D. industriale In geografia economica, area ad alta intensità industriale, prevalentemente costituita da imprese di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale (mediante tipiche forme di divisione gerarchica del lavoro) e alla specializzazione produttiva, con una propensione a un agire sinergico e operanti in una logica di natura sistemica.
Nella moderna economia industriale caratterizzata da imprese transnazionali che ricavano grandi vantaggi competitivi dal muoversi sui grandi mercati internazionali del lavoro o dall’adozione di forme complesse di organizzazione industriale (le imprese a rete), i d. mantengono efficaci doti di competitività in virtù, da un lato, della grande flessibilità aziendale, dall’altro, della possibilità di organizzare e gestire i servizi in modo centralizzato. Una fra le più importanti caratteristiche evolutive del d. consiste nell’affermazione di alcune imprese in posizione di leadership: queste ultime tendono a proporsi come vertici strategico-decisionali, sviluppando competenze commerciali e/o produttive di alto profilo e promuovendo relazioni di natura ‘reticolare’ fra le imprese distrettuali anche attraverso la formazione di gruppi.
La prima definizione teorica del d. risale all’inizio del 20° sec. ad A. Marshall, che lo ha definito come una modalità di organizzazione su base locale di un sistema settorialmente integrato di piccole e medie imprese. La concettualizzazione operata da Marshall poggiava sulle nozioni di economie esterne, specializzazione e divisione tecnico-sociale del lavoro, territorialità dello sviluppo. Secondo l’economista inglese, nell’ambito dei d. si viene a formare una ‘atmosfera industriale’, significativa non tanto in termini economici quanto sul piano sociale, in relazione alla formazione della professionalità e della imprenditorialità, con la condivisione, all’interno dell’area, di consuetudini di lavoro, di vita, di linguaggio ecc. («è come se i segreti del mestiere volteggiassero nell’aria»).
I contenuti essenziali del contributo di Marshall sono stati ripresi, nel corso degli anni 1970 e 1980, da numerosi economisti, tra i quali G. Becattini e la sua scuola, in virtù della grande importanza che in Italia hanno assunto, in termini produttivi, la piccola e la media impresa e, con esse, i d. industriali. Secondo alcuni autori, questi ultimi hanno delineato in Italia una nuova via allo sviluppo economico nel Nord-Est, nel Centro e, in particolare, nel versante adriatico. Secondo Becattini, il d. è un’entità socio-economico-territoriale, caratterizzata da compresenza attiva, in un’area circoscritta, fisicamente e storicamente individualizzata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali (il cosiddetto ispessimento localizzativo). Nel d., pertanto, a differenza di quanto accade in altri contesti fortemente industrializzati, la comunità e le imprese (non di rado familiari) tendono a interagire; non si tratta semplicemente di una forma organizzativa del processo produttivo, bensì di un ambiente sociale in cui le relazioni presentano caratteri specifici e il territorio assume il ruolo di forza cementante sia dei rapporti sociali sia delle relazioni produttive. Condizione per l’emergere di tali agglomerazioni è una tradizione di amore per il lavoro ben fatto, di fantasia innovativa, di manualità creativa, di ‘solidarietà cittadina’ quale esiste in molte zone d’Italia, retaggio del grande artigianato medievale. In particolare, un fattore strategico di successo del modello distrettuale è costituito dalla trasmissione su scala locale ed extralocale di informazione e conoscenze, in quanto risorse diffuse e spesso radicate nel territorio e possedute in forma originale dalle singole imprese. Lo sviluppo e la circolazione di originali contenuti cognitivi si sono tradotti, infatti, nella formazione di processi innovativi che hanno accresciuto l’efficienza interna dei d. e ne hanno consentito una proficua apertura nei confronti dell’ambiente esterno. Su diverse scale questo modello di sviluppo si è andato fortemente affermando anche in alcune aree del Mezzogiorno, nei settori calzaturiero, conciario, alimentare, del mobilificio, dell’abbigliamento. Particolare interesse rivestono i numerosi casi di d. italiani operanti direttamente all’estero. L’esempio più conosciuto è quello di Timisoara, il distretto industriale romeno specializzato nel settore tessile e nella lavorazione della pelle, in cui si sono insediate oltre 1200 imprese italiane.
D. di successo, nei quali siano riconoscibili forti relazioni su base locale, si individuano, pur con specificità originali ed estremamente diversificate rispetto al modello italiano, in molti altri contesti, quali il Baden-Württemberg, lo Jütland, la regione Rodano-Alpi in Francia (Oyonnax). Inoltre, modelli di organizzazione produttiva, fondati su elevati livelli di circolazione e acquisizione di informazione in contesti di piccole e medie imprese specializzate, si ritrovano anche in alcune fra le aree più avanzate dell’innovazione tecnologica, come la Silicon Valley o alcuni parchi scientifici realizzati in Europa (Cambridge-Reading in Gran Bretagna, Sophia Antipolis in Francia ecc.).
In Italia le modalità di sviluppo del d. sono state formalizzate attraverso la legislazione: il d. è stato proposto come strumento di politica industriale nell’ambito della l. 317/5 ottobre 1991 sugli Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese. Gli indirizzi e i parametri per l’individuazione delle relative aree sono stati stabiliti successivamente con d.m. del 21 aprile 1993; le delibere CIPE dell’8 marzo e del 3 maggio 2001 hanno individuato i criteri per la suddivisione del territorio nazionale in sistemi locali del lavoro e per la determinazione di d. economico-produttivi.
D. scolastico Comprensorio territoriale e funzionale nel campo dell’organizzazione scolastica. In alcuni paesi, come USA e Gran Bretagna, il d. gode di ampi poteri decisionali. In Italia è stato istituito, nel quadro della riorganizzazione degli organi collegiali della scuola (d.p.r. 416/31 maggio 1974), per corrispondere alle istanze di partecipazione sociale alla gestione delle istituzioni formative e altresì all’esigenza di definire un ambito ottimale di organizzazione e fruizione dei servizi scolastici. I consigli distrettuali saranno sostituti dai consigli scolastici locali di cui all’articolo 5 del d. legisl. 233/99. Il numero complessivo dei componenti eletti nei consigli scolastici locali sarà determinato in proporzione al numero degli appartenenti al personale dirigente, docente, amministrativo tecnico e ausiliario in servizio nelle scuole statali. Se il numero complessivo risulterà inferiore a 30.000 addetti, i seggi saranno 14; se invece si andrà oltre tale limite, i seggi da costituire saranno 16. I consigli scolastici locali dureranno in carica 3 anni e avranno competenze consultive e propositive in merito all’attuazione dell’autonomia scolastica e all’organizzazione del servizio sul territorio di riferimento.