Gli antichi attribuivano l'Iliade e l'Odissea (e molti altri poemi) a un poeta di nome O.; di lui, però, non sapevano nulla che non fosse leggenda. Le Vite di O. a noi giunte (una delle quali attribuita falsamente a Erodoto) sono in realtà romanzi; come è romanzesco il Certame di O. ed Esiodo, racconto di una gara tra i due poeti, giunto a noi in una redazione tarda, ma che ha fondamenti forse risalenti al 6° sec. a. C. Il nome, assai discusso e variamente interpretato fin dall'antichità, è probabilmente nome greco, che significa "ostaggio". Molte città antiche pretendevano di aver dato i natali al poeta: Smirne, Chio, Cuma eolica, Pilo, Itaca, Argo, Atene. A Chio esisteva in età storica una famiglia di poeti (gli Omeridi), che si trasmetteva la professione di rapsodo; ma probabilmente la tradizione della nascita di O. a Chio ebbe origine dall'Inno ad Apollo Delio, dove il poeta chiama sé stesso "il cieco che abita nella rocciosa Chio". L'attribuzione degli Inni a O. è certamente errata, quindi la tradizione perde valore. Anche la nascita a Smirne, considerata assai probabile dagli antichi (e anche da molti moderni), non è meglio documentata. Le vicende della vita del poeta sono ignote: tutto quel che è lecito congetturare è che O. sia stato cantore alla corte di un principe della Troade che si vantava di discendere da Enea, come proverebbe la profezia, contenuta nel libro 20° dell'Iliade, che nella Troade avrebbero in seguito regnato i discendenti di Enea.
- I Greci, almeno fino all'epoca in cui sorse la critica ellenistica, attribuivano a O. molti poemi (v. ciclo epico; epopea); il suo nome valse in genere a indicare la poesia epica, della quale la parte preponderante, in realtà, è più tarda dell'Iliade e anche dell'Odissea: sotto il suo nome andarono anche gli Inni omerici, il Margite, la Batracomiomachia, ecc. (v. Omero minore). Presto però l'eccellenza artistica dei due poemi maggiori, il posto assolutamente preminente da essi occupato nell'educazione e nella cultura greca, fecero sì che si operasse una selezione: O. divenne il poeta dell'Iliade e dell'Odissea; anzi, in particolare dell'Iliade, che dei due fu il poema più famoso ("il poeta", "Omero", "Iliade", furono espressioni spesso equivalenti). Già la critica antica distinse ulteriormente, e vi fu chi attribuì a O. la sola Iliade, o chi considerò i due poemi frutto l'uno della giovinezza, l'altro della vecchiaia di O., sulla base del diverso carattere della poesia e dell'ethos; la critica moderna è abbastanza concorde nell'affermare che, posta l'esistenza di un antico poeta di nome O., a lui vada attribuita l'Iliade soltanto, o meglio la massima parte del poema, che subì maggiori o minori interpolazioni in età successiva (salvo poi a determinare in vario modo in che cosa sia consistita realmente l'opera compositiva di O.: v. oltre). L'età di O. (che è naturalmente problema diverso da quello dell'età dell'Iliade, quale è a noi giunta, e dell'Odissea) non può essere stabilita con precisione, dato che la figura storica del poeta può essere intravista solo attraverso l'analisi del poema e che i risultati di questa analisi non sono sicuri. Erodoto calcolava che O. fosse vissuto intorno alla metà del 9° sec. a. C.: ma la sua era soltanto un'ipotesi.
- Iliade. - L'Iliade canta e presuppone nota la guerra che una confederazione di principi indipendenti di tutta la Grecia mosse contro Troia, aiutata a sua volta da principi dell'Asia Minore confederati. Questa leggenda ha probabilmente un nucleo storico, anche se, come per tutte le epopee, difficile a ricostruire e certamente non più individuabile con precisione. Gli scavi, iniziati da H. Schliemann e continuati da W. Dörpfeld e C. W. Blegen in Troade, sulla collina di Hısarlık, probabile sito dell'antica Troia, misero in luce una città distrutta, pressoché contemporanea della rocca di Micene (circa 1200 a. C.). Non si può da questo fatto dedurre nulla di certo (né è sicuro che i distruttori della città siano stati i Greci): ma probabilmente attorno alle rovine di Troia sorse la leggenda, connessa con tentativi greci (forse di stirpi eoliche) di stanziarsi nella Troade. Il problema è molto delicato, anche perché non è possibile, nell'Iliade, ritrovare una topografia esatta della città, dell'accampamento greco, ecc.; vi sono nel poema contraddizioni che fanno pensare a sovrapposizione di tradizioni diverse. La stessa identificazione della città omerica con quella messa in luce dagli scavi non è sicura, e sussistono dubbî circa lo strato da identificare con la città dell'Iliade (i più pensano ormai allo strato VII A, ma non mancano ripensamenti a favore della vecchia identificazione con il VI: v. Troia). Tuttavia è certo che le leggende, confluite nell'Iliade, e che ne costituiscono il presupposto, rappresentano avvenimenti risalenti alla Grecia micenea; nessun poeta di età posteriore avrebbe potuto configurarsi una confederazione di stati sotto la guida di un solo capo; ed è significativo che il capo sia Agamennone, re di Micene, che nell'età micenea fu la città più potente e ricca del continente greco. Il poeta canta una leggenda che fu micenea, come rivelano anche i nomi dei principali eroi, che non si trovano nell'uso dei secoli seguenti. La decifrazione dei testi in lineare B non sembra, d'altro canto, aver consentito di risolvere molti problemi riguardanti O. e il suo ambiente storico; semmai, essa ha confermato l'impressione di una notevole distanza tra l'Iliade e il mondo in essa rievocato: l'organizzazione della società micenea, quale si riflette nelle tavolette in lineare B, appare infatti alquanto diversa da quella omerica (basti pensare alla diversa funzione dei basilèis, che in O. sono sovrani, mentre nelle tavolette compaiono in posizione inferiore rispetto al Ϝάναξ, il sovrano, e al λαϜαγέτας, il duce dei λαϜοί, un capo militare). D'altro canto, la forma e il contenuto di una presumibile epica micenea restano vaghe ipotesi, benché la sua esistenza sembri assai verosimile. L'Iliade rispecchia in sé stessa stadî diversi, non solo nelle concezioni etiche e nella lingua, ma anche nella cultura materiale (si è fissata al sec. 8° a. C. la probabile fase conclusiva della composizione del poema). Così, in O. troviamo la conoscenza di armi micenee ma anche di ornamenti di stile orientalizzante; il VI libro presuppone la conoscenza del tempio e della statua di culto; le armi degli eroi omerici sono di bronzo, ma O. conosce il ferro ("ferreo" è il cuore). Il poeta arcaizza consapevolmente, e assume a materia del suo canto leggende assai più antiche di lui, avendo anche coscienza della differenza di tempo e di civiltà, seppure in misura difficile a intendersi con esattezza (per il contenuto del poema, v. Iliade).
Odissea. - Anche l'Odissea arcaizza consapevolmente. È però evidente che il poeta dell'Odissea è più recente (probabilmente di un secolo) di quello dell'Iliade; egli conosce i Dori e ha nozioni geografiche assai più ampie che non il poeta dell'Iliade. Ma è impossibile accettare i tentativi fatti di ricostruire l'itinerario di Ulisse nelle sue peregrinazioni. L'Odissea conosce nell'ultima parte la Sicilia; ma non è chiaro se il racconto dei viaggi di Ulisse rifletta una reale nozione di terre a O del Peloponneso. C'è invero una notevole mescolanza di tradizioni: una serie di episodî sembra derivare da saghe che localizzavano le avventure di Ulisse in Oriente, verso il Mar Nero; mentre altri, probabilmente inventati dal poeta stesso, si svolgono in Occidente. Anche il nucleo primitivo dell'Odissea è notevolmente anteriore al poema; più ancora che quello dell'Iliade. Segni di età più recente sono la struttura politica presupposta dall'Odissea, nella quale la monarchia è già in piena decadenza di fronte all'aristocrazia e l'assemblea popolare ha notevole importanza politica. Anche le concezioni religiose dell'Odissea sono più avanzate di quelle dell'Iliade. A differenza dell'Iliade, comunque, per l'Odissea non è possibile parlare di un vero e proprio nucleo storico; il suo contenuto è assai più direttamente leggendario, anche se si riallaccia all'episodio della guerra di Troia (per il contenuto del poema, v. Odissea).
- Nonostante alcune notevoli differenze, si può parlare di un linguaggio e di uno stile omerico comune ad ambedue i poemi. Il fondo linguistico è costituito dal dialetto ionico, al quale si mescolano qua e là fonemi e forme che coincidono con le più tarde testimonianze dei dialetti eolici. Queste peculiarità sono in parte forme arcaiche, probabilmente in età anteriori proprie anche dello ionico; parte invece sono innovazioni proprie dell'eolico. Per spiegare questo carattere composito della lingua omerica si è pensato a un'origine dei poemi in città di confine ionico-eolico, ma è ipotesi errata, perché le forme eoliche si trovano quasi soltanto in formule determinate, e in determinate parti del verso. Si è anche supposto che la parte più antica dell'Iliade fosse stata originariamente scritta in eolico, poi tradotta in ionico; anche questa è un'ipotesi errata, perché in nessuna parte dei poemi le forme ioniche possono essere sostituite dalle corrispondenti eoliche (come dimostrarono proprio gli esperimenti di "retroversione" dallo ionico in eolico eseguiti da August Fick sull'Odissea e sull'Iliade negli anni 1883-86). In realtà il carattere della lingua omerica è convenzionale; essa consiste in una mescolanza che non trova riscontro in alcuna lingua parlata del tempo, e che è tutta frutto di tradizione artistica. Con questa convenzionalità si spiegano anche numerose caratteristiche fonetiche, prosodiche, ecc., peculiari della lingua omerica. Sulla formazione di questa ha influito notevolmente lo schema metrico dell'esametro, nel quale si sono fissate delle vere e proprie "formule" che ritornano (caratteristica comune in genere alla lingua e allo stile di epopee in altre lingue), lo studio delle quali costituisce una parte importante degli studî omerici più recenti (v. oltre: La questione omerica). Il fondo eolico che si trova frammisto con la generale ionicità della lingua risale probabilmente alla tradizione epica più antica, in parte di origine eolica. Tracce sicure di altri dialetti, che non siano innovazioni più recenti dovute alla diffusione dei poemi in tutto il mondo greco, non si possono con certezza identificare: le innovazioni più importanti, quelle di impronta attica, sono in genere risolubili nella più antica forma ionica. La coincidenza con forme dell'arcadico-cipriota è probabilmente dovuta al fatto che quest'ultimo dialetto è tra i più conservatori, e ha mantenuto forme di greco antico. Le recenti scoperte in ambito miceneo hanno stimolato d'altro canto la ricerca di elementi riconducibili al lessico o alla grammatica se non addirittura alla tradizione epica dei Micenei; e, benché i risultati dei singoli studî siano spesso controversi, bisogna riconoscere che la base della tradizione raccolta in O. comincia ad apparire notevolmente più ampia, e questo in forza di una serie di riferimenti concreti. La lingua omerica viene così a essere estremamente ricca, essendo presenti in essa molte forme concorrenti, alcune delle quali, evidentemente antichissime, trovano riscontro solo in altre lingue indoeuropee.
Come la lingua, così lo stile, nonostante la sua vivacità e aderenza ai fatti narrati, contiene elementi tipici, che dimostrano come i poemi omerici siano frutto di una civiltà letteraria già molto raffinata e colta, e fondata su una tradizione. Tipiche sono, per es., le ripetizioni: tutto ciò che è uguale, è ripetuto con le stesse parole, salvo piccole variazioni. Questa particolarità risponde alla caratteristica dello stile omerico, di preparare ogni azione con grande minuzia; e ad azioni analoghe si giunge sempre attraverso preparativi analoghi, il che dimostra come il poeta venisse incontro al suo uditorio servendosi di forme codificate dalla tradizione. Tipico appare anche l'uso delle similitudini (assai più frequente nell'Iliade che nell'Odissea): esso appartiene già alla tradizione epica. Le similitudini, sebbene assai varie, hanno uno schema pressoché rigido, e talvolta si accumulano, quasi che il poeta attingesse a un patrimonio tradizionale. Anche il largo spazio riservato ai discorsi in forma diretta sembra tradizionale. La tradizione fornisce così gli elementi, ma dentro i suoi limiti il poeta è libero, e introduce quelle modificazioni che in ultima analisi rendono originale il suo stile (per la metrica di O., v. esametro).
- L'Iliade e l'Odissea costituiscono uno dei più grandi patrimonî artistici della nostra civiltà. I due poemi, profondamente diversi come ispirazione, sono diversi anche nella struttura: unitaria l'Iliade, sostanzialmente episodica l'Odissea, pur avendo una sua unità nella figura di Ulisse, i cui sentimenti fondamentali sono l'amore per la propria terra e per il focolare e lo spirito d'avventura. L'Iliade ha un'unità profonda: i combattimenti intorno a Troia sono il centro del mondo umano e divino del poema. La sua composizione rivela una esecuzione raffinata, e, pur tra l'abbondare degli episodî, il tema centrale è costituito dall'ira di Achille: il carattere stesso dell'eroe, anche se non muta, si evolve in una vicenda che inizia con il superbo corruccio contro i Greci che l'hanno offeso e si chiude con il pianto insieme a Priamo, il re nemico cui ha ucciso il figlio, passando attraverso i poderosi episodî del dolore per la morte di Patroclo e dell'eroismo nei varî combattimenti contro divinità e uomini, che si concludono appunto con l'uccisione di Ettore. L'O. dell'Iliade è poeta della guerra; ma poiché la guerra si combatte intorno a una città, egli è anche poeta della vita civile, e canta gli affetti della famiglia, le cerimonie del culto, le opere d'arte e le opere di pace. Il poeta armonizza infiniti motivi con suprema maestria in un poema fondamentalmente serio, anzi tragico, solo talvolta soffuso d'ironia o pervaso da una vena di comicità. I principali eroi emergono, ciascuno con una propria individualità: Agamennone è geloso della sua autorità; Diomede è un valoroso, ma giunge all'empietà e al furore distruttivo; Ulisse è uno scaltro, ma anche eroico combattente; Nestore è il vecchio, ricco di esperienza e conscio della sua superiorità. Sebbene nell'Iliade non ci sia una particolare indagine psicologica, il poeta è consapevole di delineare personalità morali, alcune delle quali come Ettore o Elena, assai complesse. I due personaggi centrali, Ettore e Achille, sono concepiti con ineguagliabile umanità, e sono le più potenti creazioni della poesia antica e tra le più alte di ogni poesia.
La vena poetica dell'Odissea è diversa; in essa è un diverso sentimento della natura, e un'umanità più mite e più saggia; il gusto del favoleggiare diviene predominante, anche se non si fa mai esteriore. Ma il personaggio di Ulisse conserva una sua sostanza eroica, che si manifesta pienamente nell'ultima parte del poema, che, sebbene più tardo dell'Iliade, è ancora intimamente legato agli ideali epici, che pur vanno sfumandosi e in parte si fanno consapevole leggenda.
- Immensa fu la fortuna dei due poemi; assolutamente senza paragoni nell'antichità, e larghissima nell'età moderna (e ancora nel Medioevo, e anche in Occidente, dove pure O. fu conosciuto solo di riflesso); O. è al fondamento di tutta la cultura greca, ed è sempre rimasto il mito poetico per eccellenza del mondo occidentale. In Grecia, già in età arcaica (Archiloco, Esiodo), O. è un classico; sullo stile e sulla lingua omerica si forma in sostanza tutta la poesia greca, e la stessa prosa ne subisce l'influenza. O. fu quasi l'unica cultura di cui disponessero i Greci prima dell'affermarsi della filosofia e della retorica e rimase sempre l'indispensabile base del sapere. Attorno alla poesia di O. andava costituendosi una unità dei Greci che non esisteva nella politica e nei costumi; per studiare O. nacquero la filologia e la critica antica; spiegare e intendere bene la lingua e il senso di O. fu opera di fondamentale importanza, cui si attese, sia pur rudimentalmente, fin da epoca assai arcaica (6° sec. a. C.). D'altronde, O. è al centro del problema educativo e morale: e a lui reagiscono molti pensatori che, ben consapevoli dell'enorme importanza dei poemi nella formazione morale e mentale dei Greci, rivolsero ai poemi stessi durissime critiche (così Eraclito e Senofane; e Platone, pur riconoscendone il valore poetico, bandisce O. dalla sua Repubblica). Nel 5° sec. (e forse, già nel 6°) nasce l'esegesi allegorica di O., che avrà sempre una grande importanza, come tentativo di ritrovare un valore anche in ciò che ormai ripugnava alla diversa coscienza morale. L'analisi dei poemi fa sorgere la consapevolezza che in essi vi sono contraddizioni, donde la scuola degli ἐνστατικοί ("gli avversarî", "coloro che incalzano") che tali contraddizioni e incongruenze facevano oggetto di instancabile ricerca (famoso Zoilo di Anfipoli, noto come "la frusta di Omero", sec. 4°). A essi si opponevano i λυτικοί ("i difensori", "gli scioglitori") che, al contrario, tentavano di risolvere tutte le difficoltà con le più arrischiate e sofistiche ipotesi. La filologia alessandrina, che in certo senso prosegue i λυτικοί, crea però il concetto dell'autenticità documentaria, e con ciò fonda i criterî di analisi che poi saranno al fondamento di ogni filologia. Di O. si occupò Aristotele; il più antico filologo omerico alessandrino è Zenodoto; dalla sua opera, attraverso quella di Aristofane di Bisanzio, si giunse all'edizione di O., frutto della fatica di tutta la vita di Aristarco di Samotracia, che influì in modo decisivo nella formazione della vulgata. Il carattere del testo omerico prearistarcheo è ricostruibile attraverso i numerosi ritrovamenti papiracei, molti dei quali recano gruppi di versi atetizzati da Aristarco e poi soppressi nella vulgata. In generale, i criterî di Aristarco furono moderati; la sua opera di ricostruzione del testo, appoggiata a una vastissima ricerca lessicografica, fu accompagnata da una larga esegesi. Della critica aristarchea e in parte della sua esegesi siamo informati dagli scolî, un gruppo importante dei quali ci è stato conservato dal codice Veneto A dell'Iliade (pubblicato da J.-B. d'Ansse de Villoison nel 1788); ma anche dell'Odissea abbiamo scolî, benché di minore importanza. L'esegesi omerica fu vastissima; di essa molto ci è giunto, per lo più conservato in tardi commenti bizantini che raccoglievano materiale più antico. Dal primo alessandrino, Zenodoto, derivarono Xenone ed Ellanico, i cosiddetti χωρίζοντες ("i separanti"), che per primi osservarono e cercarono di dimostrare che Iliade e Odissea non potevano essere opera dello stesso poeta; il problema sarà ripreso in epoca moderna (v. oltre: La questione omerica). ▭ Anche in Roma, non appena essa entrò in contatto con la cultura greca, O. divenne il poeta per eccellenza. Il più antico poeta latino, Livio Andronico, tradusse l'Odissea, ed Ennio nel concepire gli Annali si sentì invaso di spirito omerico. La nascita di un'epopea romana, e in particolare l'Eneide, pose il problema, poi ripreso in età moderna, della superiorità di O. o di Virgilio, attorno al quale molto si discusse. I Romani colti conobbero sempre bene O. e la latinità ne trasmise il culto al Medioevo; quando la conoscenza del greco si perdette, un compendio latino (l'Omero Latino) mantenne vivo il ricordo del "poeta sovrano", secondo la definizione di Dante. ▭ Già con Petrarca rinasce il desiderio di conoscere l'originale dei poemi; per merito di Petrarca e di Boccaccio se ne ebbe in Italia la prima traduzione completa, in prosa latina, a opera di Leonzio Pilato. Con l'Umanesimo e il Rinascimento, la venuta in Occidente di dotti bizantini, l'estendersi già nel sec. 15° della conoscenza della lingua (grecista insigne fu il Poliziano), si ha il rifiorire di O. in Europa. Riprendono le traduzioni latine (fondamentale quella di Lorenzo Valla, proseguita da Francesco Aretino). Dietro impulso di Demetrio Calcondila, in Firenze si stampa (1488) l'editio princeps di O., cui seguono le Aldine (1504, 1517, 1521), delle quali la seconda diviene canonica. Nella prima metà del sec. 16° si hanno le prime versioni italiane in versi. In questo secolo si ha la grande fioritura degli studî greci in Francia, con l'edizione di A. de Turnèbe (1554) e con altre di grande importanza, mentre Henri Estienne (Stefano) accoglie il lessico omerico nel Thesaurus Graecae Linguae; G. Spondano pubblica il primo commento scientifico a O. (1583), mentre si studiano le antiquitates omeriche (Everardo Feith, olandese). O. entra nel vivo della cultura e si riaccende il problema della superiorità di O. o di Virgilio, risolto generalmente, e in modo particolare da P. de Ronsard, a favore di quest'ultimo. Racine fu un cultore di O., in un'epoca in cui il gusto classicistico lo metteva in ombra. La questione si protrae fino al sec. 18°; O. diventa oggetto di frecciate satiriche da parte di coloro che prediligono la più accurata e colta arte di Virgilio; ma anche difeso, per es., da N. Boileau. Nel Settecento la cultura francese si riapre a O. (traduzione di Anne Dacier, 1699); Fénelon nel Télémaque si rifà ai motivi pedagogici della Telemachia. Rinasce intanto in Francia la conoscenza del greco e del mondo greco. ▭ In Inghilterra, dove il greco fu un elemento fondamentale della cultura, le traduzioni di G. Chapman (1611; 1616) testimoniano della popolarità di O.; O. influisce sulla poesia di J. Milton e J. Dryden, che lo celebra. La filologia inglese, con J. Barnes, R. Bentley, S. Clarke, approfondendo la conoscenza della metrica e compiendo scoperte nella fonetica omerica (e aprendo così la strada all'analisi interna su basi linguistiche), dà un contributo fondamentale agli studî omerici; molto importanti sono gli studî di J. Brown (1763) e di R. Wood (1769), che cercano di analizzare e comprendere la natura della società omerica, riportando l'attenzione sul fatto che il mondo dell'Iliade e della Odissea non deve essere frainteso in un vano e inutile paragone con il mondo moderno. Motivo di discussione diventa il paragone con Ossian, attraverso il quale matura il problema romantico di O. poeta popolare. ▭ In Germania, dove nel Rinascimento e durante la Riforma gli studî di greco decadono, sotto l'influenza della scuola svizzera di J. J. Breitinger e J. J. Bodmer, rinascono gli studî omerici nel Settecento, e centro principale di essi diviene Gottinga dove insegna filologia classica Ch. G. Heyne, maestro di F. A. Wolf e di Goethe. J. J. Winckelmann fa di O. l'araldo della grecità; l'ideale neoclassico e i primi germi del Romanticismo (J. G. Hamann; poi, di decisiva importanza, J. G. Herder) portano O. al centro dell'attenzione: per Herder egli non è più il poeta naturale, ma è il poeta popolare, e i suoi poemi sono epos, saga, tradizione. Classica è la traduzione di J. H. Voss. Goethe risente fortemente di O. nella sua Achilleide, incompiuta. I Prolegomena ad Homerum di F. A. Wolf (1795) pongono la "questione omerica" al centro dell'attenzione dei dotti e della cultura. ▭ In Italia, oltre a G. B. Vico (v. oltre), M. Cesarotti, editore e traduttore di O., conobbe a fondo i termini del problema omerico; le traduzioni di V. Monti dell'Iliade (1810-11; 2ª ed. 1813; ed. definitiva 1825) e di I. Pindemonte dell'Odissea (1822; assai inferiore a quella di Monti) sono rimaste classiche; U. Foscolo tradusse e studiò O. con passione. Col Romanticismo europeo O. torna al centro della cultura ed è oggetto del più approfondito studio: si afferma la cosiddetta questione omerica.
- Con l'espressione "questione omerica" si intende il complesso dei problemi che riguardano l'esistenza storica di un poeta O., la relazione tra questo e i due poemi conservati, la formazione di ciascuno di essi. A prescindere dai risultati ai quali si è potuti giungere e attorno ai quali è tuttora aperta la discussione, la questione omerica è uno dei capitoli fondamentali della filologia moderna, ed è stata, specialmente in età romantica, un motivo culturale di grande importanza. Abbiamo ricordato come già nell'antichità vi fu chi dubitò dell'attribuzione a O. di ambedue i poemi. La questione omerica moderna ha i suoi primi inizî in un discorso di F. de Boisrobert all'Académie française (1635) e soprattutto nelle Conjectures académiques di F. Hédelin d'Aubignac, pubblicate postume nel 1715, scritte nel 1664. Più importante, sebbene poco nota per lungo tempo, l'opera di G. B. Vico, che nella Scienza nuova seconda (1730), polemizzando contro i contemporanei, sostiene che la poesia omerica è primitiva, espressione naturale e spontanea di un'età ancora barbara. Il vero O. "è un'idea, ovvero un carattere eroico d'uomini greci, in quanto essi narravano, cantando, le proprie storie". La questione omerica fu rivelata al grande pubblico da F. A. Wolf, con i Prolegomena ad Homerum (1795). Egli, partendo dall'affermazione della inesistenza della scrittura nell'età omerica, ne dedusse che poemi di tali dimensioni erano impossibili, e che i poemi omerici erano stati messi insieme nell'età di Pisistrato (interpretando così una discussa notizia antica), unendo canti staccati, cantati separatamente dai rapsodi. Wolf sosteneva che l'unità dei poemi omerici consiste nell'unità della leggenda dalla quale i canti separati dipendevano. Quest'opera di Wolf ebbe una grande risonanza, e venne incontro alla tendenza herderiana, e poi generalmente romantica, di ricercare l'anonimo all'inizio della storia dei popoli. Wolf derivava il suo metodo analitico dall'insegnamento di Ch. G. Heyne, il quale dette poi (1802) un'impostazione acutissima del problema, che rimane sostanzialmente valida. Dopo Wolf, e per tutto il sec. 19° e parte del 20°, la questione omerica dilaga, dando luogo a una bibliografia di eccezionale vastità, tanto che è quasi impossibile riassumere le principali tesi sostenute. Contributi di grande importanza dettero G. W. Nitzsch (con la Historia Homeri, 1830-37), unitario e antiwolfiano, e G. Hermann, che per primo formulò la tesi del "nucleo originario", cioè che l'Iliade e l'Odissea siano state composte in tempi diversi, ma non per aggregazione di canti separati, bensì per accrescimento continuo di un minore poema centrale. K. Lachmann (1837 e 1841) cercò di scomporre l'Iliade nei poemetti originarî dai quali sarebbe derivata. La questione, variamente influenzata da analoghi problemi filologici (come la critica paleo- e neotestamentaria) e da altre branche della storia letteraria (germanistica, filologia romanza), venne sempre più complicandosi, mentre si sviluppava al massimo il metodo analitico, confermato da discipline ausiliarie, come la linguistica. Il problema di precisare in che cosa esattamente potesse consistere la poesia epica preomerica fu formulato in vario modo, e a mano a mano si svolse una teoria circa poemetti epico-lirici originarî, dalla materia dei quali, e in parte anche direttamente dalla loro forma, si sarebbe sviluppata la poesia omerica. Riguardo a questa rimase però sempre vivo l'interrogativo se in ultima analisi i poemi, così come sono, siano il risultato di un lavoro successivo di più mani o della definitiva composizione a opera di uno solo, sulla base di materiale precedente, e i problemi riguardanti la persona di questo compositore e i limiti del suo apporto. D'altra parte la critica letteraria continuava spesso a leggere O. senza tenere conto dei risultati che, sia pur lentamente, si facevano luce; sì che talvolta si generò un'inutile antitesi tra filologi puri, tendenzialmente antiunitarî, e critici letterarî, generalmente unitarî. U. von Wilamowitz, in tre opere fondamentali (Homerische Untersuchungen, 1884; Die Ilias und Homer, 1916; Die Heimkehr des Odysseus, 1927), ha dato un'impronta decisiva alla moderna impostazione della questione, sviluppando l'ipotesi, già di A. Kirchhoff, del raffazzonamento di più poemi ad opera di un rielaboratore (Bearbeiter) goffo e inesperto. Da ricordare anche Die Odyssee di E. Schwartz (1924) e Homer. Dichtung und Sage (3 voll., 1914; il 2° vol. rielaborato nel 1929) di E. Bethe. Nelle ricerche dello statunitense M. Parry (v.) confluiscono i risultati e le suggestioni di studî linguistici e, successivamente, anche di ricerche folcloristiche, in particolare quelle condotte dallo slavista M. Murko. Parry ha studiato, nel libro L'épithète traditionnelle dans Homère (1928), il rapporto tra sostantivo ed epiteto in Omero e la posizione che i due elementi assumono nel verso; egli ha svolto inoltre ricerche nell'ambito della poesia popolare iugoslava, atte a mostrare la possibilità della diffusione e conservazione di componimenti poetici anche di notevole lunghezza attraverso la tradizione orale; al centro degli studî di Parry e della sua scuola è l'indagine sulle formule, che sono i puntelli della trasmissione dell'oral poetry. Le ricerche di Parry sono state continuate, con esiti diversi, da G. S. Kirk e altri. Prosegue insieme il tradizionale dibattito tra unitarî e analitici, per quanto riguarda l'Iliade in particolare (C. M. Bowra, W. Schadewaldt, K. Reinhardt fra i primi; P. von der Mühll, G. Jachmann fra i secondi), mentre per l'Odissea ha sempre sostanzialmente prevalso l'idea di una elaborazione in fasi diverse.
- Molte immagini di O. sono ricordate dalle fonti letterarie: a Olimpia, opera di Dionisio d'Argo nel 460 a. C., ad Argo, a Delfi, ad Atene, nei santuarî del poeta eroizzato a Smirne, Colofone, Chio, nell'Homerèion di Alessandria eretto da Tolomeo Filopatore (222-204 a. C.), dove era raffigurato in trono accanto alle immagini delle 7 città che se ne contendevano i natali. Una statua bronzea in Costantinopoli lo rappresentava appoggiato al bastone. In scultura si è visto nel tipo del cosiddetto Epimenide con occhi chiusi, barba appuntita e fluente, creato nel 5° sec. a. C.; un tipo ellenistico diffuso in molte copie, di un virtuosismo veristico, lo rappresenta cieco, con il volto scarno, stilisticamente vicino al Laocoonte, ed è stato attribuito alla scuola rodia; un terzo tipo, già ritenuto il ritratto di Apollonio di Tiana e poi identificato come O. in base a testimonianze numismatiche, lo raffigura con lunghi capelli, trattenuti da una spessa tenia, che lasciano scoperte le orecchie, barba fluente e occhi aperti. Compare seduto fra l'Iliade e l'Odissea e le Muse nel rilievo detto l'Apoteosi di O., opera di Archelao di Priene, oggi al British Museum di Londra. La testa si trova riprodotta su monete, specialmente dell'Asia Minore.