(ingl. Ireland; irl. Éire) Una delle grandi isole costituenti l’arcipelago britannico (84.420 km2 con circa 5.120.000 ab.), situata tra 51°26′ e 55°22′ lat. N e 5°35′ e 10°21′ long. O. La bagnano a O l’Oceano Atlantico, a E il Mare d’Irlanda e i due canali, di S. Giorgio, a SE, e del Nord, a NE, che la separano dalla Gran Bretagna. Politicamente è divisa nella Repubblica d’I. e nell’I. del Nord.
La parte centrale dell’isola è occupata da una grande pianura, che si affaccia con una costa bassa e uniforme sul Mare d’I., tra Dundalk e Dublino, e si prolunga alquanto in direzione O e SO, verso la Baia di Galway e verso l’estuario del fiume Shannon, insinuandosi con lembi più o meno estesi anche tra i rilievi della regione settentrionale. Questa pianura centrale ha un’altitudine media intorno ai 100 m (intorno ai laghi Derg e Ree meno di 50 m). Ai margini della pianura si elevano alcune masse montuose ben distinte. In particolare, a NO si trovano i Monti Derryveagh (Errigal, 752 m), profondamente incisi e frastagliati da numerose insenature costiere, e a NE i Monti di Antrim. Tra i due rilievi chiudono la barriera i Monti Sperrin (680 m), tra i quali si aprono la strada i fiumi Bann e Foyle. A S dell’Antrim si trovano i Monti Mourne (852 m). Altri complicati sistemi di rilievi occupano la parte meridionale dell’isola. Questi sistemi, divisi tra loro più o meno largamente da incisioni di fiumi o da lembi della pianura centrale, sono generalmente orientati da E a O (piegamento ercinico), a eccezione dei Monti Wicklow (piegamento caledoniano), costituiti da rocce granitiche, che si allungano in direzione NE-SO, parallelamente alla costa orientale. A SO, presso la costa atlantica, il Carrantuohill (1038 m) costituisce la più alta montagna irlandese.
L’isola è caratterizzata dal clima oceanico, portato dai venti atlantici che, per la frammentarietà dei sistemi montuosi, riescono a penetrare nell’interno. La pioggia, uniformemente distribuita fra le varie stagioni, è frequente ovunque, ma più a O (Galway, 1250 mm annui) che a E (Dublino, 740 mm). Le temperature in inverno sono miti, mantenendosi al di sopra di 0 °C, mentre in estate sono generalmente fresche (Dublino: gennaio 5,4 °C; luglio 15,8 °C). Queste condizioni, con la natura calcarea del suolo, sono favorevoli alle praterie, che hanno permesso lo sviluppo dell’attività zootecnica, tradizionale in Irlanda.
I fiumi, per l’abbondanza e l’uniformità delle piogge, hanno un regime costante in ogni stagione; data la configurazione del rilievo, scorrono per lo più lenti, sinuosi, espandendosi di frequente in bacini lacustri, elemento tipico della pianura mediana. Principale tra essi è lo Shannon (365 km), il quale ha origine ai margini interni dei rilievi settentrionali e, dopo aver traver;sato l’I. centrale, sbocca con largo estuario sulla costa occidentale; le sue acque sono sfruttate da una grande centrale idroelettrica. Sui margini interni dei rilievi meridionali, i Monti Slievekimalta e Slieve Bloom formano un altro nodo idrografico da cui hanno origine i fiumi Barrow, Nore e Suir, i quali, insieme al Blackwater e al Lee, provenienti dai rilievi ercinici sud-occidentali, formano le maggiori arterie fluviali dell’I. meridionale. Infine, la regione montuosa settentrionale è pure solcata da notevoli fiumi, anche questi formati ai margini della pianura centrale: il Bann, il Foyle e l’Erne, il quale riunisce una serie di laghi: Upper Lough Erne, Lower Lough Erne. L’I. è ricca di bacini lacustri, alcuni tra i rilievi settentrionali e notevoli per la loro bellezza, altri nella pianura centrale: fra i maggiori, il Lough Neagh (400 km2), il Lough Corrib (190 km2), il Lough Mask (85 km2).
Caratteristica della flora irlandese è la presenza di molte specie che di norma allignano a latitudini più meridionali (Europa centrale ecc.), fatto che si spiega con la mitezza del clima; è interessante rilevare che l’I. ha varie piante in comune con la flora cantabrica, portoghese e delle Azzorre. Il terreno è occupato in massima parte da pascoli, con rari gruppi di specie arboree; in certi tratti il paesaggio è quasi mediterraneo per la presenza del corbezzolo in esemplari vistosi, misto ad agrifoglio, del pari arboreo, e querce, frassini, edera, felci.
La fauna ha caratteri comuni a quella dell’intero arcipelago britannico. In generale, tutte le forme continentali europee vi sono rappresentate. È notevole però che il numero delle specie di tutti i gruppi è minore di quello presente nelle regioni continentali di uguale estensione. Fra i Carnivori vi sono il lupo, la volpe (Vulpes crucigera), la lontra, alcune mustele; molti i Roditori, ma il castoro è estinto. Fra gli Ungulati da notare Cervus elaphus scoticus. L’avifauna è piuttosto ricca ed è costituita da specie caratteristiche dell’Europa centrale. Gli Insetti e gli Artropodi terrestri offrono particolare interesse dal punto di vista zoogeografico per l’interpretazione dell’origine della fauna irlandese.
Il territorio dell’I. venne facilmente raggiunto, fin dall’età Neolitica e poi nell’età del Bronzo e del Ferro, da correnti migratorie provenienti dal mare, che caratterizzarono la struttura insediativa del paese. In un primo tempo si trattò di migrazioni di gruppi iberici e bretoni; in seguito, di intensi scambi, attraverso il Mare d’Irlanda, fra l’isola e le zone agricole della Cornovaglia e del Dartmoor. All’inizio dell’età del Ferro sono riconducibili le invasioni dei popoli di lingua celtica, provenienti dalle coste del Mare del Nord e attraverso l’Inghilterra, cui fu dovuto l’innalzamento di fortificazioni (hill forts). Le invasioni anglosassoni e successivamente quelle franco-normanne del Medioevo posero le basi dei principali insediamenti portuali e urbani del paese, strutturati secondo un’economia essenzialmente dipendente dagli scambi con l’esterno. Quelle invasioni segnarono, d’altro lato, l’inizio di un progressivo isolamento delle popolazioni celtiche in tutta l’area occidentale britannica, che di quei gruppi ha conservato fino in epoca moderna i caratteri etnici, il tipo di economia e i costumi tipicamente pastorali, l’eredità culturale originale. Dal cristallizzarsi di tali precarie condizioni di vita si costituirono, infine, anche le premesse per un moto emigratorio che iniziò, nel paese, nei primi anni del 19° sec., giungendo tuttavia a proporzioni straordinarie dopo la terribile carestia del periodo 1845-47, e si mantenne forte nei decenni seguenti fino agli inizi del 20° sec., determinando, specie in alcune contee centrali, un vero e proprio spopolamento.
L’I. fu abitata, prima dell’immigrazione dei Celti (o Gaeli), da popolazioni di ceppo iberico; di questa fase, neolitica, della sua preistoria rimangono importanti testimonianze, numerose soprattutto nelle contee di Kerry e di Sligo, quali le costruzioni megalitiche del tipo cromlech e dolmen. La successiva colonizzazione gaelica, tra il 600 e il 500 a.C., diffuse la civiltà del Bronzo e lasciò impronte decisive nella struttura etnica e linguistica dell’isola, dove il regime tribale introdotto dai Celti perdurò anche in età storica (che si fa iniziare con la prima conversione al cristianesimo, per opera di s. Patrizio) entro le più ampie circoscrizioni politiche costituite dalle province o fifths di Ulster, Leinster, Connacht, Desmond (Munster settentrionale) e Thomond (Munster meridionale), i cui sovrani rendevano omaggio al re supremo (ard righ, o ardrì), residente a Tara. Le istituzioni economico-sociali dei Gaeli nelle loro strutture fondamentali erano antitetiche a quelle del sistema feudale, che fu introdotto più tardi dall’Inghilterra: la terra, salvo quanto costituiva di diritto il contrassegno del potere politico dei capi, apparteneva in comune alla tribù e la proprietà familiare veniva ripartita egualmente tra i figli. La forza del vincolo tribale operava in maniera decisiva contro ogni tendenza socialmente individualistica, come mostra il basilare istituto dell’altrum, per il quale i figli erano tolti dalla casa paterna e affidati per l’educazione ad altre famiglie dello stesso gruppo gentilizio.
Mai sottoposta alla dominazione romana, l’isola fu conquistata al cristianesimo da una feconda opera di evangelizzazione, iniziata nel 432 da s. Patrizio. Nell’isolamento da influenze che potevano provenirle dai coevi regni romano-barbarici dell’Occidente mediterraneo, l’I. cristiana sviluppò una sua autonoma cultura, mentre la Chiesa celtica, durante tutto l’Alto Medioevo, era costretta ad adattare alla struttura sociale esistente la sua organizzazione, essenzialmente monastica, che, invece che sugli organi tradizionali della diocesi e della parrocchia, si basò ovunque sull’istituto del vescovo-abate, divenuto ormai il capo effettivo della tribù.
Sulle vicende delle lotte intestine fra i re provinciali influì l’invasione, dall’807 circa, dei popoli nordici (chiamati Danesi nelle fonti locali), che per oltre due secoli saccheggiarono l’isola ma contribuirono anche alla formazione dei futuri massimi centri urbani. La battaglia di Clontarf, in cui re Brian del Thomond sconfisse gli invasori nordici e i re provinciali, segnò la fine del predominio danese nell’isola. Seguirono guerre intestine fra i re celti e fu uno di questi, Dermot Mac Murrough, a sollecitare l’intervento inglese.
Arruolati in Inghilterra da Dermot, cavalieri e arcieri normanni nel 1170 distrussero, sotto le mura di Dublino, l’esercito nazionale gaelico. Enrico II, temendo le aspirazioni di potenza dei cavalieri normanni, assunse personalmente la direzione dell’impresa, al termine della quale distribuì parte del suolo irlandese ai vittoriosi baroni e istituì il lord justiciar d’Irlanda, rappresentante della sua autorità. Fattore essenziale di stabilizzazione politica rimase la Chiesa; tuttavia la differenza della lingua (il francese per gli invasori e il gaelico per i vinti) e delle istituzioni resero problematica l’integrazione tra Inglesi e Irlandesi. Mentre il re d’Inghilterra controllava da lontano il paese, tre grandi casate feudali dominarono per tutto il Medioevo la scena irlandese: i Fitzgerald, i Butler e i de Burgh. All’aggressione straniera il paese reagì intanto con l’aperta ribellione; un graduale processo di assorbimento dell’invasore si scontrò con la promulgazione da parte di Edoardo III degli statuti di Kilkenny (1367), che nel legittimare la separazione degli abitanti dell’isola in tre gruppi (gli Inglesi puri; gli Inglesi «degeneri», in quanto accusati di infedeltà verso il re, e i «nemici Irlandesi», esclusi dalla protezione della legge), resero impossibile qualsiasi intesa fra il re d’Inghilterra e il popolo irlandese. Con il Poynings’ Law, Enrico VII pose il Parlamento d’Irlanda alle dirette dipendenze del lord justiciar di Dublino e, per esso, del sovrano inglese (1495). Il re estese inoltre al paese l’Act of supremacy, mentre assumeva il nuovo titolo di re d’Irlanda (1541): terminò così la finzione giuridica che faceva del papa il sovrano irlandese e del re d’Inghilterra solo il suo rappresentante. Sotto Elisabetta I l’I., ribelle per la difesa delle tradizioni cattoliche contro le innovazioni culturali del Common prayer book, fu teatro di repressioni sanguinose.
L’avvento al trono inglese di Giacomo I (1603) vide l’instaurazione di un centralismo amministrativo più accentuato, mentre un’Alta Corte sedeva in permanenza comminando severe sanzioni agli Irlandesi cattolici che rifiutavano il giuramento prescritto dall’Act of supremacy; intorno al 1610 iniziò la colonizzazione (le cosiddette plantations) del paese con elementi scozzesi e presbiteriani. La ribellione cattolica del 1641 (gli Inglesi furono massacrati) dimostrò l’inefficacia della politica di espropriazione parziale: il Parlamento procedette all’esproprio totale delle terre (Adventurers’ Act, 1642). La guerra civile inglese vide il clero diviso a favore del re o dei parlamentari; Dublino cadde in mano dei secondi e l’I. fu aperta alla conquista di O. Cromwell. Con l’Act of settlement (1652) furono confiscati circa 11 milioni di acri; una nuova classe di proprietari, protestanti, si stabilì pertanto sulle terre, ormai solo per un terzo in mano ai cattolici. Durante i regni di Carlo II e di Giacomo II la politica del Parlamento di Londra, che sacrificava gli interessi degli allevatori irlandesi all’economia inglese, provocò di riflesso l’unione di protestanti e cattolici.
Nel 1690 il tentativo di restaurazione di Giacomo II polarizzò tuttavia ancora attorno alle forze alleate giacobite e francesi l’opposizione cattolica e gaelica contro i protestanti, la cui vittoria (1690) liberò l’Inghilterra dalla minaccia giacobita e assicurò il possesso dell’I. a Guglielmo III d’Orange. La Pace di Limerick, firmata da Guglielmo, che assicurava ai cattolici libertà religiosa e ai ribelli le loro proprietà, non fu rispettata dal Parlamento, che sottopose con speciali ‘leggi penali’ i cattolici a gravi restrizioni religiose, economiche e politiche: molti preferirono l’esilio. Con Giorgio III (re d’Inghilterra dal 1760) diminuì il rigore delle sanzioni: l’I. ottenne l’attenuazione delle leggi penali e il riconoscimento a Dublino del rango di capitale, sede di un viceré (1767).
Le aspirazioni a normali rapporti con l’Inghilterra furono deluse dalle ripercussioni della Rivoluzione francese: gli Irlandesi Uniti (➔) si allearono con il Direttorio francese che tentò più volte l’invasione dell’isola. W. Pitt, convinto che un’unione parlamentare tra Inghilterra e I. potesse evitare in avvenire la collusione con i Francesi di Bonaparte, fece votare al Parlamento inglese l’Act of union (1800), per il quale veniva soppresso il Parlamento di Dublino e l’I. inviava una rappresentanza di 100 deputati ai Comuni e 28 pari ai Lord, mentre giurava fedeltà alla corona inglese «nella successione protestante».
Nel 1829, con l’abrogazione del Test act del 1692, che discriminava i cattolici impedendo loro di sedere in Parlamento, finì la minorità politica della maggior parte degli Irlandesi. Rimase in primo piano il problema confessionale, strettamente legato a quello sociale dato che la soppressione di una Chiesa di Stato in I. era connessa con il miglioramento economico della classe contadina, oppressa dagli obblighi della decima, la tassa destinata al mantenimento della Chiesa anglicana. Contro il regime oppressivo della proprietà terriera la Repeal association chiese la revoca dell’Act of union e l’indipendenza, mentre il movimento politico della Giovane Irlanda (1842) si pose sul piano dell’azione diretta. Questa fu però interrotta dalla carestia che nel 1845-47 decimò la popolazione. Nel 1848 la Giovane Irlanda tentò l’avventura rivoluzionaria, ma fu battuta e i suoi capi condannati a morte o deportati; la situazione interna si aggravò poi per la comparsa, dal 1858, del movimento terrorista dei feniani.
Sotto il primo ministero Gladstone fu tolto (1869) alla Chiesa episcopale irlandese il riconoscimento di confessione ufficiale e fu promulgata la prima legge (Land Act) protettiva dei fittavoli. La decisione di concedere all’I. la Home rule (autonomia nell’ambito dell’Unione) determinò la caduta del secondo governo Gladstone (1886). La Home rule fu approvata, infine, nel 1910, ma lo scoppio della Prima guerra mondiale ne sospese l’applicazione e pose le premesse di un nuovo ciclo di violenze antibritanniche; vi ebbero un ruolo cruciale il Sinn Féin, il movimento nazionale irlandese promotore dalla nascita (1905) della causa di una repubblica indipendente, e l’organizzazione militare clandestina dell’IRA (➔). Nel 1916, la rivoluzione scoppiata a Dublino nella settimana di Pasqua e la sua spietata repressione da parte degli Inglesi portarono alla guerra anglo-irlandese, aggravata da lotte civili all’interno dell’isola.
Nel gennaio 1919, i 73 deputati appartenenti al movimento indipendentista Sinn Féin si riunirono nel Dáil Éireann («Assemblea d’Irlanda») e proclamarono la repubblica, designandone presidente É. De Valera allora detenuto nelle prigioni inglesi. Il trattato istituente lo Stato Libero d’I., che concedeva all’I. lo status di dominion nell’ambito del Commonwealth, e dal quale, per volontà della maggioranza protestante, restava escluso l’Ulster, cui era già stata riconosciuta (1920) una limitata autonomia, fu sottoscritto il 6 dicembre 1921. Da allora l’I. fu divisa in due parti: sei delle nove contee dell’Ulster, situate nel Nord e in prevalenza protestanti (ma con una consistente minoranza cattolica), continuarono a far parte del Regno Unito (➔ Irlanda del Nord); il resto del paese, prevalentemente cattolico, ottenne l’indipendenza nell’ambito del Commonwealth (➔ Irlanda, Repubblica d’).
La più antica letteratura irlandese si svolge secondo una periodizzazione che corrisponde alle diverse fasi del gaelico tra il 7° sec. e il 16° (➔ Celti). La letteratura irlandese moderna nasce nel 17° sec., quando la colonizzazione britannica aveva ormai cancellato l’antico ordine sociale e la letteratura e la cultura che di quell’ordine erano espressione, ma il gaelico era ancora la lingua usata dalla maggior parte degli abitanti dell’isola (e tale sarebbe rimasto fino alla metà del 19° sec.). Alla dominazione politico-militare corrispose da parte di storici e polemisti inglesi una riflessione sulla colonizzazione e sui paesi colonizzati, di cui è massimo esempio View of the present of Ireland (1633) di E. Spenser. Proprio per confutare le sue tesi fu scritta l’opera che segna il passaggio alla letteratura irlandese moderna, Foras Feasa ar Éirinn («Storia d’Irlanda», 1634) del sacerdote Séathrún Céitinn, noto come Geoffrey Keating. Analoga finalità è alla base degli Annala Rioghachta Eireann («Annali dei re d’Irlanda»), la più importante collezione annalistica irlandese nota come Annali dei quattro maestri con riferimento ai quattro eruditi che la compilarono nel 1636.
Tra gli ultimi rappresentanti della tradizione dei bardi si ricordano Tadhg Dall Ó Uiginn (16° sec.), Piaras Féiriteir, strenuo animatore della lotta contro O. Cromwell, impiccato nel 1653, e il celebre arpista e poeta Toirdhealbhách Ó Cearbhalláin, noto come Turlogh O’Carolan (17°-18° sec.).
A cavallo tra 17° e 18° sec. compaiono alcuni autori d’indirizzo politico legittimista (giacobita) che riprendono gli antichi aislings («visioni»), per evocare l’I. sotto forma di donna che piange la propria sorte e invoca il ritorno del legittimo consorte. Si ricordano in specie Aogán Ó Rathaille, noto come Egan O’Rahilly ed Eoghan Ruadh Ó Súillebháin, noto come Owen Roe O’Sullivan.
Trasportata dalle cerchie chiuse dei mecenati in mezzo al popolo, la poesia irlandese si modifica nella struttura formale: alla rima consonantica si sostituisce la vocalica, al ritmo determinato dal numero delle sillabe succede il ritmo accentuativo. Contemporaneamente fiorisce la satira, che dà gli esiti più felici nel celebre poema di Brian Mac Giolla Meidhre, noto come Brian Merriman, Cúirt an Mheádhon Oidhche («Il tribunale di mezzanotte», 1800) e nell’anonimo testo in prosa Pairlimint Chloinne Thomáis («Il parlamento del clan dei Thomas»).
Nel 1592, con la nascita del Trinity College di Dublino, si era avviata la formazione di una nuova classe dirigente, di fede protestante e di lingua inglese. Il massimo rigoglio della civiltà anglo-irlandese si ebbe con gli scrittori J. Swift, W. Congreve, G. Farquhar, O. Goldsmith, e con i filosofi G. Berkeley ed E. Burke.
L’Act of union (1800), che ratificò la totale soggezione amministrativa e legislativa del paese al governo inglese, e la successiva emancipazione dei cattolici (1829), che poterono accedere a scuole e uffici pubblici, determinarono la nascita di una media borghesia cattolica e filoinglese.
La letteratura prodotta in I. nella prima metà del 19° sec. è opera principalmente della classe dirigente anglo-irlandese che, insoddisfatta del legame vessatorio con Londra, venne sviluppando una nuova sensibilità. Gli scrittori continuarono a servirsi della lingua inglese, ma spesso presero ad argomento delle loro narrazioni la disastrosa incuria con cui i latifondisti britannici amministravano i loro possedimenti e la triste condizione dei contadini irlandesi. Esemplari i romanzi Castle Rackrent (1800) e The absentee (1812) della scrittrice M. Edgeworth, con la quale si chiude la stagione più felice della letteratura anglo-irlandese. Ne furono ancora protagonisti, via via più assimilabili alla cultura propriamente inglese, C.R. Maturin, W. Carleton, C.J. Lever, J.S. Le Fanu. In pieno clima romantico, T. Moore, con le sue Irish melodies, fu considerato per un secolo il poeta nazionale. T. Davis pubblicò le sue ballate patriottiche sul giornale The Nation, organo del partito estremista Young Ireland da lui fondato (1842). S. Ferguson, conoscitore del gaelico, recuperò l’antica tradizione celtica adattandone in inglese miti e leggende, fantasiosamente rivisitate. Vasta fu l’influenza esercitata da S. O’Grady, autore di una History of Ireland in the heroic period (1878-80), in cui riplasmò il materiale leggendario. Determinante per la rinascita letteraria in I. fu, accanto a quella dei poeti, l’opera di storici, archeologi e filologi. Tra gli storici occupano un posto importante W.E.H. Lecky, autore della History of England in the eight;eenth century (12 vol., 5 dei quali dedicati all’I.), e D. Hyde, fondatore della Lega gaelica (1893) e futuro presidente dello Stato libero d’I. (1937-45).
Nel 1888 W.B. Yeats pubblicò un’antologia di Poems and ballads of Young Ireland, in parte d’intonazione patriottica. Ideologo del cosiddetto Celtic revival («Rinascimento celtico»), movimento culturale eclettico in cui alle spinte nazionaliste si affiancano suggestioni decadentiste e simboliste, Yeats avviò la realizzazione del suo progetto culturale istituendo a Londra la National literary society (1892); successivamente, insieme a lady I.A. Gregory e al drammaturgo E. Martyn, fondò l’Irish literature theatre. Nel 1902 nacque l’Irish national theatre society, che dal 1904 ebbe una sua sede definitiva, l’Abbey Theatre di Dublino. Fino al 1920, quando dovette accettare un sussidio statale che lo trasformò in istituzione pubblica, l’Abbey Theatre realizzò l’esigenza di un teatro autonomo dalla tradizione inglese che era stata espressa dal movimento della Young Ireland fin dalla sua fondazione.
Dopo il teatro poetico e simbolista di Yeats e il ‘realismo magico’ delle opere drammatiche di lady Gregory e di I.M. Synge, si profilò la tendenza ad allontanarsi dall’I. mitica per concentrarsi sul nuovo paese che stava nascendo dalle lotte contro l’Inghilterra. A inaugurare la nuova fase fu P. Colum, nella sua scia W. Boyle prese di mira il bigottismo e l’opportunismo dei villaggi; L. Robinson diede un’amara rappresentazione dell’orgoglio delle classi superiori nella provincia; per contro, S. O’Kelly mostrò la miseria degli strati inferiori della popolazione; St. J. Ervine criticò l’intransigenza religiosa e i preconcetti diffusi; e T.C. Murray discusse il problema dei giovani costretti a entrare nel sacerdozio. Questa fase realistica si chiuse praticamente con la guerra anglo-irlandese. Nel 1921, con la creazione dello Stato libero d’I., la parabola letteraria del Rinascimento celtico può considerarsi conclusa. L’esigenza di una rinascita del gaelico come lingua parlata, fatta propria dal governo dello Stato libero e poi della Repubblica d’I., rimase sostanzialmente un’utopia; diversamente, la produzione letteraria in gaelico continuò un suo corso spontaneo.
Nel clima di esaltato nazionalismo insofferente di ogni critica instauratosi dopo la vittoria, gli autori teatrali ripiegarono su opere di carattere prevalentemente psicologico individuale. Seguirono tale indirizzo T.C. Murray, J. Shiels, L. Robinson, P.V. Carroll, T. Deevy. Al contrario, S. O’Casey trattò la realtà politica e sociale, non soltanto irlandese, del suo tempo, ravvivando poi, tra il 1950 e il 1958, il teatro languente con un gruppo di tragicommedie. L’appello insito nell’opera di O’Casey per migliori condizioni di vita si attiene agli aspetti più elementari e quasi idillici dell’esistenza quotidiana; ma la generazione formatasi nel secondo dopoguerra ha avvertito più acutamente il contrasto tra il passato, cui l’I. rimaneva ancora legata, e il presente, non solo dell’isola ma di tutto il mondo contemporaneo. Nel 1951, l’incendio che distrusse lo storico Abbey Theatre fu evento quasi simbolico della grave crisi d’identità che la cultura irlandese attraversava. Ne furono tra i più significativi interpreti due drammaturghi: M. Meldon e il più famoso B. Behan, le cui commedie The quare fellow (1958) e The hos;tage (1959) anticipano forme e toni del teatro inglese dei cosiddetti ‘arrabbiati’. Tra i contemporanei e successori di Behan sono da ricordare: D. Johnston; J. Boyd; S. Thompson; M.J. Molloy; H. Leonard; J.B. Keane; E. McCabe; T. Kilroy, che denuncia la miseria morale del contesto urbano; T. Murphy, che descrive il malessere della provincia; F. McGuinness. Un discorso a parte merita B. Friel, irlandese dell’Ulster, che affronta nelle sue opere i problemi dell’I. contemporanea, dalla battaglia per i diritti della minoranza cattolica alle lotte fratricide nell’Ulster, conducendo da ultimo una serrata analisi sulle implicazioni politiche del linguaggio.
Nella narrativa, riprendono la tradizione del romanzo naturalista zoliano Esther Waters (1894) di G. Moore e alcuni romanzi storici di L. O’Flaherty. L’autobiografia quale ricerca d’identità è un genere che ha avuto molto successo tra gli Irlandesi, ma il genere letterario per eccellenza è la novella: basti ricordare le raccolte di O’Flaherty, di F. O’Connor, di S. O’Faolain e della scrittrice M. Lavin. Esemplari interpreti del disagio degli Anglo-Irlandesi appartenenti all’ex classe dirigente sono tre sensibilissime narratrici: E. Bowen, M.B. Keane, divenuta famosa in tarda età, J. Johnston. D’altro canto, nell’esperienza letteraria irlandese è sempre presente un filone riconducibile al genere fantastico i cui massimi rappresentanti sono lord E. Dunsany e J. Stephens. Uno spazio a sé occupa la parabola creativa di J. Joyce. Dopo le novelle della raccolta Dubliners (1914) e l’autobiografico A portrait of artist as young man (1916), Joyce assurse a fama mondiale con lo sperimentalismo linguistico e narrativo di Ulysses (1929) e di Finnegans wake (1939), segnando in maniera indelebile il corso successivo non solo della narrativa ma anche della poesia d’I., dove la sua opera giunse con grave ritardo a causa di un rigido sistema censorio. Tra i suoi eredi di maggior prestigio figurano S. Beckett e F. O’Brien, geniali sperimentatori di forme, in chiave linguistica il primo, strutturale il secondo. Nella narrativa contemporanea, accanto allo sperimentalismo joyciano e al fantastico stepehensoniano, confluiscono altre influenze europee e americane che rendono difficile ogni sistemazione. Tra gli autori più importanti: B. Kiely, J. Plumkett, B. Moore, A. Higgins, W. Trevor, J. Mc Gahern, J. Banville. Nel vasto panorama della produzione poetica si distinguono: A. Clarke, raffinato sperimentatore di metri e ritmi derivati dalla poesia gaelica, fautore del dramma in versi; P. Kavanagh, la cui smagliante semplicità formale rivela uno spirito gioioso e mistico. Sensibili alle influenze del modernismo e della grande poesia francese del 20° sec. furono V. Iremonger, L. MacNeice e D. Devlin.
La violenza settaria tra nazionalisti repubblicani e unionisti filobritannici, esplosa nel 1969, ha segnato la storia dell’I. come tragico residuo della condizione irrisolta di ex colonia. Al senso di insicurezza degli anni 1970 che aveva portato S. Heaney (premio Nobel per la letteratura nel 1995), a emigrare nel Sud dell’isola, era subentrata negli anni 1980 una fase propositiva da parte della classe intellettuale del paese. Ne sono state concrete manifestazioni la pubblicazione a Dublino della rivista The crane bag (1977-85) e la fondazione, nel 1980 a Derry, di Field Day, compagnia teatrale e casa editrice diretta da Heaney, dal drammaturgo B. Friel e dal critico e poeta S. Deane. Il programma era quello di tentare di risolvere, nel segno dell’arte, dicotomie apparentemente inconciliabili: lingua gaelica e lingua inglese, cattolici e protestanti, città e campagna, Irlandesi e Anglo-Irlandesi, dottrina cattolica e valori della modernità, società patriarcale e universo femminile. La scena politica nella seconda metà degli anni 1990 è stata segnata dal cessate il fuoco nell’I. del Nord (1994) e dal successo del referendum sul divorzio (1995), avvenimenti che hanno costituito uno spartiacque anche nella vita e nella coscienza culturale del paese. L’affacciarsi alla letteratura di giovani generazioni, meno pressate dalla questione del terrorismo, più avvezze alla ricerca di soluzioni politiche e più omologate tra loro in termini di linguaggio e cultura, impedisce oggi una contrapposizione frontale dei panorami culturali dell’Ulster e della Repubblica d’Irlanda.
Negli ultimi decenni del Novecento, un vero secondo ‘rinascimento celtico’, non inferiore a quello voluto da Yeats agli inizi del 20° sec., si è manifestato nella poesia. Accanto a Deane ne sono stati promotori T. Kinsella, B. Kennelly, e soprattutto Heaney, poeta capace di infinite variazioni, sempre teso alla ricerca di un doloroso, problematico equilibrio tra violenza, esilio, mito e storia. Alla stessa generazione appartengono anche D. O’Grady che, vissuto lungamente all’estero, elabora un linguaggio poetico dove sono riconoscibili gli influssi di altre tradizioni, da quella italiana a quella greca, egiziana, araba; e ancora D. Mahon e M. Longley, testimoni dei sentimenti della borghesia protestante dell’Ulster. Immersi nelle problematiche conflittuali dell’identità nordica sono W.J. McCormack (pseudonimo del critico e poeta Hugh Maxton), F. Ormsby, C. Carson, P. Muldoon, mentre la poesia di T. Paulin vibra della duplice contraddizione di un presente politicamente impegnato e di un anelito universale. Fondamentale, nell’ultimo quarto del 20° sec., è stata la voce delle donne, che hanno imposto una serrata critica all’equazione tradizionale donna-Irlanda. E. Boland fa risuonare echi del passato e della tradizione celtica nei ritmi della vita e della storia quotidiana, e in alcuni saggi (A kind of scar, 1989; Object lessons, 1995) impone una radicale rilettura della storia d’I. che ha visto le donne, in quanto icone della nazione, escluse come soggetti. All’analisi delle relazioni al femminile (madri, sorelle, amiche, compagne) e alla minuziosa descrizione della quotidianità è dedicata l’opera di E. Ní Chuilleanáin, di M. Dorcey, e di P. Meehan. Attraverso ritmi scarni e un linguaggio criptico e intenso M. McGuckian affronta tematiche impegnative sul piano teorico e concettuale, mentre R.A. Higgins coinvolge il lettore nella descrizione dolorosa e ironica della realtà sociale.
Il romanzo irlandese contemporaneo ritorna quasi ossessivamente su alcuni nodi tematici: le difficoltà e la sotterranea violenza dei rapporti familiari, il conflitto tra omertà tribali e coscienza individuale, l’esilio e il ritorno, la trasgressione e la frustrazione sessuale, trattati da angolature diverse, spesso attingendo al linguaggio della teologia cattolica, ancora molto vitale nella cultura irlandese. Una posizione particolare occupano W. Trev;or e B. Moore, espatriati da lungo tempo, i quali non hanno tagliato i ponti con l’I., sempre presente nelle loro opere. Diverso è il caso di opere ambientate spesso nel Sud dell’Europa, in un tentativo di proporre una lettura meno insulare della realtà irlandese (A. Higgins, J. O’Faolain, D. Madden, C. Toibin). Particolare attenzione al contrasto tra mondo contadino e universo urbano hanno dedicato E. O’ Brien, J. McGahern, che ha proposto analisi sempre più impietose dei conformismi vecchi e nuovi degli Irlandesi. J. Plunkett ed E. McCabe si misurano con il romanzo storico, mentre J. Banville, erede indiscusso dello sperimentalismo joyciano, dopo originali studi condotti sul rapporto tra scienza e immaginazione, continua a esercitare la sua lucida decostruzione delle forme narrative e dei generi convenzionali. Un caso a parte è N. Jordan, sempre in bilico tra la letteratura e il cinema. B. Kiely, B. MacLaverty, G. Patterson, R. McLiam Wilson si sono misurati con il tema della violenza e del terrorismo, studiandone gli effetti anche nelle pieghe più riposte dell’universo familiare. La prova più alta di elaborazione del tema della violenza è Reading in the dark (1996) del già ricordato Deane. Va infine considerato il gruppo dei New Dubliners, autori di estrazione sociale spesso proletaria o che del proletariato urbano adottano i linguaggi: tra questi il più celebre è R. Doyle.
Nel teatro irlandese sono fiorite iniziative di decentramento che ripropongono la pluralità culturale e linguistica dell’isola. Tra gli autori più rilevanti, T. Murphy e T. Kilroy, che affrontano il tema del doppio. F. McGuinness rappresenta nelle più svariate forme la diversità politica, culturale e dei costumi sessuali tra Irlandesi e Britannici. A un teatro gestuale e pittorico, ricco di richiami all’inconscio, punta T. MacIntyre. G. Reid ambienta i suoi drammi in una Belfast surreale e violenta. Le donne, pur avendo una grande antesignana nella figura di lady Gregory, hanno avuto solo di recente la possibilità di accedere alla scrittura teatrale: il tema della violenza settaria, vista in un’ottica femminile di totale rigetto, è al centro delle opere di A. Devlin, mentre M. Carr evoca la presenza ossessiva del ricordo con un linguaggio straordinariamente espressivo. Il maggior drammaturgo rimane comunque Friel, per l’efficacia e l’intensità con le quali mette in scena i problemi del linguaggio e della comunicazione, l’incertezza della storia, l’inadeguatezza della realtà rispetto all’immaginazione.
Numerosi sono gli scrittori, anche tra quelli già citati, che hanno dato un contributo alla produzione letteraria in gaelico; tra i maggiori di essi si ricordano: P. Ó Conaire, con le raccolte di novelle ambientate nel mondo arcaico della regione di Galway; T. Ó Criomhtháin, con il romanzo sulle isole Blasket án tOileanach («L’isolano», 1929), e M. Ó Súileabháin con Fiche blian ag fas («Vent’anni di crescita», 1933), entrambi originari delle isole Aran dove l’irlandese è ancora la lingua madre; S. Ó Grianna, condannato a due anni di reclusione per essersi opposto al trattato con l’Inghilterra del 1921 e riabilitato alla fine della guerra civile (1932); M. Ó Cadháin, autore di Cré na cille («La terra del cimitero», 1949), che insieme alla raccolta di racconti Dúil (1953) di L. O’Flaherty e al romanzo An béal bocht («La povera bocca», 1941) di F. O’Brien, figura tra i capolavori della prosa gaelica. Nella produzione poetica, che ha visto i maggiori poeti del 20° sec. impegnati nella traduzione in inglese del patrimonio celtico, dopo le liriche patriottiche dell’eroe dell’insurrezione di Dublino P. Pearse, si ricordano i versi satirici di M. Ó Direáin, le opere di S. Ó Ríordáin, le poesie d’amore di M. Mhac an tSaoi. Tra i testi teatrali in gaelico, accanto ai drammi di D. Hyde, si ricordano An giall («L’ostaggio», 1958) di B. Behan, poi tradotto dallo stesso autore in inglese; Lá fhéile míchíl di E. Ó Tuairisc e la raccolta Maloney agus drámaí eile (1967) di S. Ó Tuama.
Negli ultimi anni del 20° sec. la letteratura in lingua irlandese ha conosciuto una particolare fortuna. Sempre più spesso gli scrittori irlandesi si cimentano nella traduzione dei capolavori dell’antica letteratura. Interessanti sono i casi di poeti che passano dall’una all’altra lingua in fasi diverse della propria parabola artistica ed esistenziale con pregevoli risultati espressivi, come è accaduto a M. Hartnett. La voce più alta è senza dubbio quella della poetessa N. Ní Dhomhnaill, che definisce l’irlandese ‘la lingua della madre’ contrapposta all’inglese, lingua del potere patriarcale.
Sebbene il maggior numero dei siti sia medievale, l’impulso delle ricerche è stato finora verso il periodo preistorico. Non vi sono prove certe riguardo alla popolazione esistente in I. nel Paleolitico, sebbene siano stati rinvenuti alcuni utensili di questo periodo. È con il Mesolitico che l’I. fu ‘colonizzata’, nel 7000 a.C. circa. Il più antico sito noto è situato a Mount Sandel (Derry), dove sono stati scavati resti di capanne circolari. Nel periodo neolitico si trovano i primi villaggi agricoli. La complessa struttura sociale che si affermò dal 4000 a.C. è testimoniata da grandi tombe in pietra (Newgrange, Knowth), impianti planimetrici delle case (Tankardstown). L’età del Bronzo vide lo sviluppo della lavorazione dei metalli e nuove tipologie di monumenti megalitici. Lo stile artistico di La Tène è stato rinvenuto anche in I., in oggetti di bronzo, osso e pietra del 3° sec. a.C. In questo periodo, inoltre, le cinte di sommità (Clogher, Rathgall) divennero centri di un’aristocratica società impegnata in guerre e scorrerie. La complessità dell’organizzazione sociale dell’età del Ferro è ben documentata dalla scoperta a Corlea (Longford) di un largo piano stradale di quercia (148 a.C.), uno dei più ampi di questo tipo in Europa. Sebbene esterna all’impero romano, l’I. ne fu comunque influenzata e molti manufatti romani sono stati localizzati lungo il suo litorale orientale.
Il contributo artistico dell’I. fu rilevante fra l’8° e il 9° sec. soprattutto con l’importante sviluppo della miniatura e dell’oreficeria, che influenzarono profondamente l’arte inglese (➔ Anglosassoni) ed europea (attività delle fondazioni di s. Colombano; in particolare, in Italia, di Bobbio); anche l’architettura e la scultura si svilupparono, se pure in tono minore. Nel 5° sec., con l’introduzione del cristianesimo, si era affermato l’uso della scrittura, che in I. acquistò forme calligrafiche particolari (celtico semi-onciale). Si formò una concezione nuova della scrittura in funzione decorativa che portò a una conseguente profonda innovazione del libro. Nello stesso tempo si adottavano motivi di origine mediterranea (la ‘pagina-tappeto’). Ma mentre l’arte anglosassone, attingendo alla produzione irlandese, mirava a una monumentale semplificazione, quella irlandese si orientò verso creazioni di inesauribile fantasia. Opera principale della miniatura è il libro di Kells (inizio 9° sec., Dublino, Trinity College), massimo esempio del tipo di ornato irlandese, che si estende alla stessa rappresentazione della figura umana; si ricorda anche il contemporaneo libro di Armagh (Trinity College). Per l’oreficeria, pezzi notevoli sono la custodia della cosiddetta campana di S. Patrizio (11° sec.), la cosiddetta Fibula di Tara (entrambe a Dublino, National Museum), il calice di Ardagh (Royal irish academy). Per la scultura, sono tipiche le grandi croci di pietra, ornate, verso la fine del periodo, con grande profusione di rilievi. La più antica architettura religiosa doveva consistere principalmente in costruzioni di legno. Della tecnica costruttiva si può avere un’idea dai resti di case sui crannogs, le isole artificiali create nei laghi. Anche l’architettura in pietra ha forme singolari (chiesa di Gallarus, Kerry, 7° sec.), in cui si può spesso riconoscere la traduzione in pietra di antiche strutture lignee (assenza dell’arco ecc.); peculiari le cosiddette round towers (torri rotonde, sparse su tutto il territorio, usate sia come campanili sia per difesa durante le invasioni scandinave).
L’architettura romanica è simile alla contemporanea architettura normanna in Inghilterra e risente anche dell’arte tedesca, conosciuta attraverso le missioni irlandesi sul continente; fra gli edifici più importanti si ricordano la cappella di re Cormac a Cashel, la chiesa conventuale di Clonmacnoise e la cattedrale di Clonfert. Alle oreficerie di questo periodo si ricollega la croce di Cong, del 1125.
Dopo l’occupazione anglo-normanna, un’arte originale indigena cessò di esistere. Mentre l’arte irlandese adottò spontaneamente le forme del romanico, il gotico rimase in I. un fenomeno importato. Interessanti sono i resti di numerosi castelli, in cui si ricostruisce la stessa evoluzione stilistica dei castelli inglesi. Nel corso del 16 e del 17° sec. l’architettura in I. registra la coesistenza di goticismi e riferimenti classicisti; tra 17° e 18° sec., in particolare con personalità come E.L. Pearce (Parlamento, poi Bank of Ireland, 1729).
Nel 18° sec. vi fu una larga immigrazione di artisti francesi, italiani, nord-europei, e un forte sviluppo di generi artistici, come il paesaggio o il ritratto, legati a nuove richieste della committenza. Un’intensa attività edilizia si registra a Dublino, nel periodo giorgiano (architetti principali: W. Chambers, J. Gandon, T. Cooley, R. Parke). Notevole fu anche la fioritura delle arti minori (argenti, peltro). Gli artisti irlandesi si recarono per lo più a lavorare in Inghilterra, date le misere condizioni del paese. Nel 1821 fu fondata a Dublino la Royal Hiberian Academy che rimase a lungo l’esclusivo punto di riferimento per la cultura artistica irlandese.
Luogo di incontro alternativo, dal 1923, fu la Dublin painters gallery dove esposero, tra l’altro, i principali protagonisti del modernismo: M. Jellett ed E. Hone. Nonostante i più intensi contatti con le esperienze europee e le soluzioni proposte da ristretti gruppi di artisti più aggiornati (White Stag di Dublino), l’arte irlandese dell’immediato dopoguerra tese a una rielaborazione del naturalismo tradizionale (incentrato sul ritratto o sulla rappresentazione paesaggistica) e offrì, con le opere di T. Carr, N. Reid, P. Collins e C. Clarke, soluzioni di valore. Nel 1943 ebbe luogo la prima delle numerose Exhibitions of living art che, reagendo al dominante tradizionalismo formale, presentò opere di L. le Brocquy, C. King, C. Souter, G. Dillon accanto a quelle di numerosi artisti stranieri, fornendo un più vasto e dinamico panorama dell’avanguardia irlandese. Oltre all’intensa attività di gallerie private, tra cui la Dawson Gallery e la Hendriks Gallery, un importante contributo per la diffusione delle nuove tendenze fu svolto dalla Dublin municipal gallery of modern art e dall’Ulster Museum di Belfast.
Sebbene attenta alle più diverse esperienze dell’avanguardia europea, l’arte irlandese tra la fine del 20° sec. e l’inizio del 21° mostra una prevalente tendenza espressionista, evidente sia nelle opere di J. Yeats e A. Madden sia in quelle successive di P. Graham e B. Maguire. Accanto a un’intensa sperimentazione grafica, anche la produzione scultorea appare molto ricca, spaziando dalle tradizionali soluzioni figurative e commemorative di E. Delaney e di J. Behan alle più aggiornate esperienze astratte e concettuali di H. Heron, J. Coleman e J. Aiken. In ambito figurativo, si ricordano i paesaggi urbani di C. Brennan e quelli realistici di T. Geoghegan e M. Gale; in stile neoespressionista operano P. Graham, M. Mulcahy e B. Maguire, che tratta temi sociali. Importante lo sviluppo della scultura e dell’installazione, grazie anche alle commissioni pubbliche. Si ricordano le personalità di M. Warren, che crea monumentali strutture astratte geometriche; S. Cullen, con installazioni e video; K. Prendergast, con disegni e opere tridimensionali; D. Cross; W. Doherty, che utilizza video, film, fotografie e immagini tratte dai mass-media. Nel campo dei film e delle video-installazioni si citano ancora J. Irvine, A. Tallentire, G. Weir e S. Hapaska.
In architettura prevale la personalità di M. Scott che guidò dal 1975, anno della sua fondazione, l’Irish arts council, svolgendo un importante ruolo per la diffusione del modernismo anche attraverso l’impulso dato con L. le Brocquy al design industriale. Ispirata a linguaggi internazionali è la produzione architettonica dello studio Scott Tallon Walker (Uffici civici di Wood Quay a Dublino, 1994); con tendenze high-tech è il lavoro di H. Murray e S. O’Laoire (padiglione per informazioni turistiche al Civic Park di Limerick, 1991) e quello di I. Campbell (Railway transport gallery di Cultra, County Down, 1993); di ascendenza razionalista è la biblioteca del Regional technical college di Bishopstown a Cork (1996), opera di S. de Blacam e J. Meagher. Neorazionalisti sono anche i lavori di J. Tuomey (Smithfield Courthouse, Dublino, 1987) e di R. Allies e G. Morrison (ambasciata britannica a Dublino, 1995). Notevoli gli interventi di riqualificazione dei centri storici: tra i vari, quello di Temple Bar a Dublino, nuovo quartiere culturale della vecchia città, oggetto di un concorso (1987-92) vinto dal Group 91, un’associazione costituita da alcuni fra i migliori studi locali di progettazione (S. O’Donnell, J. Tuomey, Grafton Architects, McCullogh Mulvin Architects, D. Tynen, P. Keogh, S. Cleary); sistemazione dell’area dei docklands di Dublino (Grand Canal Square, 2007).
La diffusione della musica cristiana in I. avvenne nel primo Medioevo ed ebbe manifestazioni negli inni e nell’introito Sancta Parens di Sedulio (Shiel), del 5° secolo. Nel 9° sec. visse il teorico della musica G. Scoto Eriugena, che sembra essere stato il primo a introdurre i termini di discanto e di organum per le relative musiche poli;foniche. Irlandesi furono anche s. Gallo (Cellach), fondatore del celebre monastero svizzero, centro musicale importantissimo, e s. Helias (Aibell), che nel 1025 circa introdusse il canto romano a Colonia. A questi inizi non corrisponde però un’adeguata storia artistica, declinando questa tra il 16° e il 18° sec. sotto il predominio della cultura inglese. Continuò tuttavia a sussistere il complesso di tradizioni caratteristiche, come, tra l’altro, l’arte arpistica (la grande arpa irlandese clarseach non è ancora del tutto scomparsa) e, in fatto di usi popolari, l’arte degli strumenti a fiato o a mantice: Bag-pipe e Uillean-pipe. Tra le danze di simile tradizione emergono soprattutto vari tipi di gighe e di country-dances. Gran parte del patrimonio musicale irlandese si trova nel Fitzwilliam virginal book (circa 1612) e in altre raccolte inglesi del 18° sec. e oltre, fino alle grandi edizioni, come The ancient music of Ireland (1855). Vanno ricordati, inoltre, i compositori irlandesi che hanno contribuito all’arte britannica, come J. Dowland, T. Cooke, C. Wood.