Atto o comportamento che faccia uso della forza fisica (con o senza l’impiego di armi o di altri mezzi d’offesa) per recare danno ad altri nella persona o nei beni o diritti. In senso più ampio, l’abuso della forza (rappresentata anche da sole parole o da sevizie morali, minacce, ricatti), come mezzo di costrizione, di oppressione, per obbligare cioè altri ad agire o a cedere contro la propria volontà.
Fatto per cui taluno viene costretto alla conclusione di un negozio giuridico, o perché è materialmente forzato a compiere ciò da cui si dovrebbe desumere una sua volontà (per es., sottoscrizione di un documento ottenuta conducendo la mano del sottoscrivente), o perché date minacce lo inducono a volere. Nell’ordinamento vigente si distingue la v. materiale o assoluta da quella morale o psichica o compulsiva. La prima, che non è neppure presa in considerazione dal codice civile, esclude addirittura la sussistenza di una volontà diretta alla conclusione del negozio, così che la dichiarazione emessa sotto la coazione della v. materiale non ha alcun valore giuridico. Nel secondo caso, invece, vi è una divergenza fra volontà e dichiarazione; la volontà, cioè, è viziata per effetto della v. o, più precisamente, del timore che essa determina. Non basta però, un qualsiasi atto di v.; ma affinché si possa far luogo all’annullamento del contratto la v., che può provenire anche da un terzo, deve essere di tal natura da fare impressione sopra una persona sensata e da farle temere di esporre sé o i suoi beni (o anche la persona o i beni del coniuge, di un ascendente o di un discendente) a un male ingiusto e notevole (art. 1435 c.c.). La minaccia deve essere ingiusta, così che non è causa di annullamento del contratto la minaccia di far valere un diritto se non quando è diretta a conseguire vantaggi ingiusti. Infine, non costituisce v. il timore riverenziale (art. 1437 c.c.).
V. privata Delitto commesso da chiunque, con v. o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa (art. 610 c.p.). Il delitto si consuma nel momento in cui l’altrui volontà sia indotta concretamente a fare, tollerare od omettere ciò che impone l’agente. La v. può essere fisica, che si esplica direttamente sulla vittima, o cosiddetta impropria, che si espleta cioè attraverso l’uso di mezzi anomali diretti a esercitare pressioni sulla volontà altrui al fine di coartarla. L’elemento soggettivo è il dolo generico rappresentato anche dalla consapevolezza del dissenso della vittima. Il delitto è aggravato se il fatto è commesso con armi, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte.
V. sessuale Delitto commesso da chiunque, con v. o minaccia o mediante abuso della propria autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali. Il codice prevede anche le ipotesi di v. mediante induzione che si configura con la strumentalizzazione della vittima in condizioni di inferiorità psichica o fisica o con la sostituzione dell’agente ad altra persona per trarre in inganno la persona soggetta a violenza. L’intera normativa in materia di reati sessuali è stata modifica ad opera della l. n. 66/1996 che ha trasferito tali fattispecie dalla categoria dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume a quella dei reati contro la persona. Tale passaggio è conseguente ad una maggiore consapevolezza di come la libertà sessuale sia un’espressione della più ampia libertà personale. Una delle innovazioni rilevanti previste dalla nuova normativa riguarda il concetto di atti sessuali. La disciplina previgente distingueva, infatti, la v. carnale dagli atti di libidine: la prima consisteva in qualsiasi penetrazione tra organi genitali, ovvero tra un organo genitale e un altro tipo di organo, ricomprendendo anche l’ipotesi del coito anale e di quello orale; la seconda riguardava qualsiasi forma di contatto corporeo, non necessariamente organi genitali o parti nude del corpo, diversa dalla penetrazione che, per le modalità di svolgimento, rappresentava una manifestazione di concupiscenza sessuale. L’attuale nozione di atto sessuale comprende, invece, sia la congiunzione carnale che gli atti di libidine. La rilevanza penale del comportamento dell’agente deve essere valutata, secondo la giurisprudenza di legittimità, considerando la disponibilità della sfera sessuale della persona che ne è titolare (Cass. pen., n. 66551/1998). La nozione di atto sessuale si compone dunque, non solo di ogni atto di congiunzione carnale, bensì di qualsiasi atto che, risolvendosi in contatto corporeo, ancorché fugace e temporaneo, tra soggetto attivo e passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinate, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente o l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale (ex plurimis, Cass. pen., n. 35625/2007). L’elemento soggettivo è il dolo generico contraddistinto dalla volontà dell’atto sessuale e dalla rappresentazione di tutti gli elementi del reato. Nei casi di minore gravità si applica la pena ridotta fino ai 2/3 della stessa. La v. sessuale è aggravata se commessa: in danno di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; avvalendosi di armi, sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti; simulando la qualità di pubblico ufficiale; su persona sottoposta a qualsiasi limitazione della propria libertà personale; nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici, se il colpevole ne è l’ascendente, il genitore anche adottivo o il tutore. La pena è maggiormente aumentata se il fatto è commesso nei confronti di una persona che non ha ancora compiuto gli anni dieci.
In una prospettiva sociologica, s’intende per v. l’uso distorto o l’abuso della forza contro qualcosa che gode della protezione della legge e del controllo sociale in genere. A questo significato ristretto se ne sono aggiunti altri più estesi. Dalla v. intesa come forma estrema di aggressione o come forma di coercizione e dominio, il termine è passato a significare ogni forma d’influenza, condizionamento e controllo delle potenzialità pratiche e intellettuali degli esseri umani. I diversi significati trovano una giustificazione nelle diverse spiegazioni causali della violenza. In una prima spiegazione, la v. è insita nella storia naturale del genere umano come manifestazione di aggressività primordiale (spiegazione etologica); in una seconda, la v. è insita nella storia psicologica degli individui come manifestazione fondamentale delle pulsioni di morte e distruzione (spiegazione psicanalitica); in una terza, la v. è connaturata alle istituzioni e ai prodotti dell’attività umana e si manifesta in processi oggettivi di autoritarismo, repressione, esclusione e segregazione (spiegazione sociologistica). L’indagine empirica sulla v. come fatto sociale necessita di una specificazione dei criteri che permettono di classificare un atto come violento. Un primo criterio richiede che l’atto debba essere distruttivo di cose o persone, o tale da costituire minaccia di distruzione; un secondo criterio richiede che l’oggetto della distruzione debba avere un valore per la vittima o per la società in generale; un terzo criterio richiede la presenza di un attore, individuale o collettivo.
Rispetto al fine che il soggetto si propone di perseguire attraverso l’atto violento, è opportuno distinguere fra v. politica, v. criminale e v. repressiva. La prima è orientata alla realizzazione di un progetto di revisione dei fini collettivi; la seconda si presenta come devianza dalle norme che regolano il perseguimento dei fini individuali; la terza è orientata alla conservazione e al mantenimento degli interessi costituiti. La v. politica, per la sua caratteristica di contestazione e rifiuto globale della legittimità del sistema sociale nel nome di una diversa legittimità, implica una visione etica della v. che suscita aspre polemiche ideologiche specialmente quando essa assume i toni estremi del terrorismo.