V. del reato Persona offesa dal reato, titolare del bene protetto dalla singola fattispecie incriminatrice. Tale nozione fa riferimento al soggetto passivo, ovvero alla persona sulla quale ricade materialmente l’attività penalmente rilevante. Lo studio del soggetto passivo del reato costituisce il nucleo della vittimologia, branca della criminologia che indaga sulle reazioni e sugli atteggiamenti della v. di reato, nonché sull’interrelazione tra questa e il soggetto agente. Di recente si ricorre alla categoria dei reati senza soggetto passivo o senza v. per indicare fattispecie incriminatrici rispetto alle quali non è agevole individuare l’offesa a un bene giuridico (per es., il sentimento del pudore nei delitti contro la moralità pubblica). La persona offesa, che resta tale per tutta la durata del procedimento penale (dalla fase delle indagini fino al giudizio di Cassazione), non riveste il ruolo di parte processuale bensì solo di soggetto processuale a cui il codice di rito attribuisce poteri di impulso e/o di controllo dell’operato del pubblico ministero e del giudice.
L’essere vivente (animale o uomo) che nel sacrificio viene consacrato alla divinità e ucciso. Caratteri e funzioni della v. variano secondo i tipi del sacrificio. Nella scelta della v. normalmente si seguono criteri particolari: la v. deve essere, per es., priva di difetti fisici; talvolta è prescritto che essa non sia mai stata sottoposta a lavori profani, oppure che sia ancora immune da contatti sessuali. Tali requisiti, però, non sono sempre necessari per le v. destinate a sacrifici di purificazione, in cui, anzi, la v. di tipo ‘capro espiatorio’ deve prendere su di sé tutta l’impurità accumulatasi nella comunità. Gli animali destinati al sacrificio sono di regola quelli che la società considera come commestibili, sia per l’antropomorfismo attribuito al destinatario del sacrificio sia perché, nella maggioranza dei casi, dopo il sacrificio la v. viene consumata, integralmente o in parte, dai sacrificanti. Ma anche questa regola subisce numerose eccezioni: a certe divinità o spiriti considerati come estranei all’ordine umano o pericolosi per esso, si offrono appositamente animali che l’uomo non mangia (cani, cavalli ecc.); anche il sacrificio umano si sottrae al criterio della commestibilità, anche ove si pratichi il cannibalismo rituale, poiché la carne umana non è un alimento normale. In certi casi la v. ha un rapporto specifico con il fine del sacrificio: nell’antica religione romana si sacrificava una vacca gravida alla dea della terra, per promuovere la fertilità; in India per l’espiazione di un peccato di lussuria si sacrificava un asino, ritenuto animale lussurioso. Altre volte la v. è l’animale preferito dalla singola divinità: in tal caso spesso si tratta di un aspetto teriomorfo della divinità stessa. Anche per sesso e altri caratteri, la v. prescelta si adegua all’immagine della divinità, di modo che agli dei si sacrificano animali maschi, alle dee animali femmine, alle divinità celesti animali di color chiaro, a quelle infere v. nere. Questa affinità tra v. e dio può rasentare l’identità, specie nei sacrifici a comunione.
Dopo la scelta guidata dai criteri sopra enunciati, la v. deve subire un atto di consacrazione: essa viene adornata, cosparsa o unta di sostanze sacre, offerta con formule rituali ecc.; tali procedimenti, però, sono superflui quando la v. è considerata già di per sé sacra, per es., l’animale totemico. Dopo il sacrificio, la v. può essere utilizzata a diversi fini sacri e profani: anzitutto può essere mangiata (salvo in caso di olocausto o abbandono), normalmente in un pasto rituale; le sue parti interiori possono servire a fini divinatori (per es., nell’epatoscopia); il suo sangue può avere poteri guaritori (in Indonesia gli ammalati sono spalmati del sangue della v. sacrificale); ugualmente, il sangue può rafforzare un patto o giuramento (Slavi antichi, Cinesi); nell’uso mitriaco del taurobolio si faceva colare il sangue della v. sull’iniziando che con ciò rinasceva a nuova vita. In determinate condizioni (economiche o di trasformazione culturale) le v. tradizionali potevano essere sostituite con i loro simulacri; ciò avveniva spesso nel caso del sacrificio umano, quando esso non veniva più tollerato, di modo che alla v. umana si sostituivano pupazzi; ma si hanno esempi di figure di animali (fatti, per es., di pasta: India, Grecia) destinate a sostituire la v. (Cina, Egitto ecc.).
In psichiatria, il termine vittimismo indica l’atteggiamento psicoaffettivo di pazienti nevrotici, costantemente in cerca di situazioni in cui possano soffrire, compatirsi, e suscitare simpatia. Si tratta di un derivato del masochismo psichico, con accentuazione esibizionistica. Può essere parzialmente cosciente, ma le sue vere origini sono inconsce.