Scrittore (n. Bracara, od. Braga, in Portogallo, sec. 4º - m. sec. 5º). Discepolo in Palestina di s. Girolamo, partecipò (415) al Concilio di Gerusalemme, difendendosi dall'accusa di pelagianesimo. La sua opera maggiore Historiarum adversus paganos libri septem - largamente sfruttata da Prospero, Giordane, Gregorio di Tours, Beda, Paolo Diacono; fatta tradurre e adattare da re Alfredo il Grande; tradotta anche in arabo - fu certamente uno dei testi di storia antica più accreditati nel Medioevo.
Nulla sappiamo della sua vita (il nome di Paolo compare la prima volta solo nello storico dei Goti, Giordane). Le sole notizie sicure che si hanno di lui si riferiscono al quadriennio 414-418. Era sicuramente adulto nell'anno 414, quando, già prete, raggiunse in Africa s. Agostino per offrirgli la sua prima opera, Commonitorium de errore priscillianistarum et origenistarum, e per chiedergli la soluzione di molti dubbi sulla fede, a cui il santo rispose col suo Ad Orosium contra priscillianistas et origenistas. Recatosi in Palestina (415) per arricchire la sua preparazione teologica accanto a s. Girolamo, giunse a Gerusalemme nel momento più vivo della lotta antipelagiana; partecipò quindi al Concilio di Gerusalemme, ma accusato a sua volta di pelagianismo dal vescovo di quella città, Giovanni II, rispose col Liber apologeticus contra pelagianos. Ritornando dalla Palestina in patria, avendo durante il viaggio avuto notizie di guerre e grandi disordini in Spagna, tornò da s. Agostino, allora intento alla composizione del De civitate Dei, e ne fu indotto a scrivere gli Historiarum adversus paganos libri septem, la sua opera maggiore, cui dedicò due anni di lavoro (417-18). In questa, riprendendo uno spunto del 3º libro del De civitate, per cui i mali sono stati sempre presenti nella storia e non possono perciò imputarsi al cristianesimo, O., con un'accorta compilazione da molti storici antichi e da scrittori cristiani (Sallustio, Svetonio, Giustino, un'epitome di Tito Livio, Floro, Eutropio, Eusebio di Cesarea), ripercorre in sette libri la storia dell'umanità ponendo in luce, con i mali che la hanno sempre afflitta, anche il rivelarsi di un chiaro disegno provvidenziale, che ha, secondo lui, preordinato la formazione della Romània (è fra i primi ad adoperare questa parola) e le stesse invasioni barbariche. La ricchezza di notizie e la loro organica distribuzione in un disegno storico limpido nel suo svolgimento, anche se non profondo, assicurarono all'opera di O. la più duratura efficacia nei secoli del Medioevo. Secondo la prevalente e più attendibile interpretazione, Dante allude a lui nel Paradiso (X, 119) con le parole «avvocato de' tempi cristiani».