Denominazione genericamente usata nelle leggi e nelle discipline giuridiche per indicare organismi e istituti caratterizzati dalla presenza di interessi e finalità più o meno superindividuali, la cui unificazione dà strutturalmente luogo alla creazione di organi e uffici e funzionalmente alla realizzazione di un certo scopo tipico. È fenomeno squisitamente giuridico, risultato della creazione di un soggetto, in seguito alla quale un organismo non esistente sul piano naturalistico assume esistenza sul piano giuridico e si presenta dotato di capacità di agire per il perseguimento dei propri fini.
Gli e. pubblici nazionali fanno parte del concetto di amministrazione pubblica, ma non rientrano nell’amministrazione dello Stato, tanto che sono stati anche denominati ‘amministrazioni parallele’. Hanno strutture eterogenee e sono dotati di personalità giuridica. Possiedono organi propri (di regola, presidente e consiglio di amministrazione), nominati dal governo, che dettano gli obiettivi e le direttive ai loro uffici. I poteri di vigilanza spettano, in genere, all’autorità di governo, che talora è titolare di poteri di direttiva. Una maggiore autonomia organizzativa e funzionale è riconosciuta agli e. pubblici che sono espressione di comunità di settore, come le camere di commercio, o svolgono attività assistite da garanzie costituzionali, come le università e le istituzioni scolastiche.
Sulla natura pubblica di un ente. - L’individuazione della natura pubblica dell’e. è stata costante oggetto di studio da parte della dottrina, che ne ha elaborato vari criteri distintivi, spesso rivelatisi inadeguati e imprecisi. Pertanto, si è ritenuto di individuare l’e. pubblico sulla base di elementi estrinseci e formali, e in particolare, nel regime giuridico, ovvero nel complesso di norme e di principi che ne regolano l’esistenza e l’attività, e nell’inserimento nella struttura amministrativa pubblica. Inoltre, con la l. n. 70/1970 (legge sul parastato), il legislatore ha dettato criteri positivi e tassativi per l’individuazione e la classificazione degli e. pubblici, stabilendo che l’istituzione o il riconoscimento degli stessi può avvenire solo tramite legge. Anche la giurisprudenza ha contribuito a enucleare alcuni elementi distintivi della natura pubblica dell’e., attraverso l’elaborazione di indici di riconoscibilità, tra cui: la titolarità di poteri di imperio; l’istituzione da parte dello Stato o di altro e. pubblico; l’assoggettamento al controllo o all’ingerenza della Stato; la fruizione di agevolazioni o di privilegi tipici delle amministrazioni statali; il riconoscimento della cosiddetta operatività necessaria (impossibilità che i compiti attribuiti siano espletati da altro soggetto ovvero impossibilità di fallimento o di estinzione volontaria).
Classificazione. - L’esistenza di una grande varietà di e. pubblici ne ha reso particolarmente complessa l’opera di classificazione, come dimostra l’impiego in dottrina di elementi discretivi diversi. Così, adottando il criterio degli strumenti impiegati, si è operata la distinzione tra e. economici, che utilizzano il diritto privato, ed e. di amministrazione, che operano in regime di diritto amministrativo; guardando al rapporto con i gruppi interessati, si sono individuati gli e. pubblico-collettivi, che realizzano una commistione tra fenomeno statale e fenomeni prodotti dai gruppi sociali entrati nella sfera pubblica; oppure, guardando alla struttura organizzativa, si è proposta la distinzione tra e. associativi, nei quali i soggetti facenti parte del gruppo incidono su alcune decisioni riguardanti l’attività dell’e., e. a struttura rappresentativa, nei quali i soggetti interessati determinano la nomina della maggioranza dei membri degli organi deliberativi attraverso proprie organizzazioni rappresentative, e. a struttura istituzionale, nei quali gli amministratori sono nominati da soggetti esterni, e. a struttura di società per azioni, che adottano il modello civilistico della società per azioni, variamente modificato dalle norme specifiche, e. federativi, e. confederativi ed e. consortili, che sono espressione della associazione di e. di primo grado; infine, privilegiando il tipo di collegamento con il territorio e l’ambito spaziale di attività, si è stabilita la duplice distinzione tra e. territoriali ed e. non territoriali, e tra e. nazionali ed e. locali.
Controllo e organizzazione. - Gli e. pubblici sono sottoposti a vigilanza ministeriale e l’operato degli amministratori, per quanto concerne le delibere da questi adottate, i bilanci e i conti consuntivi, è soggetto al controllo del ministro vigilante e del ministro dell’Economia. Inoltre, la Corte dei Conti esercita un controllo sulla gestione finanziaria degli e. pubblici, che si conclude con l’esercizio di un potere di referto in Parlamento (l. n. 259/1958). All’e. pubblico (e. monofunzionale), a differenza che all’e. locale, è affidata tendenzialmente la cura di un solo interesse pubblico, sebbene proprio di molti soggetti.
Per quanto concerne l’organizzazione interna, l’e. pubblico (diverso da quello locale) assume di solito una struttura giuridica mutuata dal diritto privato, in particolare dalle fondazioni, nelle quali il consiglio di amministrazione e il presidente sono chiamati a gestire un patrimonio nell’interesse di terzi. In alcuni e. pubblici, per esempio quelli associativi e federativi, è presente anche l’organo assembleare, che non solo elegge l’organo esecutivo ma adotta anche le decisioni fondamentali della vita dell’ente. Dal modello delle società per azioni, inoltre, gli e. pubblici hanno mutuato un altro organo, il collegio dei revisori, che svolge funzioni di controllo dell’amministrazione, dell’osservanza delle leggi, della rispondenza del bilancio alle risultanze dei valori e della scritture contabili.
Il processo di privatizzazione. - Gli e. pubblici furono istituiti in Italia a partire dai primi anni del XX sec., per gestire funzioni e servizi svolti prima dallo Stato o da soggetti privati, e poi attratti nella sfera pubblica. Il sistema degli e. pubblici, dopo aver raggiunto la sua massima espansione e prosperità negli anni 1970, iniziò a subire un lento processo di declino, che ne ha provocato un drastico ridimensionamento. Al determinarsi di tale evento hanno contribuito alcuni fattori: l’entrata in funzione delle Regioni a statuto ordinario, con il conseguente trasferimento a queste ultime delle funzioni loro riservate dall’art. 117 Cost. (nel testo all’epoca vigente), prima esercitate dagli e. pubblici; una riconsiderazione dell’interesse pubblico a suo tempo invocato per l’istituzione dell’ente. In virtù di questa riconsiderazione, legata anche a un accelerato processo di integrazione europea, è stata prevista la trasformazione degli e. pubblici (genericamente intesi) in associazioni o persone giuridiche di diritto privato, anche al fine di porre rimedio alla crisi della finanza pubblica e di restituire una maggiore efficienza al sistema, diminuendo il numero delle imprese pubbliche. In particolare, il d.lgs. n. 419/1999 ha fissato un termine, che è stato poi più volte differito, entro il quale avrebbero dovuto essere individuati gli e. da privatizzare, trasformare e accorpare. In seguito, la l. n. 448/2001 (art. 28), modificata dalla l. n. 137/2002, ha affidato al governo il compito di individuare gli e. pubblici, le amministrazioni, e le agenzie, finanziati direttamente o indirettamente con risorse pubbliche, da trasformare in società per azioni o in fondazioni di diritto privato o da accorpare con e. e organismi che svolgono attività analoghe o complementari, o da sopprimere e mettere in liquidazione. Da questo processo sono esclusi, assieme agli e. pubblici cui sono affidati compiti di garanzia di diritti a rilevanza costituzionale, quelli che gestiscono la previdenza sociale a livello di primario interesse nazionale, che sono essenziali per esigenza di difesa o di sicurezza, o che svolgono funzioni di prevenzione e vigilanza per la salute pubblica. La trasformazione è subordinata alla verifica che i servizi non siano più proficuamente erogabili al di fuori del settore pubblico.
Particolare attenzione merita il processo di privatizzazione che ha coinvolto la categoria degli e. pubblici economici. Questi e., che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività economica, perseguono un fine pubblico attraverso l’esercizio di un’attività imprenditoriale. La disciplina applicabile al rapporto di lavoro dei dipendenti degli e. pubblici economici è quella stabilita dalle norme del codice civile, e, secondo la Corte di cassazione, non si configurano come atti amministrativi sia gli atti di gestione del rapporto di lavoro sia gli atti organizzativi che ne costituiscono il presupposto (per es., gli atti di approvazione delle piante organiche, la determinazione dei criteri per le promozioni). La questione della delimitazione della giurisdizione nelle controversie inerenti a tali rapporti di lavoro si è rivelata particolarmente complessa, ed è stata risolta dalla l. n. 533/1973, che ha confermato la giurisdizione del giudice ordinario. La categoria degli e. pubblici economici è composta principalmente da e. che svolgono direttamente un’attività economica di produzione di beni o servizi (Ferrovie dello stato, Poste, ENEL ecc.).
Il modello organizzativo dell’ente pubblico economico viene fortemente influenzato dal diritto europeo, e in particolare dal divieto degli aiuti di Stato (art. 107 TFUE), dall’applicazione delle regole di concorrenza anche alle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale (art. 106 TFUE), quali le Ferrovie dello stato, le Poste o l’ENEL, e dai principi di risanamento della finanza pubblica stabiliti nel patto di stabilità siglato a Maastricht. Gli adempimenti imposti dalle citate disposizioni comunitarie hanno condotto a un ridimensionamento dell’ente pubblico monopolista e a una politica di privatizzazione che ha consentito di arrivare a una riduzione del debito tramite dismissione del patrimonio. Pertanto, con alcuni provvedimenti, tra i quali si menzionano il d.lgs. n. 386/1991, convertito dalla l. n. 35/1992, e il d.lgs. n. 333/1992, convertito dalla l. n. 359/1992, gli e. pubblici economici sono stati trasformati in società per azioni (privatizzazione formale), ed è stata prevista una successiva cessione del pacchetto azionario dall’azionista pubblico ai privati (privatizzazione sostanziale).
E. portuali. - Assieme alle altre organizzazioni portuali costituivano il fulcro della gestione dei principali porti italiani, sulla base di disposizioni normative che istituivano un regime speciale, in alternativa all’amministrazione statale diretta. Essendo loro riconosciuta la natura di e. pubblici economici, provvedevano all’amministrazione del porto in quanto organi ausiliari dello Stato, svolgendo contestualmente attività di impresa in concorrenza con altri utilizzatori delle strutture. A seguito della riforma operata dalla l. n. 84/1994, la gestione dei porti è stata affidata a un e. pubblico non economico, l’Autorità portuale, mentre gli e. e le altre organizzazioni portuali, persa ogni funzione regolatrice pubblica, sono stati trasformati in società che operano nel mercato delle operazioni e dei servizi portuali.
Ciò che è, sinonimo di essere. Tra i presocratici, Parmenide considerò l’essere (εἶναι) l’unica realtà vera. Di qui il termine di ὄν «quel che è», in assoluto, e senz’altra predicazione. L’essere di Parmenide nella storia del posteriore eleatismo (Melisso) venne sempre più assumendo quei caratteri di identità, stabilità e inalterabile costanza, che non erano più incompatibili, in linea di principio, con l’ammissione di una molteplicità di e., forniti appunto di questi caratteri. E infatti il pluralismo adoperò il termine anche al plurale, per designare le realtà ultimamente vere: e così più tardi per Platone furono ὄντα («enti») le idee. La critica aristotelica dissolse il concetto assoluto dell’ὄν, chiarendo i molti sensi che di volta in volta poteva assumere la predicazione dell’essere. Si distingue così l’e. per se, quando l’essenza che si predica appartiene substantialiter all’e., e l’e. per accidens quando tale essenza gli sia in qualche modo associata. L’essenza è, in termini aristotelici, la potenza di essere dell’e., l’atto è perciò il suo esistere determinato: di qui la distinzione di essenza ed esistente, e l’uso di e. per indicare il primo termine.