Esposizione di fatti secondo la successione cronologica. È la forma primitiva della narrazione storica e si trova pertanto agli inizi della storiografia di tutti i popoli: per es., presso i Babilonesi, gli Ittiti, i Greci (ove appunto ai logografi del 6° e 5° sec. a.C. si attribuivano i primi χρονικά), i Romani (➔ annali). Dopo la grande fioritura della storiografia classica, nel Medioevo occidentale e bizantino, la c. tornò a essere per molto tempo l’unica forma di narrazione storica in uso, senza che si riuscisse mai a prescindere dalla rigida successione cronologica. Molte c. medievali cominciavano il racconto dalla nascita del primo uomo; tuttavia, con l’esaurirsi del tipo universalistico mutuato dai modelli di Eusebio (s. Girolamo), di Paolo Orosio, di Beda ecc., venne acquistando, soprattutto a partire dal 10°-11° sec., caratteristiche particolari, in relazione all’ambiente in cui nasceva, sciogliendosi di fatto dallo schematismo annalistico. Si ebbero così c. monastiche, desunte assai spesso dai cartulari delle donazioni fatte ai vari enti monastici da papi, imperatori, re e potenti (Chronicon Vulturnense; Chronicon Farfense) e c. cittadine, ancora in latino, ma personali e intese all’esposizione di una serie di avvenimenti compresi in un arco di tempo relativamente circoscritto (per es., la serie di c. della Marca trevigiana, 13°-14° sec.). Un rinnovamento si ebbe, in Italia, nell’età comunale (c. di Dino Compagni e G. Villani) per l’urgenza degli interessi politici che portavano con sé una valutazione dell’individuo, ignota alla tradizione medievale. Tuttavia, solo con l’Umanesimo la c. cedette il posto alla storia, concepita, come avvenne con la storiografica greco-romana, quale interpretazione dei fatti. Pertanto, nell’uso moderno, si parla di c. in contrapposizione a storia, intendendo un’esposizione di semplici fatti, non illuminata dalla consapevolezza di un problema storico.