Il sistema di stampa diretta, che si esegue mediante una forma a rilievo, composta con caratteri mobili (tipi). È il sistema di stampa più antico, che lascia l’impronta sul supporto (carta ecc.) inchiostrando preventivamente gli elementi in rilievo, e poi applicandoli a pressione sul supporto stesso.
L’arte tipografica ebbe fioritura e fortuna a partire dagli inizi dell’età moderna nell’Occidente europeo. L’invenzione dei caratteri mobili (1450) è fatta risalire all’orefice di Magonza J. Gutenberg, il quale mise a punto una tecnica di fabbricazione di tipi alfabetici per la stampa che partiva dall’incisione in rilievo del segno di ogni lettera su un punzone metallico, con cui veniva coniata una matrice riproducente, in incavo, il medesimo segno del punzone; i caratteri erano ottenuti versando piombo fuso sulle matrici serrate entro una forma regolabile, che assicurava rapporti e dimensioni costanti per ogni serie di tipi così fabbricata. Accostando e ordinando questi caratteri era possibile comporre specularmente intere pagine di un testo, che, collocate sul piatto fisso di un torchio e debitamente inchiostrate, lasciavano la loro impronta su un foglio di carta inumidita fatto aderire a essa mediante la pressione esercitata dal piatto mobile.
Il primo mutamento, dovuto alla nuova invenzione, riguardò il disegno del carattere che, da una grande varietà iniziale di forme, si fissò in quelle ancora oggi usate del tondo (o romano) e del corsivo (o italico). Un ulteriore mutamento, imposto dal gusto e dalle tendenze culturali dell’epoca, fu il lancio nel 1501, per iniziativa di A. Manuzio, di un formato portatile. È indubbio che i primi tipografi, se erano orafi o maestri di zecca e, quindi, con le necessarie cognizioni pratiche, procedessero anche all’incisione dei punzoni e alla fusione dei caratteri da impiegare nelle proprie edizioni. Questa produzione individuale dei tipi nell’ambito di ciascuna officina ebbe termine nelle ultime decadi del Quattrocento, quando iniziò gradualmente un commercio regionale e nazionale di matrici.
Nei primi decenni del Cinquecento la fusione e la vendita dei caratteri si intensificarono ancora, organizzandosi su scala internazionale, dapprima con la fornitura dei tipi da parte di grandi stamperie, e poi, dal 1530 circa, con il sorgere di piccole fonderie indipendenti (v. fig.). Da Venezia, centro di irradiazione dei traffici e della cultura italiana, si diffuse un carattere tondo, inciso e usato dal francese N. Jenson (1470). Nato da modelli italiani, il corsivo venne in seguito rielaborato originalmente oltralpe e reimportato in Italia attraverso i tipi tedeschi di Basilea e Colonia (1518-49), e quelli francesi disegnati e incisi da R. Granjon (1543-77) e Pierre Haultin (1558).
Intorno alla metà del 15° sec., a opera di F. Feliciano, L.B. Alberti, Damiano da Moyle, L. Pacioli e altri, si cominciò a costruire geometricamente le maiuscole dell’alfabeto latino sulla base di stabili rapporti matematici tra altezza, larghezza e spessore delle lettere e delle aste. Tale metodo, applicato in seguito alla costruzione di alfabeti anche minuscoli, trovò la sua più rigorosa applicazione nello schema fissato da una commissione dell’Académie royale des sciences di Parigi, incaricata nel 1693 di studiare e descrivere le tecniche di stampa e d’incisione.
Le tradizioni grafiche del Cinquecento e Seicento, cui restarono fedeli W. Caslon I e i suoi successori (Londra, dal 1725), furono rimeditate da J. Baskerville (Birmingham, dal 1752 al 1775), il quale restituì al carattere la rotondità del disegno e la larghezza degli avvicinamenti. Un ulteriore contributo del nuovo rigore ‘matematico’ fu l’invenzione di un metodo unificato di misurazione tipografica, anticipato già da P. Grandjean, teorizzato da P.-S. Fournier (1737), realizzato e diffuso da F.-A. Didot (1775). Le incertezze della vecchia nomenclatura, in cui le dimensioni dei tipi venivano indicate con nomi convenzionali, furono eliminate mediante l’esatta misurazione del carattere sulla base del punto tipografico (0,376 mm), e divenne così possibile la composizione con tipi provenienti da fonderie diverse. Lo stile ‘moderno’ trovò la sua espressione compiuta nella produzione di Didot (gros romain, del 1784) e di suo figlio, e in quella di G.B. Bodoni.
Il 19° sec. vide la diffusione dei modelli dei Didot e di Bodoni, l’impiego di caratteri romantici di fantasia, il sorgere di nuove tecniche d’illustrazione e in genere la trasformazione del libro in un prodotto decisamente industrializzato, anche a seguito dell’invenzione di nuovi procedimenti meccanici d’impressione e di composizione. Nel 20° sec., la produzione soprattutto inglese e americana di matrici per la composizione linotipica restituì, con sapiente equilibrio tra leggibilità e rigore geometrico del segno, i migliori modelli dei sec. 16°-17°. Attualmente le tecniche tipografiche si avvalgono dell’uso della fotocomposizione e dei relativi processi di elaborazione elettronica del testo e delle immagini (➔ stampa).