(gr. 'Oδύσσεια, lat. Odyssēa) Poema omerico che narra le vicende dell'eroe Ulisse (gr. 'Oδυσσεύς), il suo ritorno da Troia alla patria Itaca e la riconquista del trono. Tranne singole parti, le più antiche, che sono forse anteriori ad alcune parti dell'Iliade, si può affermare che nel complesso l'Odissea è il più recente dei due poemi (forse la sua redazione, salvo interpolazioni successive, è degli inizî del sec. 7° a. C.). Già nell'antichità il diverso, più pacato e maturo tono della poesia suggerì l'idea che esso fosse opera della vecchiaia di Omero; in seguito, la valutazione cronologica si è basata soprattutto su quei riflessi del mondo ritenuto contemporaneo al poeta dell'Odissea, dai quali si può intravedere un'epoca che, per l'organizzazione sociale e per i costumi, è assai più vicina alle aristocrazie del sec. 7° che non alle più antiche monarchie, tipiche dell'Iliade. Se in generale può dirsi che l'Odissea per il contenuto appartiene al genere dei "ritorni" degli eroi greci da Troia, dopo la distruzione della città, essa già in età molto antica se ne distaccò, per l'altezza della poesia e la profondità della concezione morale; fu questo distacco a suggerire l'attribuzione del poema a Omero, il massimo poeta epico secondo la tradizione. Il poema consta, nella forma che ci è pervenuta, di 12.007 esametri ed è diviso in 24 libri (divisione che risale, come quella dell'Iliade, a Zenodoto), contrassegnati dalle lettere dell'alfabeto greco (minuscole, essendo le maiuscole riservate all'Iliade). Il mondo morale dell'Odissea sembra meno arcaico di quello dell'Iliade (anche se la lingua e lo stile sono analoghi), non solo per quel tono di più serena umanità che lo ha fatto considerare il poema della saggezza, nei confronti dell'altro, il poema dell'eroismo e della guerra, ma per l'affacciarsi di meditazioni morali sulla giustizia, sui rapporti tra l'uomo e la divinità, che in qualche modo sembrano presupporre una civiltà più progredita e meno istintiva di quella in cui nacque l'epos dell'ira di Achille.
L'Odissea può, per il contenuto, essere divisa in tre parti: la Telemachia (libri II-IV); i viaggi di Ulisse (libri V-XII); il ritorno di Ulisse a Itaca e la sua lotta contro i Proci (libri XIII-XXIV). Il primo libro è destinato a fondere insieme le varie parti. Ha luogo un concilio degli dei: essi hanno pietà di Ulisse, trattenuto nell'isola Ogigia da Calipso. In assenza di Posidone, nemico dell'eroe, inviano a Calipso Ermete, con l'ordine di lasciar partire Ulisse (I). Nel frattempo, il giovane figlio di Ulisse, Telemaco, è costretto a subire gli oltraggi dei pretendenti di sua madre, i Proci (II); per esortazione di Atena intraprende un viaggio, prima a Pilo, presso Nestore (III), poi a Sparta, presso Menelao (IV), per ricercare il padre, del quale non ha notizia. Giunto Ermete all'isola Ogigia, Calipso concede a Ulisse di partire; questi, dopo una navigazione di sedici giorni, scampa miracolosamente a una tempesta scatenatagli contro da Posidone, e approda all'isola dei Feaci, addormentandosi esausto sulla spiaggia (V). Risvegliato dalle voci di Nausicaa, figlia del re dei Feaci, e delle sue ancelle, Ulisse si mostra e ottiene la benevolenza della fanciulla, cui non rivela la propria identità. Questa lo accompagna in città (VI). Ricevuta ospitalità dal re dei Feaci Alcinoo, Ulisse ne visita la casa (VII) e il giorno seguente assiste a delle gare; commosso dal canto dell'aedo Demodoco che rievoca la fine di Troia, rivela la sua identità e narra le sue avventure (VIII): la lotta contro i Ciconi, il naufragio nel paese dei Lotofagi, l'avventura nella terra dei Ciclopi e nella grotta di Polifemo (IX); la rovina causata dai venti fuoriusciti dall'otre donato da Eolo; l'approdo nella terra dei Lestrigoni antropofagi; la dimora nell'isola Eea, presso l'incantatrice Circe, che trasforma i compagni di Ulisse in maiali (X); il viaggio ai confini della terra, nel paese dei Cimmerî, per evocare le ombre dei morti: i colloquî con Elpenore, con l'indovino Tiresia che gli predice il futuro, con la madre Anticlea, con Agamennone e Achille, e l'incontro con Aiace, che si allontana sdegnoso da lui (XI). Seguono il ritorno all'isola di Circe, i pericoli incontrati nel costeggiare l'isola delle Sirene, e poi tra Scilla e Cariddi; l'arrivo all'isola del Sole, l'uccisione delle vacche sacre, la vendetta del dio che fulmina tutti i compagni di Ulisse e l'arrivo di questo, rimasto solo, all'isola Ogigia, ultima tappa prima del fortunoso arrivo all'isola dei Feaci (XII); Alcinoo, premuroso e sollecito, ordina ai sudditi di ricondurre Ulisse nella sua Itaca (XIII). Trasformato da Atena in un vecchio mendico, l'eroe si reca nella capanna del porcaro Eumeo che si lamenta con lui, senza riconoscerlo, dell'insolenza dei Proci, e ricorda con affetto il vecchio padrone (XIV). Nel frattempo Telemaco, scampato alle insidie dei Proci, ritorna a Itaca (XV); Ulisse si fa riconoscere dal figlio e con lui prepara la vendetta (XVI). Giunto nella propria casa, è riconosciuto solo dal vecchio cane Argo, che mostra la sua gioia e muore, mentre è insultato e minacciato dai Proci (XVII). Costretto a lottare con Iro, un mendicante che gli è nemico, lo atterra (XVIII). Penelope narra al mendico, che non riconosce, la storia della tela tessuta di giorno e disfatta di notte, terminata la quale avrebbe dovuto sposare uno dei Proci: ma ormai scoperto l'inganno, ella non potrà più evitare di scegliere uno sposo tra i pretendenti. Ulisse, narrando di sé una falsa storia, assicura a Penelope che il ritorno del marito è prossimo e Penelope, incredula e commossa, ordina che l'ospite sia onorato. Euriclea, la nutrice di Ulisse, lo riconosce da una cicatrice, ma l'eroe le impone di tacere. Penelope lo mette al corrente della sua intenzione di sposare quello dei Proci che vincerà la prova dell'arco (XIX). Ulisse, dopo aver assistito alla disonestà delle ancelle, e aver subìto nuovi maltrattamenti dai Proci (XX), mentre costoro falliscono nella prova dell'arco, vi si cimenta e la vince (XXI): rivelatosi, con l'aiuto di Telemaco, del porcaro Eumeo, del bovaro Filezio e di Atena, uccide tutti i Proci, risparmiando solo l'aedo Femio e l'araldo Medonte (XXII). Finalmente riconosciuto da Penelope, a cui svela, come prova della sua identità, di avere lui stesso costruito il letto nuziale da un tronco d'ulivo (XXIII), Ulisse si reca nel podere dove si è ritirato il vecchio padre Laerte. Scoppiata una ribellione degli Itacesi, guidata dai parenti dei Proci, combatte coraggiosamente aiutato dal padre e dal figlio, finché Atena, col suo divino intervento, fa cessare la lotta e riconcilia Ulisse col suo popolo (XXIV).
La storia del testo e la fortuna dell'Odissea si identificano con quella di Omero. Secondo la tradizione il maggior interesse degli occidentali per l'Odissea piuttosto che per l'Iliade, era dovuto all'itinerario di Ulisse, prettamente occidentale: l'isola di Circe era identificata con il promontorio Circeo, la terra dei Ciclopi e l'isola del Sole con la Sicilia, Scilla e Cariddi con lo stretto di Messina, ecc. A Livio Andronico, il primo poeta romano, dobbiamo una traduzione in versi saturnî dell'Odissea di Omero, di cui rimangono pochi frammenti. Altre notevoli traduzioni non si ebbero nel mondo latino, che conosceva assai bene l'originale. In Italia, la prima versione in sciolti è quella di G. Baccelli (1582); famosa quella di I. Pindemonte (1822).