innovazióne tecnològica Locuzione con cui si indica l'attività deliberata delle imprese e delle istituzioni tesa a introdurre nuovi prodotti e servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e usarli.
Abstract di approfondimento da Innovazione tecnologica di Giorgio Sirilli (Enciclopedia della Scienza e della Tecnica)
La letteratura economica è concorde nell’affermare che la ricerca e l’innovazione sono tra i principali motori dello sviluppo economico. La capacità di un sistema economico di sfruttare le nuove tecnologie e di adattarsi a un ambiente tecnologico in rapida trasformazione viene considerata essenziale per assicurare ai cittadini prospettive di miglioramento dello standard di vita e di prosperità.
I canali attraverso i quali l’innovazione è legata alla crescita economica sono molteplici e non lineari. Un economista che ha influenzato significativamente il dibattito sul rapporto tra economia e tecnologia, Joseph Schumpeter, ha operato una distinzione tra crescita e sviluppo: con il primo termine si intende un processo graduale di espansione produttiva basato su beni e tecnologie preesistenti, mentre lo sviluppo economico prevede un processo di distruzione creatrice che si manifesta con l’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e processi produttivi. Il problema della crescita economica viene affrontato in maniera differenziata a seconda che si analizzino i paesi più sviluppati o quelli in via di sviluppo. Nelle ultime decadi del XX sec. il divario in termini di crescita e di sviluppo tra i primi e i secondi è andato complessivamente ampliandosi, con il fallimento dei paesi latinoamericani e con il peggioramento della situazione di quelli africani. Diverso è stato il caso delle cosiddette Tigri asiatiche (Corea, Taiwan, Malesia, Singapore, Hong Kong), che hanno saputo adottare e sviluppare le nuove tecnologie e hanno conosciuto tassi di crescita estremamente elevati, come pure della Cina e dell’India, che sono diventati temibili competitori dei paesi più sviluppati non soltanto per i bassi costi e la scarsa tutela del lavoro, ma anche in virtù di un accelerato progresso tecnologico (nel 2004 la Cina spendeva per la R&S l’1,3% del Pil, percentuale superiore a quella italiana, dell’1,1%).
Un filone di analisi che si è andato affermando negli anni più recenti riguarda i sistemi nazionali di innovazione, intendendo con ciò la rete di istituzioni nei settori pubblico e privato le cui attività e interazioni generano, importano, modificano e diffondono nuove tecnologie e conoscenze. Il concetto di sistema nazionale di innovazione si collega alle teorie evolutive della crescita, che annettono particolare importanza ad alcuni fattori – come l’apprendimento attraverso il fare (learning by doing), l’interazione tra vari soggetti, le innovazioni incrementali – e caratterizzano l’innovazione come un fenomeno creativo diffuso nell’intero tessuto produttivo in sinergia con quello scientifico, tecnologico, finanziario e istituzionale. Dal confronto tra i sistemi dei paesi più sviluppati e quelli dei paesi in via di sviluppo emergono profonde differenze qualitative e quantitative tra i vari elementi costitutivi: la R&S, il tipo di coinvolgimento delle imprese nelle attività innovative, l’efficacia e l’estensione del sistema educativo, le modalità di interazione tra agenti economici e tra questi e le istituzioni pubbliche, le imprese multinazionali e il loro ruolo nel sistema economico. Nel caso dei paesi in via di sviluppo la debolezza degli attori e la frammentarietà delle interazioni tra di essi mettono addirittura in discussione la stessa applicabilità del concetto di sistema nazionale di innovazione.
Un vasto numero di studi empirici a livello di singola impresa, di settore economico, di intera economia nazionale ha mostrato che l’attività di ricerca genera un impatto positivo sul valore aggiunto e sull’aumento della produttività. In alcuni paesi il tasso di ritorno dell’investimento nella R&S a livello di singola impresa, che oscilla tra il 20% e il 30%, è più che doppio di quello in macchinari e attrezzature. Il tasso di ritorno varia sensibilmente tra innovazioni di prodotto (20430%) e di processo (58476%). Ma il vantaggio per l’intera società è ancora più elevato, giacché la singola innovazione si diffonde in tutto il sistema sociale ed economico (si pensi ai profitti generati dal sistema Windows della società Microsoft e al suo valore per l’intera economia mondiale).
Il dibattito teorico e in sede di politiche pubbliche si è sviluppato non soltanto sulla necessità di interventi pubblici tesi a sostenere e a promuovere l’innovazione tecnologica, ma anche a creare le condizioni di contesto economico più favorevoli alla diffusione delle nuove tecnologie. Alcuni studi hanno posto l’attenzione sui diversi gradi di rigidità e di flessibilità dei mercati del lavoro dei vari paesi che possono ostacolare o favorire l’introduzione dell’innovazione: da un lato il modello statunitense, caratterizzato dall’elevata flessibilità e disponibilità al cambiamento, da minori garanzie per i lavoratori e da un maggiore potenziale di esclusione sociale per coloro che sono espulsi dal mondo del lavoro e, dall’altro, quello dei grandi paesi europei e del Giappone che, in un contesto di welfare state, conferisce maggiore stabilità d’impiego e protezione sociale ma ha maggiori caratteristiche di rigidità che possono non agevolare i mutamenti richiesti dal nuovo e più dinamico contesto economico-tecnologico. Altri autori ritengono, tuttavia, che sia riduttivo attribuire la scarsa crescita dei paesi europei e del Giappone, nell’ultimo decennio del XX sec., alle rigidità del mercato del lavoro e ai suoi supposti effetti di freno allo sviluppo e all’adozione delle nuove tecnologie.
La misurazione diretta dell’innovazione tecnologica nell’industria si è sviluppata in via sperimentale negli anni Ottanta, ma soltanto negli anni Novanta ha permesso di raccogliere dati statistici comparabili nei vari paesi. Secondo i dati dell’indagine svolta in Europa e coordinata dall’Eurostat, il 41,5% delle aziende manifatturiere europee ha introdotto o era impegnata nell’introduzione di innovazioni tecnologiche nel periodo 2002-2004, mentre la percentuale nel settore dei servizi destinati alla vendita era del 37% (fig.). La quota di imprese innovatrici varia considerevolmente tra i paesi europei. Nel settore manifatturiero Germania, Irlanda, Belgio, Danimarca e Austria fanno registrare percentuali tra il 58 e il 73%, mentre Italia, Spagna e Francia si collocano appena al di sotto della media europea. Nel caso delle imprese del settore dei servizi la variabilità tra paesi è inferiore a quella del settore manifatturiero.L’intensità innovativa varia notevolmente tra settori. La quota di imprese innovatrici del settore manifatturiero oscilla, in Italia, tra un minimo del 32% degli alimentari, tessili, legno a un massimo del 76,9% delle macchine per ufficio. Nel caso del settore dei servizi si passa dal 23,5% del commercio al dettaglio al 54,6% delle poste e telecomunicazioni.Un indicatore dell’impatto dell’innovazione elaborato sulla base dei dati dell’indagine europea è costituito dal rapporto tra il fatturato connesso ai nuovi prodotti e quello totale. Tale indicatore cattura soltanto una parte del fenomeno, in quanto non dà conto delle innovazioni di processo, legate o meno ai prodotti nuovi o a quelli esistenti.Nel 2004 quasi un decimo (8,5%) del fatturato delle imprese europee proveniva da prodotti nuovi o significativamente migliorati rispetto a quelli già disponibili sul mercato, che erano stati introdotti nel triennio 2002-2004. Le percentuali non variano molto tra paesi e, tra i principali, l’Italia si colloca tra i primi con il 9,7%, preceduta da Finlandia (12,5%) e Svezia (11,1%). Il principale risultato dell’indagine è dunque che, sebbene le nuove conoscenze svolgano un ruolo decisivo nell’economia europea, 9/10 della produzione non vengono significativamente cambiati sotto il profilo tecnologico nell’arco di un triennio.Il processo innovativo prevede che l’azienda effettui varie attività che comportano l’acquisizione e la gestione sia dell’investimento immateriale (conoscenze tecnologiche, organizzazione produttiva, risorse umane, esplorazione e creazione di nuovi mercati ecc.) sia di beni fisici che incorporano le nuove tecnologie quali macchinari, impianti, apparecchiature, beni intermedi. I dati dell’indagine sull’innovazione consentono di fare giustizia di un diffuso preconcetto secondo il quale l’innovazione si sostanzia con la ricerca e sviluppo: nel caso italiano la spesa per la R&S effettuata dalle imprese nel 2004 rappresentava il 32% del totale nel settore manifatturiero e il 20% nei servizi. Tali percentuali aumentano al 38% e al 25% se si aggiunge quella commissionata all’esterno ad altre imprese, alle università, agli enti pubblici. La metà della spesa innovativa è in effetti impiegata per acquisire macchinari e apparecchiature che incorporano nuove tecnologie, mentre il resto dell’investimento è destinato all’acquisto di conoscenze sotto forma di brevetti, invenzioni non brevettate, licenze, know-how, progetti, servizi tecnici, alla formazione del personale, all’attività di esplorazione dei mercati e di definizione dei prodotti innovativi (marketing).La struttura della spesa delle imprese italiane del settore dei servizi è analoga a quella del manifatturiero. La differenza più significativa è rappresentata dalla minore importanza della R&S (24,8%), compensata da una più elevata quota della spesa destinata alle tecnologie acquisite dall’esterno per software, servizi tecnici e consulenze, e altre tecnologie esterne (11,8%).L’investimento per l’innovazione delle imprese manifatturiere italiane è stato, nel 2004, di 9400 euro per addetto. Tale investimento era fortemente concentrato nelle imprese con oltre 250 addetti che, pur rappresentando appena l’1,9% della popolazione di riferimento, contribuiva per circa il 50% della spesa totale. L’intensità innovativa varia fortemente anche tra settori: i maggiori livelli di spesa per addetto si riscontrano nella fabbricazione di macchine per ufficio (24.000 euro) e degli apparecchi radio-tv e telecomunicazioni (23.000 euro).Nei servizi la spesa per l’innovazione nello stesso anno è stata pari a 5200 euro per addetto. I settori a più alta concentrazione sono risultati: la ricerca e sviluppo (75.000 euro), i servizi informatici (15.000 euro) e le assicurazioni (10.000 euro).L’introduzione dell’innovazione avviene assumendo rischi e superando molte difficoltà. I principali ostacoli incontrati dalle imprese italiane, come d’altra parte da tutte quelle degli altri paesi, sono di natura economico-finanziaria: costi elevati e mancanza di adeguate fonti finanziarie interne ed esterne all’azienda. Fattori quali: le difficoltà a trovare partner con cui cooperare per le attività di innovazione, la mancanza di informazioni sulle tecnologie rilevanti, la domanda insufficiente di prodotti o servizi innovativi, la mancanza di informazioni sui mercati, non rappresentano ostacoli particolarmente difficili da superare.Le imprese europee intervistate nell’indagine hanno fornito indicazioni, in termini di valutazione qualitativa, sugli effetti prodotti dalle loro innovazioni. Nella media dei 27 paesi gli effetti più rilevanti attengono ai prodotti: (a) il miglioramento della loro qualità (37,8%); (b) l’estensione della gamma di prodotti offerti (34,2%); (c) l’aumento della quota di mercato detenuta dall’impresa (29,4%). L’impatto sui processi assume una minore rilevanza, in particolare per quanto riguarda la riduzione del costo dei fattori produttivi tradizionali quali il lavoro, i materiali e l’energia. Infine, gli effetti percepiti sull’ambiente, sulla salute, sull’adeguamento a normative tecniche e standard sono citati da meno del 20% delle imprese. Nel complesso emerge tra le imprese europee una visione dell’innovazione fortemente legata alla competizione sul mercato e poco orientata da fattori di contesto sociale e ambientale. Le imprese italiane puntano più sulla qualità che sull’aumento dei nuovi prodotti, appaiono più sensibili alla riduzione del costo del lavoro mediante tecnologie di processo, e sono allineate a quelle degli altri paesi per quanto riguarda l’impatto sull’ambiente, la salute e l’adeguamento alle relative normative. L’innovazione tecnologica molto spesso va di pari passo con mutamenti nell’organizzazione e nelle pratiche commerciali. Nel settore manifatturiero italiano il 57% delle imprese innovatrici ha introdotto nel periodo 2002-2004 anche innovazioni non tecnologiche, sia in campo organizzativo (nuove tecniche manageriali, nuove modalità di organizzazione del lavoro, mutamenti nelle relazioni con altre imprese o istituzioni pubbliche, 50%) sia commerciale (modifiche nelle caratteristiche estetiche dei prodotti, nuove tecniche di commercializzazione o distribuzione dei prodotti o servizi quali il commercio elettronico, il franchising, le licenze di distribuzione, 32%). La propensione delle imprese del settore dei servizi a introdurre anche innovazioni organizzative o commerciali è ancora superiore: le percentuali sono rispettivamente del 63%, del 56% e del 30%.