico da quello cavalleresco o romanzesco, finché T. Tasso non solo elaborò i principi del poema eroico, ma diede, con la Gerusalemme liberata, il frutto poeticamente più alto dello sforzo teoretico che durava da tanti anni. Numerosissimi i suoi epigoni, nel corso del 17° sec., sebbene già al principio del secolo il sorgere e l’affermarsi del poema eroicomico (La secchia rapita di A. Tassoni ecc.) mostrasse la sazietà del genere letterario, e la dissoluzione, nelle coscienze, del mondo eroico e cavalleresco. Continuano, per forza di stanca tradizione, poemi eroici nel Settecento e persino nel primo Ottocento (I Lombardi alla prima Crociata di T. Grossi); ma ormai il genere, come tale, appartiene al passato. Ciò non vuol dire che ispirazione e momenti epici anche di grande potenza poetica non possano trovarsi in poeti come, per es., G. Carducci.
Vicende non dissimili ha il poema epico nelle altre letterature moderne. Esso è tentato in Francia da P. de Ronsard (Franciade, 1572); e ancora da Voltaire con la sua Enriade. I Lusiadi di L.V. de Camões celebrarono le nuove glorie marinare e nazionali del Portogallo; in Inghilterra la tradizione epica fu interrotta dall’e. religiosa creata da J. Milton nel Paradiso perduto; anche la Messiade di F.G. Klopstock, in Germania, si avvicina più a Milton che alla epica tradizionale. Le letterature moderne che hanno conosciuto una rinascita epica sono le scandinave: in Danimarca A.G. Oehlenschläger (Aladdin, Helge ecc.), in Svezia E. Tegnér (Fritjofs saga), in Finlandia E. Lönnrot (Kalevala) diedero vita a poemi tipici dello spirito nazionale.