Accordi collettivi stipulati tra le confederazioni sindacali dei lavoratori, da un lato, e dei datori di lavoro, dall’altro, su temi di carattere generale o settoriale, prevalentemente relativi all’industria. In conformità con il dettato costituzionale (art. 39), la natura e i compiti degli accordi sindacali scaturiscono dall’assetto delle relazioni sindacali definito in via negoziale dalle parti sociali. La funzione degli accordi interconfederali è quindi mutata nel corso del tempo. Dopo l’abolizione del regime corporativo, e fino alla metà degli anni Cinquanta, gli accordi interconfederali disciplinarono tutti gli aspetti più importanti dei rapporti di lavoro, compresi i minimi retributivi, poi delegati alla contrattazione collettiva di categoria. Intorno alla metà degli anni Settanta, anche a seguito della recessione economica, l’attenzione delle parti sociali si spostò su temi di carattere generale e si posero le basi di quella contrattazione cosiddetta triangolare, estesa cioè al governo, che trovò assetto compiuto con l’accordo del luglio del 1993 avente per oggetto la politica dei redditi, la lotta all’inflazione e il costo del lavoro. Questo protocollo stabilì anche la distinzione tra due livelli di contrattazione, uno nazionale e uno decentrato (aziendale o territoriale), nonché la centralità del primo livello, deputato a definire il trattamento normativo e retributivo dei lavoratori in ciascun settore produttivo. Recentemente sono stati stipulati altri importanti accordi interconfederali: l’accordo interconfederale del 15 aprile 2009 per l’attuazione dell’accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, e l’accordo interconfederale tra la CGIL, CISL, UIL e Confindustria del 28 giugno 2011.