(irland. Oisin) Leggendario guerriero e bardo gaelico, figlio di Finn (o Fingal, secondo la forma adottata nel 18° sec. da J. Macpherson), che si suppone vissuto nel 3° sec. d.C.
Con il nome di ciclo di O. si designano quei canti di carattere epico che i bardi gaelici (Irlanda, Highlands scozzesi) cantavano accompagnandosi sulla loro piccola arpa. Un gruppo di manoscritti dal 12° al 16° sec. ha conservato parte di questo ciclo. Finn, O. e gli altri guerrieri (Dermid, Gaul, Oscar ecc.) vi sono descritti come cavalieri virtuosi, valorosi in battaglia e abili nel canto. Finn e i suoi soccombono, e O., solo sopravvissuto degli eroi, vecchio e cieco, va cantando le gesta passate e le sventure della sua razza. Questi testi giacevano dimenticati, sebbene la leggenda sopravvivesse in tradizioni orali, quando Macpherson ne diede alcuni saggi (ma alterando notevolmente i testi gaelici in una sedicente versione) che poi raccolse in Fragments of ancient poetry (1760), cui fecero seguito Fingal (6 libri, 1761) e Temora (8 libri, 1763). Tutti questi canti furono ripubblicati nel 1765 con le dissertazioni di Macpherson e con una di R. Blair, in cui si esponevano i meriti della poesia scoperta.
Traduzioni di altri canti ossianici apparvero per opera di E. de Harold (fra il 1775 e il 1802) e J. Smith (1780). I canti presentano tutti una grande uniformità. Alternando il tono epico con il lirico e l’elegiaco, narrano un’enorme quantità di storie assai intricate, i cui motivi dominanti sono la guerra, la virtù cavalleresca dei guerrieri, il melanconico destino di varie coppie di amanti o di sposi, con descrizioni assai fresche di paesaggio romanticamente animato. I canti sono stesi in una prosa ritmica, semplice di lessico e di sintassi, appassionata e pittoresca, ricca di nuove metafore.
In Europa furono particolarmente celebri le due epopee di Fingal e di Temora e tra i poemi più brevi Carthon e Dar-thula, in cui si trova un’invocazione alla luna che riecheggerà poi in G. Leopardi; ma la fantasia fu colpita specialmente dai Canti di Selma per il loro carattere più lirico ed elegiaco che epico. O. fu accolto in Europa con entusiasmo quasi unanime: si può dire che non vi fu grande scrittore europeo formatosi nella seconda metà del 18° sec. che non risentisse, sia pure per un breve periodo, della moda ossianica. In Italia O. trovò presto un ardente fautore nell’abate M. Cesarotti, la cui traduzione in endecasillabi sciolti parve ad alcuni perfino superiore all’originale (Fingal, 1762; Temora e altri canti, 1763).