Attività, sia artistica sia comune, per la produzione di beni e servizi, organizzata prevalentemente su base individuale o familiare.
L’a. del mondo antico, già inquadrato in grandi corporazioni nel periodo ellenistico, ebbe particolare sviluppo in età imperiale. Ridotto a pochi mestieri e sfavorito dal ristretto mercato altomedioevale, tornò a fiorire dopo il 10° sec., in connessione con lo sviluppo del mercato cittadino e con la nuova organizzazione corporativa (arti). Nella bottega artigiana, il maestro lavorava con un numero ristretto di sottoposti e di apprendisti, vendendo direttamente il prodotto finito. Nel corso dei secoli si sviluppò anche un a. dipendente che non produceva direttamente per il mercato, ma i cui manufatti venivano acquistati e venduti dal mercante-imprenditore che spesso anticipava le materie prime. A partire dalla metà del 18° sec. l’a. iniziò a decadere, parallelamente alle aumentate richieste di un commercio di massa e alla sempre più estesa applicazione delle macchine. Una crescente reazione contro l’eccessiva standardizzazione del gusto e del prodotto, tuttavia, determinò poi una naturale rinascita di piccole industrie artigiane locali, soprattutto artistiche.
Nel corso del 20° sec. l’a. si è allontanato dalla concezione globale del trattamento della materia, anche in settori di particolare valore creativo ed estetico; pertanto le linee di demarcazione, da un lato, tra a. e arte e, dall’altro, tra a. e prodotto industriale si sono attenuate. Nell’a. urbano, nelle produzioni artistiche e in quelle di tradizione rurale, la scomparsa di antichi mestieri e professionalità è un dato inconfutabile: dalle attività più colte (fonderie d’arte, stampa, incisione, lavorazione delle carte, tessuti d’arte) alla produzione dei diversi oggetti d’uso rispondenti alle tradizioni e ai materiali dei luoghi di radicamento, il depauperamento della lavorazione manuale è stato progressivo. Nei settori ad alto valore aggiunto per mansioni e professionalità (gioielleria, sartoria d’alta moda, vetrerie d’arte, liuteria, ricamo) il prodotto d’a., rispondendo a suggestioni emozionali, trova le giustificazioni per la sopravvivenza nel mercato, anche se non sempre in eguale misura nei diversi generi. L’a. di produzione, o delle arti applicate, si mantiene vivo in tutto il territorio nazionale e opera tanto nelle attività autonome quanto in quelle complementari alle produzioni industriali.
Significativi sono i programmi dell’Unione Europea e le iniziative del Consiglio d’Europa e dell’UNESCO per il recupero dei mestieri a rischio; in Italia le attività promosse dall’Associazione nazionale artigianato ar;tistico della CNA e da Confartigianato tendono, con norme innovative, a creare condizioni che sappiano reinterpretare la nuova dimensione dell’a. e accompagnarne lo sviluppo. Il Manifesto per le arti applicate del nuovo secolo, presentato nel 2001 e sostenuto da studiosi ed esponenti delle arti figurative, ha fornito indicazioni per un percorso di rinnovamento dell’identità dell’a. artistico; molte imprese artigiane, capaci di un confronto continuo con i nuovi materiali e i processi di produzione, si sono trasformate in piccole imprese ad alta tecnologia e manualità colta, integrate in sistemi a rete e nei distretti industriali (➔ distretto). In Italia – il paese europeo dove l’a. ha avuto la maggiore espansione – il ruolo economico di questo comparto produttivo è tuttora vitale. Nel 2005 le imprese iscritte agli albi erano 1.476.182 e gli occupati nel settore 3.455.000; nello stesso anno l’a. ha contribuito per il 12,4% alla formazione del PIL. Di notevole rilievo sono le quantità esportate: il 16,6% delle esportazioni italiane trae origine dal lavoro artigianale. La regione con il maggior numero di imprese artigiane (2005) è la Lombardia, con 256.694 unità; seguono l’Emilia-Romagna (147.184) e il Veneto (146.628).