Cronista fiorentino (n. 1280 circa - m. 1348). Fu il maggiore dei cronisti fiorentini, e, per l'ampiezza e il valore dell'opera sua, tra i più importanti e noti cronisti dell'Europa medievale. Redasse la Nuova cronica (post., 1537), che rappresenta uno dei documenti più significativi della cultura italiana del Trecento.
Di famiglia popolana, si diede alla mercatura e percorse (1302-08) molte contrade d'Europa. A Roma per il giubileo (1300), si maturò in lui la vocazione di farsi storico della sua Firenze. Dal 1316 esercitò importanti funzioni pubbliche in Firenze; fu tre volte priore (1316, 1317, 1321), ufficiale alla moneta (1317), camerlengo ai lavori per la nuova cinta di mura (1330). Nel 1341 fu ostaggio di guerra nelle mani di Mastino della Scala; coinvolto (1345) nel fallimento dei Bardi e dei Bonaccorsi, fu carcerato senza colpa per qualche tempo. Morì nella peste del 1348.
La sua Nuova cronica, in dodici libri, è una storia universale (dall'epoca della torre di Babele al 1346), scritta con particolare riguardo a Firenze. Per i tempi anteriori alla sua età V. usa e rimaneggia largamente le cronache dei Malispini e altri testi precedenti. Ma il suo valore di storico si rivela soprattutto nel racconto delle vicende dei suoi tempi, fondato assai spesso sull'esperienza diretta di cose e persone: egli ha il merito di allargare il suo orizzonte oltre Firenze, e soprattutto di inserire nella trattazione aspetti di vita economica, demografica, amministrativa, generalmente trascurati dagli annalisti precedenti. Essa ha un notevole interesse anche nella storia letteraria per la sua autorità come testo di lingua e per il problema delle sue fonti. Fu continuata dal fratello Matteo (m. Firenze 1363), che la condusse fino al 1363; il figlio di Matteo, Filippo (v.), vi aggiunse un ultimo libro, fino al 1364.