Il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica) possiede.
Nell’accezione giuridica, che riprende quella del diritto giustinianeo, l’insieme di tutti i rapporti giuridici facenti capo a un soggetto e aventi valore economico. Con riferimento a questo particolare e ristretto significato si parla di responsabilità patrimoniale del debitore.
P. separato. - I p. separati – che possono essere creati solo dalla legge – sono quelli nei quali si organizzano masse patrimoniali indipendenti tra loro, anche se appartenenti al medesimo soggetto. Tendono a realizzare due finalità tipiche: la devoluzione di una massa patrimoniale come esclusivamente destinata al raggiungimento di uno scopo ammesso dalla legge e la costituzione di una massa di beni riservata al soddisfacimento delle ragioni di un certo gruppo di creditori (contrapposto ad altro o ad altri, esclusi dal soddisfacimento). Anche se, in base alla regola sopra accennata, l’istituzione dei p. separati avviene ope legis, in pratica comunque la loro formazione è condizionata all’iniziativa degli interessati. I casi pratici comunemente riferiti di p. separato sono: il fondo patrimoniale (istituto che, a seguito della riforma del diritto di famiglia, ha sostituito il p. familiare), i beni del defunto in quanto formalmente separati, il p. ereditario e quello dell’erede dopo l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, la massa attiva dei beni appartenenti al fallito, il complesso dei beni oggetto di sostituzione fedecommissaria (prima della loro entrata nel p. del sostituito), e, di recente, il p. della società destinato a uno specifico affare (art. 2447 bis ss. c.c.).
P. autonomo. - P. autonomi sono quelli che derivano dalla formazione di un nuovo p. riferito a un nuovo soggetto giuridico, come nel caso di costituzione di società unipersonale a responsabilità limitata. i beni relativi sfuggono completamente all’esecuzione forzata da parte dei creditori del titolare originario (salva l’esperibilità dell’azione revocatoria) in ragione dell’autonomia patrimoniale perfetta che è loro propria (autonomia imperfetta è generalmente da riconoscere ai p. separati).
Il p. familiare era una convenzione matrimoniale disciplinata dagli art. 167 e s. c.c.: potevano essere costituiti in p. familiare determinati beni immobili o titoli di credito, da uno o da entrambi i coniugi ovvero da un terzo, anche durante il matrimonio. La costituzione del p. familiare importava l’inalienabilità dei beni e la destinazione dei frutti a vantaggio della famiglia. L’istituto ebbe scarsa applicazione pratica e fu così abrogato dalla riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975), che ha introdotto il fondo patrimoniale (➔ fondo) e ha comunque stabilito che i p. familiari costituiti prima della sua entrata in vigore avrebbero continuato a essere disciplinati dalle norme anteriori.
Si dividono in due gruppi (corrispondenti ai capi 1° e 2° del titolo tredicesimo del c.p.): delitti contro il p. mediante violenza alle cose o alle persone, delitti contro il p. mediante frode. Delitti patrimoniali mediante violenza sono il furto (art. 624 e 624 bis), delitto nel quale la violenza sulle cose (art. 625) costituisce circostanza aggravante, la rapina, l’estorsione; delitti patrimoniali mediante frode sono la truffa, la circonvenzione di persone incapaci, l’appropriazione indebita. Con la l. 547/1993, sono stati invece previsti i delitti di danneggiamento di sistemi telematici e informatici (art. 635 bis) e di frode informatica (art. 640 ter). Inoltre la l. 108/1996, che ha modificato la fattispecie del delitto di usura, aggravando le pene originariamente previste dall’art. 644 c.p., ha abrogato la disposizione dell’art. 644 bis, introdotta dalla l. 356/1992, che prevedeva il delitto di usura impropria.
Il p. comune dell’umanità, già contemplato dalla dottrina del diritto internazionale dei sec. 17° e 18° – in particolare nel concetto di res communis omnium di cui parlava Grozio – ha assunto nuova rilevanza nell’ambito delle Nazioni Unite a seguito del discorso pronunciato nel 1967 da A. Pardo, rappresentante di Malta presso le Nazioni Unite, in occasione della terza Conferenza per la codificazione del diritto del mare. La proposta maltese definiva p. comune dell’umanità i suoli e i sottosuoli marini oltre i limiti delle giurisdizioni nazionali, qualificandoli come spazi che non possono essere oggetto di appropriazione da parte degli Stati e che devono essere utilizzati solo per scopi pacifici, e le cui risorse devono essere gestite collettivamente e utilizzate a beneficio di tutti i popoli, con particolare riguardo alle esigenze degli Stati meno avanzati e nell’interesse delle generazioni future. Il principio è stato quindi accolto nella Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare del 1982, in base alla quale esso si applica ai fondi marini e ai loro sottosuoli oltre i limiti delle giurisdizioni nazionali. L’amministrazione di tali ‘aree’, e delle relative risorse minerali (solide, liquide, gassose, compresi i noduli polimetallici), è affidata a un’organizzazione internazionale di gestione e controllo, l’Autorità internazionale dei fondi marini. Nell’Accordo del 1979 sull’attività degli Stati sulla Luna e gli alti corpi celesti, anche questi ultimi sono stati dichiarati p. comune dell’umanità, ma l’affermazione di questo principio non ha trovato ampi consensi. Nel 1997 l’UNESCO ha proclamato p. comune dell’umanità il genoma umano, che rappresenta la specie umana nel suo insieme.
Dalla nozione di p. comune dell’umanità deve tenersi distinta, in quanto non implicante forme di internazionalizzazione dei beni ai quali si applica, la nozione di p. mondiale accolta nella Convenzione UNESCO del 1972 sul p. culturale e naturale mondiale, volta a istituire una forma di cooperazione e di assistenza tra gli Stati parti nella conservazione di beni artistici e ambientali di riconosciuto valore universale eccezionale.
Nella nozione contabile quantitativa, complesso dei valori attribuiti ai beni e alle utilità a disposizione di un’azienda in un determinato momento: p. netto o in monte, quello risultante dalla somma algebrica dei valori attribuiti ai suoi componenti attivi e passivi; la voce p. è particolarmente usata nelle aziende di erogazione, in cui si distinguono: p. permanente, complesso di beni da reddito depurato delle passività a lunga scadenza; p. di consumo o di uso, complesso di beni a disposizione dell’azienda da utilizzare per il raggiungimento diretto del fine; p. finanziario, fondo di cassa e residui attivi al netto dei residui passivi.
L’insieme dei p. netti appartenenti agli individui, alle persone giuridiche di diritto privato e agli enti pubblici che compongono una data nazione. Se si fanno rientrare nel concetto di p. soltanto i beni che possono essere oggetto di proprietà e sono quindi suscettibili di scambio e di valutazione in moneta, il p. nazionale risulta composto dei p. privati, nell’accezione comune del termine, e di quelli pubblici, comprendendo però in questi ultimi soltanto i beni aventi un valore di scambio certo e possibile, con le opportune cautele necessarie per evitare duplicazioni. Se si considerano invece elementi del p. nazionale tutti i beni che recano un’utilità generica, qualunque sia il vincolo di appartenenza e il modo con cui questo è sorto, nei p. privati si debbono includere anche le cosiddette ricchezze personali, rappresentate dalle facoltà personali e dalle capacità imprenditoriali, mentre in quelli pubblici figurerebbero anche i beni che, pur essendo doni della natura, sono in qualche modo posseduti o amministrati dallo Stato (acque, venti, clima ecc.). Una terza interpretazione del p. nazionale è quella per cui si comprendono in esso anche i beni non materiali che possono essere posseduti soltanto da una nazione, quali la qualità del sistema giudiziario, creditizio, amministrativo e perfino il tipo di ripartizione dei beni-capitali e dei redditi. Delle tre interpretazioni quella preferita nella pratica è la prima, che permette di valutare con minore arbitrio, in base al valore di scambio, elementi positivi e negativi del p. nazionale. Essa implica tuttavia notevoli difficoltà, e i relativi metodi di valutazione in genere si riferiscono più alla sola ricchezza privata che all’intera ricchezza nazionale considerata come fondo di beni, oppure alla ricchezza considerata come flusso – e cioè al reddito nazionale – per ricostruire poi, attraverso una assai problematica capitalizzazione, la ricchezza nel primo senso.
I criteri da seguire nella valutazione del p. economico nazionale sono dunque diversi a seconda che si voglia calcolare la ricchezza del singolo o quella della collettività. Mentre nel primo caso verranno considerati i beni effettivamente esistenti presso il soggetto di riferimento (i quali includono sia la casa, il denaro ecc., sia i crediti vantati presso altri soggetti, privati o pubblici), nel calcolo della ricchezza della collettività il problema è posto dal rischio di inserire duplicazioni calcolando due o più volte gli stessi valori (per es., le azioni di un’impresa in mano agli azionisti non possono essere ricalcolate nel p. dell’impresa stessa). Inoltre, come per il calcolo del p. monetario del singolo si tiene conto dei crediti e dei debiti nei confronti di terzi, anche per la collettività occorrerà tener conto delle posizioni creditorie e debitorie, in tal caso nei confronti dell’estero.
Imposte commisurate al p. complessivo di ciascun contribuente, ossia all’insieme dei beni a lui appartenenti. Possono essere ordinarie o straordinarie, avere cioè carattere permanente o consistere in prelievi effettuati una tantum. I soggetti passivi possono essere sia persone fisiche sia società. Il p. può essere tassato secondo due diverse modalità: si può incidere sul possesso o sul trasferimento di un p. da un soggetto a un altro. Nella prima ipotesi la tassazione può essere ordinaria o straordinaria e colpire tutto il p. dell’obbligato (generale) o solo una parte di esso (speciale). Nella seconda ipotesi la tassazione può avvenire a seguito di trasferimento inter vivos o mortis causa (imposta di donazione o successione).
Frequente negli ordinamenti tributari moderni è l’adozione di imposte patrimoniali ordinarie di tipo speciale (➔ ICI); a esse ricorrono generalmente le amministrazioni locali per finanziare le proprie attività. Diverse invece le motivazioni per cui si ricorre all’introduzione di imposte straordinarie, riconducibili di regola a eventi eccezionali quali guerre e calamità, talvolta a esigenze di gettito.
Approfondimenti:
Costituzione e procedure concorsuali di Lucio Lanfranchi
Il trust nello scenario internazionale e la sua operatività in Italia alla luce dell’art. 2645-ter c.c. di Francesco Di Ciommo