In generale, il fatto di prendere parte a una forma qualsiasi di attività, sia semplicemente con la propria presenza, con la propria adesione, con un interessamento diretto, sia recando un effettivo contributo al compiersi dell’attività stessa.
Il fatto di concorrere insieme con altri alla costituzione e allo svolgimento delle attività di un istituto, di un ente, di un’azienda, contribuendo alla formazione del suo capitale (per lo più mediante acquisto di una parte delle quote o azioni sociali) e acquistando di conseguenza il diritto alla spartizione degli utili.
P. dei lavoratori alla gestione delle imprese Secondo quanto disposto dall’art. 46 della Costituzione «ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende». Nel dibattito giuridico e politico che si è svolto nel tempo nel nostro Paese, questo coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali endoaziendali è stato considerato come espressione di democrazia industriale, ossia come metodo da utilizzare sia per far pesare gli interessi dei lavoratori nei processi decisionali dell’impresa, sia per regolare i conflitti tra questi. Nel nostro sistema di relazioni industriali il principio partecipativo è stato perseguito attraverso l’introduzione nei contratti collettivi di discipline che garantiscono al sindacato diritti di informazione e consultazione da parte dei datori di lavoro in funzione di controllo dell’esercizio dei poteri di questi ultimi. In sostanza, alle rappresentanze dei lavoratori viene attribuito, per via contrattuale, il diritto ad essere informate in via preventiva delle decisioni che l’imprenditore intende assumere su alcune materie. Questo tipo di p. è stata “istituzionalizzata” anche attraverso il c.d. “Protocollo IRI” del 1984, seguito da accordi tra organizzazioni sindacali e altri gruppi a p. statale (Efim, Eni, Gepi, Elettrolux Zanussi, Telecom Italia). Mentre, dal punto di vista della regolamentazione legislativa, la p. dei lavoratori alla gestione delle imprese è ad oggi disciplinata “solo” (ad eccezione delle disposizioni contenute all’interno delle norme in materia di licenziamenti collettivi e di trasferimento d’azienda) dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 25, emanato in attuazione della dir. CE n. 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.
Nel linguaggio economico si parla di p. per indicare il concorso ai risultati di una intera attività produttiva, di una o più operazioni commerciali o finanziarie, oppure il concorso alla formazione del capitale di un’impresa. Gli investimenti in imprese industriali (p. industriali) o bancarie (p. bancarie) mirano ad assicurarsi, attraverso l’acquisto o la sottoscrizione di quote sociali o di azioni, ingerenze o controlli sulla gestione delle imprese stesse o comunque a raggiungere altre finalità oltre quella di lucrare i frutti direttamente attinenti all’investimento.
Se la p. riguarda una società per azioni si parla di p. azionaria e si parla inoltre di p. di comando, di controllo, di maggioranza (pur potendo essere notevolmente inferiore alla maggioranza assoluta) quando nelle mani di uno o di pochi sia riunito il possesso di una quota rilevante del capitale sociale, di p. totalitaria, ammontante all’intero capitale sociale, e di p. di minoranza. Si può avere anche la p. creditizia, quando la posizione assunta nei confronti dell’impresa sia di creditore e non di azionista, ma in tal caso si parla anche di interessenza.
Le p. possono essere unilaterali o reciproche: in questo secondo caso danno luogo al formarsi di società a catena e, se vi è la detenzione reciproca di p. da parte di due società, si parla di p. incrociata. Le p. in società per azioni sono soggette a particolare disciplina (➔ società). Le imprese legate tra loro da rapporti di p. di controllo costituiscono in genere un solo complesso economico o gruppo o holding.
Nella pratica bancaria sono compresi nel nome generico di p. particolari interventi, per conto proprio o di terzi, nello svolgimento di operazioni su titoli. Questi assumono le forme di: p. di emissione, quando le banche si propongono di rivendere a condizioni vantaggiose i titoli che un’impresa pubblica o una società commerciale vuol emettere e che esse acquistano a un prezzo determinato, correndo il rischio pieno della riuscita dell’operazione e assumendosi ogni spesa relativa; p. di garanzia, quando le banche si impegnano ad acquistare, a un determinato prezzo in base a un certo premio, tutti i titoli che l’impresa pubblica o la società commerciale non riuscirà a collocare con pubblica sottoscrizione o con opzioni presso i vecchi azionisti; p. di collocamento (o, più propriamente, di difesa), quando le banche unite in sindacato si propongono di agevolare le contrattazioni, animandone il mercato, di un certo numero di titoli che per il loro funzionamento in più mani hanno un mercato debole; p. di speculazione, quando le banche unite in sindacato tendono ad approfittare di rialzi artificiosi, opportunamente provocati, nel corso di determinati titoli per avere modo di rivendere a prezzi superiori; p. di gestione, quando la banca assume direttamente, da sola o in comunione con altri, l’impresa commerciale o industriale creando aziende autonome dal lato tecnico, oppure diventa accomandante di una o più società in accomandita, alle quali procura i finanziamenti per determinate operazioni di gestione.
Con questa espressione si indicano varie forme di remunerazione dei lavoratori, per lo più a carattere integrativo del salario. Si realizza attraverso la distribuzione di una parte degli utili di gestione, sotto forma di distribuzione di azioni gratuite, di dividendi o di premi in denaro; ma vi si può includere, dal punto di vista sostanziale, anche l’investimento di utili in costruzione di case, in opere di assistenza o ricreazione, quando sia conseguenza di un preciso impegno in proposito.
In talune forme di prestazione d’opera, la p. agli utili e ai prodotti è una forma parziale o totale di retribuzione e il codice civile come tale la disciplina, disponendo che la p. agli utili spettante al prestatore di lavoro sia determinata in base agli utili netti dell’impresa e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato (art. 2102).
Consistono in quote di capitale di imprese organizzate nella forma di società per azioni che lo Stato possiede direttamente o indirettamente attraverso enti di gestione. In tale denominazione non sono quindi comprese né le aziende autonome, né gli enti di diritto pubblico (pur svolgenti attività imprenditoriale) né le quote di proprietà di enti territoriali o previdenziali.
Caratteri generali. - Questa particolare forma di intervento dello Stato nell’economia, che concilia la struttura della società per azioni (inserendo le imprese a p. statale nel regime giuridico di diritto privato) con la presenza pubblica (dando luogo alla cosiddetta economia mista), si pone come obiettivi sia quello di perseguire un profitto, osservando il principio di economicità di gestione delle aziende, sia il soddisfacimento di interessi pubblici (quali la necessità di sostenere l’attività di alcune imprese, gruppi di imprese o settori produttivi, di svincolare da monopoli o dall’influenza di gruppi stranieri l’approvvigionamento di materie prime o di determinati settori di attività, di sviluppare settori in cui è carente la presenza dei privati, di incrementare i livelli occupazionali).
Proprio grazie al carattere pubblico-privato delle p. statali, che ha caratterizzato gran parte delle economie più avanzate, ma che nell’esperienza italiana ha assunto connotazioni particolari, si riteneva di poter risolvere con più efficacia le carenze strutturali dell’economia nelle sue prime fasi di sviluppo, consentendo al paese, che soffriva di una cronica carenza di capitali, di raggiungere una più rapida industrializzazione.
La nascita del sistema. - Il fenomeno dell’azionariato di Stato cominciò ad assumere particolare rilievo in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale e in particolare con la costituzione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Creato nel 1933 per l’attuazione di un programma di risanamento bancario, reso necessario dall’opportunità di liquidare le immobilizzazioni verificatesi in moltissime aziende, di somministrare credito alle aziende risanate e di regolare la disciplina autonoma del credito a breve e medio termine (r.d.l. 5/23 gennaio 1933, convertito nella l. 512/3 maggio 1933), l’istituto si trovò in possesso di azioni di società elettriche, telefoniche, armatoriali, siderurgiche, meccaniche, minerarie, chimiche, immobiliari, agricole e, ovviamente, bancarie, divenendo in tal modo uno strumento di intervento diretto dello Stato nell’economia. La varietà di tali p. indusse l’IRI a creare apposite società finanziarie, le holding, cui furono delegate le funzioni di controllo e di indirizzo nei diversi settori (come la STET per il settore telefonico, la Finmare per il settore armatoriale ecc.). Un passo fondamentale per il sistema delle p. statali fu l’istituzione dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), con la l. 153/10 febbraio 1953, con lo specifico obiettivo di rafforzare, al fine dello sviluppo economico, la ricerca e la valorizzazione delle forze endogene nazionali nel settore degli idrocarburi.
Sviluppi.- Nel tempo, anche l’attività dell’ENI si estese dal settore petrolifero ai settori nucleare, chimico, tessile, meccanico ecc. Questo passo diede avvio a quel processo di ampliamento e di dilatazione che ha caratterizzato lo sviluppo successivo del sistema delle p. statali e che si può distinguere in diverse fasi. La prima fase è stata caratterizzata dall’esistenza di una pluralità di centri decisionali e di organi di controllo fra loro non coordinati e dalla mancanza di unità d’indirizzo economico e politico (stabilito provvisoriamente dal Consiglio dei ministri). La seconda fase ha avuto inizio invece con la creazione del ministero delle P. statali (l. 1589/22 dicembre 1956), che accentrò i poteri di vigilanza prima dispersi fra i vari ministeri e che divenne il primario centro di decisione della politica delle p. statali. La l. 1589 prevedeva anche la creazione di altri enti di gestione, oltre l’IRI e l’ENI, nei quali inquadrare le p. dirette dello Stato aventi carattere omogeneo (nei primi anni 1960 furono creati dunque altri 3 enti di gestione, rispettivamente per le aziende termali, cinematografiche e minerarie). In questa seconda fase si realizzò l’operazione di nazionalizzazione dell’energia elettrica con il conseguente trasferimento all’ENEL delle attività a p. statale del settore. La terza fase fu contrassegnata invece dal prevalere dell’indirizzo programmatico nell’economia del paese. Con l’approvazione del primo piano quinquennale di sviluppo economico (l. 685/27 luglio 1967) e con l’istituzione del ministero del Bilancio e Programmazione economica, nonché del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), l’attività delle p. statali confluì definitivamente nell’ambito della programmazione economica. I loro obiettivi specifici consistevano: nel contributo alla politica di piena occupazione e di sviluppo delle regioni depresse (specialmente del Mezzogiorno); nell’impulso alla crescita di quei settori che influivano in modo determinante sul tasso di espansione dell’intero sistema economico; nel soddisfacimento di particolari esigenze fondamentali nel campo dei servizi, sempre ai fini dello sviluppo economico; nella riduzione degli effetti negativi derivanti dalle posizioni oligopolistiche preesistenti nella struttura economica del paese; nella riorganizzazione di diversi settori produttivi.
Mentre all’inizio degli anni 1960 i principi di autonomia finanziaria e di redditività delle imprese a p. statale erano generalmente rispettati, negli anni successivi si verificò un’inversione di tendenza delle modalità di gestione e fu attribuito alle p. statali un ruolo di compensazione degli squilibri e delle carenze del sistema produttivo italiano. Furono gli anni in cui vennero avviati diversi salvataggi – anche con l’istituzione della GEPI (Gestioni e Partecipazioni Industriali) – di complessi industriali in crisi e numerosi progetti di localizzazione di impianti nel Mezzogiorno che, in gran parte dei casi, non innescarono alcun processo di crescita occupazionale e di sviluppo dell’indotto produttivo. In questo contesto, il mutamento della situazione strutturale e l’alternarsi delle fasi congiunturali hanno imposto, ovviamente, diverse forme di strategia operativa, ma il costante aumento di occupazione nel settore delle p. statali, seppure valutabile in termini di socialità, è risultato difficilmente valutabile in termini di economicità e ha posto diversi problemi di carattere giuridico (modelli organizzativi, controlli, rapporti fra gli organi competenti ecc.) ed economico (controllo sull’avanzamento dei programmi, costi, finanziamento dello Stato alle aziende attraverso i fondi di dotazione).
Privatizzazioni. - Nell’ambito dell’acceso dibattito sulla funzione delle p. statali si inserì la quarta fase del sistema, aperta nei primi anni 1980, in coincidenza con il rinnovo dei vertici delle aziende a p. statale e con il generale tentativo di riordino del loro assetto: in questo programma si sono poi inseriti la contrazione occupazionale del settore (dovuta anche a pressioni negative di carattere congiunturale), i progetti di privatizzazione (che, dopo alcune operazioni isolate, hanno trovato espressione soprattutto con la trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni, con la l. 35/29 gennaio 1992) e l’abolizione del ministero delle P. statali (l. 202/23 giugno 1993). Nei primi anni 1990, inoltre, il coinvolgimento di numerosi esponenti di spicco delle aziende a p. statale in episodi di corruzione e di clientelismo politico e il ripensamento stesso del concetto di intervento dello Stato nell’economia hanno creato le premesse per la trasformazione della struttura e del ruolo delle p. statali nell’economia italiana. La fase storica delle p. statali si è esaurita con la liquidazione dell’IRI avvenuta formalmente nel 2000 ma operativamente nel 2002, con l’incorporazione in Fintecna.
Le privatizzazioni iniziate nel 1992 hanno progressivamente arretrato l’intervento dello Stato nell’economia. I pochi enti controllati continuano a venir posti sul mercato. Nel 2006 il governo italiano ha deliberato la privatizzazione di Alitalia, mentre si discute sulla necessità e opportunità di una privatizzazione della RAI.
Il più generale principio democratico della p. diretta, per quanto possibile, dei cittadini alla vita e al funzionamento delle istituzioni politiche e sociali si è affermato anche nel campo delle istituzioni educative, soprattutto in seguito al fenomeno della contestazione giovanile verso la fine degli anni 1960 e gli inizi degli anni 1970. Nella scuola statale la p. è assicurata per il tramite di organi collegiali che valorizzano le singole componenti (docenti, non docenti, genitori e alunni) quali: il consiglio di istituto, il consiglio di classe e il collegio dei docenti.
La riforma Gelmini (2010) prevede che, nelle scuole superiori, questi organi siano affiancati anche da articolazioni del collegio dei docenti, denominate dipartimenti, e da un comitato tecnico-scientifico, da costituire in ogni istituzione scolastica, composto di docenti e di esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta.
Nella storia delle religioni, sono detti riti di p. quelli mediante i quali l’individuo (o il gruppo) si mette in comunicazione con le potenze superiori, partecipando così in qualche modo alla vita stessa della divinità. I 3 principali sono la preghiera, la consacrazione e il sacrificio.
Nella liturgia cattolica, la p. ai riti (o celebrazioni o sacre azioni), richiesta dalla natura stessa della liturgia, alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo, prevede una forma «piena, consapevole e attiva».