Complesso di pagine dello stesso formato, contenenti testi e illustrazioni, ricavate da fogli di carta stampati o manoscritti, piegati in segnature, cuciti o incollati, e tenuti insieme da un rivestimento (copertina) con le tecniche di legatura o rilegatura (fig. 1 e 2); le parti del parallelepipedo così formato si distinguono in dorso (piano o arrotondato), controdorso (piano o incavo), piatti frontale e posteriore, piani di taglio superiore e inferiore o di coda, gli eventuali ornamenti (capitello, nastro segnapagine ecc.).
In biblioteconomia il l. viene definito «una pubblicazione non periodica di almeno 49 pagine, esclusa la copertina» (UNESCO, 1964). Si caratterizza inoltre per essere prodotto in un numero di copie sufficientemente alto da garantirne la circolazione su un supporto inizialmente destinato a non deperire.
Nel libro sono insiti i caratteri di durata spazio-temporale e di mezzo di trasmissione e distribuzione del sapere. Perciò rientrano nella storia del l., inteso come mezzo di comunicazione della cultura scritta a prescindere da quale sia il suo supporto fisico, le foglie di corteccia, le tavolette d’argilla o cerate, i papiri, i codici medievali, passando per il l. vero e proprio, fino ai prodotti dell’editoria elettronica.
Il rotolo di papiro è il l. più diffuso dell’antichità classica. Usato dagli Egiziani fin dal 2000 a.C., probabilmente entrò in Grecia nel 7° sec., e si diffuse in tutta l’area ellenistica, passando quindi al mondo romano (dal 3° sec. a.C.). I privati affidavano il lavoro calligrafico per la produzione di papiri ai propri schiavi amanuensi (servus litteratus), finché, sulla spinta di una richiesta sempre maggiore, cominciò ad affermarsi la figura dell’‘editore-libraio’ che gestiva una bottega in cui operavano più copisti (dal 1° sec. a.C.). Sul rotolo (scapus), costituito da più fogli (charta), si scriveva in colonne nella parte interna (recto). Generalmente il testo cominciava con una riga di caratteri più grandi, talvolta tracciati con inchiostro rosso, e con la parola incipit seguita dal titolo dell’opera e dal nome dell’autore; all’estremità interna del rotolo si leggeva una dizione composta dalla parola explicitus (quindi abbreviato in explicit) e dal titolo dell’opera; tale prassi si perpetuò fino a tutto il 15° sec. e oltre, ed è tuttora utilizzata nella catalogazione dei manoscritti. Dall’atto di svolgere il papiro per leggerlo (volvo) deriva il termine volumen, che permane come sinonimo per indicare genericamente la partizione fisica del libro.
Per lo più, il papiro fu usato per testi religiosi, giuridici e genealogici sino al 1°-2° sec. d.C.; in quell’epoca sostituì le tavolette cerate o lignee per trascrizione di appunti e documenti, assumendo la forma rettangolare (codex) costituita da fogli ripiegati e legati assieme. Per alcuni secoli si ebbero nell’uso volumi e codici: il codice, per la praticità di consultazione, si impose definitivamente dal 4° sec. d.C. Contribuirono alla sua diffusione due differenti fattori: l’intensificarsi dell’uso della pergamena (➔), materia scrittoria di più semplice fattura rispetto al papiro, e la necessità di divulgare il verbo cristiano. Tra il 4° e 5° sec. la produzione di codici diventò prerogativa di officine scrittorie ecclesiastiche (scriptoria), monastiche o capitolari, dove gli amanuensi (copisti) non si limitarono a trascrivere e recensire i testi sacri, ma salvarono anche i classici latini e greci.
Dal 12° sec., con la rinascita economica, il laicizzarsi della cultura e il fiorire delle università, si determinò il bisogno di una maggiore produzione di testi non solo sacri, ma anche medici, giuridici e letterari. Risorsero le officine librarie dove i copisti erano liberi o alle dipendenze di editori (stationari) che gestivano le botteghe autorizzate dalle università a vendere o a prestare i l. per uso scolastico; Bologna, Padova e Parigi furono i maggiori centri laici. Il codice non reca numerazione di pagine fino al 13° secolo. Per evitare errori di legatura i fascicoli sono contrassegnati da lettere dell’alfabeto, da cifre, dal cosiddetto titolo corrente oppure portano nel margine inferiore dell’ultima pagina di ciascun quinterno la prima parola del successivo (dall’11° sec.). Manca di solito il frontespizio: elementi cronologici o topici e talvolta anche il nome del copista si trovano nella sottoscrizione (colophon). Altra caratteristica del codice medievale è costituita dalle note interpretative ed esplicative (glosse, scoli, commento), in corpo minore, che circondano il testo occupante il centro della pagina su una o due colonne. All’opera dell’amanuense seguiva quella del rubricator per l’esecuzione dei titoli e delle iniziali dei capitoli; da ultimo interveniva il miniatore. Dal 13° sec., con la diffusione della cultura fuori dei monasteri, si ha l’avvio di un’arte laica. L’ultima splendida età del manoscritto è rappresentata dall’Umanesimo che curò la correttezza filologica del testo oltre che l’aspetto formale. I codici divennero un’espressione d’arte, perfetti per qualità di pergamena, eleganza e regolarità di scrittura, detta umanistica: chiara e sobria, si ispirava alla littera antiqua dei Romani.
L’introduzione della carta, materia scrittoria nuova per l’Europa, permise una maggiore diffusione del l. grazie al basso costo e alla facilità di produzione rispetto alla pergamena. Nello stesso periodo si sperimentarono nuove tecniche di stampa che anticiparono l’uso dei caratteri mobili. A partire del 1440, questa produzione di carattere popolare, costituita da immagini ecclesiastiche e testi di istruzione religiosa, si diffuse prevalentemente nei paesi germanici. Le matrici erano incise su legno, e i fogli, stampati da un solo lato, il recto (anopistografie), erano incollati a due a due, formando libelli (detti tabellari o xilografici). Il primo esempio italiano è costituito da 18 tavole della Passione, impresse a Venezia nel 1450.
Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili metallici da parte di J. Gutenberg si entra nell’era del l. moderno. La stampa, molto più che un nuovo strumento tecnico, è fattore di rinnovamento culturale globale, rivoluziona la produzione libraria, abbatte i prezzi, crea via via un mercato sempre più esteso, non solo dal punto di vista numerico, ma anche sul piano dei contenuti e delle categorie di fruitori. Nata dal clima culturale del Rinascimento, l’arte della stampa ha potuto svilupparsi in tal modo grazie alla Riforma protestante che ne ha fatto il proprio mezzo di diffusione. La Germania è il più importante centro di produzione libraria; da qui giunge il primo libro con impressi il marchio tipografico e la data, il Psalterium (1457) di P. Schoeffer e J. Fust, già soci di Gutenberg. Operano tipografie, oltre che a Magonza, a Bamberga, ad Augusta, a Strasburgo e a Basilea. La stampa in Italia arriva con i tipografi tedeschi C. Sweynheym e A. Pannartz, che si stabiliscono prima a Subiaco, quindi a Roma. Si deve a loro il primo l. italiano a stampa, Donatus pro puerulis, di cui non ci sono pervenuti esemplari. Uscendo dalla tradizione del gotico tedesco, stampano le loro opere prima in caratteri modellati sulla minuscola carolina (carattere romano), poi sull’umanistica. Dalla Germania altri tipografi si trasferiscono in Italia e con loro si hanno nuovi progressi come l’illustrazione e la musica a stampa. Venezia diviene la capitale editoriale, con J. von Speyer, E. Ratdolt, B. Maler, P. Loslen e A. Manuzio. Nel resto dell’Europa la stampa si diffonde dopo il 1470, anno in cui è introdotta nei Paesi Bassi e in Francia.
I l. a stampa del Quattrocento (incunaboli) sono di regola cartacei e presentano inizialmente la forma di in-folio o in 4°; solo in un secondo momento ebbero formati minori. Fino al 1480, salvo qualche eccezione, non recano il frontespizio; iniziano con la lettera di dedica, con l’indice dei capitoli, oppure con il testo preceduto dall’incipit. L’uso di numerare le pagine diventerà corrente con il 16° secolo. Si incontra invece sin dai primi tempi della stampa il privilegio. Dapprima fu una dichiarazione dell’autorità che garantiva a uno stampatore l’esclusività di una certa edizione per un tempo determinato, ma presto divenne una forma di protezione dei diritti d’ingegno.
Preannuncia i caratteri del l. del Cinquecento Aldo Manuzio, le cui prime prove sono databili al 1494. La sua produzione (chiamata aldina), contrassegnata dall’ancora con il delfino, è contraddistinta dall’introduzione del formato in 8° e dal carattere corsivo. Tra le sue opere meritano una particolare menzione i 27 esemplari di editio princeps e la Hypnerotomachia Poliphili (1499), considerato il più bel libro del Rinascimento; a Manuzio risalgono anche i primi cataloghi editoriali di vendita.
Il Quattrocento è l’epoca degli sperimentatori, il Cinquecento quella dei primi editori. Il loro ruolo non si esaurisce nella semplice produzione tipografica, ma si esplica nella scelta culturalmente motivata delle opere da stampare, nella ricerca filologica, nella scoperta di antichi e nuovi autori, in un contesto di botteghe che assumono sempre più il carattere di circoli intellettuali con scambi a livello europeo. In questo periodo, grazie alla stampa si ha la definitiva canonizzazione dei volgari, che divengono lingue ufficiali anche dal punto di vista letterario. Se nel 1470 in Italia sono operanti solo 4 tipografie (Roma, Venezia, Foligno, Trevi), all’inizio del 16° sec. le officine sono circa 500 e la loro produzione copre il 40% dei l. pubblicati in Europa. Paolo e Aldo il giovane continuano l’opera di Manuzio. I Giolito de’ Ferrari, stabilitisi a Venezia alla fine del Quattrocento con Bernardino detto Stagnino, proseguono l’attività con Giovanni e Gabriele che sono gli ‘inventori’ delle collane. I fiorentini Giunta, dai nitidi corsivi e dalle eleganti figure, toccano punti altissimi, in particolare con l’edizione del Decameron del 1527 e l’editio princeps della Storia d’Italia di Guicciardini (1561). A Roma A. Baldo, su incarico di Paolo III, prima fonda una tipografia greca (1539), poi diviene stampatore della Santa Sede (1549) e pubblica tra l’altro l’editio princeps del Principe di Machiavelli. In Francia opera Griffo a Lione, la famiglia degli Estienne a Parigi, che diffonde in Europa il modello del l. aldino, e P. Attaignant che introduce l’editoria musicale.
Lo stile delle cinquecentine è caratterizzato dal frontespizio ornato da fronde, faune, cartigli, e dalla stampa nitida sulla pagina bene impostata; si raffina inoltre l’incisione, che trova le migliori realizzazioni nei l. di anatomia, scienze e botanica. Si diffonde in tutta Europa l’uso della censura dettata da ragioni politiche e religiose (è del 1559 l’Index librorum prohibitorum voluto dalla chiesa controriformista). Per poter stampare un’opera l’editore doveva ottenere la licenza (imprimatur) dall’autorità civile o ecclesiastica.
L’editoria italiana del 17° sec. vive una grave crisi determinata dalle guerre interne e da un mercato via via più ristretto, dovuto anche al veto posto dalla Controriforma alla diffusione volgarizzata dei testi sacri. Le tendenze cinquecentesche sono riprese in forma imitativa e sovente standardizzata; vi è minor cura nella produzione dei caratteri, come nella scelta della carta e degli inchiostri. Non mancano officine attrezzate e con una produzione di qualità: tra le varie botteghe spiccano quelle di G. e V. Mascardi e la Poliglotta di Propaganda Fide a Roma, la bottega di V. Coronelli a Venezia, quella annessa alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, e la Stamperia granducale a Firenze. Il primato editoriale spetta a Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, non solo per la qualità delle edizioni o per la pubblicazione di opere di nuovi autori (Bacone, Cartesio, Milton, Newton, Molière), ma anche per la quantità delle copie prodotte. Se si può parlare di crisi in questi paesi, essa è dovuta all’eccessiva domanda e alla conseguente poca cura tipografica.
Un nuovo tipo di carattere da stampa, l’elzeviro, venne introdotto dagli Elsevier o Elzevier , tipografi dell’università di Leida che ebbero fama europea; a loro si devono inoltre le serie dei classici latini in piccolo formato. In Francia nasce l’Imprimerie royale voluta dal cardinale Richelieu. Fu istituita con ordinanza del 1618, anno in cui Luigi XIII creò la Chambre des syndacats, un’associazione di tipografi sul modello britannico. In Inghilterra, dopo un periodo di grande vivacità in cui videro la stampa, tra le altre, le opere di Shakespeare, nel 1637 la Stars chamber pubblicò un decreto che ridusse gli editori al numero di 23. Dopo l’abolizione del decreto (1643) sorsero nuove case editrici, tra cui la tuttora operante Oxford university press (1674). Nel 1639 con S. Day la stampa arriva in America con i macchinari importati dall’Inghilterra.
Il secolo si apre con la promulgazione in Inghilterra del Copyright Act; lo statuto di Anna d’Inghilterra (10 aprile 1710) pone, per la prima volta, i problemi inerenti la proprietà letteraria. Il sensismo inglese, le esperienze illuministiche, lo spirito enciclopedico, l’entusiasmo umanitario di Rousseau, fanno sì che il libro del Settecento sia strumento di dibattito morale, libello di intervento politico o contenitore della totalità del sapere idealizzata dall’enciclopedismo (4250 esemplari dell’Encyclopédie, 1ª ed. Parigi, Le Breton, 1751). Altro fenomeno che caratterizza il secolo è l’affermarsi del romanzo come genere. La Rivoluzione francese rinnova profondamente la cultura del l.; le nuove idee sono espresse nelle edizioni di P. Grandjean, P.-S. Fournier e dalla famiglia dei Didot, la cui produzione è caratterizzata da un’impronta di semplicità classica. Accanto al l. ornato, in cui viticci, figure, paesaggi e fregi testimoniano un gusto barocco, si pubblicano anche l. correnti, rivolti a un pubblico più largo; escono i primi l. ‘economici’ con copertina in carta, su cui sono impressi i dati del frontespizio.
Venezia, culturalmente cosmopolita, negli ultimi anni di libertà diventa il centro di raccolta e di diffusione delle edizioni francesi. In Italia, tra gli editori ricordiamo G. Pasquali e A. Zatta a Venezia, i Remondini a Bassano e L. Della Volpe a Bologna. Se dal punto di vista dell’elaborazione delle idee l’Italia risente delle esperienze culturali di altre realtà europee, non mancano importanti iniziative editoriali quali, per es., la pubblicazione dei 24 volumi dei Rerum italicarum scriptores di L.A. Muratori, prima grande raccolta di fonti medievali della storiografia moderna. Sul piano dell’arte tipografica, con G. Bodoni si raggiungono nuove frontiere: il raffinato tipografo di corte fa uscire dalla Stamperia Reale in Parma opere di grande bellezza formale.
La stampa vede una grande fioritura nell’America Settentrionale; dal 1765 si ha uno sviluppo ulteriore grazie alla produzione in loco di macchine per la stampa.
I progressi tecnici dell’Ottocento segnarono il passaggio della produzione libraria dall’artigianato tipografico all’industria editoriale. La macchina continua per il ciclo produttivo della carta, la rotativa, la linotype, la litografia e la fotografia provocarono un abbassamento dei costi e un conseguente aumento della produzione, aprendo le porte al l. di massa. Le nuove esigenze di un mercato più ampio decretarono la fine della figura del tipografo, soppiantata da quella dell’editore-imprenditore attento alle regole di mercato e alla concorrenza. I paesi anglosassoni, dediti da secoli alla lettura dei testi riformati, sono impegnati ora nella creazione di una capillare rete di biblioteche pubbliche, per far fronte a una domanda in crescita. In Germania si ebbe una tra le più rappresentative produzioni d’Europa con l’avvio di grandi opere come i Monumenta Germaniae historiae e la Bibliotheca scriptorum graecorum et romanorum di B.G. Teubner. In Inghilterra il preraffaellita W. Morris lancia lo stile floreale destinato a caratterizzare per un trentennio la grafica editoriale. Nella Francia post-rivoluzionaria nascono grandi case editrici tuttora operanti: Garnier, Larousse, Colin, Flammarion et C.ie.
Fu questo il momento in cui si ebbe tangibile il segno dell’arretratezza culturale italiana, della portata dell’analfabetismo; la produzione si concentra essenzialmente al Nord, accentuando il già esistente dislivello, non solo economico, rispetto al Mezzogiorno. Il l. trasmette gli ideali risorgimentali assieme alla cultura neoclassica e romantica, ed estende la sua influenza all’emergente borghesia che aspira all’unificazione nazionale. Milano diviene il più importante centro editoriale, dove operano Vallardi, Sonzogno, Ricordi, A.F. Stella, N. Bettoni e G. Silvestri. La torinese Pomba (dal 1854 UTET) edita I sepolcri di Foscolo, mentre a Firenze sono attivi F. Le Monnier e G. Barbera. Dopo l’unità d’Italia, l’editoria prospera ulteriormente e nascono nuovi editori. Ricordiamo: Hoepli, Betti, Baldini e Castoldi, Treves a Milano; Loescher a Torino, Cappelli, Zanichelli a Bologna; Sansoni, Olschki, Bemporad a Firenze; Salani, Laterza a Bari. Si diffondono le letterature straniere e le più recenti idee filosofiche e scientifiche.
Il 20° sec. si apre con ulteriori scoperte meccaniche e con un fervore innovativo per l’estetica del l.: dilagano lo stile floreale e il modernismo futurista. Il l. ornato, relegato a poche serie speciali, lascia spazio al l. prodotto industriale come strumento di informazione, che comincia a essere affiancato da riviste e quotidiani rivolti alle masse di media cultura. Nel vivace contesto internazionale troviamo in Germania Brockhaus, Decker e Fischer; in Inghilterra Faber and Faber, Penguin, Macmillan e Collins; negli Stati Uniti Merrill, Longmans, Williams and Wilkins e le grandi editrici universitarie. In Italia l’arretratezza economica e tecnica, la guerra mondiale e il fascismo con i ‘l. di Stato’ e la censura provocano una battuta d’arresto nello sviluppo editoriale rispetto all’estero. Pur tra le difficoltà dei tempi, nuovi editori diventano il punto di riferimento per gli intellettuali e il grande pubblico: Laterza che pubblica B. Croce, Einaudi grande laboratorio di idee, La Nuova Italia specializzata in psicologia e pedagogia, A.F. Formiggini piccolo ma agguerrito editore, A. Mondadori diffusore della letteratura contemporanea e che per primo in Italia pubblica una collana dedicata ai ragazzi (La lampada, 1912).
Nel secondo dopoguerra l’editoria italiana ha un momento di rinascita nonostante i gravi danni di guerra subiti da importanti case editrici come Hoepli, Mondadori, Paravia. Sorgono collane storiche che aprono la strada alla cultura contemporanea, proponendo testi italiani nuovi o prima censurati e opere straniere (Gaja scienza, Longanesi 1946; I millenni e I coralli, Einaudi 1947; Classici contemporanei stranieri e Biblioteca moderna, Mondadori 1947 e 1948), mentre nel 1949 inaugura la via del tascabile la BUR (Biblioteca universale Rizzoli). Negli anni 1950, malgrado l’aumento del costo della carta, il mercato non subisce flessioni, grazie al consumo di narrativa; è il periodo dei primi best sellers, dei premi letterari, della costituzione del Club del libro. L’offerta si arricchisce con le opere di nuovi editori impegnati culturalmente, politicamente e socialmente: Editori Riuniti (1953), Il Mulino (1954), Feltrinelli, Franco Angeli e Mursia (tutti sorti nel 1955). Lo sviluppo economico e l’ampliarsi della scolarizzazione, con l’introduzione della media dell’obbligo (1963), provocano una forte richiesta di enciclopedie divulgative.
Le edicole, con la loro diffusione capillare su tutto il territorio, diventano il veicolo di distribuzione sia delle grandi opere a fascicoli (Fabbri, Sansoni, Vallardi, Rizzoli, De Agostini), sia della narrativa in collane di formato tascabile su modello dei pocket-books (Oscar Mondadori 1965). Affiancano questa produzione di massa iniziative di divulgazione ad alto livello e nuove case editrici qualificate in letteratura e saggistica (Marsilio 1961, Adelphi 1962, Sellerio 1969). Gli anni 1970 vedono da un lato il rapido nascere ed esaurirsi di piccoli editori impegnati nella saggistica politica, dall’altro il sorgere e lo svilupparsi con profitto di aziende che intervengono nel ramo della letteratura professionale (IPSOA 1971, Jackson 1975) e nella manualistica universitaria. L’editoria specializzata in l. per ragazzi è un altro importante fenomeno; tra il 1968 e il 1978 sorgono 15 case editrici (Emme Edizioni, Dalla parte delle bambine, Nuove Edizioni Romane, Coccinella ecc.), mentre editori non specifici propongono collane innovative (Tantibambini di Einaudi, Apertura di Fabbri, Il giardino di Mursia). Rispetto al passato le opere si distinguono per il respiro progettuale, l’impianto grafico e l’attenzione rivolta alla psicologia educativa.
La logica del mercato porta alla creazione di grandi gruppi editoriali nazionali e multinazionali, all’interno dei quali alla produzione libraria si affianca quella della stampa periodica o dell’emittenza televisiva. Non mancano comunque interessanti iniziative editoriali che sviluppano l’attività intorno a temi specialistici, o raffinate proposte letterarie. I progressi tecnologici aprono strade inedite; dalla metà degli anni 1980 alcune concentrazioni editoriali propongono i primi prodotti dell’editoria elettronica che, per gli alti costi di impianto, necessitano di una diffusione su scala mondiale, ma nel contempo garantiscono forme rapide di aggiornamento. Alle basi di dati si affiancano i CD-ROM, impiegati nella riproduzione di bibliografie, cataloghi e grandi opere.
Rivolti prevalentemente a bambini e ragazzi sono i libri-game, genere editoriale nato negli USA e nel Regno Unito negli anni 1970 diffusosi in Italia a partire dalla seconda metà del decennio successivo, nel quale il testo di fiabe, racconti e romanzi di generi differenti (fantascientifico, giallo, avventuroso) è diviso in blocchi, alla fine di ognuno dei quali si può continuare nella lettura scegliendo tra più possibilità o risolvendo rompicapi matematici e giochi enigmistici.
Per la commercializzazione del l. ➔ editore.
Manuali di devozione per i laici, diffusi tra 13° e 16° sec.; si componevano di testi liturgici, brani evangelici, orazioni alla Vergine e ai santi, del piccolo ufficio della Vergine (Horae Virginis Mariae, donde il nome di Officium Beatae Mariae Virginis o Uffiziolo), che ne costituiva la parte essenziale insieme all’ufficio dei defunti, di litanie, salmi e altri testi sacri e anche profani. Queste raccolte, destinate spesso a committenti di rango regale o principesco, costituiscono, per le loro illustrazioni, le più raffinate testimonianze dell’arte della miniatura, specie francese e fiamminga, del 14° e 15° secolo (Les très riches heures du duc de Berry, dei fratelli de Limbourg). Fra i precursori del l. d’ore è il piccolo libro di preghiere di Carlo il Calvo nella Residenza di Monaco, che ne fissa gli ideali di preziosa eleganza e di intima religiosità. Un altro elemento importante dell’illustrazione è il calendario, occasione di osservazioni naturalistiche di grande significato nell’arte italiana e franco-fiamminga. Fra gli esemplari più famosi: Uffiziolo Visconti, miniato da Giovannino de’ Grassi e Belbello da Pavia (Firenze, Biblioteca Nazionale); Les heures de Yolande de Flandre, della scuola di J. de Pucelle; Les grandes heures de Rohan, di artista francese; Les très riches heures du duc de Berry, dei fratelli de Limbourg; Les très belles heures du duc de Berry, bruciate nell’incendio della biblioteca di Torino del 1904 e note grazie a fotografie e ad alcune pagine distaccatesi, opera dei fratelli van Eyck; Les heures d’Étienne Chevalier di J. Fouquet; La Flora, per Carlo VIII (Biblioteca Vaticana), con miniature attribuite a G. Horenbout e a S. Marmion. Per la miniatura italiana, le Horae di Lorenzo il Magnifico, miniate da F. Del Chierico (Firenze, Biblioteca Laurenziana); le Horae di Bona Sforza, miniate da Antonio da Monza (Londra, British Museum). Notevole anche la produzione a stampa, con xilografie. In Francia, legarono il proprio nome ai l. d’ore J. Du Pré, A. Vérard, T. Kerver, P. Pigouchet, G. Tory, G. Hardoyn e il libraio S. Vostre. In Italia, ne produssero N. Jenson; M. Moravo e C. Preller a Napoli; L.A. Giunta (1501) e F. Marcolini (1545). Aldo Manuzio ne stampò in greco per la prima volta nel 1497.
Istituto con sede in Roma, fondato nel 1938, e nel 1953 intitolato al nome del suo fondatore. L’Istituto è un organo del ministero per i Beni e le Attività culturali e ha lo scopo di studiare i processi di fabbricazione del libro e la natura, l’origine e la genesi delle alterazioni fisiche e biologiche che colpiscono le materie librarie; studiare adeguati mezzi di prevenzione e di lotta sia nei casi particolari sia nella profilassi e nel risanamento dei depositi librari; eseguire a scopo di studio e con l’ausilio di mezzi sperimentali il restauro del materiale bibliografico, con particolare riguardo a quello pregevole e raro; vigilare, secondo le istruzioni del ministero della Pubblica Istruzione, sui procedimenti tecnici usati nei laboratori di restauro dei libri antichi che si trovano in istituti governativi. L’Istituto possiede laboratori (di biologia, chimica, restauro ecc.), un gabinetto fotografico, un museo, una biblioteca.
Raccolte dei documenti diplomatici, relativi a una determinata questione politica o a un particolare evento, con cui i ministeri degli Affari Esteri dei vari Stati informano la pubblica opinione. La raccolta dei documenti può essere preceduta da un’esposizione obiettiva dei dati del problema; i singoli documenti sono riprodotti senza commento, con la semplice citazione del nome della cancelleria, o dell’organo diplomatico da cui provengono o al quale sono destinati. I l. diplomatici prendono il nome dal colore della copertina, caratteristico dei singoli paesi: libri azzurri sono propri del Foreign Office (ministero degli Affari Esteri britannico); libri bianchi, della Santa Sede e del ministero degli Affari Esteri tedesco; libri gialli, del ministero degli Affari Esteri francese; libri verdi, del ministero degli Affari Esteri italiano.
si dice estensivamente di una raccolta di documenti e commenti relativi a un argomento di rilevanza internazionale.
Agli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, che non sia di piccole dimensioni (art. 2214 c.c.), è fatto obbligo di tenere e conservare per almeno 10 anni un minimo di scritture contabili relative alla gestione d’impresa, come pure gli originali delle lettere, telegrammi e fatture ricevute e le copie di quanto spedito. La tenuta delle scritture contabili consente non solo all’imprenditore di tenere sotto controllo l’andamento della propria impresa, ma anche ai terzi che compiono affari con l’imprenditore di valutare la sua solvibilità. Rientrano nelle scritture contabili obbligatorie il l. giornale e il l. degli inventari, nonché le ulteriori scritture contabili rese necessarie dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Nel l. giornale vengono riportate, man mano che sono compiute, tutte le operazioni di gestione dell’impresa, mentre trovano collocazione nel l. degli inventari le passività e le attività, opportunamente valutate, relative sia all’impresa sia all’imprenditore. Il l. degli inventari deve essere redatto all’inizio dell’attività e periodicamente al termine di ciascun anno, momento in cui va anche accluso il bilancio. Onde impedire alterazioni dei dati contabili è previsto dagli art. 2215 e 2219 c.c. che le scritture debbano essere tenute secondo le norme di ordinaria contabilità, ovvero senza spazi in bianco, interlinee, trasporti in margine, abrasioni ecc. (le cancellazioni, ove necessarie, devono rendere leggibile quanto eliminato). In caso di fallimento dell’imprenditore, la non corretta tenuta delle scritture contabili può comportare per lo stesso il reato di bancarotta semplice o fraudolenta, a seconda della gravità delle irregolarità. Le scritture contabili fanno sempre prova contro l’imprenditore che le tiene (art. 2709 c.c.), mentre possono essere prodotte dallo stesso in giudizio e a proprio favore solo se i l. sono stati tenuti correttamente e i fatti contestati concernono rapporti tra imprenditori obbligati alla tenuta delle scritture contabili (art. 2710 c.c.).
(ingl. e-book) Dispositivo che permette di visualizzare un insieme di pagine memorizzate su apposito supporto elettronico, consentendone la lettura in modo simile a quella di un libro.
La tecnologia attuale consente senza alcuna difficoltà di immagazzinare in un semplice CD ROM una quantità di informazione pari a quella di molti volumi ordinari e di leggere, editare ed esplorare il testo con l’ausilio di un semplice programma su personal computer: tuttavia quest’ultimo non è considerato un l. elettronico, in quanto scomodo da maneggiare e sicuramente più soggetto a vari tipi di inconvenienti rispetto a un l. ordinario. Gli indubbi vantaggi della visualizzazione elettronica di testi, quali l’intercambiabilità del CD ROM, la possibilità di esplorare il testo con le note tecniche ipertestuali ecc., hanno stimolato lo studio di possibili soluzioni per realizzare un hardware dedicato, dotato di un semplice display, di pochi tasti di comando e di un lettore di CD ROM, con un ingombro complessivo non molto diverso da quello di un l. ordinario. Alla prima metà del 1998 risalgono i primi due modelli di l. elettronico: un dispositivo dall’aspetto simile a un normale l. di carta, avente le dimensioni di un foglio protocollo e in grado di presentare in successione, su uno schermo piatto retroilluminato, le pagine che compongono un qualsiasi testo che sia stato memorizzato nel dispositivo stesso, avendole prelevate direttamente da un CD ROM o, tramite un personal computer, da un sito web di Internet che le contenga. Denominati rispettivamente rocket e-book il primo e softbook il secondo, i due modelli, che differiscono essenzialmente per le dimensioni dello schermo, per la massa e per il numero di pagine che possono contenere, consentono al lettore/utente di leggere i testi, di archiviarli, di sottolinearli, di utilizzare una delle due facciate per annotazioni, di confrontare su pagine affiancate testi diversi per una più facile ricerca e di esplorarli con le tecniche ipertestuali. Un ulteriore passo avanti verso la realizzazione di un l. elettronico è stato compiuto dal progetto di J. Jacobson del Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology, che ha previsto la realizzazione di un l. elettronico con le pagine di carta, sulle quali i testi possono essere trascritti con inchiostro elettronico (e-ink) composto di microparticelle sensibili a un campo elettrico, incapsulate in un microscopico contenitore applicabile su una qualsiasi superficie e quindi anche sulla carta. Un opportuno dispositivo permette poi di controllare la memorizzazione dei testi presi dalla rete. Nei laboratori del centro di ricerche Xerox di Palo Alto in California, inoltre, è stato messo a punto nel 1999 un nuovo tipo di display, realizzato in gyricon, un materiale leggero, sottile, flessibile e di facile utilizzo, sul quale è possibile effettuare cancellature e riscrivere elettronicamente. Altri «lettori» elettronici sono stati ideati e messi in commercio dalla Adobe e in seguito dalla Microsoft, costituiti da uno schermo a cristalli liquidi della dimensione della pagina di un libro.
Strumenti ausiliari dell’insegnamento sia nella scuola primaria sia nella secondaria; sono elaborati da studiosi o cultori delle varie discipline sulla base dei programmi ufficiali di insegnamento, spesso con criteri di interpretazione estensiva di questi ultimi. Specifiche norme e avvertenze tecniche per la compilazione dei l. di testo da utilizzare nella scuola dell’obbligo, nonché i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascuno degli anni della scuola dell’obbligo sono stati definiti nel decreto del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 547/7 dicembre 1999.
Ai sensi dell’art. 7, co. 2, lett. e) del d. legisl. 297/94, i l. di testo sono adottati dal collegio dei docenti, sentiti i consigli di interclasse (per la scuola primaria) e di classe (per le scuole secondarie di I e II grado). L’adozione dei l. di testo avviene nella scuola primaria con cadenza quinquennale, a valere per il successivo quinquennio, e nella scuola secondaria di primo e secondo grado ogni sei anni, a valere per i successivi sei anni (art. 5 del d.l. 137/2008 convertito con l. 169/2008). A partire dall’anno scolastico 2008-09 devono essere adottati preferibilmente l. di testo che siano proposti dalle case editrici, oltre che in formato cartaceo anche in una versione informatica scaricabile da Internet (art. 15 del d.l. 112/2008, convertito in l. 133/2008); dal 1° settembre 2011 devono essere adottati solo testi scaricabili da Internet oppure in versione mista (cartacea e informatica).
Raccolta di preghiere, inni e formulari magici egiziani, accompagnati da vignette illustrative. Il nome deriva dal fatto che era uso deporre tali scritti nei sarcofagi, perché accompagnassero i defunti e li istruissero sul modo di comportarsi nella vita oltremondana.
Registri che a norma delle leggi canoniche ogni parrocchia deve possedere, a memoria della vita ecclesiale e come documentazione dei diversi atti concernenti i membri della comunità cristiana (registri dei battesimi, delle cresime, dei matrimoni e dei defunti; dell’amministrazione dei beni e dei legati; il registro dello status animarum, delle prime comunioni e della cronaca parrocchiale; delle messe; delle pie fondazioni; il libro-cassa). Nel caso di soppressione di parrocchie i l. parrocchiali confluiscono nell’archivio della curia diocesana.
Sotto l’espressione libri nautici (o libri di bordo) vanno raggruppati gli atti e documenti relativi a una nave e concernenti le sue caratteristiche tecniche, l’efficienza, la funzione, e quanto abbia attinenza con la navigazione. I più importanti sono: il ruolo d’equipaggio, contenente il nome della nave e dell’armatore, l’indicazione della data di armamento e disarmo, l’elenco delle persone dell’equipaggio insieme con le loro qualifiche e mansioni; il giornale nautico e il giornale di macchina (➔ giornale).
Nella navigazione aerea si indicano globalmente come l. di bordo determinati documenti di bordo e cioè il giornale di rotta, il giornale dei segnali, il libretto dell’aeromobile, quello del motore, quello di manutenzione e dei rifornimenti ecc.
Complesso di tessuti caratterizzato dalla presenza di elementi conduttori cribrosi; è sinonimo di floema. In alcune piante, nel l. secondario si alternano strati tangenziali o complessi di fibre lignificate o meno (libro duro) e strati di parenchima e tubi cribrosi (libro molle).
La terza cavità dello stomaco concamerato dei Ruminanti, detta anche omaso (➔) o psalterium, caratterizzata da pieghe longitudinali della mucosa che ricordano le pagine di un libro.