Obbligo del debitore di adempiere una determinata prestazione a vantaggio del creditore, consistente di solito nel dare o restituire qualcosa, soprattutto denaro. Anche la prestazione stessa, considerata dal punto di vista del soggetto tenuto ad adempiere.
Tradizionalmente, il termine d. designava l’aspetto passivo del rapporto obbligatorio e cioè il dovere del soggetto (debitore) di eseguire la prestazione. Sulla traccia della dottrina tedesca, con il d. si è venuto a indicare uno dei due elementi nei quali si scompone il lato passivo del rapporto obbligatorio, contrapponendolo all’altro chiamato responsabilità: mentre il d. ha per oggetto la specifica prestazione da adempiere, la responsabilità investe di regola l’intero patrimonio del debitore, che risponde dell’adempimento della prestazione con tutti i suoi beni presenti o futuri (art. 2740 c.c.). Tale scomposizione è, secondo una tendenza della dottrina, in particolar modo evidente e praticamente attuata in taluni istituti, nei quali vi sarebbe d. senza responsabilità (per es.: obbligazioni naturali), d. con responsabilità limitata (per es.: dote, prima della sua abolizione con la riforma del diritto di famiglia e patrimonio familiare) e responsabilità senza d. (per es., terzo datore di pegno o di ipoteca per l’altrui d.). Secondo altri giuristi, invece, la distinzione, per la maggior parte dei casi, avrebbe un mero valore descrittivo, acquistando rilevanza solo quando i due momenti (d. e responsabilità) facciano capo a due soggetti diversi o quando la responsabilità non copra tutto il debito.
Con riferimento alla natura della prestazione da eseguire si distingue il d. di valuta dal d. di valore. Il d. di valuta definisce la prestazione che ha per oggetto diretto e immediato una somma di denaro (per es., il pagamento del prezzo); in base al principio nominalistico essa deve essere eseguita con moneta avente corso legale nello Stato e per il suo valore nominale (art. 1277 cod. civ.). Il d. di valore indica invece una prestazione che ha per oggetto una somma di denaro solo in quanto la stessa costituisce l’equivalente economico di un bene; tale somma deve essere determinata in relazione all’effettivo potere di acquisto della moneta all’atto della liquidazione. In particolare il risarcimento del danno, contrattuale ed extracontrattuale, mirando alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato nello stato in cui si sarebbe trovato senza l’evento dannoso, è d. di valore, che si trasforma in d. di valuta solo dopo la liquidazione della somma dovuta da parte del giudice.
Costituiscono casi di d. di valore quelli nei quali la prestazione debba effettuarsi:
a) con moneta estera effettiva;
b) con moneta considerata nel suo valore intrinseco;
c) con moneta legale ragguagliata, allorché la somma dovuta sia stata determinata in moneta non avente più corso legale al tempo del pagamento.
Configurano d. di valore le diverse clausole di garanzia monetaria (clausola). La distinzione ha riflessi concreti rilevanti in caso di inadempimento dell’obbligazione, in relazione alla diminuzione del potere d’acquisto della moneta conseguente alla svalutazione. Nelle obbligazioni di valuta, in base al principio nominalistico, tale situazione può risolversi a vantaggio del debitore in quanto solo al creditore che dimostra di aver subito un maggior danno compete un risarcimento ulteriore rispetto agli interessi legali (art. 1224 c.c.). Un orientamento giurisprudenziale afferma peraltro, in relazione al pregiudizio derivante dall’inflazione, che il giudice può, in mancanza di specifiche prove, avvalersi anche del fatto notorio acquisito alla comune esperienza e di presunzioni fondate su condizioni e qualità personali del creditore e sulle modalità d’impiego del denaro per desumere quale maggiore utilità la somma tempestivamente pagata avrebbe potuto procurare al creditore.
Per quanto riguarda i crediti di lavoro l’art. 429 c.p.c. stabilisce invece che il giudice deve determinare, oltre gli interessi legali, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per effetto della diminuzione del potere d’acquisto del suo credito (la rivalutazione è operata con riferimento agli indici predisposti dall’ISTAT).
Importo complessivo dei prestiti che lo Stato, le aziende statali autonome, le regioni, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, le imprese e gli enti speciali appartenenti allo Stato contraggono periodicamente a fronte del deficit di bilancio. In senso più specifico, solo il debito contratto dallo Stato all'interno e all'estero e più spesso il solo debito interno (➔ débito pùbblico).
Il d. estero è la somma totale, in genere misurata su base annua, che gli operatori privati e pubblici di un paese devono versare, a scadenze prestabilite, a operatori privati o pubblici residenti all’estero (➔ Debito estero).
Per l'insufficienza da recuperare durante il percorso scolastico ➔ débito formativo.
In fisiologia, d. di ossigeno, la condizione che deriva da un consumo metabolico di ossigeno superiore alla disponibilità. In condizioni fisiologiche, si instaura soprattutto nel lavoro muscolare anaerobico (rapido, intenso, di breve durata), durante il quale l’organismo ricava energia di pronto impiego dalla scissione di fosfati organici (adenosintrifosfato, creatinfosfato) e accumula scorie metaboliche (acido lattico).
Esdebitazione del fallito e presupposti: la parola alle sezioni unite della cassazione di Francesco Fradeani
Costituzione e procedure concorsuali di Lucio Lanfranchi