Prima dell’intervento normativo attuato dalla l. n. 223/1991 il licenziamento collettivo per riduzione del personale era regolato in Italia da due accordi interconfederali per l’industria, del 1950 e del 1965. A questi si è aggiunta una direttiva comunitaria (la n. 129/1975), rimasta però inattuata (motivo per il quale l’Italia è stata condannata due volte dalla Corte di giustizia). A seguito dell’intervento legislativo del 1991 il licenziamento collettivo è stato quindi definito come il licenziamento attuato in «imprese che occupino più di 15 dipendenti» e che, in conseguenza di una «riduzione o trasformazione di attività o di lavoro», effettuino almeno cinque licenziamenti «nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito del territorio di una stessa provincia». Oltre al requisito dimensionale, ai fini dell’applicabilità della disciplina in esame è necessario che ricorra il nesso di causalità tra le scelte economico-organizzative e le posizioni lavorative da sopprimere, mentre il requisito numerico (mutuato dalla direttiva comunitaria del 1975) è temperato dalla non necessaria contestualità dei licenziamenti, purché intimati nell’arco di 120 giorni e «comunque riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione». Alla soglia minima dei cinque licenziamenti fa eccezione solo l’ipotesi di licenziamento intimato in imprese che abbiano beneficiato della cassa integrazione guadagni, con sopravvenuta impossibilità di reimpiego di tutti i lavoratori sospesi. La legge impone al datore di lavoro, che intenda effettuare un licenziamento collettivo di seguire una procedura ben determinata, che si apre con una comunicazione scritta obbligatoria del datore di lavoro alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o, in mancanza di queste, ai sindacati territoriali e alla Direzione del lavoro presso la Regione. Tale comunicazione, oltre a essere vera, completa e corretta, deve necessariamente contenere i motivi dell’eccedenza, le ragioni dell’inevitabilità del licenziamento, la precisa individuazione delle posizioni lavorative da sopprimere e di quelle residue, i tempi previsti per l’intimazione dei licenziamento, le eventuali misure per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale e il metodo di calcolo di tutti i superminimi individuali. Entro 7 giorni dalla comunicazione le RSA e/o i sindacati territoriali possono richiedere un esame congiunto della situazione per verificare le cause dell’eccedenza, la possibilità di evitare in tutto o in parte i licenziamento e, in caso negativo, la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento. La consultazione deve necessariamente concludersi entro 45 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’impresa, e in caso di mancato accordo è previsto l’intervento della Regione, informata da una delle due parti, che deve convocarle per un ulteriore esame e per eventuali proposte di accordo. Questa seconda fase di consultazione non può durare più di 30 giorni, con il risultato che il datore non può essere costretto ad attendere più di 82 giorni prima di effettuare un licenziamento collettivo (ove le eccedenze siano inferiori a 10, i termini citati si riducono alla metà). Durante le consultazioni – che il datore deve condurre secondo lealtà, correttezza e buona fede, a pena di inefficacia delle procedure – i rapporti di lavoro proseguono regolarmente (con eventuale trattamento di cassa integrazione). Al termine delle consultazioni può essere raggiunto un accordo, ma tale esito non è necessario, in quanto al datore di lavoro è imposto un dovere di consultazione, ma non un obbligo ad accogliere le istanze sindacali, che invece il datore può respingere in tutto o in parte, senza che ciò infici la legittimità dei licenziamento programmati. Questi ultimi debbono essere intimati – entro 120 giorni dalla conclusione delle procedura, salvo diversa indicazione nell’eventuale accordo sindacale – in forma scritta e con obbligo di preavviso, senza necessità di specifica motivazione, essendo sufficiente il richiamo alla natura collettiva del recesso e alla procedura svolta. La selezione dei licenziandi viene effettuata unilateralmente dal datore di lavoro, ma non è libera, in quanto deve rispettare (a pena di invalidità del licenziamento e con onere della prova sul datore di lavoro) i criteri previsti dai contratti collettivi (criteri che devono essere obiettivi e generali, e non possono violare né norme imperative né il divieto di discriminazioni ex art. 15 dello statuto dei lavoratori) o, in mancanza, i criteri fissati dalla legge (che tengono conto dei «carichi di famiglia» dell’«anzianità» di servizio e delle «esigenze tecnico-produttive ed organizzative» da applicare «in concorso tra loro»). Il datore di lavoro, «contestualmente» all’intimazione dei licenziamento, deve comunicare per iscritto ai competenti uffici pubblici, nonché ai sindacati, l’elenco dei lavoratori licenziati con indicazione anche delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta. Per la forma e i termini di impugnazione dei recessi sono previste regole analoghe a quelle del licenziamento individuale.